Commodities

Ciao Gero , puoi usare qualche traduttore automatico online se serve

Estratto dalla rubrica settimanale di clubcommodity sull'oro

BATTAGLIA EPICA SULL'ORO.
Come sapete l’oro è ritornato intorno ai $380 l’oncia. Siamo tornati ai livelli di circa 7 anni fa e qualcuno potrebbe pensare che non siamo lontani dai massimi. Io credo il contrario. Credo che l’oro sia appena all’inizio della sua salita. La prima meta da raggiungere sono i $400 e probabilmente, nel giro di qualche anno, non è escluso che vedremo il prezzo dell’oro a 4 cifre.
Perché? Perché per 20 abbiamo avuto un terribile orso nelle commodities in generale e nell’oro in particolare. Il successo degli asset cartacei (azioni e bond) ha oscurato tutto il resto in questi 20 anni. Sembrava che fosse stata scoperta la possibilità di crescere indefinitamente senza inflazione e senza lo spettro dei cicli economici. Tutto questo si è rivelato fallace.
Greenspan ha inondato il mondo di liquidità per tappare tutte le falle che via via si sono create (crisi messicana, crisi asiatica, crisi del LTCM, crisi del baco del 2000, attentato alle torri gemelle). Questa liquidità ha partorito la bolla azionaria, la bolla immobiliare negli USA, la bolla obbligazionaria. Che Greenspan ha curato omeopaticamente, usando lo stesso strumento (eccesso di liquidità) che aveva causato in origine il male. Prolungando l’agonia e rendendo gli squilibri dell’economia globale, americacentrica, ancora più acuti.
Non più di una settimana fa, Stephen Roach, capo economista di Morgan Stanley, ha dichiarato che in tutta la sua vita non aveva mai visto nulla del genere (ovviamente in senso negativo).
Ecco perché sale l’oro: perché non può essere stampato a piacimento dalle banche centrali ed è l’asset, insieme ai metalli ed alle commodities in generale, che manterrà intatto il suo valore quando tutta questa follia giungerà a termine.

La situazione al momento è la seguente. Al Nymex, la borsa dove viene trattato l’oro negli USA, si confrontano due posizioni diametralmente opposte. I Commercials, gli addetti ai lavori, scommettono pesantemente che il prezzo dell’oro scenderà. Sono talmente convinti di questo che sono net short per 164.000 contratti, record storico. Gli speculatori (fondi e piccoli trader) scommettono che il prezzo salirà: i fondi sono net long 123.000 contratti, livello anche questo record.
I commercials hanno un record perfetto negli ultimi 20 anni, nel senso che non hanno mai perso una battaglia, non sono cioè mai stati costretti a coprire gli shorts mentre i prezzi salivano. Lo stesso non si può dire dei fondi che spesso ci hanno lasciato le penne. Sembra quindi che tutto faccia prevedere un ridimensionamento dei prezzi, ed un ridimensionamento abbastanza pronunciato…ma, c’è un ma. L’oro non è una semplice commodity, è molto di più. L’interesse verso l’oro sale ogni giorno di più e sempre più risparmiatori e gestori si stanno interessando ad esso. Le regole degli ultimi 20 anni non valgono più. I Commercials presidiano il fortino aspettando gli indiani per farli fuori facilmente dalle torrette. Ma questa volta, come nella seconda puntata del Signore degli Anelli si troveranno di fronte una tale valanga umana che diventerà impossibile contenerla. Con questo non voglio dire che i Commercials perderanno questa battaglia. Forse la vinceranno, ma perderanno la guerra perchè la prossima ondata sarà ancora più impressionante di questa e cederanno perché non si può fermare la storia. Andrea Luchi

11/09/2003
 
Grazie fleursdumal

Una domanda: se ad esempio io mi convinco che di qui ad un anno l'oro salirà e volessi e volessi comprare l'oro così a lungo termine cosa potrei comprare ad esempio? Grazie
 
i futures quotati sul COMEX a lunga scadenza li pagheresti un pò cari, le azioni delle miniere americane, canadesi e sudafricane son già salite parecchio, lo strumento migliore sarebbe l'ETF che dovrebbe uscire a NewYork ma di cui so poco. Ti rimando a questo report sempre di Andrea Luchi dello scorso maggio:

Presto verrà lanciato al NYSE (New York Stock Exchange), dal World Gold Council, un ETF (Exchange Traded Fund) che mimerà il comportamento dell'oro.
Sarà in assoluto il secondo ETF basato sull'oro, dal momento che ne esiste già uno in Australia che ha già un grande successo.
Ogni "quota" rappresenterà il possesso di un decimo di oncia d'oro. Attualmente l'oro vale circa 350 dollari l'oncia; quindi ogni quota dell'ETF avrà un valore di 35 dollari.
L'oro che gli investitori compreranno tramite l'ETF sarà conservato fisicamente nella Hong Kong Shanghai Bank di Londra.
I possibili sviluppi dell'accesso di massa al mercato dell'oro?
Secondo Hathaway (che gestisce il Tocqueville Gold Fund) "l'oro disponibile al mondo per investimento ha un valore di 1 trilione di dollari (un 1 seguito da 12 zeri).
Il valore del mercato azionario e obbligazionario mondiale equivale a 50 trilioni di dollari. Se solo un decimo dell'1% del capitale allocato in azioni e bond si spostasse sull'oro corrisponderebbe a 5000 tonnellate d'oro, l'equivalente della produzione mondiale di due anni.
Un tale spostamento di capitale farebbe salire il prezzo dell'oro ben oltre i 1000 dollari l'oncia."
Secondo alcuni responsabili di aziende minerarie, la facilità di accesso al mercato dell'oro che questo nuovo ETF permetterà, potrà in breve tempo far salire il prezzo dell'oro oltre i 600 dollari l'oncia.
In effetti con questo ETF sarà estremamente semplice e privo di complicazioni accedere al mercato dell'oro anche per la massa degli investitori.
Ma non solo per gli investitori privati. Pensate ai fondi comuni e ai fondi pensione che potranno facilmente trovare in questi strumenti un modo per diversificare il proprio portafoglio.
Dire con certezza ora che riflessi avrà questo ETF sul mercato dell'oro è forse prematuro ma la mia sensazione è che ben presto tanti rimpiangeranno di non averlo acquistato quando una quota ancora valeva solo 35 dollari: anche perchè il ridimensionamento del dollaro, l'enorme deficit commerciale americano, le conseguenze dello scoppio della bolla speculativa (indebitamento di privati/aziende e eccesso di offerta) sono tutti elementi che, a prescindere dagli ETF, spingeranno l'oro sempre più in alto nei prossimi anni.

Andrea Luchi
 
Fleursdumal ha scritto:
i futures quotati sul COMEX a lunga scadenza li pagheresti un pò cari, le azioni delle miniere americane, canadesi e sudafricane son già salite parecchio, lo strumento migliore sarebbe l'ETF che dovrebbe uscire a NewYork ma di cui so poco. Ti rimando a questo report sempre di Andrea Luchi dello scorso maggio:

Presto verrà lanciato al NYSE (New York Stock Exchange), dal World Gold Council, un ETF (Exchange Traded Fund) che mimerà il comportamento dell'oro.
Sarà in assoluto il secondo ETF basato sull'oro, dal momento che ne esiste già uno in Australia che ha già un grande successo.
Ogni "quota" rappresenterà il possesso di un decimo di oncia d'oro. Attualmente l'oro vale circa 350 dollari l'oncia; quindi ogni quota dell'ETF avrà un valore di 35 dollari.
L'oro che gli investitori compreranno tramite l'ETF sarà conservato fisicamente nella Hong Kong Shanghai Bank di Londra.
I possibili sviluppi dell'accesso di massa al mercato dell'oro?
Secondo Hathaway (che gestisce il Tocqueville Gold Fund) "l'oro disponibile al mondo per investimento ha un valore di 1 trilione di dollari (un 1 seguito da 12 zeri).
Il valore del mercato azionario e obbligazionario mondiale equivale a 50 trilioni di dollari. Se solo un decimo dell'1% del capitale allocato in azioni e bond si spostasse sull'oro corrisponderebbe a 5000 tonnellate d'oro, l'equivalente della produzione mondiale di due anni.
Un tale spostamento di capitale farebbe salire il prezzo dell'oro ben oltre i 1000 dollari l'oncia."
Secondo alcuni responsabili di aziende minerarie, la facilità di accesso al mercato dell'oro che questo nuovo ETF permetterà, potrà in breve tempo far salire il prezzo dell'oro oltre i 600 dollari l'oncia.
In effetti con questo ETF sarà estremamente semplice e privo di complicazioni accedere al mercato dell'oro anche per la massa degli investitori.
Ma non solo per gli investitori privati. Pensate ai fondi comuni e ai fondi pensione che potranno facilmente trovare in questi strumenti un modo per diversificare il proprio portafoglio.
Dire con certezza ora che riflessi avrà questo ETF sul mercato dell'oro è forse prematuro ma la mia sensazione è che ben presto tanti rimpiangeranno di non averlo acquistato quando una quota ancora valeva solo 35 dollari: anche perchè il ridimensionamento del dollaro, l'enorme deficit commerciale americano, le conseguenze dello scoppio della bolla speculativa (indebitamento di privati/aziende e eccesso di offerta) sono tutti elementi che, a prescindere dagli ETF, spingeranno l'oro sempre più in alto nei prossimi anni.

Andrea Luchi

Grazie fleursdumal: piano piano cerco di capirci un pò: buona cosa ad esempio potrebbe essere quella di "specializzarsi" sui metalli o addirittura su di un unico metallo ad esempio l'oro. Perchè la materia è talmente vasta che spaventa un pò.
Ciao
 
La situazione limite che si sta creando sul mercato del bestiame al CME va in onda anche su qualche NL italiana (quella di scevola in questo caso):

CME LIVE CATTLE (bestiame vivo)

Interessante la situazione del Live Cattle: dopo aver fornito un ottimo segnale di continuazione del trend al superamento degli 89 cents $, il mercato ha intrapreso un furioso rally segnando ogni giorno nuovi massimi storici, e addirittura raggiungendo in ognuna delle ultime sei sedute il limit up (fisso a 1.5 cents). Vi è attualmente un disallineamento tra il cash (ossia il bestiame venduto fisicamente) e il derivato, fortemente scontato e penalizzato dalle sospensioni per il raggiungimento del limite di prezzo; per avere un'idea dell'eccezionalità della situazione, basti pensare che in Nebraska è stato scambiato bestiame sul cash a 1.13$ (mentre il future scadenza ottobre quota 0.97975).

