CERCASI CONTROFIGURA... PER TUTTA LA DURATA DELLE FESTE NATALIZIE

Ho ritenuto opportuno realizzare un trittico di articoli, cioè tre pezzi tra loro collegati (di cui questo è il primo)
tramite il quale far comprendere in quale situazione si trovi l’industria italiana oggi,
dove andrà a finire nel lungo periodo e quali siano le motivazioni alla base degli avvenimenti che si susseguono l’uno dopo l’altro.

Iniziamo col descrivere la crisi e la risposta delle nostre aziende a questa sfida mondiale.

Questi anni di crisi economica mondiale saranno ricordati nella storia anche come i più vivaci tempi in termini di concentrazione bancaria ed industriale.

Tali periodi, sono quelli in cui è più difficile guidare un’azienda, in particolar modo una grande azienda,
sono tempi in cui il fabbisogno di capitali necessario per sostenere attività di sviluppo commerciale ed investimenti è talmente elevato da rendere rischiosa ogni attività.

In queste acque è di sicuro più facile gestire aziende leggere, snelle, non ipertrofiche, quelle grandi invece sono le prime ad incontrare problemi sia di ristrutturazione, sia per la raccolta di capitali.

Per esse la sfida si fa spesso troppo complessa e quando la tempesta infuria i manager e gli imprenditori perdono il sonno.
In tale periodo, pertanto, cresce il numero delle operazioni di concentrazione, bancaria o industriale, ossia di fenomeni di fusione o acquisizione tra società,
dello stesso settore o di settori differenti, per consolidare i fatturati, ridurre la concorrenza nel settore o per ricercare migliori acque in cui navigare (diversificazione).

La motivazione alla base dei processi di concentrazione è comunque sempre o la diminuzione dei costi o l’aumento dei ricavi.
Tutto, quindi, viene ricondotto al conseguimento di più alti profitti o al ripristino di profitti precedentemente giudicati insoddisfacenti.

La ricerca dell’ economicità guida, pertanto, tutti i processi di concentrazione a cui stiamo passivamente assistendo in questo momento.

Alla crisi del 2008-9, cui fece seguito quella indotta del 2011, le aziende italiane sopravvissute risposero rinnovando i settori e i paesi di destinazione dei propri prodotti.

Esse hanno aperto nuovi mercati (altri paesi di destinazione delle proprie merci) e riqualificato la propria offerta (prodotti a maggior valore aggiunto).
Tali azioni, secondo uno studio Confindustria, hanno consentito al nostro paese di essere ancora, nel 2018,
la settima potenza manifatturiera del mondo e il nono paese al mondo per export
(teoricamente il settimo poiché Paesi Bassi e Hong Kong sono solamente centri di ri-esportazione di beni prodotti altrove).

Secondo Confindustria, l’industria italiana ha realizzato un “upgrading qualitativo” per rispondere
alla crescente concorrenza di prezzo proveniente dal mondo emergente sui prodotti cosiddetti “Tradable”.

In pratica le aziende si sono spostate su fasce di mercato a maggiore valore aggiunto, ossia si sono riposizionate su fasce di mercato più alte
o su nicchie di mercato e sono andate a cercarle ovunque nel mondo.

La manifattura che realizza capi di moda oggi lavora per Prada, Gucci, Cucinelli, la stessa Fiat non produce pìù auto da 8-10.000 euro
ma quelle dal valore minimo doppio se non triplo o quadruplo (Stelvio, Giulia, Jeep Renegade e Compass).

Due sono i piani di tale diversificazione:

  • verticale (miglioramento della qualità dei beni già prodotti)
orizzontale (differenziazione produttiva verso tipologie di beni più sofisticate).

Questo upgrading qualitativo dell’offerta manifatturiera è stato battuto maggiormente rispetto ai principali concorrenti europei
contribuendo ad accrescere il valore del nostro export.

Tecnicamente viene misurato dal PRICING POWER vs. quello degli altri esportatori.



