BAIL IN - La tutela dei depositi bancari nel resto d'Europa e nel mondo
Dal primo gennaio 2016 è entrata in vigore anche in Italia la normativa che consente il bail in, cioè il coinvolgimento di chi ha depositi in una banca in difficoltà.
Anche i correntisti, oltre che gli azionisti e gli obbligazionisti sono quindi a rischio, poichè possono essere chiamati a contribuire forzosamente al salvataggio della "loro" banca.
Di seguito la prima parte del capitolo del libro "Il Bail in" (edito da Milano Finanza - Italia Oggi, distribuito anche in edicola), capitolo in cui ho affrontato la tematica di come vengono tutelati i risparmiatori che hanno conti bancari al di fuori dall' Italia.
Infatti la scelta della banca in cui depositare i propri risparmi può estendersi, per i residenti italiani, anche alle banche estere.
Aprire un conto in una banca di un Paese solido come la Svizzera è infatti semplice e perfettamente lecito.
E’ un concreto dato di fatto che la globalizzazione, tramite remote banking e la riduzione delle commissioni bancarie richieste dalle banche estere, renda possibile e semplice scegliere in quale nazione ed in quale banca depositare i propri soldi, uscendo dalla fuorviante logica della “banca sotto casa, di cui mi fido perché li conosco”.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
La tutela dei depositi bancari nel resto d'Europa e nel mondo
La normativa UE sul bail-in, che diverrà obbligatoria anche in Italia a partire dal primo gennaio 2016, assieme al decreto legge per evitare il bail in di quattro banche italiane in grave difficoltà:
Queste sono le tematiche che possono stimolare il risparmiatore attento ed evoluto a cercare le migliori condizioni di sicurezza per i propri soldi.
Esaminiamo come queste problematiche sono state affrontate in altri Paesi.
Una sorta di comparazione, utile all’ investitore anche per comprendere dove i propri risparmi sono maggiormente tutelati e quindi scegliere dove avere un conto bancario ed un portafoglio titoli.
La globalizzazione consente infatti di avere senza alcun problema pratico ne legale conti correnti anche in Paesi diversi da quello di residenza.
[FONT="]La normativa [/FONT][FONT="]svizzera: [/FONT]
[FONT="]sicurezza, stabilità e tutela per i correntisti, ma anche per le banche[/FONT]
[FONT="]
[/FONT]
Il fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008 e le pesanti difficoltà di UBS nello stesso periodo hanno obbligato la Svizzera a ripensare profondamente la tematica che riguarda la tutela dei depositi bancari in relazione alla stabilità delle banche in caso di crisi sistemica oppure riguardante un singolo istituto.
Ripercorriamo dapprima il percorso che ha consentito alla Svizzera di uscire pressoché indenne dalla crisi del 2008.
La Confederazione Elvetica si attivò prontamente nel 2008 al fine di evitare che il contagio derivante dalla filiale USA di UBS si estendesse a tutto il sistema bancario svizzero.
Fu un vero e proprio aiuto di stato, dato che la legislazione elvetica lo consente.
La Banca Nazionale Svizzera (
BNS) acquistò grossi quantitativi di titoli "tossici", inseriti nello
StabFund, il fondo di stabilizzazione creato ad hoc da parte dello Stato.
In questo modo si ottenne tempo; tempo per attendere, senza far fallire UBS, che il panico sui mercati si attenuasse, ma anche tempo per poter ricollocare sul Mercato questi titoli con condizioni migliori di quelle dell’ autunno 2008.
La Confederazione, tramite un prestito di 6 miliardi di franchi da convertire in azioni divenne di fatto socio ed azionista di UBS: una sorta di nazionalizzazione parziale dell’ istituto.
La BNS capitalizzò con 54 miliardi di dollari lo
StabFund, al fine di poter comprare titoli “illiquidi”, talvolta molto simili ai famigerati ABS e CMO, con l’ obbiettivo di poter procedere in tempi migliori ad una loro liquidazione.