E' in programma un meeting di emergenza del Board del CME per tentare trovare soluzioni atte a sedare il panico scatenatosi tra speculatori, hedgers e arbitraggisti, ormai in gran parte impossibilitati a chiudere le posizioni.

Alla base del rally un crollo dell'offerta, già ridotta dal divieto di importazione di bestiame dal Canada e ora ulteriormente assotigliatasi proprio a causa dell'andamento dei futures; gli allevatori sono infatti stati costretti a ritirare buona parte del bestiame dal mercato, in quanto impossibilitati a ricoprire le posizioni corte sul future (aperte per necessità di hedging).

Operativamente, si attende la normalizzazione della situazione e un segnale di inversione ribassista sulle scadenze successive a ottobre, ormai inutilizzabile

Monday October 13th 2003, 2:39 PM
ODJ CME Cattle Review: Record Highs, Limit Ups; Call For CME Action


(Repeating story)


-- Vicious Circle Squeezes Shorts
-- More New All-Time Record Cattle Futures, Beef Price Highs
-- Many Traders, Analysts Call For CME Action


By Jim Cote

Chicago, Oct. 13 (OsterDowJones) - Amid all-time record high wholesale beef and U.S. live cattle prices, the four-month Chicago Mercantile Exchange live cattle futures rally continued, with the Oct contract closing at its daily permissible limit higher for an unprecedented sixth straight session in an attempt to close its gap with soaring cash live cattle values.

Unlike other futures contracts, CME live cattle daily price limits do not expand after multiple limit price moves. The daily limit is 1.5 cents per pound.

Cattle producers caught with short hedges in futures are stuck in a vicious circle. Their inability to buy back their futures hedges has forced them to withhold their live cattle from the market because those animals are tied to the futures pricing.

The resulting supply tightness then forces beef packers to pay increasing prices for the remaining cattle, thus forcing futures even higher. "Feedlots would gladly sell at 105 cents ($1.05) if they could lift their futures hedges," said one floor broker with large feedlot customers.

Limited by its daily futures price restriction, Oct cattle has been unable to keep pace with cash live cattle prices, which have risen sharply in response to aggressive competition between the nation's beef packers for limited domestic supplies of market-ready live cattle.

U.S. beef packers have had to draw from domestic live cattle supplies since Canada discovered a case of bovine spongiform encephalopathy, known as mad-cow disease, in an Alberta cow in late May. A subsequent ban on imports of Canadian live cattle remains in force.

Early Monday morning, beef packer live cattle buyers tried to purchase cattle from feedlots at increasingly higher prices. When $1.03 per pound brought no cattle, $1.05 was bid. A few central and southern Plains feedlots then began to sell their animals at $1.05 to $1.07 per pound on a live basis, before a mad scramble for cattle finally pushed prices to as high as $1.13 in Nebraska, according to cash sources.

However, because of the daily futures price restrictions, Oct CME live cattle futures could increase only 1.5 cents to settle at 98.82 cents per pound. Therefore, Oct could remain limit-up the rest of the week and reach only $1.0482, well below this week's cash prices.

Unable to buy Oct futures because of the limit, purchasers turned toward the more distant Nov through Feb contracts, which also boosted those months to their daily limits. Each successive new high in Oct live and feeder cattle futures during the recent rally has marked another new all-time record. Spillover buying even boosted Dec CME lean hog futures to its limit-up level.

The pool of unfilled buy orders was estimated at more than 3,000 contracts in Oct live cattle, 1,500 contracts in Dec, and 300 in Feb.

Monday morning, many floor brokers and analysts said the CME should immediately take emergency action to alleviate the pressure in Oct live cattle either by expanding daily price limits or allowing Oct trading only to liquidate existing positions to ease the squeeze on short positions.

On Monday, the CME had a "no comment" response to inquiries about possible remedies for the situation. However, Monday afternoon, reliable sources said the CME had scheduled an emergency meeting to address the problems.

"What the CME needs to do is allow Oct to trade only to liquidate existing positions," said Chuck Levitt, analyst with Alaron Trading Corp. in Chicago. "To keep the situation from getting out of hand, the Merc needs to control the positions in the Oct contract."

Although lean hog futures price limits were raised from 1.5 cents to 2 cents several years ago, live cattle limits have remained at 1.5 cents even though live cattle, historically, trade at much higher prices.

"Given the CME already has gone to a 2 cent daily limit in lean hogs, it is probably a good idea to go to the 2 cent level in live cattle futures also," said Dan Vaught, analyst with AG Edwards & Sons in St. Louis.

Most feeder cattle futures also were locked at their limit-up levels. Nov had an unfilled buy pool of 200 contracts, Oct had 60 left, and other 15 or less contracts to buy.

Dec live cattle options prices were calculated at a synthetic futures value of 97 cents, or 325 points, higher than its present limit-up price. Spot month Oct's options have expired.

"This is an extremely serious situation," said one veteran floor broker with feedlot accounts. "We're talking about everything people have worked for all their lives, bankruptcies, that sort of thing."


High Low Settle Change

Live Cattle OCT 98.82 98.82 98.82 up 1.50 NOV 97.97 97.97 97.97 up 1.50 DEC 93.75 93.75 93.75 up 1.50 JAN 92.30 90.80 92.30 up 1.50 FEB 89.67 89.17 89.67 up 1.50



Feeder Cattle OCT 108.67 107.75 108.67 up 1.50 NOV 105.57 105.25 105.57 up 1.50 JAN 100.62 100.25 100.62 up 1.50 MAR 95.95 95.12 95.95 up 1.50


---


ca6xsf4n.png


scevolalivecattle.gif
 
Il lumber continua ad andar giù con limit-down alternati a qualche giornata di lieve recupero

lumberjan04.png


difficile situazione sull'orange juice a causa del raccolto della Florida che si prevede molto buono. Supporto vicino da tenere d'occhio i 65

ojmontly.png


Corre il cotone verso i massimi, hanno rifiatato un pò le carni ma tendono sempre verso i massimi storici
 
Commento settimanale materie prime N° 15 (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)

I FONDAMENTALI

Una settimana difficile per i mercati azionari mondiali, specie per quelli asiatici che avevano corso di più di recente. Una pausa di respiro "salutare", condividono gli analisti, che con fervore continuano ad auspicare un maggior consolidamento dei livelli raggiunti. In effetti, già da molto tempo i mercati sono su un trend rialzista a fronte di uno scenario congiunturale che va via via migliorando. La settimana economica, tuttavia, non è stata ricca di eventi se si fa eccezione per il leading indicator che è sceso dello 0,2% e per le richieste settimanali di sussidio che sono calate di altre 4.000 unità attestandosi a 386 mila. Un ruolo da protagoniste hanno giocato ancora una volta le trimestrali, entrate nel vivo della stagione autunnale. Una scusa senza dubbio per i mercati, bisognosi di correggere dai massimi conquistati. Non si spiegherebbe altrimenti la violenta reazione scatenata dai conti di Microsoft, la quale, pur avendo annunciato un miglioramento di redditività e vendite ed un innalzamento delle stime per i prossimi mesi, è crollata per effetto dei contratti di licenza, risultati peggiori delle aspettative. Una reazione troppo forte nei confronti di na trimestrale che lasciava ampi spazi di apprezzamento. Quello del colosso di Bill Gates non è l'unico caso. Molte altre società sono cadute, in settimana, pur avendo pubblicato risultati trimestrali più che dignitosi. Intanto, qualcuno giustificava le vendite con rinnovati timori per lo sviluppo dell'economia, specie dopo che le dichiarazioni del Segretario del Tesoro Usa, John Snow, avevano catalizzato l'attenzione sulla debolezza del dollaro. I mercati valutari, infatti, continuano ad evidenziare un'elevata volatilità del biglietto verde, che rimane su livelli bassi sia nei confronti dell'euro che dello yen gisapponese. Più stabile, comunque, nei confronti dello yen a 109,2 rispetto alla valurta di Eurolandia che ha nuovamente raggiunto un livello di 1,183 usd. Per quanto riguarda i benchmark dei mercati satatunitensi, invece, si è visto un deciso ritraccimaneto sia per l'indice Nasdaq a 1.865,59 punti -2,45%, sia sullo Standard & Poor's 500 a 1.028,91 punti -1%, sia sul Dow Jones a 9.582,46 punti -1,43%. A fronte di ciò salta ancora una volta agli occhi il deciso passo avanti del mercato delle commodities che ha toccato nuovi massimi.

MATERIE PRIME INDICE CRB

L'ottava delle materie prime è risultata significativamente positiva, specie per i prodotti che erano rimasti un po' indietro. Sfumato l'effetto correzione, i preziosi hanno fatto un ulteriore passo avanti, così come i cereali che si erano affrancati dai recenti aumenti. Buona anche la performance dei coloniali che, oltre al sempre più carestoso cotone, hanno visto avanzare quasi tutti i prodotti. In deciso calo è risultato invece il settore energia che aveva già corso molto. L'indice CRB perciò si è portato su nuovi massimi a 277,58 punti realizzando un incremento dell'1,12%. A livello di sottosettori sono bazati i Textiles +2,15%, i Foodstyuffs +1,53%, i Fats & Oils +1,50% ed i Row Industrials +0,83%. In calo invece i Livestock -1,82% ed i Metals -0,64%.





PRODOTTI ENERGETICI
Tornano a raffreddarsi i prezzi del petrolio, croce e delizia degli operatori internazionali. In effetti, l'energia continua a rappresentare un problema cruciale, in vista dell'inverno che sta iniziando. Giocano in primo piano, tra l'altro, le incertezze relative alla politica dell'OPEC, dopo che le dichiarazioni del Presidente del cartello, Abdullah al-Attiah, sono sembrate anticipare un'inversione della politica di riduzione delle quote. Proprio ad inizio settimana, infatti, il numero uno dell'OPEC aveva ribadito la funzionalità del meccanismo di controllo del mercato, un correttore quasi automatico dei prezzi predisposto dal cartello secondo il quale, se i prezzi si fossero mantenuti superiori ai 28 dollari per più di venti giorni, si sarebbe proceduto ad un aumento del tetto produttivo. Non sembra unanime, tuttavia, il pensiero dei Paesi membri, dopo che lo stesso Segretario dell'OPEC Alvaro Silva, ha giudicato ben rifornito il mercato r dopo che il Ministro del petrolio venezuelano aveva ipotizzato un aumento del range di prezzi a 28-32 dollari. Buone nuove, comunque, sono giunte dal Department of Energy (DOE) statunitense che, pur avendo rilevato un decremento degli stocks di petrolio (-1,8 mbg su attese per un aumento di 2,3 mbg), ha rassicurato gli operatori pubblicando un dato sulle scorte di distillati ben superiore al previsto (+2,6 mbg contro i -1 mbg attesi), specie per gli stocks di heating oil che sono saliti di 1,6 mbg. In aumento anche le scorte di gasoline +1,4 mbg (attesi +2,3 mbg). Il prezzo del greggio è così scivolato in settimana, salvo recuperare dai minimi a fine ottava sulla notizia della chiusura di un impianto di raffinazione della ConocoPhillips in Louisiana. Il contratto di dicembre sul West Texas Intermediate ha così perso l'1,7% a 30,15 usd/barile mentre il medesimo contratto sul Brent si è posizionato a 29,03 usd/barile. Più netto il calo del gasoline per novembre -4,5% a 83,71 cents/gallone e del heating oil novembre -4,8% a 82,11 cents/gallone. IN netto calo anche il gas che si è riposizionato al di sotto dei 5 dollari a 4,786 dollari per MM BTU, dopo che il consueto report dell'EIA (Energy International Administration) ha rilevato un aumento delle scorte (storage) sulla parte alta delle attese e pari a 84 bcf (attesi 75-85 bcf). Il livello di salvaguardia così si avvicina, risultando gli stocks inferiori allo scorso anno di soli quattro punti percentuali. Le proiezioni sulle temperature, frattanto, deponevano a favore di un aumento degli stocks, rilevanto un clima nella norma per quasi tutta la nazione.

