COSA FAI NELLA VITA? (1 Viewer)

DANY1969

Forumer storico
- SONO UN PUSHING FORWARD SELF-LIFE MANAGER WATHEVER HAPPENS.
- CIOÈ?
-TIRO AVANTI:d::confused:
Buona settimana a tutti:)
Il calendario indica che è quasi primavera... Il meteo sembra non condividere questo evento... O almeno dalle mie parti:wall:

Svizzera, Grand Combin :)
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Val

Torniamo alla LIRA
Buongiorno. Un giornalista - secondo il mio parere - che non sbaglia mai un colpo.

Ogni tanto salta fuori un bel tipo a dire al mondo chi si può intervistare e chi no.
Chi ha diritto di cittadinanza nell’aureo agorà dell’informazione globale
e chi invece è condannato per sempre all’oblio, all’irrilevanza, al mutismo, alla censura.

Ovviamente è una stupidaggine, perché nessuno ha l’autorità per ordinare a un altro con chi deve parlare,
perché chiunque è portatore di una visione del mondo che vale la pena di conoscere e, soprattutto,
perché nessuno detiene la sapienza assoluta, monolitica, divina per dividere il grano dal loglio.

Ma il vizietto riemerge. L’ultimo caso è proprio di questi giorni, con le violente polemiche legate alle interviste su giornali e tivù
ad alcuni protagonisti del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta, di cui ricorre il quarantesimo anniversario.

Alle celebrazioni in via Fani di sabato, il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha attaccato con durezza
tutti quelli che hanno regalato un’intollerabile visibilità ai brigatisti del commando del 16 marzo.
E ha ribadito che gli autori dell’assassinio a sangue freddo di sei persone non possono avere alcun diritto di parola.

Ora, il contesto è terribile - stiamo parlando della più grande tragedia della storia repubblicana, dell’undici settembre del nostro paese -
e quindi ogni considerazione, anche impulsiva, è del tutto comprensibile, visto che le ferite per vittime, parenti e colleghi non sono rimarginabili.
Ma Gabrielli ha torto. Quell’avvenimento, apogeo di una sequenza tragica, traumatica e profondamente innervata nell’Italia contemporanea,
non può non essere studiato e analizzato e quindi non è possibile non ascoltare chi ne è stato partecipe.
È il sale della conoscenza. E il fondamento del nostro mestiere.
Che deve affrontare la vita reale, anche se questa è quasi sempre pessima, ingiusta e avvilente,
e i suoi protagonisti, anche se questi sono quasi sempre sanguinari, disdicevoli e deludenti.

Proprio per questo motivo, non può esserci spazio alcuno per la pedagogia, né per le narrazioni settarie, perbeniste, edulcorate o edificanti.
Qualsiasi vero giornalista avrebbe dato il sangue per intervistare Hitler o Stalin o Pol Pot o Attila o Landru o Charles Manson
o chi volete voi della lunghissima schiera dei personaggi maledetti che hanno segnato il tragitto del carro della storia.
E quindi è del tutto legittimo intervistare Mario Moretti piuttosto che Valerio Morucci, Adriana Faranda o Prospero Gallinari,
così come è stata una stupidaggine farisea lo scandalo per il faccia a faccia con il figlio di Totò Riina di qualche tempo fa.

Il problema non è chi si intervista, ma come lo si intervista.

Sai che notizia, direte. Eppure è qui che anche stavolta è cascato il somaro.
La cosa veramente grave è come la nostra categoria di doppiomoralisti si sia approcciata - salvo rare eccezioni - ai colloqui con gli uomini delle Br.
Una genuflessione. Uno sdraiamento. Un ossequio umidiccio senza contraddittorio. Una soggezione junghiana. Anzi, neppure questo.
Forse la cosa è addirittura più grave.

Da quelle interviste emerge quasi sempre una familiarità, una consanguineità, un idem sentire culturale,
esistenziale, antropologico che ha reso manifesto quello che sappiamo da sempre e che rappresenta uno dei nostri tarli più devastanti.
E cioè essere sgorgati fuori dallo stesso liquido amniotico di quegli altri. Dalla stessa acqua. Dallo stesso album di famiglia.
Dalla stessa autobiografia della nazione. Dallo stesso mondo infido, velleitario, demagogico e parolaio della melmosa stagione sessantottarda.
Dalla stessa barricata. E la successiva separazione tra i compagni che sbagliano e quelli che non sbagliano ha certo diviso i percorsi, ma non l’imprinting di quegli anni formidabili.

Ora, è assolutamente chiaro e fuori discussione che non esiste alcuna condivisione della violenza,
degli agguati, del sangue - assolutamente nessuna - e che il cammino all’interno dei sentieri della democrazia è certificato.
Ma è altrettanto vero che quelli lì non sono estranei, non sono diversi, non sono altri al mondo culturale e sociopolitico della sinistra degli anni Settanta,
ma sbocciano invece come tamerici proprio da lì, degli alien covati in seno, orribili nell’aspetto e nelle azioni, ma per nulla marziani rispetto a chi li ha partoriti.

