Cazzeggiando per il web,,ho incontrato queste news..

USA: TASSI BASSI A LUNGO RISCHIANO DI CREARE BOLLE
di WSI

Il falco della Fed, Thomas Hoening, lancia l'allarme: un periodo prolungato di tassi ai minimi record e' il modo migliore per provocare la creazione di un boom creditizio e inevitabilmente di un suo scoppio. L'ideale e' alzare il benchmark all'1%.


Un periodo prolungato di tassi di interesse ai minimi record e' il modo migliore per provocare la creazione di pericolose bolle. Per questo l'ideale sarebbe alzare i tassi di riferimento all'1%, il che avrebbe il doppio effetto benefico di mantenere il costo del denaro su livelli estremamente bassi e allo stesso tempo manderebbe un segnale chiaro che la politica monetaria troppo accomodante per rispondere alla crisi e' ormai acqua passata.

Lo ha detto Thomas Hoening, uno degli esponenti votanti del comitato di politica monetaria della Federal Reserve, precisando che se mantenuti su livelli cosi' bassi per tanto tempo, i tassi di interesse incoraggiano la messa in atto di operazioni finanziarie rischiose. Il consiglio e' quello di alzare il costo del denaro per prevenire la creazione - e lo scoppio - di un'altra bolla.

"Sono convinto che mantenere lo status quo sui tassi a questi livelli cosi' bassi per un periodo prolungato incoraggi la formazione di bolle, perche' privilegia il debito sull'equilibrio e i consumi sui risparmi", ha dichiarato ad una comunita' industriale il presidente della Fed di Kansas City Thomas Hoenig, noto falco del FOMC.

"Anche se non si sa da dove la bolla potrebbe emergere, se lasciate cosi' come sono le condizioni attuali invitano ad un boom creditizio e, inevitabilmente, ad uno scoppio della bolla".

Per due volte Hoening ha votato contro la decisione della Fed di mantenere i tassi guida allo 0-0.25% per un periodo di tempo prolungato, suggerendo che non e' piu' necessario avere le mani legate in un contesto di ripresa economica.
 
Grecia default - ultimo atto ?

C’è stato chi ci ha criticato per “l’eccessivo allarmismo” con cui in questi mesi abbiamo trattato la crisi greca. «La Grecia è un formichina, vi pare che non la salvino? Un contagio è escluso». Chi aveva ritenuto che il vertice dell’Eurozona di fine marzo avesse messo le cose a posto, dovrebbbe ricredersi. Da parte nostra avevamo pronosticato («Si è concluso il vertice europeo. Ognuno per se, Dio per tutti») che i nodi della crisi greca sarebbero presto venuti al pettine.

Ecco quanto affermavamo:
«Vedremo entro un mese se la promessa d’aiuto sortirà l’effetto sperato, visto che Atene, tra fine aprile e fine maggio, dovrà reperire circa 16 miliardi di euro (il 4,5% del suo Pil!) e quindi riuscire a piazzare titoli per un’ammontare equivalente (entro la fine del 2010 ad Atene serviranno altri 53!). Staremo quindi a vedere quale sarà il tasso d’interesse che i mercati, o meglio la speculazione finanziaria, riterranno soddisfacente. Se il tasso attuale d’interesse spuntato sui titoli greci non si abbassasse sensibilmente, ciò indicherà che il compromesso raggiunto in sede Ue non sarà servito a niente, col rischio che non solo il governo Papandreu venga travolto ma tutto l’edificio dell’euro venga ulteriormente indebolito facendo fibrillare la stessa Bce».

E’ notizia di oggi, 7 aprile, che ieri è stata una giornata nerissima. Atene ha visto impennare contemporaneamente il rendimento (interesse) dei suoi bond (titoli) e lo spread sui bond tedeschi (che fanno da parametro). I famigerati Cds (Credit defauls swap), da parte loro, sono schizzati a livelli record. Quindi non solo quel vertice non ha aiutato la Grecia ad abbassare sensibilmente l’interesse sui suoi titoli. Sta avvenendo il contrario.