CEREALI
Tutti in crescita i cereali, anche il frumento ed il mais che di recente erano rimasti un po' indietro. Il rimbalzo del grano, che ha raggiunto i massimi da oltre un mese e mezzo a 3,69 dollari e ¼ per bushel (+12,49%), trova fondamento nella debolezza del dollaro che ha reso più appetibili i prodotti statunitensi. Rilanciando le speranze per un consistente aumento dell'export. In effetti, l'UDSA ha rilevato questa settimana un volume di esportazioni pari a circa 592 mila tonnellate, ben oltre le aspettative che stimavano un livello più limitato di 350-500 mila tonnellate. Un elemento di supporto è rappresentato anche dal clima, confermatosi ed atteso, per i prossimi giorni, sfavorevole. Le alte temperature e la siccità stanno minando la stagione 2003-2004 del hard red winter (HRW) wheat. Giocano, comunque, anche fattori di natura tecnica dopo che le quotazioni del frumento avbevano raggiunto importanti livelli di suppporto. Alle prese con un movimento tecnico anche il mais che ha riagganciato valori abbandonati un mese e mezzo fa portandosi a 2,35 dollari per bushel (+8,29%), nonostante l'outlook sul racolto rimanga un elemento di pressione sui prezzi (secondo le stime dell'USDA il raccolto ha raggiunto il 56%, in aumento rispetto al 39% della settimana prima ed al di sopra delle attese degli analisti). A suppporto delle quotazioni sono intervenuti anche i dati sull'export dopo un conspicuo ordine giunto in settimana da parte del Giappone, nonostante il report settimanale dell'USDA sulle esportazioni abbia sfiornato, con 754 mila tonnellate, la parte bassa del range atteso. Intanto ha continuato a lievitare il prezzo della soia, 7,62 dollari e ½ per bushel (+2,56%), a fronte di un bilancio domanda-offerta che evidezia u consistente deficit. Sul fronte della produzione i raccolti rimangono limitati. Un dato confermato dall'USDA che ha stimato il 74% del raccolto completato, un livello ben al di sotto delle attese degli analisti. Intanto dal lato della domanda potrebbero esservi dei razionamenti sui consumi statunitensi, a fronte di una domanda cinese che continuia a preoccupare i mercati. Mentre dalla Cine giungevano in settimana due ordini voluminosi per un totale di oltre 700 mila tonnellate, l'USDA stimava un volume dell'export di oltre 1 mln di tonnellate, di cui 535 mila tonnelate in viaggio verso la Cina.

METALLI
Si infiammano le quotazioni dei preziosi che tornano a cavalcare l'ionda rialzista. Sull'oro, in particolare, gli analisti tornano a guardare alla soglia dei 400 dollari dopo che il metallo ha raggiunto un livello record di 393 dollari per chiudere a 390,15 usd/oncia (+5%). A sostenere il metallo, oltre il cambio euro dollaro che ha raggiunto di nuovo 1,183 usd, i discreti acquisti da parte dell'India in vista dell'inizio delle festività del Diwali e del Ramadan. Sul platino, che ha raggiunto di nuovo i 741 dollari (+1,23%), giocano anche fattori di natura fondamentale, sulle attese per un consistente taglio produttivo da parte dell'africana Anglo American Platinum a causa degli elevati livelli raggiunti dal rand sudafricano nei confronti del biglietto verde. In aumento anche il palladio a 202 dollari per oncia (+1,5%) e l'argento a 518,5 cents per oncia (+5,4%). Intanto sul fronte dei metalli non ferrosi ha trovato una piccola correzione il rame a 89,05 cents/libbra (-0,17%), non senza aver evidenziato un'elevata volatilità per effetto di transazioni di natura essenzialmente speculativa. Certo è che l'outlook sull'offerta rimane comunque negativo anche se l'allarme lanciato dalla Freeport, in relazione ad un suo stabilimento in Indonesia, è stato in parte compensato dalla notizia della riapertura degli impianti di BHP Billiton a partire dal gennaio 2004 (un sito produttivo che torna ad essere conveniente dopo esser stato chiuso alcuni mesi fa per effetto del calo della domanda). Correzioni si sono viste anche sull'alluminio il cui prezzo settlement è sceso del 2% a 1.405 dollari la tonnellata, mentre ha continuato a volare il nickel (+2,3% a 11.190 il prezzo settlemente al LME), sostenuto amcora da stime per un deficit dell'offerta.

CARNI
Un bilancio settimanale senza dubbio negativo per le carni che hanno dovuto fare i conti con pesanti realizzi da parte dei fondi speculativi, dopo il rally messo a segno recentemente. Deciso il calo delle carni bovine, specie i feeder cattle che hanno più volte toccato il lock limit inferiore, chiudendo l'ottava in calo del 2,25% a 103,62 cents la libbra. Un movimento che era atteso dai mercati che evidenziavano una situazione di ipercomprato e che si è esaurito, a fine settimana, sulla scia di un rinnovato slancio dei prezzi cash. Un aumento peraltro giustificato dalla carenza dell'offerta anche se il report dell'USDA sui "cattle on feed" ha stimato sui ffedlots un livello pari al 98%, rimanendo neutrale rispetto alle stime degli analisti. In calo anche i live cattle che comunque hanno ceduto un modesto 0,20% a 99,15 cents/libbra. Più netta la flessione dei lean hogs (carne di maiale) a 52,45 cents/libbra (-3,14%), nono trovando a supporto un mercato cash brillante.

COLONIALI
Tornano a salire i prezzi dei prodotti delle colonie, anche il cacao, il caffè e lo zucchero che avevano visto consistenti ridimensionamenti nelle settimane precedenti. Sul mercato dei semi di cacao, il cui prezzo è rimbalzato dai minimi da 17 mesi a 1.432 dollari per tonnellata (+4,75%), hanno giocato i timori per un possibile calo dell'offerta dopo la protesta messa in atto dagli esportatori ivoriani per i cosidetti "minimum price", proposti dal Governo a favore dei produttori. Una protesta che sembra aver trovato un epilogo alla fine della settimana quando la Coffee and Cocoa Bourse (BCC) ha sottolineato che i minimi tariffari avevano soltanto natura indicativa, calmierando così il contrasto in corso. Intanto buone nuove giungevano anche dal Brasile dove gli arrivi da Bahia hanno ragiunto i 2,22 mln di sacchi da 60-kg (+28%). In deciso aumento anche il prezzo del caffè che ha toccato i 63,10 cents la libbra (+4,30%), sulla scia di ricoperture da parte dei fondi speculativi e di consistenti acquisti da parte delle società di torrefazione (roasters), stimolte queste ultime dai bassi prezzi raggiunti dal prodotto. Intanto a livello fondamentale il clima in Brasile rimane decisamente buono, mentre dal Vietnam è giunta notizia di un raccolto in netto aumento a 711 mila tonnellate (+29%). A confermare le previsioni di sovrabbondanza è interventura la stessa International Coffee Organization (ICO), che ha alzato le stime sulla produzione globale 2002/2003 a 118,8 mln di sacchi da 60-kg., al di sopra dei 118,4 mln stimati a giugno (il livello più alto degli ultimi 37 anni) e superiore alla media degli ultimi 5 anni pari a 100 mln. In salita anche i prezzi dello zucchero che comunque hanno limitato l'incremento nell'1,26% a 5,62 cents, su acquisti speculativi che sono stati in parte neutralizzati dalle vendite effettuate da parte dei produttori, sempre attenti a sfruttare qualsiasi incremento dei prezzi. La situazione fondamentale rimane sempre sfavorevole, specie dopo che l'export del Brasile è stato stimato in aumento di oltre l'11% nella stagione 2004. Rincara ancora il cotone che ha messo a segno un progresso dell'8,73% a 82,11 cents la libra, sui consistenti acquisti effettuati dall'industria cinese, sempre bisognosa della materia prima per il suo sviluppo. Ad infiammare i prezzi anche la speculazione che ha cavalcato l'onda rialzista. Intanto dal lato fonadamentale il mercsto continua ad evidenziare un copioso deficit, specie dopo che il Pakistan ha detto che il raccolto potrebbe cadere a 8 mln di balle (10,5 mln precedentemente stimati), per effetto del danneggiamento prodotto da una invasione di insetti. Intanto rimangono alti i livelli di export (635 mila balle stimate dall'USDA) sulla scia della consistente domanda della Cina (488 mila balle).

indicecrb27102003.gif
 
Sarà guerra commerciale tra Usa e Cina? Molti gli interrogativi sui mercati delle commodities (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)