Questo è il motivo per il quale gli imprenditori oggi NON percepiscono come fondamentale, per la loro lotta sui mercati internazionali, il tasso di cambio:



Dal grafico sopra riportato si evidenzia che l’export è stato penalizzato dal tasso di cambio solamente per il 7,3% degli imprenditori (rettangolo rosso della seconda colonna del grafico).

Purtroppo l’upgrading suesposto è anche il motivo per il quale oggi FCA è costretta a fondersi (per non dire a svendersi) ai francesi.

Aver lavorato sul versante del pricing dei propri prodotti ci ha spinti verso le nicchie ma abbiamo perso il predominio sui mercati
(nei segmenti di mercato dove dominano le quantità prodotte) cedendo spazio e autonomie operativa a gruppi esteri più agguerriti sul fronte del prezzo.

Sulla base di statistiche a prezzi costanti, possiamo osservare che la manifattura italiana
ha accumulato nel periodo 2000-2017 un ritardo nella produttività del lavoro del 31% rispetto a quella francese.



Questo significa che se una volta avevamo il gap di produttività con i soli partner tedeschi, oggi lo abbiamo anche verso la Francia
e ciò ci impedisce di fatto di agire alzando i salari onde evitare di perdere quella poca industria ancora esistente nello stivale.

Quanto sopra, anche in virtù del fatto che sono davvero pochi i settori nei quali la produttività è cresciuta più del clup:



Come possiamo notare, il quadrante in alto a destra è il solo quadrante a destra dello zero sulla produttività oraria con settori di attività (quello sotto non ne ha).

Bene, la bisettrice che seziona tale quadrante indica che solamente alcuni settori (mezzi di trasporto, apparecchiature elettriche e altro poco)
ha una produttività che cresce più del costo del lavoro e, pertanto, due o tre al massimo sono i settori al riparo
da un’eventuale perdita di competitività per aumento del Clup superiore alla produttività industriale.

Ogni ulteriore aumento del Clup in generale comporterà riduzione del mark-up:



(notate il trade-off tra linea rossa e linea gialla), contrazione della produttività di alcuni settori
e la loro conseguente marginalizzazione in termini di competitività internazionale.

Conseguenza finale sarà la delocalizzazione all’estero o il tentativo di vendita dell’azienda a grossi gruppi internazionali,
finanziari e non, capaci poi di recuperare produttività grazie agli investimenti favoriti dal processo di concentrazione del capitale finanziario.

Considerate che col cambio fisso non si può recuperare nulla in termini di riallineamento tra cambio reale e nominale e che:



la concorrenza di prezzo delle imprese estere incide notevolmente in modo negativo sulle nostre esportazioni (33,3%) o comunque incide anche se poco (42,4%),

D’altronde, la manifattura italiana si caratterizza per unità a contenuto tecnologico basso o medio-basso.

Le unità dei settori a minore tecnologia rappresentano quasi il 50% delle imprese, il 37,0% degli addetti e oltre il 30 per cento del valore aggiunto.

Ai comparti a elevato contenuto tecnologico (quali farmaceutica, elettronica/ottica, elettromedicale), al contrario,
abbiamo appena l’1,4% delle imprese, il 5,2% dell’occupazione e l’8,4% del valore aggiunto complessivo della manifattura,
sebbene questi settori abbiano una dimensione media cinque volte superiore e una produttività doppia rispetto a quelli a bassa tecnologia,

Pertanto, la domanda che sorge spontanea è “dove siamo oggi”?

Ci troviamo nel mezzo di una caduta dei saggi di profitto di tutte le imprese,
situazione in cui la sopravvivenza viene garantita solo da ricavi capaci di marginalizzare e
provenienti dal mercato “interno” del “Villaggio Globale”


Negli articoli che seguiranno il presente, a questo collegati, avremo modo di capire dove ci condurrà nel lungo termine questi serie di fenomeni in atto.

Ad maiora.
 