In tal modo 39,1 miliardi di dollari in titoli “tossici” furano momentaneamente “sterilizzati”, consentendo ad UBS di uscire dalla crisi.
L’ operazione fu consentita dalla flessibilità di una legislazione liberista unita ad un intervento di stato.
Il connubio è solo apparentemente strano, in quanto anche Germania e Gran Bretagna, paesi con una efficiente e libera economia di mercato, hanno “partecipazioni statali” in banche ed industrie: Royal Bank of Scotland fu salvata in modo analogo a quello utilizzato con UBS, anche CommerzBank e DeutscheBank erano e sono tuttora pesantemente partecipate da capitali pubblici, come del resto VolksWagen, altra azienda “too big to fail”.
Il salvataggio di UBS fu una manovra davvero brillante:
- la Confederazione vendette le sue azioni UBS nell'estate 2009 realizzando un guadagno di 1,2 miliardi di franchi.
- Lo
StabFund ha potuto vendere, frazionatamente in 6 anni, quasi tutti i titoli “tossici”, conseguendo un utile per la Banca Nazionale Svizzera di quasi 4 miliardi di franchi.
Questo brillante salvataggio ha reso “più ricchi” i cittadini ed i residenti in Svizzera: infatti la Banca Nazionale, per statuto, deve distribuire gli utili ai Cantoni, da questi ai Comuni, consentendo di finanziare opere pubbliche e welfare, abbassando al contempo la tassazione per aziende e privati.
Peraltro molti posti di lavoro sono stati persi, ma con un ammorbidimento tramite laute buonuscite, derivanti proprio dall’ enorme utile conseguito tramite il salvataggio. I proventi del salvataggio hanno consentito di ridurre il personale compensando chi lasciava il posto di lavoro con contributi fino alla pensione o con importi una tantum se volontariamente scelti da chi aveva già prospettive di impiego in altri istituti.
La Svizzera si è giovata di un importante vantaggio competitivo, nei confronti della disunita UE e degli indebitati USA: le riserve di denaro pro capite in Svizzera sono di gran lunga le maggiori del mondo (staterelli petroliferi degli emirati arabi esclusi, per dovere di precisione), quindi stanziare decine di miliardi per riportare stabilità è stato relativamente facile, essendo questa solo una piccola frazione del patrimonio complessivo a disposizione: ecco un caso in cui “piccolo è bello”, con otto milioni di persone che hanno a disposizione riserve maggiori dei centinaia di milioni di residenti nella UE.
Fin qui la storia recente, ma la Svizzera ha profondamente ripensato e migliorato anche le strutture preposte a contrastare una eventuale nuova crisi sistemica.
Il sistema bancario elvetico: protezione dei correntisti e solidità delle banche
Oggi il settore bancario elvetico è più efficiente e più stabile, al prezzo di strutture societarie più snelle, quindi con riduzioni di personale, peraltro anche connesse alla sempre maggiore informatizzazione dei servizi finanziari.
I criteri di patrimonializzazione delle banche (ad esempio il Core Tier 1, il rapporto fra patrimonializzazione della banca ed impieghi a rischio) sono più alti rispetto a quelli UE, quindi ogni singola banca deve avere una riserva rischi maggiore di quella delle banche europee.
Inoltre in Svizzera non si effettuano stress test (troppo spesso, in UE, non propriamente a sorpresa) bensì i parametri di Basilea 3 debbono essere rispettati costantemente, in ogni momento.
Ciò impedisce i giochi di “bilanci creativi”, con bad banks in cui sistematicamente, prima dello stress test, viene spostata parte delle poste passive o deteriorate, oppure operazioni infragruppo e cross border (transfrontaliere) fra banche che hanno lo status di multinazionale.
Per inciso: Unicredit è una multinazionale, Banca Intesa possiede da anni una sorta di bad bank, ben prima delle recenti risoluzioni del governo italiano.