Con un annuncio a sorpresa martedì sera, l'Amministrazione Bush ha scatenato un grande imbarazzo nella comunità economica mondiale, scatenando una fervida polemica sul futuro degli scambi internazionali. Secondo quanto annunciato dal Sottosegretario al Commercio, Grant Aldonas, il Governo statunitense starebbe predisponendo una nuova politica commerciale, al fine di proteggere le industrie statunitensi contro la strenua concorrenza delle imprese cinesi e le massiccie esportazioni di prodotti a basso costo. Un avviso è stato inviato al Governo di Pechino per annunciare che gli Usa potrebbero imporre a breve quote e altre barriere commerciali sull'importazione di materiale tessile in arrivo dalla Cina. Si tratta in particolare, di possibili restrizioni a tre categorie di abbigliamento: reggiseni, capi intimi e maglieria, prodotti che, in base agli accordi stretti tra i due Paesi, non dovrebbero superare il 7,5% delle importazioni via mare dalla Cina. In proposito il Deputato al Commercio Usa, Josette Shiner, ha tenuto a sottolieare che i cosidetti strumenti si "salvaguardia" per taluni settori a rischio sono proprio condizione sine qua non per l'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO). Il 2001, infatti, ha sancito l’entrata ufficiale della Cina nel WTO. Tale passo implica che progressivamente la Cina dovrà eliminare tutte le barriere doganali verso i prodotti provenienti da tutti gli altri Paesi membri del WTO e viceversa. Tuttavia, se da una parte la Cina costituisce un immenso bacino di consumo per i prodotti occidentali, dall’altra l’economia cinese rappresenta sicuramente una potenza industriale di primissimo piano nella concorrenza internazionale. Per rendere il processo di globalizzazione dell’economia graduale e meno traumatico, il protocollo di accesso al WTO ratificato dalla Cina prevede un periodo di 12 anni durante il quale i Paesi membri possono, nel corso del processo di liberalizzazione verso i prodotti cinesi, adottare misure di salvaguardia transitorie per difendere specifici settori dell’economia che possano entrare in grave crisi a seguito dell’improvvisa apertura alla concorrenza cinese.
In questo contesto anche la Commissione Europea, in seguito alle forti pressioni dei produttori italiani, aveva proposto nel 2002 l'adozione di una modifica al regolamento comunitario relativo al commercio tessile, istituendo un meccanismo di contenimento dell'import dalla Cina. A sua volta l'American Textile Manufacturers Institute, dopo aver rilevato un aumento del 119% dell'import statunitense di prodotti tessili dalla Cina nei primi sei mesi del 2002 aveva chiesto al Governo statunitense l'adozione di un sistema di quote su diverse categorie di prodotti tra cui i tessuti di maglieria, i guanti, le coperte, i costumi da bagno ecc. Il Dipartimento del commercio aveva risposto a queste pressioni attivando uno specifico Comitato incaricato di presiedere all'implementazione degli accordi tessili Cina-Usa. Non sembra cambiare, perciò, lo scenario concreto del commercio internazionale nel 2003. Quantitativi ben superiori alla soglia del 7,5% sarebbero arrivati sul suolo Usa. Nei primi nove mesi dell'anno si stima che le importazioni di reggiseni dalla Cina hanno evidenziato una crescita del 53%, i capi intimi fabbricati a mano addirittura del 78%, mentre i filati sono aumentati del 39%. Una crescita corposa, insomma, che ha trovato preoccupati anche gli attori europei.
L'aumento delle esportazioni a basso costo di prodotti tessili e di abbigliamento dalla Cina, infatti, viene considerata come una pesante minaccia dalle imprese delle principali aree di importazione (Giappone, Usa, Unione Europea) ma anche da quelle di Paesi emergenti le cui economie dipendono fortemente dal settore tessile (India, Indonesia, Turchia). Molto clamore è stato sollevato in qesti giorni proprio in ambito politico ed industriale dove si sono levate eminenti voci su entrambe le sponde dell'oceano. "La Cina sta eliminando tutti i competitors europei ma anche quelli dei Paesi in via di sviluppo e quelli statunitensi, ha affermato Jean-Francois Gribomont, capo di Eurocoton, un importante organismo europeo al commercio tessile. Essere più aggrassivi nel proteggere il business tessile europeo. Questa la proposta di Filip Libeerts, capo di Euratex, mentre il Responsabile al Commercio dell'Unione Europea, Pascal Lamy, mostrava grande preoccupazione in relazione al rischio che le esportazioni tessili cinesi potessero confluire sul suolo comunitario. Intanto sull'altra sponda dell'oceano gli esponenti dell'industria tessile americana applaudivano una proposta ritenuta più che mai opportuna, pur mostrando in qualche caso una certa esitazione in relazione a possibili ritorsioni da parte del Paese asiatico, da mesi molto impegnato nell'acquisto di materie prime in Usa. Immediata, in effetti, è stata la risposta cinese dopo che alcuni gruppi industriali hanno chiesto possibili azioni di ritorsione. Strano ma vero la delegazione di esperti che doveva giungere proprio questa settimana in Usa ha dovuto rimandare un viaggio annunciato da diverso tempo. Una questione di visti, è stato detto, anche se forti dubbi si nutrono sulla validità delle giustificazioni. Non meno accese le reazioni degli esponenti politici cinesi. Il vice ministro degli Esteri cinese Zhou Wenzhong, proprio ieri, ha richiamato l'ambasciatore americano a Pechino, Clark Randt, per esprimergli il suo "schock" per l'introduzione delle quote all'import tessile cinese. "Ulteriori azioni" inoltre non sono escluse, anche se il Segretario al Commercio Usa, Don Evans, aveva affermato che colloqui sono in corso con gli esponenti del Governo cinese. Dalla diatriba non è rimasto esente neanche il Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan che, intervenuto ad una conferenza monetaria a Washington, ha la lanciato un nuovo "slogan": eliminare il protezionismo e favorire la globalizzazione per garantire un sano sviluppo dell'economia mondiale.

LA CINA

Un Paese che presenta non solo una grande estensione territoriale ma anche il numero più elevato in termini di popolazione. Secondo i dati forniti dal Census del 1° novembre 2000 i "cinesini" attualmente abitanti sul suolo asiatico, incluse anche le provincie di Hong Kong, Macao, Taiwan ed altre isole minori, sono pari a circa 1.295 milioni (quasi 1,3 miliardi). In questo contesto non indifferente è stata la crescita dell'economia asiatica che, già da qualche anno, evidenzia tassi di crescita che hanno toccato anche le due cifre. L'ultimo dato sul Pil del terzo trimestre, diffuso dal National Bureau of Statistics (NBS) della Cina, evidenzia una crescita dell'8,5%, contro l'8,2% del secondo trimestre ed il 9,9% del primo trimestre. In termini commerciali invece il valore netto totale delle esportazioni ed importazioni della Cina nel primi tre trimestri è balzato del 36,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente attestandosi a 606,3 mln di dollari statunitensi, con un tasso di crescita medio del 17,9%. In particolare le esportazioni sono salite a 307,7 mld di dollari in aumento del 32,3% rispetto allo stesso periodo del 2002, mentre le importazioni hanno visto un incremento del 40,5% a 298,6 mld usd. Per aree geografiche il volume delle esportazioni verso l'Asia, L'America e L'Australia è balzato di circa il 30%, mentre le vendite verso l'Europa e la Russia hanno evidenziato un incremento di almeno il 40%.

I MERCATI


Consistenti potrebbero essere i riflessi sui mercati internazionali delle materie prime. Grande preoccupazione per il dibattito in corso è stata infatti palesata dagli operatori nelle commodities. In effetti, la Cina è stata la principale responsabile degli incrementi fatti registrare da diversi mercati in quest'ultimo periodo, grazie ai massicci acquisti di cotone, ma anche di grano, mais, soia e metalli. Si parla naturalmente di mercati che erano già in via di ritracciamento a causa di una situazione di forte ipercomparto, ma che non sono rimasti comunque a margine della polemica in corso. Il prezzo del cotone, in particolare, ha evidenziato nell'ultimo periodo un picco evidente, dopo che gli operatori asiatici erano più volte intervenuti per alimentare la "affamata" industria tessile nazionale. In soli tre giorni di contrattazioni (da martedì sera quando è giunta la notizia riguardante le quote Usa alle importazioni di cotone dalla Cina ), al NYCE di New York, il contratto sul cotone per consegna dicembre ha evidenziato un calo del 5,21%, scivolando a 70,24 cents la libbra dai 74,10 cents segnati alla chiusura di lunedì sera.

Sarà guerra commerciale tra Usa e Cina? Molti gli interrogativi sui mercati delle commodities (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)

