A.Giovannetti (Tradingnet): quando la volatilità non è amica
di Andrea Giovannetti , 05.10.2004 12:13
Avevo già deciso che non avrei più tirato fuori l’argomento petrolio e correlazione con i mercati azionari. Amici e colleghi da un lato si congratulavano e dall’altro mi facevano capire che ne avevano abbastanza. Guardando sui monitor la fiammata azionaria degli ultimi due giorni, con il prezzo del petrolio fermo sui massimi, inchiodato sui 50 dollari, mi dicevo “bè, ora si saranno convinti tutti, è un argomento chiuso…sarà chiaro a tutti che i mercati fanno quello che vogliono indipendentemente dal petrolio…”.
In quel momento, verso le 17 di ieri, passa un’agenzia e leggiamo increduli: “l’S&P sale rapidamente grazie alla correzione del petrolio”. Andiamo subito a verificare cosa succede sul petrolio. Nulla. La correzione a cui si riferiva il commentatore era un normale movimento di 15 centesimi che era già stato recuperato mentre la notizia usciva.
Nonostante i miei buoni propositi torno, quindi, sul petrolio. Per l’ultima volta.
Vent’anni fa l’indice americano S&P quotava 5 volte il prezzo del petrolio: il barile costava 30$, mentre l’indice era pari a 150. Il barile valeva 30$ anche nel marzo 2000, quando l’S&P era intorno a 1500. Quindi il rapporto è passato da 5 a 50. Dai massimi di marzo 2000 alla fine del 2001 l’S&P perde il 33%, passando da 1500 a 1000, chissà quanto guadagna nello stesso periodo il petrolio. Invece perde. Ma quanto perde? Passa da 30 a 20$. Un rapido calcolo mentale, ma..ma..è pari al 33%! Come come? Perde esattamente come il mercato azionario? Già.
Negli ultimi vent’anni il rapporto tra S&P e petrolio oscilla tra 5 e 100. Una dimostrazione di proporzionalità inversa si avrebbe se al crescere dei mercati azionari si notasse una crescita parallela di tale rapporto, cosa che non solo non avviene, ma per lunghi periodi in realtà sembra proprio il contrario.
Non ci sentirete più parlare di petrolio, almeno finchè questo non scenderà sotto i 40$ (che è un modo come un altro per avere buone possibilità di parlarne nei prossimi tre mesi…).
Abbiamo sbagliato di un giorno la previsione sulla volatilità anomala, si è verificata venerdì e non lunedì, vabbè, pazienza.
Forse però è il caso di spendere due parole per comprendere quanto è stata anomala, in modo da avere un quadro preciso di quanto è successo.
Il range giornaliero dei mercati azionari venerdì scorso è stato pari a 2 volte la media mensile.
E’ poco o è tanto? E’ tantissimo. Dal 1950 ad oggi, 15.000 sedute di borsa, le giornate con un range così esteso rispetto alla media sono il 5% circa. Il 95% è inferiore!
Un evento che avviene nel 5% dei casi, possiamo legittimamente definirlo anomalo?
I mercati sembrano avere già concluso la correzione, almeno quelli che l’avevano iniziata, visto che l’Italia non ha mai dato segni di cedimento. Per gli altri mercati pochi giorni di discesa per uno storno non superiore al 3%. Troppo poco.
Le considerazioni sono due: quella positiva è legata alla forza che hanno dimostrato i mercati in una fase in cui c’erano i presupposti tecnico-matematici per poter scendere di più, quella negativa è che la conclusione dello storno è avvenuta proprio con la giornata anomala, giornate che statisticamente innescano delle tensioni.
Tali tensioni possono certamente essere anche in positivo, ma la seduta di ieri avrebbe dovuto essere più convincente in questo senso, mentre ha lasciato tutto in sospeso.
Per questi motivi riteniamo probabile che lo storno non sia concluso, pensiamo che possano esserci scosse di assestamento che riportino i prezzi dell’S&P dentro il range 1131 – 1100.
Per il medio periodo il comportamento di queste ultime due settimane conferma l’impostazione positiva dei modelli, così come il sovrappeso sugli emergenti.