Il Santo Natale è una festa cristiana che celebra la nascità di Gesù Cristo, avvenuta il 25 dicembre (per le Chiese Occidentali e quelle Greco-Ortodosse),
o il 6/7 gennaio per le Chiese Ortodosse che adottano il calendario giuliano, invece del calendario gregoriano.

Le origini del Santo Natale
Come la maggiorparte delle festività della Chiesa Cattolica, anche il Natale non aveva una data ben precisa.
Infatti, in nessuno dei Vangeli è indicata la data esatta della nascita di Gesù Cristo.
Quando, nel IV secolo d.C., il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero Romano,
l'allora Papa Giulio I decise di utilizzare un periodo dell'anno gremito di feste pagane
(il solstizio d'inverno per i Celti, i Saturnali per i Romani, le varie festività per celebrare i raccolti, nel Nord Europa...)
per festeggiare la più solenne fra le feste Cristiane: i Natali di Cristo.

La scelta di questo periodo dell'anno fu, probabilmente, premeditata.
Lo scopo era quello di riuscire a sradicare le festività pagane, grazie alla solennità della più importante festa Crisiana.

Va fatto notare che, sebbene da allora la data non sia cambiata, strascichi di tradizioni pagane sono ancora presenti durante i festeggiamenti del Natale:
lo scambio di doni e lo stesso albero di natale sono tutti elementi che affondano le loro radici in un'epoca antecedente alla nascita di Gesù e del cristianesimo.

Va fatto notare che il Natale cade in un periodo dell'anno tuttora pieno di ricorrenze e festività.
Periodo dell'anno che annovera, fra le altre cose, il Capodanno, ovvero il passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo.
E che viene chiuso dalla festa dell'Epifania, anch'essa storicamente legata alla nascita di Cristo
e ritenuta la festività che celebra il battesimo di Gesù e l'arrivo dei Re Magi da Oriente.

Una tradizione particolarmente sentita, e che affonda le sue radici nel Medioevo, è quella dei presepi viventi.
Essi sono tipici di tutta la penisola, e soprattutto dei centri medievali, che ben si prestano alla predispozione di scene natalizie che rievocano la nascita di Gesù.
 
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Il capodanno ortodosso viene festeggiato nella notte tra il 13 e il 14 gennaio e, a parte la data,
non ha caratteristiche differenti rispetto al capodanno che si celebra invece, in buona parte dei paesi del mondo, tra il 31 dicembre e il’1 gennaio.

Perché viene celebrato esattamente in questa data?

Perché la religione ortodossa segue il calendario Giuliano e non quello Gregoriano:
infatti, anche Natale è in una data differente, per la precisione il 7 gennaio.
Per questo motivo il capodanno ortodosso viene anche spesso definito il “Vecchio Anno Nuovo”.

Questo calendario leggermente spostato in avanti ha portato con il tempo ad un allungamento del tradizionale periodo delle feste nei paesi che lo celebrano:
infatti ora, in alcuni paesi come la Russia, si estende dal 6 di dicembre, il giorno della luce,
fino appunto al capodanno giuliano (includendo quindi sia il Natale gregoriano che quello ortodosso che il capodanno gregoriano).

IL CALENDARIO GIULIANO
Il calendario Giuliano ha origini molto antiche, visto che fu introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C.
ed è stato utilizzato in tutto il mondo per oltre sedici secoli fino al 1582, quando in alcuni paesi è stato sostituito dal calendario gregoriano.

Per quale motivo il calendario è stato sostituito?

Perché il calendario Giuliano, nel corso del tempo, aveva accumulato una discrepanza tra le date del calendario e l’ora dell’equinozio di primavera nell’emisfero Nord.

Papa Gregorio, per eliminare questa discrepanza, ha quindi decretato che il 4 ottobre 1582 sarebbe stato seguito dal 15 ottobre 1582.

Da questo momento in poi, e non senza problemi, la maggioranza dei paesi al mondo ha adottato il calendario gregoriano.