Con un annuncio a sorpresa martedì sera, l'Amministrazione Bush ha scatenato un grande imbarazzo nella comunità economica mondiale, scatenando una fervida polemica sul futuro degli scambi internazionali. Secondo quanto annunciato dal Sottosegretario al Commercio, Grant Aldonas, il Governo statunitense starebbe predisponendo una nuova politica commerciale, al fine di proteggere le industrie statunitensi contro la strenua concorrenza delle imprese cinesi e le massiccie esportazioni di prodotti a basso costo. Un avviso è stato inviato al Governo di Pechino per annunciare che gli Usa potrebbero imporre a breve quote e altre barriere commerciali sull'importazione di materiale tessile in arrivo dalla Cina. Si tratta in particolare, di possibili restrizioni a tre categorie di abbigliamento: reggiseni, capi intimi e maglieria, prodotti che, in base agli accordi stretti tra i due Paesi, non dovrebbero superare il 7,5% delle importazioni via mare dalla Cina. In proposito il Deputato al Commercio Usa, Josette Shiner, ha tenuto a sottolieare che i cosidetti strumenti si "salvaguardia" per taluni settori a rischio sono proprio condizione sine qua non per l'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO). Il 2001, infatti, ha sancito l’entrata ufficiale della Cina nel WTO. Tale passo implica che progressivamente la Cina dovrà eliminare tutte le barriere doganali verso i prodotti provenienti da tutti gli altri Paesi membri del WTO e viceversa. Tuttavia, se da una parte la Cina costituisce un immenso bacino di consumo per i prodotti occidentali, dall’altra l’economia cinese rappresenta sicuramente una potenza industriale di primissimo piano nella concorrenza internazionale. Per rendere il processo di globalizzazione dell’economia graduale e meno traumatico, il protocollo di accesso al WTO ratificato dalla Cina prevede un periodo di 12 anni durante il quale i Paesi membri possono, nel corso del processo di liberalizzazione verso i prodotti cinesi, adottare misure di salvaguardia transitorie per difendere specifici settori dell’economia che possano entrare in grave crisi a seguito dell’improvvisa apertura alla concorrenza cinese.
In questo contesto anche la Commissione Europea, in seguito alle forti pressioni dei produttori italiani, aveva proposto nel 2002 l'adozione di una modifica al regolamento comunitario relativo al commercio tessile, istituendo un meccanismo di contenimento dell'import dalla Cina. A sua volta l'American Textile Manufacturers Institute, dopo aver rilevato un aumento del 119% dell'import statunitense di prodotti tessili dalla Cina nei primi sei mesi del 2002 aveva chiesto al Governo statunitense l'adozione di un sistema di quote su diverse categorie di prodotti tra cui i tessuti di maglieria, i guanti, le coperte, i costumi da bagno ecc. Il Dipartimento del commercio aveva risposto a queste pressioni attivando uno specifico Comitato incaricato di presiedere all'implementazione degli accordi tessili Cina-Usa. Non sembra cambiare, perciò, lo scenario concreto del commercio internazionale nel 2003. Quantitativi ben superiori alla soglia del 7,5% sarebbero arrivati sul suolo Usa. Nei primi nove mesi dell'anno si stima che le importazioni di reggiseni dalla Cina hanno evidenziato una crescita del 53%, i capi intimi fabbricati a mano addirittura del 78%, mentre i filati sono aumentati del 39%. Una crescita corposa, insomma, che ha trovato preoccupati anche gli attori europei.
L'aumento delle esportazioni a basso costo di prodotti tessili e di abbigliamento dalla Cina, infatti, viene considerata come una pesante minaccia dalle imprese delle principali aree di importazione (Giappone, Usa, Unione Europea) ma anche da quelle di Paesi emergenti le cui economie dipendono fortemente dal settore tessile (India, Indonesia, Turchia). Molto clamore è stato sollevato in qesti giorni proprio in ambito politico ed industriale dove si sono levate eminenti voci su entrambe le sponde dell'oceano. "La Cina sta eliminando tutti i competitors europei ma anche quelli dei Paesi in via di sviluppo e quelli statunitensi, ha affermato Jean-Francois Gribomont, capo di Eurocoton, un importante organismo europeo al commercio tessile. Essere più aggrassivi nel proteggere il business tessile europeo. Questa la proposta di Filip Libeerts, capo di Euratex, mentre il Responsabile al Commercio dell'Unione Europea, Pascal Lamy, mostrava grande preoccupazione in relazione al rischio che le esportazioni tessili cinesi potessero confluire sul suolo comunitario. Intanto sull'altra sponda dell'oceano gli esponenti dell'industria tessile americana applaudivano una proposta ritenuta più che mai opportuna, pur mostrando in qualche caso una certa esitazione in relazione a possibili ritorsioni da parte del Paese asiatico, da mesi molto impegnato nell'acquisto di materie prime in Usa. Immediata, in effetti, è stata la risposta cinese dopo che alcuni gruppi industriali hanno chiesto possibili azioni di ritorsione. Strano ma vero la delegazione di esperti che doveva giungere proprio questa settimana in Usa ha dovuto rimandare un viaggio annunciato da diverso tempo. Una questione di visti, è stato detto, anche se forti dubbi si nutrono sulla validità delle giustificazioni. Non meno accese le reazioni degli esponenti politici cinesi. Il vice ministro degli Esteri cinese Zhou Wenzhong, proprio ieri, ha richiamato l'ambasciatore americano a Pechino, Clark Randt, per esprimergli il suo "schock" per l'introduzione delle quote all'import tessile cinese. "Ulteriori azioni" inoltre non sono escluse, anche se il Segretario al Commercio Usa, Don Evans, aveva affermato che colloqui sono in corso con gli esponenti del Governo cinese. Dalla diatriba non è rimasto esente neanche il Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan che, intervenuto ad una conferenza monetaria a Washington, ha la lanciato un nuovo "slogan": eliminare il protezionismo e favorire la globalizzazione per garantire un sano sviluppo dell'economia mondiale.

LA CINA

Un Paese che presenta non solo una grande estensione territoriale ma anche il numero più elevato in termini di popolazione. Secondo i dati forniti dal Census del 1° novembre 2000 i "cinesini" attualmente abitanti sul suolo asiatico, incluse anche le provincie di Hong Kong, Macao, Taiwan ed altre isole minori, sono pari a circa 1.295 milioni (quasi 1,3 miliardi). In questo contesto non indifferente è stata la crescita dell'economia asiatica che, già da qualche anno, evidenzia tassi di crescita che hanno toccato anche le due cifre. L'ultimo dato sul Pil del terzo trimestre, diffuso dal National Bureau of Statistics (NBS) della Cina, evidenzia una crescita dell'8,5%, contro l'8,2% del secondo trimestre ed il 9,9% del primo trimestre. In termini commerciali invece il valore netto totale delle esportazioni ed importazioni della Cina nel primi tre trimestri è balzato del 36,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente attestandosi a 606,3 mln di dollari statunitensi, con un tasso di crescita medio del 17,9%. In particolare le esportazioni sono salite a 307,7 mld di dollari in aumento del 32,3% rispetto allo stesso periodo del 2002, mentre le importazioni hanno visto un incremento del 40,5% a 298,6 mld usd. Per aree geografiche il volume delle esportazioni verso l'Asia, L'America e L'Australia è balzato di circa il 30%, mentre le vendite verso l'Europa e la Russia hanno evidenziato un incremento di almeno il 40%.

I MERCATI


Consistenti potrebbero essere i riflessi sui mercati internazionali delle materie prime. Grande preoccupazione per il dibattito in corso è stata infatti palesata dagli operatori nelle commodities. In effetti, la Cina è stata la principale responsabile degli incrementi fatti registrare da diversi mercati in quest'ultimo periodo, grazie ai massicci acquisti di cotone, ma anche di grano, mais, soia e metalli. Si parla naturalmente di mercati che erano già in via di ritracciamento a causa di una situazione di forte ipercomparto, ma che non sono rimasti comunque a margine della polemica in corso. Il prezzo del cotone, in particolare, ha evidenziato nell'ultimo periodo un picco evidente, dopo che gli operatori asiatici erano più volte intervenuti per alimentare la "affamata" industria tessile nazionale. In soli tre giorni di contrattazioni (da martedì sera quando è giunta la notizia riguardante le quote Usa alle importazioni di cotone dalla Cina ), al NYCE di New York, il contratto sul cotone per consegna dicembre ha evidenziato un calo del 5,21%, scivolando a 70,24 cents la libbra dai 74,10 cents segnati alla chiusura di lunedì sera.



Riflessi evidenti si sono visti anche sul grano. Il contratto per consegna dicembre, al CBOT, ha evidenziato una discesa del 6,39% a 3,73 dollari e 1/2 per bhushel, avendo gli operatori contato su massicci acquisti di matrice cinese in occasione del tanto atteso vertice Usa-Cina che doveva svolgersi questa settimana. Giù anche la soia per consegna gennaio che ha registrato un deterioramento del 2,66% a 7,59 cents e 1/2 per bushel. Minore la perdita del mais a dicembre che ha ceduto solo l'1,36% a 2,35 dollari e 1/4 per bushel, nonostante la scorsa settimana sia stato confermato un raccolto da record per la stagione in corso. Limitato ancora l'impatto sui mercati delle commodities, affermano alcuni operatori, che confidano in una risoluzione accettabile della controversia.



Riflessi evidenti si sono visti anche sul grano. Il contratto per consegna dicembre, al CBOT, ha evidenziato una discesa del 6,39% a 3,73 dollari e 1/2 per bhushel, avendo gli operatori contato su massicci acquisti di matrice cinese in occasione del tanto atteso vertice Usa-Cina che doveva svolgersi questa settimana. Giù anche la soia per consegna gennaio che ha registrato un deterioramento del 2,66% a 7,59 cents e 1/2 per bushel. Minore la perdita del mais a dicembre che ha ceduto solo l'1,36% a 2,35 dollari e 1/4 per bushel, nonostante la scorsa settimana sia stato confermato un raccolto da record per la stagione in corso. Limitato ancora l'impatto sui mercati delle commodities, affermano alcuni operatori, che confidano in una risoluzione accettabile della controversia.

1069502803cotone.gif


1069502821grano3.gif
 
Commento settimanale materie prime N° 23 (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)

I FONDAMENTALI

Una settimana sostazialmente positiva per i mercati azionari Usa che hanno beneficiato di alcune conferme sul fronte macroeconomico oltrechè delle buone notizie provenienti dal fronte corporate. Superstar della settimana continua ad essere il mercato valutario, attentamente monitorato dagli operatori per effetto del continuo deprezzamento del dollaro contro le principali valutre mondiali. Un evento questo che avrebbe anche costretto la Banca Centrale del Giappone ad intervenire direttamente sui cambi, al fine di sostenere la ormai troppo forte moneta nipponica contro il biglietto verde. Un andamento controverso quello del dollaro se si guarda ai continui progressi delle borse mondiali. Da sempre infatti era esistita una correlazione tra la valuta americana ed i mercati azionari statunitensi, un agganciamento che si è rotto qualche tempo fa, quando la Federal Reserve è intervenuta senza troppo pensare sui tassi di interesse portandoli ai livelli minimi degli ultimi 45 anni. Ancora una volta, in effetti, il FOMC si è riunito per confermare l'attuale livello dei tassi, ribadendo tra l'altro che questi rimarranno bassi ancora per un lungo periodo di tempo. Una misura per contrastare i rischi di un possibile "double dip", anche se la congiuntura sembra confermare una robusta ripresa dell'economia a stelle e strisce. Grazie al basso costo del denaro ed ai corposi tagli fiscali decisi dall'Amministrazione Bush il volume degli investimenti e delle spese sembra riuscire a sostenere bene l'economia d'oltreoceano. Vigorose appaiono le spese delle famiglie, un dato confermato in settimana dalla crescita delle vendite al dettaglio (+0,9%), oltre le aspettative, e da un aumento delle scorte e vendite all'ingrosso rispettivamente dello 0,5% e del 2% (il livello più elevato dal 1999). Buone indicazioni queste, insieme a quelle giunte sul fronte conti con l'estero dove il deficit della bilancia commerciale Usa è salito solo lievemente a 41,8 mld di dollari, in linea con le aspettative degli analisti. Un risultato che non sorprende visto che un dollaro debole dovrebbe favorire un aumento dell'export statunitense. A fronte di tutto ciò la cautela sembra nettamente prevalere sui comportamenti più spregiudicati. Dopo una serie di note positive la fiducia dei consumatori, elaborata dall'Università del Michigan, ha registrato a dicembre una inversione di tendenza pur mantenendosi su livelli ancora elevati a 89,6 punti. Un dato che, comunque, ha deluso le aspettative che stimavano un ulteriore miglioramento del sentiment. In questo scenario si muovevano i mercati azionari mondiali che continuano ad inanellare progressi record. L'ottava è stata decisamente propizia per il Dow Jones che ha sfondato poderosamente i 10mila punti, rompendo una resistenza psicologica davvero molto importante. L'indice delle blue-chips statunitensi, infatti, si è fermato a 10.042,16 punti in vantaggio dell'1,82%. Sulla stessa scia l'indice Standard & Poor's 500 che ha guadagnato l'1,19% a 1.074,14 punti, mentre il nasdaq ha contenutoil progresso nello 0,58% a 1.949 punti, avendo corso maggiormente in precedenza.