«I rendimenti dei titoli di stato decennali greci sono schizzati al 7,1%, con un differenziale con i corrispondenti bund tedeschi salito al massimo di giornata sopra i 407 punti base dai 346 punti di partenza, raggiungendo un record mai toccato dall’introduzione dell’euro nel 1999. Non solo. Anche i Cds solo saliti: per assicurare annualmente 10 milioni di euro di debito greco sono necessari 390,500 euro contro i 344mila della scorsa setttimana». (Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2010)

Cosa sta accadendo? Che la speculazione finanziaria, intendiamo i grandi investitori di Wall Street e della City, per strappare guadagni a breve, stanno scommettendo sul default della Grecia. Che in poche parole significa manipolare sulla negoziazione dei titoli greci affinché salga il loro rendimento, cioè il tasso d’interesse che Atene dovrà assicurare per sperare di vendere i suoi titoli, cioè finanziarsi e rimpinguare le proprie casse.

A questa speculazione non sono estranee le banche tedesche le quali, ricordiamolo, posseggono buona parte del debito greco. Secondo quelle che eufemisticamente vengono chiamate indiscrezioni (che la speculazione ha evidentemente preso per buone), ci sono infatti pressioni tedesche affinché i tassi d’interesse “agevolati” sui prestiti previsti dal vertice dell’Eurozona (4-4,5%, come quelli in vigore per il Portogallo o l’Irlanda) si alzino a quelli di mercato (6-65%, come quelli di Messico o Polonia).

I cosiddetti “mercati” hanno quindi seppellito il vertice dell’eurozona di fine marzo, non hanno creduto, proprio come noi pronosticavamo, al cosiddetto “salvataggio”.

Il risultato è che ieri, proprio a causa dell’aumento del rischio di default della Grecia, l’euro ha perso nuovamente terreno portando il cambio con il dollaro ai minimi (1,3265). Il timore che Atene non riesca a rimborsare gli interessi sul debito pubblico (che quest’anno dovrebbe aumentare di 53,2 miliardi di euro), spinge i grandi speculatori a ritenere plausibile l’eventualità che sia travolta anche la moneta europea, e con esso l’assetto dell’Unione.

Il che conferma, per tornare alla Grecia quando affermavamo il 22 febbraio scorso, nell’articolo «Il letto di procuste. Un’altra via d’uscita: la nazionalizzazione del default»:

«Se un’azienda debitrice fallisce ci rimette quella creditrice che ha prestato denaro, fatta salva la facoltà di quest’ultima di fare rivalsa pignorando i suoi beni. Ma come fare rivalsa contro uno stato nazionale sovrano?
Fare rivalsa sulla Grecia, ormai espropriata in larga parte della sua sovranità nazionale, politica e monetaria, sarebbe in effetti un gioco da ragazzi.
Ma che accadrebbe se la Grecia decidesse d’un botto d’uscire dall’Euro e dall’Unione? Se decidesse unilateralmente di nazionalizzare e pilotare il default, ripristinando la sua moneta e svalutandola decisamente? O addirittura annullando il debito? Accadrebbe che i creditori sarebbero gabbati, che l’economia greca, pur restando nel quadro del capitalismo, riprenderebbe a camminare e ad esportare, attirerebbe non solo una gran massa di turisti, probabilmente anche di investimenti stranieri a causa del vantaggio rappresentato dal differenziale di cambio e dai bassi costi di produzione. Accadrebbe, questo è quel che più conta per milioni di greci, che eviterebbero la cura da cavallo.
Alternativa che non sta né in cielo né in terra? Via d’uscita giacobina? Sentiamo cosa dice Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 18 febbraio:
"Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare. Se invece la Grecia crescesse al 3% l’aggiustamento necessario sarebbe severo, ma non impossibile: circa 6 punti. Ma come fa la Grecia a ricominciare a crescere? Un modo c’è: uscire dall’Euro, svalutare del 50% e diventare il luogo più a buon mercato in cui andare in vacanza nel mediterraneo. Certo, la svalutazione raddoppierebbe il debito, che è tutto in Euro, ma sarebbe giocoforza non ripagarlo. E’ ciò che ha fatto l’Argentina, con risultati non disprezzabili"».

Moreno Pasquinelli
 
Grecia: Fitch, entro due settimane ricorso ad aiuti
mercoledì 14 aprile 2010


(ANSA) - ROMA, 14 APR - Entro le prossime due settimane il governo greco potrebbe essere costretto a far ricorso al maxi-prestito da 45 miliardi targato Ue-Fmi. 'Non credo che possano aspettare molto per attivare gli aiuti. Al massimo una o due settimane', afferma l'analista di Fitch responsabile per la Grecia, Chris Pryce, aggiungendo che il piano varato da Atene per ridimensionare il debito 'e' fattibile' anche se 'non sara' facile' e che la Grecia 'non dovrebbe affrontare nei prossimi mesi una grave recessione'.
 