DOVE VIENE CELEBRATO?
Il capodanno ortodosso viene festeggiato in tutti quei paesi dove la religione ortodossa viene praticata dalla maggioranza della popolazione
o nei quali la comunità ortodossa è particolarmente numerosa: in ogni caso le comunità ortodosse in tutti i paesi del mondo, per quanto piccole,
colgono comunque l’occasione per festeggiare insieme e ritrovarsi.

L’area dell’Europa dell’Est è quella dove il capodanno ortodosso viene principalmente festeggiato
, in particolare in Russia, Serbia, Macedonia, Ucraina, Georgia e Gerusalemme pur con qualche differenziazione nelle tradizioni a seconda dei diversi paesi.

COME VIENE FESTEGGIATO IL CAPODANNO ORTODOSSO
Di consuetudine il capodanno ortodosso viene festeggiato in modo più tranquillo e tradizionale rispetto a quello che segue il calendario gregoriano.
I festeggiamenti solitamente partono con un cenone in famiglia seguito, intorno alla mezzanotte,
dalla partecipazione ad una piccola cerimonia nella chiesa o nel tempio: la cerimonia si conclude poi con i rintocchi della campana,
che rappresentano un segno di buon auspicio per un anno felice e positivo.
A volte il festeggiamento è seguito anche da balli popolari.

In generale, come da tradizione, è considerata un’occasione riflessiva, per ripercorrere quello che è successo nell’anno precedente e fare buoni propositi e prendere decisioni per il nuovo anno.


IL CAPODANNO ORTODOSSO IN RUSSIA
Il capodanno ortodosso (Vecchio Anno Nuovo – Stary Novy God) in Russia è, per molti versi,
una celebrazione tradizionale e nostalgica piuttosto che ufficialmente riconosciuta, non essendo neanche festività nazionale:
ci si ritrova a cena in famiglia, per mangiare, cantare e bere in compagnia.
In ogni caso, da recenti sondaggi, è risultato che più della metà della popolazione continua comunque a festeggiare questa ricorrenza,
segno che la tradizione, seppure non più ufficiale, continua a ad essere molto sentita.

In Russia, infatti, dal 1918 è stato ufficialmente adottato il calendario gregoriano:
la notte di capodanno cade quindi tra il 31 dicembre e l’1 gennaio, tanto che l’1 gennaio è anche festa nazionale.
In questa occasione, le celebrazioni sono più grandi e rumorose, con feste e fuochi d’artificio.

La tradizione prevede anche che lo scambio dei regali non avvenga a Natale (come detto sopra, il 7 gennaio) ma bensì a capodanno:
la tradizione vuole che sia Ded Moroz o “Nonno Gelo”, accompagnato dalla nipote a distribuire i regali di natale con la sua slitta trainata da tre renne.

Come dicevamo, però. rimane in parallelo comunque intatta la tradizione di festeggiare abitualmente in famiglia la sera del 13 gennaio,
con una cena spesso abbastanza elaborata che deve prevedere almeno dodici portate, una per ogni mese dell’anno:
vengono anche preparati degli speciali ravioli e, in alcuni, vengono inseriti oggetti (come bottoni o monete) che porteranno fortuna a chi li troverà.

IL CAPODANNO ORTODOSSO IN SERBIA
Il capodanno ortodosso in Serbia viene comunemente denominato come “Capodanno Serbo”
e spesso prevede dei veri e proprio festeggiamenti in grande stile, con concerti nelle piazze principali delle città
(il più famoso è ovviamente quella che viene organizzato davanti alla piazza del parlamento di Belgrado)
e fuochi artificiali e serate speciali in varie discoteche e ristoranti del paese.
A differenza che in Russia, in Serbia il 14 gennaio è festa nazionale, a dimostrazione di quanto questa ricorrenza sia molto importante.