MATERIE PRIME INDICE CRB

Nuovi record per il mercato delle commodities che, dopo la piccola pausa registrata a fine novembre, torna a testare nuovi massimi colocandosi ben al di sopra dei massimi raggiunti agli inizi di novembre. Una piccola correzione che era apparsa più che salutare per un mercato che, in quasi tutti i subsettori, andava evidenziando una situazione di ipercomprato. Ancora molta attenzione suli materiali legati al settore industriale come i prodotti energetici ed i metalli, che continuano a mettere a segno significativo progressi, sulla scia di qualche tensione dal lato del bilanciamento domanda-offerta. In evidenza anche i preziosi, specie l'oro che viene sostenuto dal deprezaamento del bigliletto verde ed i metalli usati anche dall'industria come il palldio ed il platino. L'indice CRBcosì ha toccasto nuovi massimi collocandosi a quota 284,02 punti in aumento dell'1,18% rispetto all'ottava precedente. In netto aumento la componente Fats&Oils che ha realizzato una plusvalenza del 4,32%, seguita dai Metals che sono balzati del 2,69%. Su anche il subindice Row Industrials +2,05% ed i Livestocks +2,15%. In leggero calo la componente Textiles -0,31% e i Foodstuffs -0,06%.


1071830585indicecrb15122003.gif



PRODOTTI ENERGETICI
Procede a grandi balzi il prezzo del petrolio che continua ad evidenziare forti contrasti sotto il profilo del bilanciamento domanda-offerta. La speculazione continua a mentenere elevati i prezzi del greggio, sui quali peraltro influiscono fattori eterogenei. Non trascurabile l'effetto meteorologico. Le indicazioni di temperature artiche nel Nord-Est degli Stati Uniti ha infatti provocato una vera e propria impennata delle quotazioni, che avevano raggiunto livelli già molto elevati la settimana precedente. Stime convergenti da parte di istituti meteorologici privati e del National Weather Service (NWS) americano hanno infatti confermato lunedì che la colonnina di mercurio avrebbe segnato per tutta le settimana temperature ben al di sotto della media stagionale. Un evento che, peraltro, doveva essere tenuto in debita considerazione dagli operatori, che hanno potuto godere di un novembre piuttosto mite. Non avrebbero dovuto così spaventare le stime avanzate dal NWS Usa secondo il quale il mese di dicembre dovrebbe risultare un mese più freddo della norma. In effetti le scorte accumulate sino ad ora dovrebbero essere sufficienti a superare l'inverno. Poco conto dovrebbe essere dato al drastico ridimensionamento degli stocks di petrolio, calati più delle attese solo per effetto di un aumento dell'attività di raffinazione. A tal proposito è da rilevare che un assottigliamento delle scorte è un fattore non inconsueto in questo periodo dell'anno, dato che le grandi raffinerie Usa in vista del bilancio tendono a dare un taglio alle scorte per finalità esclusivamente fiscali. Secondo i dati pubblicati dal Department of Energy Usa, nelle consuete statistiche settimanali, le scorte di petrolio sono crollate di 6,4 mbg a 277,9 mbg (-8,9 mbg per l'API), risentendo di un aumento della capacità di raffinazione che è salita dello 0,7% al 94,2%, nonostante un incremento dell'import di circa 400 mila barili. Gli stocks di distillati e di heating oil hanno invece continuato ad evidenziare un aumento pari rispettivamente a 1 mbg ed a 0,2 mbg, in linea con quanto emerso la settimana precedente. Il fattore che forse ha pesato di più è stato quello valutario dove la perdita di valore del dollaro continua a deteriorare il potere d'acquisto dei Paesi produttori. Immediate sono state le risposte dei Ministri dell'OPEC, specie del Segretario del cartello, Alvaro Silva, secondo il quale nel prossimo incontro di Algeri del 10 febbraio l'OPEC potrebbe decidere di commerciare l'oro nero in euro o in un basket composto da alcune delle principali valute internazionali. Un'affermazione questa che ha infervorato la speculazione dato che già da molto tempo si parlava di una possible conversione della valuta di riferimento per il petrolio. Già la Russia nei mesi scorsi aveva ventilato questa possibilità, provocando allora l'incredulità di molti competitors internazionali. Intanto dal medioriente continuano a giungere allarmi per gli attuali livelli dell'offerta e per le proiezioni che indicano un deciso calo della domanda a partire dal secondo trimestre del 2004. Proprio i timori per un drastico calo dei prezzi, infatti, rendono quasi certo un taglio produttivo nel meeting di febbraio, nonostante un incremento dei livelli di domanda annunciato in settimana dall'Energy Informatio Administratio (EIA) secondo la quale la domanda globale dovrebbe attestarsi a 81,2 mbg contro i 79,8 mbd precedentemente stimati. Il prezzo del Light Crude per consegna gennaio è balzato in una settimana del 7,52% a 33,04 dollari al barile mentre il medesimo contratto sul Brent ha concluso l'ottava a 30,37 dollari/barile in vantaggio del 5,67%. IN netto aumento anche i prezzi dei prodotti da riscaldamento, in vista di un aumento dei consumi per fine anno. L'haeting oil è salito del 7,18% a 92,56 cents al gallone,. In netto rialzo anche il gasoline che è aumentato del 5,77% a 90,04 cents al gallone. Similare la situazione del gas naturale che dopo il +25% messo a segno la settimana precedente ha aggiunto un guadagno del 17,7% portandosi al di dopra dei 7 dollari a 7,2210 usd per MMBTU, dopo aver messo a segno solo lunedì un incremento pari al 13%. Una boletta energetica piuttosto cara, insomma, per le famiglie americane che dovranno affrontare spese maggiori per il riscaldamento invernale. Una situazione che si fa piuttosto tesa anche perché solitamente un livello superiore ai 6 dollari viene già considerato oneroso per gli Stati Uniti. Un movimento che si comprende poco anche perchè i livelli di stock rimangono adeguati poco sotto i 3.000 bcf, un livello che si considera adeguato per affrontare l'inverno, nonostante l'EIA abbia annunciato in settimana un calo degli storage di 111 bcf che lasciano le scorte attuali al di sopra di quelle dell'anno prima di 190 bccf e di 79 bcf al di sopra della media degli ultimi cinque anni. Alcuni operatori appaiono infatti scettici circa possibili ulteriori aumenti del gas, vedendo un mercato che ha corso forse troppo rispetto alla situazione fondamentale, che appare ancora sostanzialmente buona.

CEREALI
Si chiude con un netto calo del grano l'ottava dei cereali, nonostante gli aumento registrati dai prodotti foraggeri. A penalizzare il frumento, il cui prezzo ha registrato un calo del 2,69% a 3,80 dollari e 1/2 per bushel, una serie di vendita da parte dei fondi speculativi e la mancanza di notizie sul fronte dell'esport. L'ottava sembrava iniziata bene, avendo il grano messo a segno ampi guadagni, sulla scia delle speranze per un incremento dell'export statunitense verso la Cina e sull'onda del consistente deprezzamento del dollaro, che ha reso i prodotti americani ben più convenienti rispetto agli altroi esportatori mondiali come il Canada e l'Australia. Un vero e proprio capitombolo si è registrato verso la fine della settimana quando il Wheat Board del Canada ha annunciato per l'anno prossimo un accordo di vendita di grano alla Cina per circa 500 mila tonnellate. Un colpo questo per gli operatori statunitensi che contavano in un aumento delle esportazioni verso il Paese asiatico. Pressochè neutrale è risultato invece il rapporto mensile dell'USDA su domanda ed offerta, avendo ridotto lievemente gli stocks Usa di fine anno a 583 mln di bushels contro i 608 mln precedentemente stimati ed aumentato quelli globali a 127,93 mln di tonnellate. Sul fronte produzione invece un taglio delle stime di raccolto per l'Argentina e l'Europa si è confrontato con un incremento delle previsioni per il Canada il cui output dovrebbe attestarsi a 23,5 mln/t. UNa settimana migliore si è conclusa invece per il mais che è balzato del 3,35% a 2,54 dollari e 3/4 per bushel, nonostante un report mensile dell'USDA apparso sostanzialmente in linea con le aspettative. Il Dipartimento dell'agricoltura americano in particolare ha tagliato gli stocks finali mondiali a 74,24 mln/t dai 76,45 mln/t e di quelli statunitensi a 1,299 mld di bushels. Maggior supporto è stato fornito dalle statistiche settimanali sulle vendite che, con un volume di 1,037 mln di bushels hanno superato ampiamente le aspettative degli analisti. Buona ottava anche per la soia il cui valore è aumentato di circa il 2% attestandosi a 7,76 dollari e 1/4 per bushels, al di sotto dei massimi raggiunti nel corso della settimana. Gli acquisti inizialmente erano stati stimolati dalle speranze per un incremento delle vendite verso la Cina, dopo che il Ministro al Commercio cinese ha dichiarato che il suo Paese potrebbe aumentare le quote importate dagli Usa. I prezzi dei soybeans hanno così raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni e mezzo,per poi scivolare a fine settimana sulla scia del report mensile dell'USDA sui livelli di domanda ed offerta. il Dipartimento dell'Agricoltura, infatti, ha lasciato invariate le stime sugli stocks di fine anno che rimangono comunque sui livelli minimi degli ultimi 27 anni, nonostante gli operatori attendessero un poderoso taglio delle stime sugli stocks.

METALLI
Amcora in alto e sempre più in alto i prezzi dei metalli che continuano a beneficiare di una corposa domanda per usi industriali, oltrechè del consistente deprezzamento del dollaro che ha raggiunto nuovi minimi storici nei confronti della valuta europea a 1,23 dollari. Il prezzo dell'oro, dopo aver toccato nuovi record a 412 dollari per oncia, è ridisceso leggermente a fine settimana sulla scia di qualche piccola presa di profitto, pur terminando in rialzo rispetto al venerdì precedente a 409,5 usd/oncia in vantaggio dello 0,79%. Nuovi record sono stati raggiunti in settimana anche dagli altri metalli preziosi che hanno comunque concluso poco sotto i massimi raggiunti. L'argento ha messo a segno un incremento del 2,37% a 560,5 cents l'oncia. Più massicci gli aumento per gli altrei due metalli preziosi, suscettibili di essere impiegati dall'industria per la construzione di marmitte catalitiche l'uno e di pile l'altro. Il palladio in particolare è volato a 822 dollari l'oncia in rialzo del 3,53%, dopèo che la scorsa settimana la Anglo American Platinum ha tagliato le stime di produzione dell'anno. Bene anche il platino a 216 usd/oncia in crescita del 5,88%. Tra i non ferrosi, che continuano ad essere prepotentemente acquistati dagli operatori cinesi, è salito ancora il rame sulla scia anche dei timori circa un possibile calo dell'offerta per effetto di uno sciopero che sta riguardando l'operatore cileno Codelco. Il red copper per consegna dicembre è infatti salito dell'1,81% a 98,65 cents la libbra, trascinando con se gli altri preziosi quotati al London Metal Exchange. Ancora in volata il nickel che ha concluso l'ottava sopra i 13 mila dollari a 13.300 usd in aumento del 4,15%. Bene anche il piombo a 685 usd (+0,74%) e lo zinco a 974 usd (+0,31%). In leggero calo ha concluso invece l'alluminion il cui prezzo è scoso dello 0,4% a 1.546 dollari.