Grecia: riprendono a salire rendimenti bond
mercoledì 14 aprile 2010


(ANSA) - ROMA, 14 APR - Riprendono a salire i rendimenti dei titoli di stato greci. Lo yeld sui titoli a 10 anni sale di 15 punti a base al 7,05%, quello sui bond a 2 anni schizza di 22 punti base al 6,55%. In rialzo di 19 punti base anche i credit default swap sul debito greco a 399,5 punti. Il pacchetto di aiuti da 45 miliardi di dollari targato Ue-Fmi non cancella le perplessita' dei grandi investitori istituzionali sui bond ellenici.
 
PIIGS, DEBITI E DEFICIT: E ORA SCATTA L'ALLARME PER LA SPAGNA?

di WSI-IL SOLE 24 ORE


Se la sfiducia dei mercati dovesse abbattersi su Madrid (un assaggio c'è stato lo scorso 4 febbraio quando la Borsa è crollata in una sola seduta del 6%) con la stessa intensità con cui ha colpito ultimamente altri paesi della...
(WSI) –José Luis Zapatero in una recente intervista ha detto che adotterà qualsiasi misura pur di rilanciare l'economia spagnola e pur di riordinare i conti pubblici entro il 2013 così come promesso a Bruxelles e ai partner europei.

La dichiarazione è importante perché la Spagna è la quarta economia nella Ue e ha quindi un peso specifico ben superiore a quella di altri "pigs" come Grecia e Portogallo.

Se la sfiducia dei mercati dovesse abbattersi su Madrid (un assaggio c'è stato lo scorso 4 febbraio quando la Borsa è crollata in una sola seduta del 6%) con la stessa intensità con cui ha colpito ultimamente altri paesi della zona euro, per la moneta europea sarebbe un vero disastro.

La domanda è dunque se la Spagna sia realmente una nazione a rischio come di volta in volta sembrano indicare le analisi delle principali agenzie di rating internazionali (il debito a lungo termine è sotto osservazione con possibili implicazioni negative ed è stata tagliata la notazione ad alcune casse di risparmio) o di alcune banche.

Tanto più che il Tesoro dovrà emettere quest'anno debito per oltre 210 miliardi di euro per far fronte al rimborso di quello in scadenza e per finanziare gli interventi varati a sostegno dell'economia.

«Il peggio - dichiara Juan Ignacio Crespo, responsabile di Thomson-Reuters - è ormai alle spalle e non vedo all'orizzonte alcun default. Le ultime emissioni sono andate bene e sui Cds il differenziale con la Germania si sta gradualmente riducendo. Pur nelle difficoltà contingenti, sulla Spagna non ci sono mai stati grandi problemi di fiducia. Il paese è solvibile, paga con puntualità e continuerà a farlo anche in futuro, tant'è vero che il debito in scadenza (90 miliardi di euro restano da rimborsare nel 2010) viene continuamente rinnovato senza sforzo e così quello addizionale che corrisponde all'incremento del disavanzo pubblico».

Secondo l'analista di Thomson l'economia spagnola ha sì 6-9 mesi di ritardo rispetto alla ripresa degli Stati Uniti, ma ci sono segnali che la situazione stia gradualmente migliorando.

In particolare, secondo Juan Ignacio Crespo è importante il fatto che il tasso di risparmio degli spagnoli non sia stato mai così elevato (18%) come negli ultimi mesi. Ma anche che l'inflazione sia contenuta. Due fattori, che permettono di guardare all'aumento dell'indebitamento spagnolo (dall'attuale 55% all'80% circa del Pil in 3 anni) e al deficit (che verrà ridotto dall'attuale 11,4% al 3% nel 2013), con relativa tranquillità.

In realtà i rischi non mancano. La crisi provocata dallo scoppio della bolla immobiliare, che è stata lenta e non improvvisa come quella sui prodotti tossici di altri paesi, è entrata nel profondo del tessuto economico del paese e si è allargata ad altri settori come l'auto e il turismo, ma anche a quello bancario.

Le cifre che danno un quadro della realtà quotidiana sono quindi il milione di case invendute; gli oltre 4 milioni di disoccupati (20% del totale); le sofferenze bancarie che crescono di mese in mese; l'indebitamento delle famiglie (176% del Pil, secondo McKinsey) che porta il totale dell'esposizione del paese (pubblico e privato congiunti) al 400% del Pil circa; il calo della produzione industriale (-2,5% a gennaio).

