Sarà guerra commerciale tra Usa e Cina? Molti gli interrogativi sui mercati delle commodities (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)
Con un annuncio a sorpresa martedì sera, l'Amministrazione Bush ha scatenato un grande imbarazzo nella comunità economica mondiale, scatenando una fervida polemica sul futuro degli scambi internazionali. Secondo quanto annunciato dal Sottosegretario al Commercio, Grant Aldonas, il Governo statunitense starebbe predisponendo una nuova politica commerciale, al fine di proteggere le industrie statunitensi contro la strenua concorrenza delle imprese cinesi e le massiccie esportazioni di prodotti a basso costo. Un avviso è stato inviato al Governo di Pechino per annunciare che gli Usa potrebbero imporre a breve quote e altre barriere commerciali sull'importazione di materiale tessile in arrivo dalla Cina. Si tratta in particolare, di possibili restrizioni a tre categorie di abbigliamento: reggiseni, capi intimi e maglieria, prodotti che, in base agli accordi stretti tra i due Paesi, non dovrebbero superare il 7,5% delle importazioni via mare dalla Cina. In proposito il Deputato al Commercio Usa, Josette Shiner, ha tenuto a sottolieare che i cosidetti strumenti si "salvaguardia" per taluni settori a rischio sono proprio condizione sine qua non per l'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO). Il 2001, infatti, ha sancito l’entrata ufficiale della Cina nel WTO. Tale passo implica che progressivamente la Cina dovrà eliminare tutte le barriere doganali verso i prodotti provenienti da tutti gli altri Paesi membri del WTO e viceversa. Tuttavia, se da una parte la Cina costituisce un immenso bacino di consumo per i prodotti occidentali, dall’altra l’economia cinese rappresenta sicuramente una potenza industriale di primissimo piano nella concorrenza internazionale. Per rendere il processo di globalizzazione dell’economia graduale e meno traumatico, il protocollo di accesso al WTO ratificato dalla Cina prevede un periodo di 12 anni durante il quale i Paesi membri possono, nel corso del processo di liberalizzazione verso i prodotti cinesi, adottare misure di salvaguardia transitorie per difendere specifici settori dell’economia che possano entrare in grave crisi a seguito dell’improvvisa apertura alla concorrenza cinese.
In questo contesto anche la Commissione Europea, in seguito alle forti pressioni dei produttori italiani, aveva proposto nel 2002 l'adozione di una modifica al regolamento comunitario relativo al commercio tessile, istituendo un meccanismo di contenimento dell'import dalla Cina. A sua volta l'American Textile Manufacturers Institute, dopo aver rilevato un aumento del 119% dell'import statunitense di prodotti tessili dalla Cina nei primi sei mesi del 2002 aveva chiesto al Governo statunitense l'adozione di un sistema di quote su diverse categorie di prodotti tra cui i tessuti di maglieria, i guanti, le coperte, i costumi da bagno ecc. Il Dipartimento del commercio aveva risposto a queste pressioni attivando uno specifico Comitato incaricato di presiedere all'implementazione degli accordi tessili Cina-Usa. Non sembra cambiare, perciò, lo scenario concreto del commercio internazionale nel 2003. Quantitativi ben superiori alla soglia del 7,5% sarebbero arrivati sul suolo Usa. Nei primi nove mesi dell'anno si stima che le importazioni di reggiseni dalla Cina hanno evidenziato una crescita del 53%, i capi intimi fabbricati a mano addirittura del 78%, mentre i filati sono aumentati del 39%. Una crescita corposa, insomma, che ha trovato preoccupati anche gli attori europei.