Ecco che, mentre altrove un Core Tier 1 viene artificiosamente portato da 2 a 9 al fine di rientrare nei parametri richiesti dalla UE, in Svizzera detto coefficiente deve per legge essere costantemente superiore ad 11, con banche che superano quota 20: venti milioni di capitalizzazione, reale e costante, per ogni milione potenzialmente a rischio.
Di conseguenza la rischiosità, sia per il correntista/investitore sia per la banca è decisamente bassa.
Anche in Svizzera esiste un Fondo di Tutela dei Depositi: esso garantisce fino a 100.000 franchi, per ogni titolare di relazione bancaria.
Rispetto al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) italiano, esso presenta due fondamentali differenze: è adeguatamente capitalizzato ma soprattutto garantisce la liquidità presente sul conto, mentre i titoli – quali che essi siano – sono e restano di esclusiva proprietà dell’ avente diritto economico: il correntista investitore.
Infatti la legislazione elvetica ha mantenuto la originale e sana impostazione di cosa debba fare, in primis, una banca.
Una banca deve essere una cassaforte sicura, e la Svizzera è la più grossa e sicura cassaforte del pianeta.
Di conseguenza, le banche elvetiche sono custodian banks (banche depositarie) e custodiscono, in nome e per conto del cliente, i titoli che sono stati affidati loro:
di fatto si comportano come “cassette di sicurezza” in merito al portafoglio titoli.
In altre giurisdizioni, ad esempio, verrebbe considerato elusivo trasformare la liquidità in titoli a basso rischio (ma solo in Italia esiste il peculiare reato di elusione), al fine di salvarli da un possibile bail in.
Di conseguenza la normativa italiana, troppo spesso in contrasto con quella UE, in caso di bail in (o di manovre di ristrutturazione del debito pubblico) colpirebbe ogni forma di deposito, anche il portafoglio titoli.
La capitalizzazione del Fondo Interbancario di Garanzia italiano non consentirebbe inoltre di tutelare i primi 100.000 euro, neanche in caso di fallimento di una media banca regionale, come quelle attualmente in pre default.
Abbiamo visto che l’ investitore può considerarsi sicuro depositando i propri soldi in una banca svizzera, ma come reagirebbe il sistema bancario elvetico di fronte ad un nuovo 2008?
In Svizzera è consentito il bail in?
Il bail in è tecnicamente contemplato, ma di fatto la sua possibilità di applicazione è puramente teorica.
Il modello elvetico è stato modificato al fine di impedire la diffusione di crisi sistemiche, di evitare un effetto domino. Il fatto di non far parte della UE ha reso il compito più facile, non dovendo armonizzare decine di legislazioni spesso in contrasto fra loro.
UBS, che nel 2008 era una unica enorme multinazionale (UBS fattura ben di più dell’ intero PIL svizzero!), oggi è divisa in molte banche indipendenti. La stessa UBS Svizzera è solo una filiale con licenza bancaria propria, una delle banche che fanno capo al colosso; in tal modo si rende più efficiente ogni processo decisionale, in relazione anche alle diverse normative e legislazioni di ogni Paese.
Anche le altre banche svizzere “too big to fail” Credit Suisse, Raiffeisen e ZürcherKantonalBank (la Banca del Cantone di Zurigo, a capitale pubblico) hanno adottato, su indicazione di FINMA (l’ omologo elvetico di Consob) accorgimenti per evitare un possibile “contagio” in un mondo sempre più interconnesso.
La Svizzera ha assunto un approccio proattivo e più conservativo relativamente alla regolamentazione post-crisi rispetto all'UE.
Lo ha fatto anche con tempi rapidi, ben prima della crisi di Cipro, che ha fornito il precedente legale per la attuale normativa UE che obbliga gli stati membri ad adottare il modello del bail in.
Il modello elvetico: un misto fra bail out e (teorico) bail in
Di fatto la normativa adottata in Svizzera incoraggia le banche a proporre agli investitori titoli che le proteggano in caso di crisi sistemica: Obbligazioni Subordinate, Co Co Bonds, Credit Linked Notes e simili.
Sono invece vietati gli strutturati opachi e “ad orologeria”, del tipo utilizzato in Grecia ed in Italia (Santorini, Alexandria dell' affaire Monte Paschi ed altri nomi che mascherano operazioni tese a danneggiare i correntisti ed i risparmiatori).
Non sono consentite neanche le polizze assicurative opache (in UE è consentito ad esempio mantenere il prezzo di carico iniziale per anni: solo a scadenza il sottoscrittore scopre il vero valore di quanto c’è nella polizza) e le strutturazioni tramite packaging e repackaging che non consentono di sapere cosa ci sia nella “salsiccia riciclata”.
Il caso di Carige Vita, uno strumento assicurativo in apparenza, ma di fatto un veicolo che consentì di rifilare obbligazioni islandesi ad oltre 2.000 ignari risparmiatori poco prima del default dell’ Islanda (il valore della polizza andò a zero) non sarebbe possibile secondo la legislazione elvetica, che impone la trasparenza e la accessibilità alla composizione analitica degli strumenti finanziari, inclusi i portafogli dei Fondi Comuni.
L’ informativa per l’ investitore deve essere chiara ed esplicita: non deve accadere che il risparmiatore scambi un titolo speculativo per una normale obbligazione.
D’altra parte i tassi negativi applicati anche dalla Banca Nazionale Svizzera rendono molto appetibile questa categoria di obbligazioni: in Svizzera il rendimento di una obbligazione senior è spesso negativo (al pari del bund tedesco, ma anche i BOT italiani al momento restituiscono meno di quanto si investe), il rendimento sui depositi bancari è al massimo allo 0,10 % annuo, ma solo se vincolati.
L’ alternativa sono questi titoli, più rischiosi, ma solo relativamente: le banche svizzere, per via dei loro parametri di capitalizzazione, sono estremamente poco soggette a rischi, rispetto a quelle di molte nazioni confinanti: il premio per il rischio è quindi accettabile, soprattutto da investitori corporate ed institutional.
Molte aziende e istituti anche esteri sono infatti disposti ad avere ottimi rendimenti in franchi svizzeri (valuta rifugio per eccellenza) a fronte di una rischiosità comunque bassa.
Anche “le assicurazioni” contro il fallimento, i CDS, Credit Default Swap, che nel 2007 e 2008 hanno suscitato grande apprensione sul mercato USA, sono utilizzati in maniera efficiente: chi liberamente decide di “assicurare” una banca svizzera in caso di fallimento riceve, sottoscrivendo un CDS, un ottimo rendimento, soprattutto se rapportato al basso rischio.
La banca ha di conseguenza una minore necessità di riserve straordinarie, potendo contare su questo ammortizzatore, che ne aumenta inoltre il rating ed attutisce la volatilità dei prezzi delle sue azioni in caso di ribassi generalizzati in Borsa.
Ci si ricorda bene del fatto che la crisi USA partì dal settore immobiliare: i mutui subprime ebbero effetti devastanti, quando il mercato immobiliare andò in crisi dopo la precedente bolla speculativa, alimentata proprio dall’ accesso al credito troppo facile.
Il Consiglio di stabilità finanziaria (Financial Stability Board - FSB) ha tracciato delle linee guida anche in relazione al
capitale di assorbimento totale delle perdite (Total Loss-Absorbing Capital - TLAC), per assicurare che tutte le banche dispongano di una struttura finanziaria adeguata.
Il sistema bancario svizzero ha elaborato un modello operativo che consente di attutire anche le ripercussioni di una eventuale crisi immobiliare, dato che in Svizzera il settore edilizio è in ottima salute ma i prezzi delle case sono rincarati molto negli ultimi anni.
Questo modello è l’ opposto di ciò che venne fatto in USA con i
mutui subprime: in Svizzera la banca concede il mutuo a condizioni più rigide, e si assicura tramite gli strumenti finanziari sopra descritti. I bassi tassi di interesse sono di aiuto: chi paga il mutuo ha una bassa quota-interessi (attorno all’ 1% annuo), chi intende sottoscrivere obbligazioni che rendano in modo accettabile è maggiormente interessato ad
Obbligazioni Subordinate e Co Co bonds, emessi da istituti molto solidi.
Il Mercato finanziario dei
Credit Linked Notes, obbligazioni strutturate legate al rischio di credito, è florido in molte parti del mondo, ma i sottostanti svizzeri sono particolarmente allettanti: per via della loro solidità il rapporto fra rischio e rendimento è molto favorevole per l’ investitore. Anche questo contribuisce alla stabilità del sistema.
Fin qui sono state descritte molteplici forme di bail out.
In questo caso chi ci rimetterebbe in situazioni di crisi acuta o sistemica sarebbero solo i sottoscrittori, che diverrebbero creditori nei confronti di un soggetto potenzialmente insolvente; sarebbero coinvolti anche gli azionisti, ovviamente, che hanno investimenti a rischio di ribasso delle quotazioni del titolo.
Il bail in è tecnicamente contemplato anche in Svizzera; ricordiamo uno degli aspetti del bail in:
può accadere che il cliente della banca, ad esempio anche obbligazionista si trovi azionista senza volerlo, oppure che parte dei suoi risparmi vengano prelevati forzosamente.
Questo aspetto ha due facce: una indubbiamente negativa (quella per il correntista), ma anche una positiva in merito alle quotazioni di azioni ed obbligazioni della banca.
Infatti la possibilità tecnica, considerata come soluzione di estrema ed ultima istanza, che il correntista venga fatto partecipare al salvataggio fa si che le emissioni descritte in precedenza vadano in crisi più difficilmente.
Ecco che queste stesse emissioni possono allora essere collocate in maggior quantità, risultando il primo pilastro di una serie di misure ben più ampie e robuste di quelle messe in atto dalla UE.
Di fatto il bail in, per una banca svizzera, significherebbe un suicidio, dato che vige un regime di libera concorrenza fra banche, ben diverso dal cartello posto in essere dall’
Associazione Bancaria Italiana.
L’ associazione
Swiss Bankers è anch’ essa una lobby, certo. Però ha una policy orientata al liberismo, ad una sana competizione fra banche volta a migliorare l’ efficienza complessiva del settore bancario svizzero.
Di conseguenza, proprio al contrario di quanto avvenne in USA nel 2008
, il moral hazard è disincentivato.
Infatti se una banca si espone troppo e non mantiene una elevata capitalizzazione, aumentando gli impieghi a rischio perché (ad esempio) concede troppi mutui o prestiti, ecco che la clientela si rivolge immediatamente ad altre banche.
La trasparenza e l’ accountability molto elevate, nonché la facilità con cui si può trasferire il conto corrente aiutano la valutazione di “come sta” la propria banca.
In ultimo: le cosiddette “
banche private” sono quelle che si dedicano esclusivamente alla gestione patrimoniale ed agli investimenti per i propri clienti; di fatto
hanno impieghi a rischio pressoché nulli, dato che non fanno banca commerciale (niente crediti incagliati o deteriorati) e non concedono mutui o prestiti.
Di conseguenza l’ investitore che desidera una sicurezza di fatto totale per i propri risparmi può aprire un conto e relativo deposito titoli presso una banca che è specializzata nella gestione di patrimoni.
Questo è uno dei motivi dei tantissimi conti bancari elvetici facenti capo a persone ed aziende non residenti in Svizzera.
E’ infatti pienamente lecito affidare i propri risparmi alla più sicura cassaforte del mondo, presso una banca che non ha problemi di default.
----------------------------------------------------
La seconda parte del capitolo, che include la normativa USA, UK e di altri paesi, nonchè le considerazioni sul MORAL HAZARD, verrà postata nei prossimi giorni.
In relazione alle normative italiane paragonate a quelle UE (l' Italia non è compliant UE) ed estere, ecco due links:
PaoloOliveri: DENTRO LA GABBIA