Il tutto mentre i conti pubblici sono fuori controllo e c'è chi dubita che possano essere rimmessi in ordine entro il 2013.

La Spagna è passata in 5 anni dall'essere un paese virtuoso, in forte crescita, a una nazione con uno dei maggiori disavanzi nella Ue e una delle recessioni più marcate.

Qualcuno dice che il paese ha fatto il passo più lungo della gamba e che sarebbe stato meglio restare fuori dall'euro: sarebbe bastata infatti una modesta svalutazione della "peseta" per superare la crisi.

Invece questa crisi ha messo a nudo i limiti di un modello basato sulla "old economy" fortemente "labour intensive". Per questo, per superare la cultura conservatrice del paese, urgono riforme strutturali a tutti i livelli: sociale, economico-produttivo, educativo.

Riforme che il paese ha i mezzi per varare, potendo contare sulle basi di un sistema sanitario e di un sistema pensionistico solidi, garanti del benessere sociale.

Zapatero ha intuito che la fase di stallo non può continuare e che è urgente rimodernare il paese. I tempi sono però lunghi: c'è bisogno infatti di ripianare l'attuale situazione, che prenderà i prossimi due anni di quel che resta della legioslatura, ma anche e soprattutto del consenso politico. E questo è lo scoglio principale da superare.
 
Per i mercati Spagna prossima vittima fonte: il sole 24 ore

MADRID – José Luis Zapatero in una recente intervista ha detto che adotterà qualsiasi misura pur di rilanciare l’economia spagnola e pur di riordinare i conti pubblici entro il 2013 così come promesso a Bruxelles e ai partner europei.

La dichiarazione è importante perché la Spagna è la quarta economia nella Ue e ha quindi un peso specifico ben superiore a quella di altri “pigs” come Grecia e Portogallo. Se la sfiducia dei mercati dovesse abbattersi su Madrid (un assaggio c’è stato lo scorso 4 febbraio quando la Borsa è crollata in una sola seduta del 6%) con la stessa intensità con cui ha colpito ultimamente altri paesi della zona euro, per la moneta europea sarebbe un vero disastro.

La domanda è dunque se la Spagna sia realmente una nazione a rischio come di volta in volta sembrano indicare le analisi delle principali agenzie di rating internazionali (il debito a lungo termine è sotto osservazione con possibili implicazioni negative ed è stata tagliata la notazione ad alcune casse di risparmio) o di alcune banche. Tanto più che il Tesoro dovrà emettere quest’anno debito per oltre 210 miliardi di euro per far fronte al rimborso di quello in scadenza e per finanziare gli interventi varati a sostegno dell’economia.

«Il peggio – dichiara Juan Ignacio Crespo, responsabile di Thomson-Reuters – è ormai alle spalle e non vedo all’orizzonte alcun default. Le ultime emissioni sono andate bene e sui Cds il differenziale con la Germania si sta gradualmente riducendo. Pur nelle difficoltà contingenti, sulla Spagna non ci sono mai stati grandi problemi di fiducia. Il paese è solvibile, paga con puntualità e continuerà a farlo anche in futuro, tant’è vero che il debito in scadenza (90 miliardi di euro restano da rimborsare nel 2010) viene continuamente rinnovato senza sforzo e così quello addizionale che corrisponde all’incremento del disavanzo pubblico».

Secondo l’analista di Thomson l’economia spagnola ha sì 6-9 mesi di ritardo rispetto alla ripresa degli Stati Uniti, ma ci sono segnali che la situazione stia gradualmente migliorando. In particolare, secondo Juan Ignacio Crespo è importante il fatto che il tasso di risparmio degli spagnoli non sia stato mai così elevato (18%) come negli ultimi mesi. Ma anche che l’inflazione sia contenuta. Due fattori, che permettono di guardare all’aumento dell’indebitamento spagnolo (dall’attuale 55% all’80% circa del Pil in 3 anni) e al deficit (che verrà ridotto dall’attuale 11,4% al 3% nel 2013), con relativa tranquillità.