L'aumento delle esportazioni a basso costo di prodotti tessili e di abbigliamento dalla Cina, infatti, viene considerata come una pesante minaccia dalle imprese delle principali aree di importazione (Giappone, Usa, Unione Europea) ma anche da quelle di Paesi emergenti le cui economie dipendono fortemente dal settore tessile (India, Indonesia, Turchia). Molto clamore è stato sollevato in qesti giorni proprio in ambito politico ed industriale dove si sono levate eminenti voci su entrambe le sponde dell'oceano. "La Cina sta eliminando tutti i competitors europei ma anche quelli dei Paesi in via di sviluppo e quelli statunitensi, ha affermato Jean-Francois Gribomont, capo di Eurocoton, un importante organismo europeo al commercio tessile. Essere più aggrassivi nel proteggere il business tessile europeo. Questa la proposta di Filip Libeerts, capo di Euratex, mentre il Responsabile al Commercio dell'Unione Europea, Pascal Lamy, mostrava grande preoccupazione in relazione al rischio che le esportazioni tessili cinesi potessero confluire sul suolo comunitario. Intanto sull'altra sponda dell'oceano gli esponenti dell'industria tessile americana applaudivano una proposta ritenuta più che mai opportuna, pur mostrando in qualche caso una certa esitazione in relazione a possibili ritorsioni da parte del Paese asiatico, da mesi molto impegnato nell'acquisto di materie prime in Usa. Immediata, in effetti, è stata la risposta cinese dopo che alcuni gruppi industriali hanno chiesto possibili azioni di ritorsione. Strano ma vero la delegazione di esperti che doveva giungere proprio questa settimana in Usa ha dovuto rimandare un viaggio annunciato da diverso tempo. Una questione di visti, è stato detto, anche se forti dubbi si nutrono sulla validità delle giustificazioni. Non meno accese le reazioni degli esponenti politici cinesi. Il vice ministro degli Esteri cinese Zhou Wenzhong, proprio ieri, ha richiamato l'ambasciatore americano a Pechino, Clark Randt, per esprimergli il suo "schock" per l'introduzione delle quote all'import tessile cinese. "Ulteriori azioni" inoltre non sono escluse, anche se il Segretario al Commercio Usa, Don Evans, aveva affermato che colloqui sono in corso con gli esponenti del Governo cinese. Dalla diatriba non è rimasto esente neanche il Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan che, intervenuto ad una conferenza monetaria a Washington, ha la lanciato un nuovo "slogan": eliminare il protezionismo e favorire la globalizzazione per garantire un sano sviluppo dell'economia mondiale.
LA CINA
Un Paese che presenta non solo una grande estensione territoriale ma anche il numero più elevato in termini di popolazione. Secondo i dati forniti dal Census del 1° novembre 2000 i "cinesini" attualmente abitanti sul suolo asiatico, incluse anche le provincie di Hong Kong, Macao, Taiwan ed altre isole minori, sono pari a circa 1.295 milioni (quasi 1,3 miliardi). In questo contesto non indifferente è stata la crescita dell'economia asiatica che, già da qualche anno, evidenzia tassi di crescita che hanno toccato anche le due cifre. L'ultimo dato sul Pil del terzo trimestre, diffuso dal National Bureau of Statistics (NBS) della Cina, evidenzia una crescita dell'8,5%, contro l'8,2% del secondo trimestre ed il 9,9% del primo trimestre. In termini commerciali invece il valore netto totale delle esportazioni ed importazioni della Cina nel primi tre trimestri è balzato del 36,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente attestandosi a 606,3 mln di dollari statunitensi, con un tasso di crescita medio del 17,9%. In particolare le esportazioni sono salite a 307,7 mld di dollari in aumento del 32,3% rispetto allo stesso periodo del 2002, mentre le importazioni hanno visto un incremento del 40,5% a 298,6 mld usd. Per aree geografiche il volume delle esportazioni verso l'Asia, L'America e L'Australia è balzato di circa il 30%, mentre le vendite verso l'Europa e la Russia hanno evidenziato un incremento di almeno il 40%.