CARNI
Ancora molto volatili i prezzi delle carni che non sembrano ancora evidenziare un movimento univoco, ora goinfiate da eccessiva speculazione, ora crollati sulla scia di realizzi da parte dei fondi speculativi. Di cenrto c'è che il settimanale è ancora una volta negativo, sia per i feeder cattle che hanno ceduto il 3,81% a 94,55 cents sia per i live cattle che sono scesi del 3,44% a 93,25 cents la libbra. Un'ondata di freddo nel Nord-Est degli usa, dove hanno sede molti allevamenti, aveva inizialmente gonfiato i prezzi dei bovini, scivolati successivante sull'onda dei quieti prezzi sul cash. Stime climatiche sfavorevoli hanno invece sostenuto maggiormente i prezzi della carne di maiale portandone il prezzo a 49,85 cents la libbra in crescita dell'1,63%.

COLONIALI
Ancora rally per il cacao che è tornato a cavalcare un'ondata rialzista, sulla speculazione rivivificatasi per i timori per un calo del raccolto ivoriano. Le vicendo politiche della Costa d'Avorio rappresentano infatti un elemento di grande supporto per il prodotto dolciario, anche perché un taglio della produzione del Paese sudafricano, che conta per circa il 40% dell'offerta mondiale, non mancherebbe di avere ripercussioni evidenti sui mercati mondiali. In effetti i volumi esportati sinora sui porti ivoriani, dove il prodotto fatica ad arrivare, si trovano ben al di sotto dei livelli dello scorso anno e continuano a deludere le attese degli operatori. Il cocoa così è balzato sui massimi degli ultimi sette mesi, salvo poi correggere a fine settimana sulla scia di qualche realizzo, archiviando l'ottava in vantaggio del 3,72% a 1.644 dollari per tonnellata. Una settimana positiva si è conclusa comunque anche per il mercato del cafféche è balzato dell'1,78% a 63 cents la libbra, dopo cheil Dipartimento dell'Agricoltura stauntetense ha annunciato un calo del raccolto brasiliano a 32 mln di sacchi da 60kg, una cifra che è inferiore alle stime annunciate la settimana prima del Ministero del Brasile pari a 35,79 sacchi da 60 Kg. In crescita anche lo zicchero +1,80% a 6,77 cents la libbra, nonostante il mercato continui ad evidenziare un corpuso surplus. In calo ha concluso invece il cotone che ha ceduto l'1,65% a 70,31 cents la libbra, dopo aver raggiunto nuovi massimi nel corso della settimana. A deprimere lq uotazioni della fibbra naturale il deludente rapporto sulle vendite settimanali, specie per la componente di domanda da parte della Cina, che è apparsa decisamente inferiore alle aspettative del mercato. Ancora qualche tensione si percepisce in relazione ai rapporti commerciali tra Usa e Cina, dato che i fìriflessi di possibili azioni ritorsive del Paese asiatico alla imposizione di quite sui prodotti tessi da parte degli Stati Uniti non si vedranno ancora per qualche tempo.
 
Commento settimanale materie prime N° 23 (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)

I FONDAMENTALI

Una settimana sostazialmente positiva per i mercati azionari Usa che hanno beneficiato di alcune conferme sul fronte macroeconomico oltrechè delle buone notizie provenienti dal fronte corporate. Superstar della settimana continua ad essere il mercato valutario, attentamente monitorato dagli operatori per effetto del continuo deprezzamento del dollaro contro le principali valutre mondiali. Un evento questo che avrebbe anche costretto la Banca Centrale del Giappone ad intervenire direttamente sui cambi, al fine di sostenere la ormai troppo forte moneta nipponica contro il biglietto verde. Un andamento controverso quello del dollaro se si guarda ai continui progressi delle borse mondiali. Da sempre infatti era esistita una correlazione tra la valuta americana ed i mercati azionari statunitensi, un agganciamento che si è rotto qualche tempo fa, quando la Federal Reserve è intervenuta senza troppo pensare sui tassi di interesse portandoli ai livelli minimi degli ultimi 45 anni. Ancora una volta, in effetti, il FOMC si è riunito per confermare l'attuale livello dei tassi, ribadendo tra l'altro che questi rimarranno bassi ancora per un lungo periodo di tempo. Una misura per contrastare i rischi di un possibile "double dip", anche se la congiuntura sembra confermare una robusta ripresa dell'economia a stelle e strisce. Grazie al basso costo del denaro ed ai corposi tagli fiscali decisi dall'Amministrazione Bush il volume degli investimenti e delle spese sembra riuscire a sostenere bene l'economia d'oltreoceano. Vigorose appaiono le spese delle famiglie, un dato confermato in settimana dalla crescita delle vendite al dettaglio (+0,9%), oltre le aspettative, e da un aumento delle scorte e vendite all'ingrosso rispettivamente dello 0,5% e del 2% (il livello più elevato dal 1999). Buone indicazioni queste, insieme a quelle giunte sul fronte conti con l'estero dove il deficit della bilancia commerciale Usa è salito solo lievemente a 41,8 mld di dollari, in linea con le aspettative degli analisti. Un risultato che non sorprende visto che un dollaro debole dovrebbe favorire un aumento dell'export statunitense. A fronte di tutto ciò la cautela sembra nettamente prevalere sui comportamenti più spregiudicati. Dopo una serie di note positive la fiducia dei consumatori, elaborata dall'Università del Michigan, ha registrato a dicembre una inversione di tendenza pur mantenendosi su livelli ancora elevati a 89,6 punti. Un dato che, comunque, ha deluso le aspettative che stimavano un ulteriore miglioramento del sentiment. In questo scenario si muovevano i mercati azionari mondiali che continuano ad inanellare progressi record. L'ottava è stata decisamente propizia per il Dow Jones che ha sfondato poderosamente i 10mila punti, rompendo una resistenza psicologica davvero molto importante. L'indice delle blue-chips statunitensi, infatti, si è fermato a 10.042,16 punti in vantaggio dell'1,82%. Sulla stessa scia l'indice Standard & Poor's 500 che ha guadagnato l'1,19% a 1.074,14 punti, mentre il nasdaq ha contenutoil progresso nello 0,58% a 1.949 punti, avendo corso maggiormente in precedenza.

MATERIE PRIME INDICE CRB

Nuovi record per il mercato delle commodities che, dopo la piccola pausa registrata a fine novembre, torna a testare nuovi massimi colocandosi ben al di sopra dei massimi raggiunti agli inizi di novembre. Una piccola correzione che era apparsa più che salutare per un mercato che, in quasi tutti i subsettori, andava evidenziando una situazione di ipercomprato. Ancora molta attenzione suli materiali legati al settore industriale come i prodotti energetici ed i metalli, che continuano a mettere a segno significativo progressi, sulla scia di qualche tensione dal lato del bilanciamento domanda-offerta. In evidenza anche i preziosi, specie l'oro che viene sostenuto dal deprezaamento del bigliletto verde ed i metalli usati anche dall'industria come il palldio ed il platino. L'indice CRBcosì ha toccasto nuovi massimi collocandosi a quota 284,02 punti in aumento dell'1,18% rispetto all'ottava precedente. In netto aumento la componente Fats&Oils che ha realizzato una plusvalenza del 4,32%, seguita dai Metals che sono balzati del 2,69%. Su anche il subindice Row Industrials +2,05% ed i Livestocks +2,15%. In leggero calo la componente Textiles -0,31% e i Foodstuffs -0,06%.