In realtà i rischi non mancano. La crisi provocata dallo scoppio della bolla immobiliare, che è stata lenta e non improvvisa come quella sui prodotti tossici di altri paesi, è entrata nel profondo del tessuto economico del paese e si è allargata ad altri settori come l’auto e il turismo, ma anche a quello bancario. Le cifre che danno un quadro della realtà quotidiana sono quindi il milione di case invendute; gli oltre 4 milioni di disoccupati (20% del totale); le sofferenze bancarie che crescono di mese in mese; l’indebitamento delle famiglie (176% del Pil, secondo McKinsey) che porta il totale dell’esposizione del paese (pubblico e privato congiunti) al 400% del Pil circa; il calo della produzione industriale (-2,5% a gennaio). Il tutto mentre i conti pubblici sono fuori controllo e c’è chi dubita che possano essere rimmessi in ordine entro il 2013.

La Spagna è passata in 5 anni dall’essere un paese virtuoso, in forte crescita, a una nazione con uno dei maggiori disavanzi nella Ue e una delle recessioni più marcate. Qualcuno dice che il paese ha fatto il passo più lungo della gamba e che sarebbe stato meglio restare fuori dall’euro: sarebbe bastata infatti una modesta svalutazione della “peseta” per superare la crisi.
Invece questa crisi ha messo a nudo i limiti di un modello basato sulla “old economy” fortemente “labour intensive”. Per questo, per superare la cultura conservatrice del paese, urgono riforme strutturali a tutti i livelli: sociale, economico-produttivo, educativo. Riforme che il paese ha i mezzi per varare, potendo contare sulle basi di un sistema sanitario e di un sistema pensionistico solidi, garanti del benessere sociale.

Zapatero ha intuito che la fase di stallo non può continuare e che è urgente rimodernare il paese. I tempi sono però lunghi: c’è bisogno infatti di ripianare l’attuale situazione, che prenderà i prossimi due anni di quel che resta della legioslatura, ma anche e soprattutto del consenso politico. E questo è lo scoglio principale da superare.
 
I PAESI DELL’UNIONE EUROPEA SPROFONDANO NELLA DEPRESSIONE

DEL PROF. MICHAEL HUDSON
globalresearch.ca

Il debito governativo in Grecia è solamente la prima di una serie di bombe del debito europeo pronte ad esplodere. I mutui immobiliari nelle economie post-sovietiche e in Islanda sono ancor più esplosivi. Anche se questi paesi non si trovano nell’Eurozona, la maggior parte dei loro debiti è espressa in euro. All’incirca l’87% dei debiti della Lettonia è in euro o in altre valute straniere, e il paese è indebitato principalmente con banche svedesi, mentre Ungheria e Romania sono indebitate in euro soprattutto con banche austriache. Quindi i prestiti contratti dai membri non appartenenti all’euro sono serviti a sostenere i tassi di cambio per pagare questi debiti del settore privato alle banche straniere, non a finanziare i disavanzi di bilancio interni come in Grecia.



Tutti questi debiti sono insostenibilmente elevati perché la maggior parte di questi paesi sta avendo dei profondi disavanzi di bilancio e sta sprofondando nella depressione. Ora che i prezzi reali dell’immobiliare stanno diminuendo, i disavanzi commerciali non sono più finanziati da un flusso interno di prestiti sui mutui immobiliari e da acquisizioni immobiliari in valuta straniera. Non c’è alcun modo tangibile per stabilizzare le valute (ad esempio, economie in buona salute). Nell’ultimo anno questi paesi hanno sostenuto i loro tassi di cambio prendendo a prestito dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. I termini di questi prestiti sono politicamente insostenibili: forti tagli ai bilanci del settore pubblico, aliquote fiscali più alte per i lavoratori già tassati in modo eccessivo e piani di austerità che mandano a picco le economie e obbligano altri lavoratori ad emigrare.

I banchieri in Svezia, Austria, Germania e in Gran Bretagna scopriranno che l’estensione del credito a nazioni che non possono (o non potranno) pagare potrebbe essere un problema loro, e non dei loro debitori. Nessuno vuole accettare il fatto che i debiti che non possono essere pagati non verranno comunque pagati. Qualcuno si deve accollare i costi perché i debiti diventano insolventi o vengono svalutati, per essere pagati in valute fortemente svalutate, ma molti esperti legali trovano inapplicabili gli accordi sui debiti che debbano venire restituiti in euro. Ogni nazione sovrana ha il diritto di legiferare i propri termini sul debito e i prossimi riallineamenti valutari e le svalutazioni dei debiti saranno molto più che semplici “tosate”.

Non c’è alcun motivo per una svalutazione, a meno che ci si trovi in “eccesso” – vale a dire, quanto basta per cambiare veramente i modelli commerciali e i modelli di produzione. Fu questa la ragione per la quale Franklin Roosevelt svalutò il dollaro americano del 75% nei confronti dell’oro nel 1933, aumentandone il prezzo ufficiale da 20 a 35 dollari l’oncia. E per evitare di far aumentare in modo proporzionale il peso del debito degli Stati Uniti, Roosevelt annullò la “clausola aurifera” indicizzando il pagamento dei prestiti bancari al prezzo dell’oro. Questo è il terreno in cui si svolgerà oggi la battaglia politica – sul pagamento del debito in valute che sono svalutate.

Un altro effetto collaterale della Grande Depressione negli Stati Uniti e in Canada fu di esonerare i debitori di mutui immobiliari dalla responsabilità personale, rendendo possible la ripresa dalla bancarotta. Le banche pignoratrici possono entrare in possesso di immobiliari collaterali ma non possono avanzare alcuna ulteriore rivendicazione sui mutui. Questa pratica – fondata sulla Common Law – mostra come il Nordamerica si è liberato dal retaggio del potere del creditore in stile feudale e dalla pena della reclusione per i debitori che avevano reso così severe le precedenti leggi europee sul debito.

La domanda è: chi si accollerà le perdite? Mantenere i debiti espressi in euro porterebbe alla rovina la maggior parte delle attività locali e del mercato immobiliare. Al contrario, riesprimere questi debiti in valuta locale svalutata spazzerebbe via il capitale di molte banche con sede in Europa. Ma queste banche sono straniere, dopotutto – e alla fine, i governi devono rappresentato il proprio elettorato interno. Le banche straniere non votano.

I titolari stranieri di dollari hanno perso i 29/30 del valore in oro del loro patrimonio da quando gli Stati Uniti hanno cessato, nel 1971, di esprimere in oro i disavanzi della bilancia dei pagamenti. Ora essi ricevono meno di un trentesimo di questo valore poiché il prezzo è salito a 1.100 dollari l’oncia. Se il mondo riesce ad adattarsi, perché non dovrebbe adattarsi facilmente all’imminente svalutazione del debito europeo? Ma c’è una crescente accettazione del fatto che le economie post-sovietiche erano strutturate fin dall’inizio per favorire gli interessi stranieri e non le economie locali. Ad esempio, la manodopera lettone è tassata per oltre il 50% (lavoratori, datore di lavoro e tassa sociale) – così elevata da renderla non competitiva mentre le tasse sulla proprietà sono meno dell’1% rendendole un incentivo verso la speculazione più dilagante. Questo filosofia fiscale distorta ha reso le “tigri baltiche” e l’Europa centrale dei mercati di prestito primari per le banche svedesi e austriache, ma i loro lavoratori non riuscivano a trovare un impiego ben pagato in patria. Nessuno di questi aspetti (o le loro pessime leggi di protezione dei luoghi di lavoro) si trova nelle economie di Europa Occidentale, Nordamerica e Asia.

Sembra illogico e irrealistico attendersi che ampi settori della popolazione della Nuova Europa possano essere rese oggetto di trattenute sui salari per tutto il tempo della loro vita, riducendole ad un’esistenza di schiavitù dal debito. I rapporti futuri tra la Vecchia e la Nuova Europa dipenderanno dalla volontà dell’Eurozona di riprogettare le economie post-sovietiche su linee maggiormente solvibili – con un credito più produttivo e un sistema fiscale meno orientato a chi vive di rendita che favorisca l’occupazione piuttosto che l’inflazione sul prezzo dei beni, che porta solamente ad un’emigrazione dei lavoratori. Oltre al riallineamento della valuta per affrontare il debito insostenibile, la linea indicata per questi paesi è un imponente spostamento fiscale dalla manodopera alla terra, rendendoli più simili all’Europa occidentale. Non c’è altra alternativa. Altrimenti l’atavico conflitto di interessi tra creditori e debitori minaccia di separare l’Europa in due fronti politici contrapposti, con l’Islanda che fa da prova generale.

Finché questo problema del debito non verrà risolto – e l’unico modo per risolverlo è quello di negoziare una svalutazione del debito – l’espansione europea (l’assorbimento della Nuova Europa nella Vecchia Europa) sembra conclusa. Ma la transizione verso questa soluzione futura non sarà semplice. Gli interessi finanziari esercitano ancora un potere dominante sull’UE, e resisteranno all’inevitabile. Gordon Brown ha mostrato la sua vera natura nelle sue minacce contro l’Islanda secondo cui utilizzerebbe in modo illegale e scorretto il FMI come un addetto al recupero crediti per i debiti che l’Islanda legalmente non deve restituire, e per bocciare l’adesione islandese all’UE.

Messo di fronte alle prepotenze di Brown – e di quelle dei leccapiedi olandesi – il 97% degli elettori islandesi si è opposto all’accordo sul debito che Gran Bretagna e Olanda avevano cercato di far ingoiare ai membri del parlamento islandese il mese scorso. Un simile plebiscito non si vedeva dai tempi del periodo staliniano.

Questo è solamente un assaggio. La sceltà che l’Europa andrà a fare probabilmente porterà milioni di persone nelle strade. Muteranno le alleanze politiche ed economiche, si sbricioleranno le valute, cadranno i governi. L’Unione Europea e, sicuramente, anche il sistema finanziario internazionale cambieranno in strutture che ancora non abbiamo visto, specialmente se le nazioni adotteranno il modello dell’Argentina e si rifiuteranno di pagare se non verranno elargiti sconti generosi.

Il pagamento in euro – per i flussi immobiliari ed i redditi personali in equity negativo, dove i debiti superano il valore attuale dei flussi di reddito disponibili per pagare mutui o, anche, debiti personali – è impossibile per le nazioni che sperano di mantenere un briciolo di società civile. I “piani di austerità” in stile FMI e UE rappresentano in gergo asettico e tecnocratico la riduzione dell’aspettativa di vita e il micidiale sventramento dei redditi, dei servizi sociali, delle spese sanitarie negli ospedali, dell’istruzione e di altri bisogni primari, e la svendita delle infrastrutture pubbliche ad acquirenti che trasformano le nazioni in “economie a pedaggio” in cui ognuno è obbligato a pagare una quota d’ingresso per strade, istruzione, assistenza sanitaria e altri costi per vivere e avere attività commerciali che da tempo sono sovvenzionate dalla tassazione progressiva in Nordamerica e in Europa occidentale.

Le linee di battaglia sono state tracciate in merito a come debbano essere ripagati i debiti del settore privato e del settore pubblico. Per le nazioni che esitano a pagare in euro, le nazioni creditrici hanno sempre pronto in attesa il loro “protettore”: le agenzie di rating. Al primo segnale di una nazione che tentenna a pagare in valuta forte, o addirittura al primo dubbio sollevato sulla correttezza di un debito verso l’estero, le agenzie si muoveranno per ridurre la valutazione del credito di una nazione. Questo farà aumentare il costo dei prestiti e minaccerà di paralizzare l’economia che avrà un bisogno estremo di credito.

L’ultimo colpo in ordine di tempo è stato sparato il 6 aprile quando Moody’s ha declassato il debito dell’Islanda da stabile a negativo. “Moody’s ha ammesso che l’Islanda potrebbe ancora ricevere un trattamento migliore con un rinnovo dei negoziati ma ha detto che l’attuale incertezza stava danneggiando le prospettive economiche e finanziarie a breve termine del paese.” [1]

La battaglia è in corso. Dovrebbe essere un decennio interessante.
 
La Grecia deve ripagare 8.2 Billion/euro il 20 aprile e altri 8,1 billion il 19 maggio, la cassa è vuota e per la scadenza di Maggio non ci sono i soldi.
Contava in un'emissione di titoli in dollari che probabilmente fallirà perchè non ha trovato le sperate adesioni USA,quindi dovrà accettare il mutuo soccorso europeo.

Ma non è finita
La spagna è messa quasi come la Grecia ,il Debito spagnolo 2009 è arrivato all'11% del PIL , il Portogallo è sopra al 9% , e l'Italia che secondo mè quest'anno si è salvata con il rientro dei capitali esteri al 5,6%.

L'unica maniera per uscire da questa situazione è quella di far ripartire il PIL in europa...e per farlo bisogna svalutare l'EURO di un altro 10-15%.

Questo quì sotto mi sembra uno dei titoli Greci a minor rischio e maggior vantaggio.
http://www.borsaitaliana.it/borsa/o...ioni/contratti.html?isin=GR0114022479&lang=it
 
Ultima modifica:
*Goldman Sachs: Sec, accusa di frode in mercati strutturati di Cdo


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