I MERCATI
Consistenti potrebbero essere i riflessi sui mercati internazionali delle materie prime. Grande preoccupazione per il dibattito in corso è stata infatti palesata dagli operatori nelle commodities. In effetti, la Cina è stata la principale responsabile degli incrementi fatti registrare da diversi mercati in quest'ultimo periodo, grazie ai massicci acquisti di cotone, ma anche di grano, mais, soia e metalli. Si parla naturalmente di mercati che erano già in via di ritracciamento a causa di una situazione di forte ipercomparto, ma che non sono rimasti comunque a margine della polemica in corso. Il prezzo del cotone, in particolare, ha evidenziato nell'ultimo periodo un picco evidente, dopo che gli operatori asiatici erano più volte intervenuti per alimentare la "affamata" industria tessile nazionale. In soli tre giorni di contrattazioni (da martedì sera quando è giunta la notizia riguardante le quote Usa alle importazioni di cotone dalla Cina ), al NYCE di New York, il contratto sul cotone per consegna dicembre ha evidenziato un calo del 5,21%, scivolando a 70,24 cents la libbra dai 74,10 cents segnati alla chiusura di lunedì sera.
Sarà guerra commerciale tra Usa e Cina? Molti gli interrogativi sui mercati delle commodities (a cura di Laura Chiapponi - Teleborsa S.p.a.)
Con un annuncio a sorpresa martedì sera, l'Amministrazione Bush ha scatenato un grande imbarazzo nella comunità economica mondiale, scatenando una fervida polemica sul futuro degli scambi internazionali. Secondo quanto annunciato dal Sottosegretario al Commercio, Grant Aldonas, il Governo statunitense starebbe predisponendo una nuova politica commerciale, al fine di proteggere le industrie statunitensi contro la strenua concorrenza delle imprese cinesi e le massiccie esportazioni di prodotti a basso costo. Un avviso è stato inviato al Governo di Pechino per annunciare che gli Usa potrebbero imporre a breve quote e altre barriere commerciali sull'importazione di materiale tessile in arrivo dalla Cina. Si tratta in particolare, di possibili restrizioni a tre categorie di abbigliamento: reggiseni, capi intimi e maglieria, prodotti che, in base agli accordi stretti tra i due Paesi, non dovrebbero superare il 7,5% delle importazioni via mare dalla Cina. In proposito il Deputato al Commercio Usa, Josette Shiner, ha tenuto a sottolieare che i cosidetti strumenti si "salvaguardia" per taluni settori a rischio sono proprio condizione sine qua non per l'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO). Il 2001, infatti, ha sancito l’entrata ufficiale della Cina nel WTO. Tale passo implica che progressivamente la Cina dovrà eliminare tutte le barriere doganali verso i prodotti provenienti da tutti gli altri Paesi membri del WTO e viceversa. Tuttavia, se da una parte la Cina costituisce un immenso bacino di consumo per i prodotti occidentali, dall’altra l’economia cinese rappresenta sicuramente una potenza industriale di primissimo piano nella concorrenza internazionale. Per rendere il processo di globalizzazione dell’economia graduale e meno traumatico, il protocollo di accesso al WTO ratificato dalla Cina prevede un periodo di 12 anni durante il quale i Paesi membri possono, nel corso del processo di liberalizzazione verso i prodotti cinesi, adottare misure di salvaguardia transitorie per difendere specifici settori dell’economia che possano entrare in grave crisi a seguito dell’improvvisa apertura alla concorrenza cinese.