IL CAPODANNO ORTODOSSO IN MACEDONIA
Le celebrazioni del capodanno ortodosso o “Vecchio capodanno” in Macedonia riescono a mantenere molti rituali tradizionali.
Per esempio, nella tradizionale cena che viene organizzata in famiglia, viene di solito preparata la pita fatta in casa
e, nell’impasto, viene inserita una moneta: chi troverà la moneta, avrà un anno fortunato.
Oltre alla dimensione privata e familiare, il capodanno ortodosso viene festeggiato in Macedonia anche nelle varie comunità:
vengono infatti organizzati nelle varie città, villaggi e quartieri dei falò, attorno ai quali le persone si ritrovano a bere, mangiare, cantare, ballare e festeggiare.

CAPODANNO ORTODOSSO IN ITALIA
Il capodanno ortodosso in Italia, come sappiamo, non è particolarmente sentito a livello nazionale
ma viene ovviamente festeggiato all’interno delle varie comunità e famiglie.
Se si vuole festeggiare in grande, anche per il 2019 vi segnaliamo alcuni eventi che si svolgeranno a Milano, Bologna e Iglesias.

MILANO “The Russian Old New Year 2019
A Milano il tradizionale appuntamento del “The Russian Old New Year 2019” si terrà in un Hotel di lusso (ovviamente il 13 gennaio a partire dalle 19.30):
in programma una cena di gala, vari spettacoli, ospiti prestigiosi e intrattenimento, fino al brindisi finale allo scoccare della mezzanotte con Garbo Orchestra seguito dal dj set.

BOLOGNA – “Dalla Russia con Amore” – Concerto di Capodanno
A Bologna il giorno 11 gennaio 2019 alle ore 21.00 si potrà assistere ad un concerto gratuito presso la Parrocchia di San Paolo di Ravone, via Andrea Costa 89.
Il Corpo Bandistico G. Puccini diretto dal Maestro Marco Benatti, eseguirà un repertorio ricco di brani di musica sacra e classica,
patriottica e popolare, marce militari e canti natalizi dei compositori russi più famosi: Čajkovskij, Musorgskij, Šostakovič, Rimskij Korsakov e Borodin.
Il il basso Yuri Guerra eseguirà “ Ey, ukhnyem!”, il canto dei battellieri del Volga.

IGLESIAS – “Gran Concerto per il Natale e Capodanno Ortodosso e di Rito Orientale”
Il giorno 10 gennaio 2019 alle ore 19.00 al Teatro Electra, a piazza Pichi, si potrà assistere ad un concerto gratuito presso dove si esibirà il quintetto bielorusso “Music Kvatro”.
 
Dal mio punto di vista, dementi al cubo.

3 gennaio 2020

La serata di Baghdad è stata molto movimentata:
prima la notizia di esplosioni nei pressi dell’aeroporto internazionale,
poi i rumori dei caccia americani sulla capitale irachena,
infine i report che parlavano di nuove esplosioni ancora una volta nei pressi dello scalo aeroportuale.

Ore molto lunghe di tensione, arrivate peraltro al culmine di giornate contrassegnate dagli assalti all’ambasciata statunitense
e dal botta e risposta a distanza tra Washington e Teheran sulle responsabilità di quanto accaduto nella sede diplomatica Usa.

Nessuno però, al termine di un giovedì sera infuocato in una Baghdad tornata suo malgrado ad essere perno delle tensioni regionali,
si aspettava un epilogo che ha tutta l’aria di un episodio drammatico per gli equilibri mediorientali:

in una delle esplosioni registrate presso l’aeroporto di Baghdad, è rimasto ucciso Qasem Soleimani.

La conferma della morte di una delle figure più importanti legate a Teheran, è arrivata direttamente dalla capitale iraniana:

“L’atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti con l’assassinio del generale Soleimani,
la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida, è estremamente pericolosa e una folle escalation”,

ha dichiarato il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif.

Nessun dubbio dunque sulla sorte del generale che per anni è stato il braccio proteso sul medio oriente della diplomazia iraniana.
Soleimani è stato protagonista in tutti gli scenari in cui Teheran negli ultimi anni ha avuto un ruolo di protagonista.
C’è anche il suo zampino nell’aiuto fornito dall’Iran al governo siriano guidato da Bashar Al Assad durante gli anni più intensi del conflitto che dal 2011 coinvolge il paese arabo.
Soleimani, a capo della brigata al Quds, tra le più importanti dei Pasdaran, negli ultimi mesi si recava spesso in Iraq.