1071830585indicecrb15122003.gif



PRODOTTI ENERGETICI
Procede a grandi balzi il prezzo del petrolio che continua ad evidenziare forti contrasti sotto il profilo del bilanciamento domanda-offerta. La speculazione continua a mentenere elevati i prezzi del greggio, sui quali peraltro influiscono fattori eterogenei. Non trascurabile l'effetto meteorologico. Le indicazioni di temperature artiche nel Nord-Est degli Stati Uniti ha infatti provocato una vera e propria impennata delle quotazioni, che avevano raggiunto livelli già molto elevati la settimana precedente. Stime convergenti da parte di istituti meteorologici privati e del National Weather Service (NWS) americano hanno infatti confermato lunedì che la colonnina di mercurio avrebbe segnato per tutta le settimana temperature ben al di sotto della media stagionale. Un evento che, peraltro, doveva essere tenuto in debita considerazione dagli operatori, che hanno potuto godere di un novembre piuttosto mite. Non avrebbero dovuto così spaventare le stime avanzate dal NWS Usa secondo il quale il mese di dicembre dovrebbe risultare un mese più freddo della norma. In effetti le scorte accumulate sino ad ora dovrebbero essere sufficienti a superare l'inverno. Poco conto dovrebbe essere dato al drastico ridimensionamento degli stocks di petrolio, calati più delle attese solo per effetto di un aumento dell'attività di raffinazione. A tal proposito è da rilevare che un assottigliamento delle scorte è un fattore non inconsueto in questo periodo dell'anno, dato che le grandi raffinerie Usa in vista del bilancio tendono a dare un taglio alle scorte per finalità esclusivamente fiscali. Secondo i dati pubblicati dal Department of Energy Usa, nelle consuete statistiche settimanali, le scorte di petrolio sono crollate di 6,4 mbg a 277,9 mbg (-8,9 mbg per l'API), risentendo di un aumento della capacità di raffinazione che è salita dello 0,7% al 94,2%, nonostante un incremento dell'import di circa 400 mila barili. Gli stocks di distillati e di heating oil hanno invece continuato ad evidenziare un aumento pari rispettivamente a 1 mbg ed a 0,2 mbg, in linea con quanto emerso la settimana precedente. Il fattore che forse ha pesato di più è stato quello valutario dove la perdita di valore del dollaro continua a deteriorare il potere d'acquisto dei Paesi produttori. Immediate sono state le risposte dei Ministri dell'OPEC, specie del Segretario del cartello, Alvaro Silva, secondo il quale nel prossimo incontro di Algeri del 10 febbraio l'OPEC potrebbe decidere di commerciare l'oro nero in euro o in un basket composto da alcune delle principali valute internazionali. Un'affermazione questa che ha infervorato la speculazione dato che già da molto tempo si parlava di una possible conversione della valuta di riferimento per il petrolio. Già la Russia nei mesi scorsi aveva ventilato questa possibilità, provocando allora l'incredulità di molti competitors internazionali. Intanto dal medioriente continuano a giungere allarmi per gli attuali livelli dell'offerta e per le proiezioni che indicano un deciso calo della domanda a partire dal secondo trimestre del 2004. Proprio i timori per un drastico calo dei prezzi, infatti, rendono quasi certo un taglio produttivo nel meeting di febbraio, nonostante un incremento dei livelli di domanda annunciato in settimana dall'Energy Informatio Administratio (EIA) secondo la quale la domanda globale dovrebbe attestarsi a 81,2 mbg contro i 79,8 mbd precedentemente stimati. Il prezzo del Light Crude per consegna gennaio è balzato in una settimana del 7,52% a 33,04 dollari al barile mentre il medesimo contratto sul Brent ha concluso l'ottava a 30,37 dollari/barile in vantaggio del 5,67%. IN netto aumento anche i prezzi dei prodotti da riscaldamento, in vista di un aumento dei consumi per fine anno. L'haeting oil è salito del 7,18% a 92,56 cents al gallone,. In netto rialzo anche il gasoline che è aumentato del 5,77% a 90,04 cents al gallone. Similare la situazione del gas naturale che dopo il +25% messo a segno la settimana precedente ha aggiunto un guadagno del 17,7% portandosi al di dopra dei 7 dollari a 7,2210 usd per MMBTU, dopo aver messo a segno solo lunedì un incremento pari al 13%. Una boletta energetica piuttosto cara, insomma, per le famiglie americane che dovranno affrontare spese maggiori per il riscaldamento invernale. Una situazione che si fa piuttosto tesa anche perché solitamente un livello superiore ai 6 dollari viene già considerato oneroso per gli Stati Uniti. Un movimento che si comprende poco anche perchè i livelli di stock rimangono adeguati poco sotto i 3.000 bcf, un livello che si considera adeguato per affrontare l'inverno, nonostante l'EIA abbia annunciato in settimana un calo degli storage di 111 bcf che lasciano le scorte attuali al di sopra di quelle dell'anno prima di 190 bccf e di 79 bcf al di sopra della media degli ultimi cinque anni. Alcuni operatori appaiono infatti scettici circa possibili ulteriori aumenti del gas, vedendo un mercato che ha corso forse troppo rispetto alla situazione fondamentale, che appare ancora sostanzialmente buona.

CEREALI
Si chiude con un netto calo del grano l'ottava dei cereali, nonostante gli aumento registrati dai prodotti foraggeri. A penalizzare il frumento, il cui prezzo ha registrato un calo del 2,69% a 3,80 dollari e 1/2 per bushel, una serie di vendita da parte dei fondi speculativi e la mancanza di notizie sul fronte dell'esport. L'ottava sembrava iniziata bene, avendo il grano messo a segno ampi guadagni, sulla scia delle speranze per un incremento dell'export statunitense verso la Cina e sull'onda del consistente deprezzamento del dollaro, che ha reso i prodotti americani ben più convenienti rispetto agli altroi esportatori mondiali come il Canada e l'Australia. Un vero e proprio capitombolo si è registrato verso la fine della settimana quando il Wheat Board del Canada ha annunciato per l'anno prossimo un accordo di vendita di grano alla Cina per circa 500 mila tonnellate. Un colpo questo per gli operatori statunitensi che contavano in un aumento delle esportazioni verso il Paese asiatico. Pressochè neutrale è risultato invece il rapporto mensile dell'USDA su domanda ed offerta, avendo ridotto lievemente gli stocks Usa di fine anno a 583 mln di bushels contro i 608 mln precedentemente stimati ed aumentato quelli globali a 127,93 mln di tonnellate. Sul fronte produzione invece un taglio delle stime di raccolto per l'Argentina e l'Europa si è confrontato con un incremento delle previsioni per il Canada il cui output dovrebbe attestarsi a 23,5 mln/t. UNa settimana migliore si è conclusa invece per il mais che è balzato del 3,35% a 2,54 dollari e 3/4 per bushel, nonostante un report mensile dell'USDA apparso sostanzialmente in linea con le aspettative. Il Dipartimento dell'agricoltura americano in particolare ha tagliato gli stocks finali mondiali a 74,24 mln/t dai 76,45 mln/t e di quelli statunitensi a 1,299 mld di bushels. Maggior supporto è stato fornito dalle statistiche settimanali sulle vendite che, con un volume di 1,037 mln di bushels hanno superato ampiamente le aspettative degli analisti. Buona ottava anche per la soia il cui valore è aumentato di circa il 2% attestandosi a 7,76 dollari e 1/4 per bushels, al di sotto dei massimi raggiunti nel corso della settimana. Gli acquisti inizialmente erano stati stimolati dalle speranze per un incremento delle vendite verso la Cina, dopo che il Ministro al Commercio cinese ha dichiarato che il suo Paese potrebbe aumentare le quote importate dagli Usa. I prezzi dei soybeans hanno così raggiunto i massimi degli ultimi cinque anni e mezzo,per poi scivolare a fine settimana sulla scia del report mensile dell'USDA sui livelli di domanda ed offerta. il Dipartimento dell'Agricoltura, infatti, ha lasciato invariate le stime sugli stocks di fine anno che rimangono comunque sui livelli minimi degli ultimi 27 anni, nonostante gli operatori attendessero un poderoso taglio delle stime sugli stocks.

METALLI
Amcora in alto e sempre più in alto i prezzi dei metalli che continuano a beneficiare di una corposa domanda per usi industriali, oltrechè del consistente deprezzamento del dollaro che ha raggiunto nuovi minimi storici nei confronti della valuta europea a 1,23 dollari. Il prezzo dell'oro, dopo aver toccato nuovi record a 412 dollari per oncia, è ridisceso leggermente a fine settimana sulla scia di qualche piccola presa di profitto, pur terminando in rialzo rispetto al venerdì precedente a 409,5 usd/oncia in vantaggio dello 0,79%. Nuovi record sono stati raggiunti in settimana anche dagli altri metalli preziosi che hanno comunque concluso poco sotto i massimi raggiunti. L'argento ha messo a segno un incremento del 2,37% a 560,5 cents l'oncia. Più massicci gli aumento per gli altrei due metalli preziosi, suscettibili di essere impiegati dall'industria per la construzione di marmitte catalitiche l'uno e di pile l'altro. Il palladio in particolare è volato a 822 dollari l'oncia in rialzo del 3,53%, dopèo che la scorsa settimana la Anglo American Platinum ha tagliato le stime di produzione dell'anno. Bene anche il platino a 216 usd/oncia in crescita del 5,88%. Tra i non ferrosi, che continuano ad essere prepotentemente acquistati dagli operatori cinesi, è salito ancora il rame sulla scia anche dei timori circa un possibile calo dell'offerta per effetto di uno sciopero che sta riguardando l'operatore cileno Codelco. Il red copper per consegna dicembre è infatti salito dell'1,81% a 98,65 cents la libbra, trascinando con se gli altri preziosi quotati al London Metal Exchange. Ancora in volata il nickel che ha concluso l'ottava sopra i 13 mila dollari a 13.300 usd in aumento del 4,15%. Bene anche il piombo a 685 usd (+0,74%) e lo zinco a 974 usd (+0,31%). In leggero calo ha concluso invece l'alluminion il cui prezzo è scoso dello 0,4% a 1.546 dollari.

CARNI
Ancora molto volatili i prezzi delle carni che non sembrano ancora evidenziare un movimento univoco, ora goinfiate da eccessiva speculazione, ora crollati sulla scia di realizzi da parte dei fondi speculativi. Di cenrto c'è che il settimanale è ancora una volta negativo, sia per i feeder cattle che hanno ceduto il 3,81% a 94,55 cents sia per i live cattle che sono scesi del 3,44% a 93,25 cents la libbra. Un'ondata di freddo nel Nord-Est degli usa, dove hanno sede molti allevamenti, aveva inizialmente gonfiato i prezzi dei bovini, scivolati successivante sull'onda dei quieti prezzi sul cash. Stime climatiche sfavorevoli hanno invece sostenuto maggiormente i prezzi della carne di maiale portandone il prezzo a 49,85 cents la libbra in crescita dell'1,63%.

COLONIALI
Ancora rally per il cacao che è tornato a cavalcare un'ondata rialzista, sulla speculazione rivivificatasi per i timori per un calo del raccolto ivoriano. Le vicendo politiche della Costa d'Avorio rappresentano infatti un elemento di grande supporto per il prodotto dolciario, anche perché un taglio della produzione del Paese sudafricano, che conta per circa il 40% dell'offerta mondiale, non mancherebbe di avere ripercussioni evidenti sui mercati mondiali. In effetti i volumi esportati sinora sui porti ivoriani, dove il prodotto fatica ad arrivare, si trovano ben al di sotto dei livelli dello scorso anno e continuano a deludere le attese degli operatori. Il cocoa così è balzato sui massimi degli ultimi sette mesi, salvo poi correggere a fine settimana sulla scia di qualche realizzo, archiviando l'ottava in vantaggio del 3,72% a 1.644 dollari per tonnellata. Una settimana positiva si è conclusa comunque anche per il mercato del cafféche è balzato dell'1,78% a 63 cents la libbra, dopo cheil Dipartimento dell'Agricoltura stauntetense ha annunciato un calo del raccolto brasiliano a 32 mln di sacchi da 60kg, una cifra che è inferiore alle stime annunciate la settimana prima del Ministero del Brasile pari a 35,79 sacchi da 60 Kg. In crescita anche lo zicchero +1,80% a 6,77 cents la libbra, nonostante il mercato continui ad evidenziare un corpuso surplus. In calo ha concluso invece il cotone che ha ceduto l'1,65% a 70,31 cents la libbra, dopo aver raggiunto nuovi massimi nel corso della settimana. A deprimere lq uotazioni della fibbra naturale il deludente rapporto sulle vendite settimanali, specie per la componente di domanda da parte della Cina, che è apparsa decisamente inferiore alle aspettative del mercato. Ancora qualche tensione si percepisce in relazione ai rapporti commerciali tra Usa e Cina, dato che i fìriflessi di possibili azioni ritorsive del Paese asiatico alla imposizione di quite sui prodotti tessi da parte degli Stati Uniti non si vedranno ancora per qualche tempo.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto