ILSOLE24ORE.COM Le banche italiane e gli "indovini" del rating di Valeria Novellini 05 giugno 2009
Mirabile videtur, quod non rideat haruspex, cum haruspicem viderit. «C'è da stupirsi che un indovino non rida vedendo un altro indovino?», diceva Cicerone 2000 anni fa.
Ci sarebbe stato da stupirsi anche se, dopo il giudizio espresso da Moody's il 27 maggio (taglio da Stabile a Negativo dell'outlook, ovvero delle prospettive, sulle banche italiane), non fosse puntualmente giunta una simile indicazione da parte dell'altro colosso del rating, Standard & Poor's, che ha però espresso un Outlook negativo "solo" per 27 delle 49 banche italiane prese in esame. Le motivazioni di tale revisione al ribasso? Analoghe per entrambe le agenzie di rating: il deterioramento della qualità dell'attivo può deprimere la redditività delle banche italiane e, inoltre, maggiori risorse destinate agli accantonamenti e alla rettifiche su crediti provocano direttamente effetti negativi sul conto economico.
Sia Moody's che Standard & Poor's apprezzano comunque il modello di business di "banca commerciale" che presenta minore rischiosità rispetto a quello della banca d'investimento e la presenza di una buona base di raccolta derivante dall'elevata propensione al risparmio degli italiani. Tanto è vero che Moody's ha dichiarato che il sistema bancario italiano è stato l'ultimo, fra quelli europei, a subire il taglio dell'Outlook da Stabile a Negativo.
Ma questi giudizi hanno ancora effetto sui mercati finanziari? Il "declassamento" di Moody's non ha prodotto effetti significativi sui corsi di Borsa delle banche italiane quotate, ed è stato così anche per quello posto in essere da Standard & Poor's. Come non dimenticare che Moody's e Standard & Poor's (nonché Fitch Ratings) hanno declassato a "non investment grade", cioè a titoli spazzatura, le obbligazioni emesse da Lehman Brothers solo nel giorno in cui la banca statunitense è entrata in amministrazione controllata (Chapter 11)?
In realtà un abbassamento dei rating, o perlomeno dell'Outlook, dovrebbe avere ripercussioni non tanto sull'andamento dei titoli azionari della società (o banca) interessata, bensì soprattutto sui titoli obbligazionari (e strumenti finanziari similari), proprio perché si tratta di giudizi sulla "qualità del debito" sia a breve che a lungo termine. Ne deriverebbe, almeno in teoria, che le banche italiane per il futuro dovrebbero avere una "minor reputazione" in termini di capacità di rimborso delle proprie obbligazioni e, pertanto, per renderle più appetibili al mercato sarebbero in un certo senso "costrette" a emetterle con tassi d'interesse più elevati e comunque a condizioni più onerose.
Sarà davvero così? Nei pochi giorni intercorsi dall'abbassamento dei rating non sembra sia accaduto nulla di particolare (anche se è bene ricordare che Standard & Poor's aveva già rivisto in precedenza al ribasso gli Outlook di Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Popolare e UBI e ha attribuito a MPS un Outlook negativo sin da novembre 2007 per lo sforzo finanziario connesso all'acquisizione di Antonveneta).
Del resto i tassi di mercato sono bassi (nonostante una recente tendenza rialzista dell'Euribor) e, anche qualora le banche italiane dovessero pagare interessi più elevati sulle emissioni obbligazionarie future, l'aggravio finanziario non raggiungerebbe certo quello dei "Tremonti Bond" che presenteranno un tasso d'interesse minimo del 7,5%, che a sua volta graverà sul conto economico delle banche che ne hanno fatto richiesta, peggiorando le prospettive future su utili e dividendi distribuibili… in una spirale negativa "infinita" che potrebbe portare a nuove revisione al ribasso dei rating, e così via.
La situazione non è però così drammatica come sembra. Certamente esponenti di Bankitalia hanno già tenuto a precisare che – come emerso dalle trimestrali – è in corso un peggioramento del rischio di credito e l'aumento delle sofferenze potrebbe proseguire, nei prossimi mesi, a ritmi uguali o anche superiori a quelli già elevati osservati nel primo trimestre 2009. Questo perché l'emersione delle sofferenze segue con ritardo il peggioramento della congiuntura e solo nel secondo/terzo trimestre "verranno a galla" gli effetti del picco della crisi dell'economia reale che dovrebbe essersi verificato nei mesi di marzo/aprile.
Ma le banche italiane possono contare su un livello di patrimonializzazione comunque superiore a quello dei minimi regolamentari (anche prima del ricorso ai "Tremonti Bond") e su un grado di leva inferiore a quello delle principali banche europee. E mentre le principali banche statunitensi si sforzano di raccogliere nuovi mezzi finanziari per restituire al più presto i fondi pubblici ricevuti nell'ambito del piano TARP, quelle italiane non hanno ancora "esaurito" i fondi messi a disposizione dal Governo nell'ambito dei "Tremonti Bond", tanto che sono state annunciate sottoscrizioni per 6 -7 miliardi a fronte dei 10 -12 previsti. In questa situazione, ha davvero senso l'abbassamento degli Outlook operato da Moody's e Standard & Poor's per le banche italiane?
Ma attenzione.
Se le banche statunitensi stanno cercando di restituire al più presto i fondi Tarp non è certo per migliorare la situazione dei sempre più dissestati conti pubblici Usa, bensì per liberarsi dalle stringenti "gabbie" degli obblighi previsti per ricevere questi fondi, soprattutto in termini di remunerazione del management e di libertà di azione sul mercato. Se non è prevedibile (e ovviamente nemmeno auspicabile) il ritorno alla "finanza senza regole" antecedente a quella che ormai è stata etichettata come la "crisi dei subprime", non attendiamoci certo che gli istituti di credito Usa abbiano perso del tutto la loro "aggressività".
Non è pertanto così scontato che, nel "nuovo mondo" che sta emergendo dalla crisi, la posizione di prudenza assunta dalle banche italiane, che ha permesso fortunatamente al sistema di sopravvivere senza gravi contraccolpi, rappresenterà il modello di business vincente.