In questo contesto anche la Commissione Europea, in seguito alle forti pressioni dei produttori italiani, aveva proposto nel 2002 l'adozione di una modifica al regolamento comunitario relativo al commercio tessile, istituendo un meccanismo di contenimento dell'import dalla Cina. A sua volta l'American Textile Manufacturers Institute, dopo aver rilevato un aumento del 119% dell'import statunitense di prodotti tessili dalla Cina nei primi sei mesi del 2002 aveva chiesto al Governo statunitense l'adozione di un sistema di quote su diverse categorie di prodotti tra cui i tessuti di maglieria, i guanti, le coperte, i costumi da bagno ecc. Il Dipartimento del commercio aveva risposto a queste pressioni attivando uno specifico Comitato incaricato di presiedere all'implementazione degli accordi tessili Cina-Usa. Non sembra cambiare, perciò, lo scenario concreto del commercio internazionale nel 2003. Quantitativi ben superiori alla soglia del 7,5% sarebbero arrivati sul suolo Usa. Nei primi nove mesi dell'anno si stima che le importazioni di reggiseni dalla Cina hanno evidenziato una crescita del 53%, i capi intimi fabbricati a mano addirittura del 78%, mentre i filati sono aumentati del 39%. Una crescita corposa, insomma, che ha trovato preoccupati anche gli attori europei.
L'aumento delle esportazioni a basso costo di prodotti tessili e di abbigliamento dalla Cina, infatti, viene considerata come una pesante minaccia dalle imprese delle principali aree di importazione (Giappone, Usa, Unione Europea) ma anche da quelle di Paesi emergenti le cui economie dipendono fortemente dal settore tessile (India, Indonesia, Turchia). Molto clamore è stato sollevato in qesti giorni proprio in ambito politico ed industriale dove si sono levate eminenti voci su entrambe le sponde dell'oceano. "La Cina sta eliminando tutti i competitors europei ma anche quelli dei Paesi in via di sviluppo e quelli statunitensi, ha affermato Jean-Francois Gribomont, capo di Eurocoton, un importante organismo europeo al commercio tessile. Essere più aggrassivi nel proteggere il business tessile europeo. Questa la proposta di Filip Libeerts, capo di Euratex, mentre il Responsabile al Commercio dell'Unione Europea, Pascal Lamy, mostrava grande preoccupazione in relazione al rischio che le esportazioni tessili cinesi potessero confluire sul suolo comunitario. Intanto sull'altra sponda dell'oceano gli esponenti dell'industria tessile americana applaudivano una proposta ritenuta più che mai opportuna, pur mostrando in qualche caso una certa esitazione in relazione a possibili ritorsioni da parte del Paese asiatico, da mesi molto impegnato nell'acquisto di materie prime in Usa. Immediata, in effetti, è stata la risposta cinese dopo che alcuni gruppi industriali hanno chiesto possibili azioni di ritorsione. Strano ma vero la delegazione di esperti che doveva giungere proprio questa settimana in Usa ha dovuto rimandare un viaggio annunciato da diverso tempo. Una questione di visti, è stato detto, anche se forti dubbi si nutrono sulla validità delle giustificazioni. Non meno accese le reazioni degli esponenti politici cinesi. Il vice ministro degli Esteri cinese Zhou Wenzhong, proprio ieri, ha richiamato l'ambasciatore americano a Pechino, Clark Randt, per esprimergli il suo "schock" per l'introduzione delle quote all'import tessile cinese. "Ulteriori azioni" inoltre non sono escluse, anche se il Segretario al Commercio Usa, Don Evans, aveva affermato che colloqui sono in corso con gli esponenti del Governo cinese. Dalla diatriba non è rimasto esente neanche il Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan che, intervenuto ad una conferenza monetaria a Washington, ha la lanciato un nuovo "slogan": eliminare il protezionismo e favorire la globalizzazione per garantire un sano sviluppo dell'economia mondiale.
LA CINA
Un Paese che presenta non solo una grande estensione territoriale ma anche il numero più elevato in termini di popolazione. Secondo i dati forniti dal Census del 1° novembre 2000 i "cinesini" attualmente abitanti sul suolo asiatico, incluse anche le provincie di Hong Kong, Macao, Taiwan ed altre isole minori, sono pari a circa 1.295 milioni (quasi 1,3 miliardi). In questo contesto non indifferente è stata la crescita dell'economia asiatica che, già da qualche anno, evidenzia tassi di crescita che hanno toccato anche le due cifre. L'ultimo dato sul Pil del terzo trimestre, diffuso dal National Bureau of Statistics (NBS) della Cina, evidenzia una crescita dell'8,5%, contro l'8,2% del secondo trimestre ed il 9,9% del primo trimestre. In termini commerciali invece il valore netto totale delle esportazioni ed importazioni della Cina nel primi tre trimestri è balzato del 36,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente attestandosi a 606,3 mln di dollari statunitensi, con un tasso di crescita medio del 17,9%. In particolare le esportazioni sono salite a 307,7 mld di dollari in aumento del 32,3% rispetto allo stesso periodo del 2002, mentre le importazioni hanno visto un incremento del 40,5% a 298,6 mld usd. Per aree geografiche il volume delle esportazioni verso l'Asia, L'America e L'Australia è balzato di circa il 30%, mentre le vendite verso l'Europa e la Russia hanno evidenziato un incremento di almeno il 40%.
I MERCATI
Consistenti potrebbero essere i riflessi sui mercati internazionali delle materie prime. Grande preoccupazione per il dibattito in corso è stata infatti palesata dagli operatori nelle commodities. In effetti, la Cina è stata la principale responsabile degli incrementi fatti registrare da diversi mercati in quest'ultimo periodo, grazie ai massicci acquisti di cotone, ma anche di grano, mais, soia e metalli. Si parla naturalmente di mercati che erano già in via di ritracciamento a causa di una situazione di forte ipercomparto, ma che non sono rimasti comunque a margine della polemica in corso. Il prezzo del cotone, in particolare, ha evidenziato nell'ultimo periodo un picco evidente, dopo che gli operatori asiatici erano più volte intervenuti per alimentare la "affamata" industria tessile nazionale. In soli tre giorni di contrattazioni (da martedì sera quando è giunta la notizia riguardante le quote Usa alle importazioni di cotone dalla Cina ), al NYCE di New York, il contratto sul cotone per consegna dicembre ha evidenziato un calo del 5,21%, scivolando a 70,24 cents la libbra dai 74,10 cents segnati alla chiusura di lunedì sera.
Riflessi evidenti si sono visti anche sul grano. Il contratto per consegna dicembre, al CBOT, ha evidenziato una discesa del 6,39% a 3,73 dollari e 1/2 per bhushel, avendo gli operatori contato su massicci acquisti di matrice cinese in occasione del tanto atteso vertice Usa-Cina che doveva svolgersi questa settimana. Giù anche la soia per consegna gennaio che ha registrato un deterioramento del 2,66% a 7,59 cents e 1/2 per bushel. Minore la perdita del mais a dicembre che ha ceduto solo l'1,36% a 2,35 dollari e 1/4 per bushel, nonostante la scorsa settimana sia stato confermato un raccolto da record per la stagione in corso. Limitato ancora l'impatto sui mercati delle commodities, affermano alcuni operatori, che confidano in una risoluzione accettabile della controversia.
Riflessi evidenti si sono visti anche sul grano. Il contratto per consegna dicembre, al CBOT, ha evidenziato una discesa del 6,39% a 3,73 dollari e 1/2 per bhushel, avendo gli operatori contato su massicci acquisti di matrice cinese in occasione del tanto atteso vertice Usa-Cina che doveva svolgersi questa settimana. Giù anche la soia per consegna gennaio che ha registrato un deterioramento del 2,66% a 7,59 cents e 1/2 per bushel. Minore la perdita del mais a dicembre che ha ceduto solo l'1,36% a 2,35 dollari e 1/4 per bushel, nonostante la scorsa settimana sia stato confermato un raccolto da record per la stagione in corso. Limitato ancora l'impatto sui mercati delle commodities, affermano alcuni operatori, che confidano in una risoluzione accettabile della controversia.