Già a novembre, quando il paese iniziava ad essere pesantemente scosso dalle manifestazioni anti governative
ed in alcuni casi anche anti iraniane, diverse fonti hanno parlato della presenza di Soleimani a Baghdad.
Una “consulenza” per conto di Teheran che doveva offrire al governo locale lo spunto per far rientrare le proteste in corso in tutte le principali città irachene.
Era questo il compito del generale, il quale agiva per provare ad evitare il collasso di un esecutivo, quale quello iracheno, vicino all’Iran.

Quelle manifestazioni stanno rischiando, alla luce dei risvolti delle ultime ore, di incidere sempre più significativamente nelle dinamiche mediorientali.
In un Iraq infatti sprofondato, ancor di più, all’interno di un limbo di incertezza, nei giorni scorsi un raid americano ha colpito una base delle milizie Pmu:
si tratta dei gruppi, a maggioranza sciita, che hanno lottato contro l’Isis e che sono accreditati di rapporti molto stretti con l’Iran.

Un colpo assestato in Iraq ma per colpire Teheran, all’interno di un contrasto sempre più forte tra gli Stati Uniti ed il paese guidato dagli ayatollah.
Da qui si è dunque arrivati alle sopra accennate proteste davanti l’ambasciata Usa a Baghdad, con tanto di tentativo di irruzione dei manifestanti all’interno della sede diplomatica.
Per Washington evidentemente un segnale di pericolo per i propri interessi nell’area.

Sono quindi scattati in questo contesto i raid contro un convoglio che stava rientrando, secondo quanto riportato da fonti irachene, all’aeroporto di Baghdad.
I veicoli colpiti avevano a bordo alti dirigenti delle Pmu, ma anche lo stesso generale Soleimani.
L’attacco, partito nel cuore della tarda serata di Baghdad, ha ucciso il numero uno delle brigate Al Quds, assieme ad altre sette persone.
Feriti anche almeno 12 soldati iracheni ed alcuni civili.

Oltre ad essere noto per le sue attività militari, Soleimani era un volto popolare in tutto il medio oriente e costituiva, per i suoi estimatori, una sorta di vera e propria “leggenda”.

Nei momenti più difficili per Assad durante la guerra civile siriana, bastava la diffusione di una foto scattata al fronte
dove si notava la presenza di Soleimani per ridare morale alle truppe od alla stessa popolazione.

Ed anche in patria ovviamente la sua figura appariva molto importante, popolare forse soltanto dopo a quella dell’ayatollah Khamenei.

Questo ha contribuito anche alla sua fama di nemico numero uno degli interessi Usa nella regione,
anche se in passato non sono mancati intrecci di interesse con Washington.
Ad esempio, quando subito dopo la caduta di Saddam Hussein occorreva fermare le forze sciite dell’esercito del Mahdi,
dagli Stati Uniti avrebbero chiesto la mediazione proprio di Soleimani.

L’uccisione del generale è dunque un colpo molto forte all’Iran, sia per la sua elevata esperienza militare e politica che, soprattutto, per quanto rappresentato dalla sua figura.

Un raid volto ad eliminare Soleimani dunque, non può non aver avuto il via libera dai ranghi più alti del potere americano.

Ed infatti, fonti del Pentagono, poco dopo il raid su Baghdad, hanno non solo confermato la morte di Soleimani
ma anche espressamente affermato che l’ordine di colpire il convoglio sarebbe arrivato direttamente da Donald Trump:

“Gli Stati Uniti continueranno ad assumere le azioni necessarie per proteggere la nostra gente e i nostri interessi ovunque nel mondo”, hanno sottolineato dal Pentagono.

Dal canto suo il presidente Usa, poco dopo l’ufficializzazione della morte di Soleimani,
ha lanciato su Twitter
un post senza frasi ma raffigurante unicamente la bandiera americana.
 
Vi presentiamo da IHS Markit l’indice previsionale della manifattura italiana.

Normalmente questi indicatori previsionali sono solo indicativi, ma nel caso italiano i segnali
sono talmente forti e rafforzati da una serie di indicatori collaterali che meritano di essere considerati con attenzione.



Siamo al minimo dell’indicatore PMI dal 2013, con un rapido peggioramento.

Il valore attuale è 46,2 , e sotto il 50 ci si attende una contrazione della manifattura,
per cui ora non solo questa si verrà a ridurre, ma si verrà a ridurre anche in modo molto rapido.

La caduta ci riporta al periodo nero del Governo Monti, quello peggiore della storia dell’Italia:
infatti in 2009 fu peggiore come intensità, ma di durata minore.

Tutti i tre indicatori che influenzano in PMI sono negativi:

  • ordini, in forte calo;
  • occupazione nel settore, in riduzione;
  • nuovi contratti con l’estero in riduzione.
Insomma le premesse per un pessimo inizio di 2020 ci sono tutte e bisogna temere i primi dati consuntivi sulla manifattura.

Si fa notare anche il fatto che la spinta inflazionistica rimane bassa, e che c’è la speranza di un miglioramento nei successivi 12 mesi.

Se qualcuno mette in dubbio IHS Markit come previsionale vi presentiamo questo grafico che mette a confronto PMI e produzione industriale nel passato.



Sarebbe necessaria una reazione a livello di politica monetaria e fiscale,
ma nella prima l’unica mossa della Lagarde è, per ora, quella di imparare il tedesco (non è uno scherzo…)
,
nella seconda vige invece la totale impreparazione ed incapacità, con anche dei forti limiti ideologici, del governo Conte.

Il suo totale immobilismo prepara prospettive anche peggiori di quelle già vissute dall’Italia nell’ultimo decennio.
 
Mi sono casualmente imbattuto nelle dichiarazioni ufficiali di Alessandro Di Battista circa il caso Paragone:



Sono sicuro che Gianluigi porterà M5S in tribunale, teatrino ben riuscito, onde affossarlo,
ma non condivido affatto questa strategia (poiché mantiene in vita il governo attuale).

Le elezioni darebbero a M5S la lezione che merita, la punizione del Karma (anche se Caparezza sostiene che non esista e che tutti la fanno franca).

Dopo questa breve digressione veniamo a ciò di cui mi preme parlare, la seguente frase:

<< stiamo eseguendo politiche dello zero virgola, quelle che tanto Beppe Grillo criticava, stiamo redistribuendo le briciole, in modo diverso ma sempre di “briciolesimo” si tratta” >>

Capite? Il termine da noi coniato, BRICIOLESIMO, non solo era noto in M5S ma aveva colpito le menti degli alti vertici ,Grillo e Alediba.

Qui uno dei tanti articoli da noi scritti:

Lieto di questa cosa, vengo al dunque: PERCHÉ QUESTA BATTAGLIA (se giusta e ben compresa) È STATA ABBANDONATA?
PERCHÉ SI È LASCIATO CHE IL BRICIOLESIMO SI AFFERMASSE COME DISCIPLINA DI POLITICA ECONOMICA SINO A DIVENTARE L’IDEOLOGIA SUPREMA DOMINANTE?



Ai posteri l’ardua sentenza.

Ad maiora.
 
Paragone appare desideroso di prendere quella funzione di contestazione ad Euro, Europa
e sistema economico che il Movimento Cinque Stelle ha abbandonato da tempo, fin dalle votazioni del 2018.

Vorrà porsi alla guida di un movimento antieuro con posizioni molto più dure di quelle di FdI e della Lega
che, avendo una visione comunque di governo, cercano di mediare sulle posizioni più estreme.

Una politica del genere però, per avere successo, deve essere convincente e dovrebbe riuscire a coinvolgere anche altri parlamentari,
organizzando una forza di un qualche rilievo, e comunque aperta a qualche forma di collaborazione.

Altrimenti resterà una Vox Clamans in Deserto.
 
Contrariamente al malinteso che l’UE sarebbe un impero su invito /Gideon Rachman, FT, 8 Ottobre 2019/,
l’Unione europea è un’alleanza tra Stati nazione.

Molti di loro non vogliono costruire un impero chiamato Stati Uniti d’Europa.

E’ finito il vecchio sogno europeo di diventare una delle superpotenze globali del 21° secolo.

E’ stato ucciso dalla Brexit, dalle politiche migratorie, dall’euro, dall’arresto di ulteriori adesioni all’UE,
dalle politiche di austerity e dalle debolezze del mercato unico.

A causa di questi tremendi errori politici fatti dalle elite europee,
l’UE è libera di dispiegare la vera eredità delle tradizioni europee:
libertà, diversità, creatività, innovazione, cultura e cooperazione.

Nessun elemento può fiorire in qualsivoglia tipo di impero europeo

Re “Europe rightly aspires to be a power project”

Governatore Matolcsy, della Banca centrale ungara
 
L’attacco americano odierno, che ha portato alla morte del generale Soleimani insieme a quella di diversi altri dirigenti iraniani
o di milizie sciite filoiraniane ha dato una scossa inattesa al Medio Oriente, riaccendendo prospettive belliche che la normalizzazione della situazione in Siria sembrava aver allontanato.

Dopo l’attacco USA l’Iran ha parlato di ritorsioni immediate e severe ed una prima area di ritorsione potrebbe essere lo stretto di Hormuz,
dove operano i barchini della Guardie Rivoluzionarie, che han perso uno dei loro comandanti, e dove passa il 35% del traffico petrolifero mondiale.



Lo spazio da precludere o da colpire è veramente ristretto, poche miglia marine, con un traffico estremamente intenso.
Le rotte passano poi proprio nelle acque iraniane, come si può vedere sopra.

Gli iraniani, oltre alle Guardia Rivoluzionaria, dispongono anche di numerose batterie missilistiche antinave in grado di colpire natanti per tutta la larghezza del passaggio.

Quindi la chiusura della Stretto di Hormuz è teoricamente possibile,
e questo potrebbe spingere il prezzo del petrolio fino a 150 dollari al barile, più del doppio del prezzo attuale.
Con questi livelli di valore si manderebbe il mondo direttamente in recessione, unendosi alle altre difficoltà economiche internazionali
.

Quali sono però le possibilità che effettivamente vi sia un conflitto che colpirebbe anche, se non soprattutto, colpire anche alleati dell’Iran?
Perchè ricordiamo che gli USA hanno raggiunto l’autosufficienza petrolifera, anzi sono diventati dei piccoli esportatori,
ed un aumento dei prezzi porterebbe ad una riaccensione delle estrazioni dai giacimenti shale.

Da questo punto di vista bisogna prendere atto che:

  • Pompeo ha affermato che non è volontà degli USA di entrare in guerra con l’Iran, per cui questo non è un passo di una escalation.
  • Trump ha confermato questo punto divista aggiungendo che non cerca un cambiamento di regime;
  • la Cina, alleata dell’Iran, ha invitato tutte le parti a mantenere una posizione considerata ed a ragionare prima di partire con una escalation.
  • Una posizione da cui traspare i timori di un’eventuale esplosione dei prezzi energetici che potrebbe colpire anche il colosso orientale;
Il Giappone aveva proprio inviato in questi giorni, per la prima volta, proprie truppe speciali nel golfo
a tutela dei traffici commerciali, da cui dipendono anche le loro fonti energetiche.

Quindi non è per nulla certo che si assisterà automaticamente ad una escalation,
anche se rimangono molto probabili delle mosse di ritorsione, da attentati nell’area ad azioni verso navi americani o occidentali.

Una situazione comunque di massima tensione.
 

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