Un trentennio fa il mitologico Sergio Zavoli diede una dimostrazione superba di come si tratta una materia così incandescente.
E realizzò la più straordinaria inchiesta della storia della tv, dedicata al terrorismo dalle origini al caso Moro.
Ci furono tante polemiche, ovviamente - eravamo molto più vicini ai fatti - ma era tale l’asciuttezza, la competenza,
la capacità di ascoltare, di capire, ma anche di essere incalzante e inflessibile con degli assassini da conquistare anche i critici più integralisti.

Eccezioni.
Gli arguti analisti di questi giorni, invece, benché tutti compresi nel ruolo, non ce l’hanno proprio fatta
a non sentirsi parte di un percorso esistenziale comune - erano tempi terribili, ma eravamo tutti così giovani… -
di una comunella ideologica dalla quale intervistatori e intervistati vedevano lo Stato come il male,
le istituzioni come serve della plutocrazia, la borghesia come feccia della società, il merito come prevaricazione,
la libera impresa come sopruso, le forze dell’ordine come bracci armati del fascismo e le contraddizioni del sistema
e i processi proletari e i tribunali del popolo e tutto il resto delle fregnacce con cui sono stati inzuppati quegli anni schifosi e maledetti.

E così abbiamo dovuto sorbirci un logorroico flusso di coscienza, la nobilitazione di un teorema difensivo,
l’autocelebrazione postuma dentro un’aura di eroismo cheguevarista. Che vergogna.

Eppure sarebbe bastato poco per fare del buon giornalismo.
Sarebbe bastato porre delle domande.
Ma porre delle domande vuol dire avere a che fare con la realtà,
mentre è da troppo tempo che il giornalismo con la realtà non ha più niente a che vedere.
 

l'arricchito

genealogicamente impunito
Mi arrangio, in montagna come al mare o in pianura, ma rimanendo fedele al target del sito, a naso mi sa che oggi mi metto gli sci anch'io per fare l'ultima "discesina"....poi a valle userò lo skipass al momento opportuno.
Sì, tutto bello, però che freddo sul GC in questo periodo.
Buon slalom a tutti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Caro il mio berlusca. FI - piaccia oppure no - ha preso 1.000.000 di voti in meno rispetto la Lega.
Capisco tutto. Capisco il tuo problema. Anche la tua delusione per aver perso all'nterno della coalizione.
Ma.......questo è il risultato. Mi sembri il patriarca di un'azienda familiare che non vuole cedere il comando
al figliol prodigo. Ora, mica puoi incolpare Salvini se Tu non sei riuscito a costruire un "figliol prodigo".
Hai provato con Casini, poi con l'altro, aspetta, come si chiamava ? E vuoi farlo con Brunetta oppure Romani ?
Va bene Tajani. Ma hanno la loro età. Suvvia Cav. Se vuoi rimanere in sella, punta su un baldo giovane - femmina
o maschio che sia - ma punta su qualcuno........ma non sul PD.
Piuttosto rischia il 10% ma torniamo a votare.................

il Cavaliere ha invitato il segretario della Lega a superare la fase derbystica e a scendere con i piedi per terra,
dopo aver fatto sapere al Pd che invece di stare sull'Aventino deve dimostrare responsabilità.

La raccomandazione a Salvini, è l'impressione tra gli azzurri più vicini al leader di Forza Italia, non sembra caduta nel vuoto.
«Forse, Matteo comincia a capire che non è certo facile costruire un accordo con Di Maio,
ha visto che ha subito messo un paletto sulla candidatura al Senato di Romani.
Realizza che nessuno di noi vuole seguirlo acriticamente, tantomeno riconoscerlo come capo di tutto il centrodestra.
E se Fi lo scarica, non va da nessuna parte».

Insomma, dall'ottica di Berlusconi e dei suoi, un raddrizzamento nell'azione del leader leghista c'è stato:
ora sottolinea che è la coalizione ad avere il 37%, non lui, lancia segnali al Pd e assicura che non vuole tornare al voto.

Ma siamo solo agli inizi del percorso e i prossimi 3-4 giorni vengono definiti «decisivi»:
sono quelli che precedono l'elezione il 23 marzo dei vertici delle Camere.
Una partita che per Fi non può essere separata da quella del governo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Per la Presidenza al Senato, proporrei una "balda giovine" e con esperienza.
Anche se non è di FI, anche se non è della Lega. Anche se non è la Meloni.
Un Legale abituato a lavorare con le Leggi ed a trovare accordi........chi è ?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Quel che più mi fa specie è che - ad oggi - dopo 2 settimane dal voto - non sappiamo ancora
chi sono gli eletti in forma definitiva. Vergognoso.

Riconteggi, addizioni e sottrazioni di collegi, notti al cardiopalma per candidati prima eletti, poi forse no, infine di nuovo sì.

Con plichi di ricorsi pronti a partire. A 15 giorni dal voto, il Parlamento riapre senza una lista ufficiale di deputati e senatori.
L'aritmetica del Rosatellum ha complicato l'attribuzione dei seggi, dieci non sono ancora stati assegnati,
e incagliato nelle procedure di ricalcolo la proclamazione dei parlamentari della XVIII legislatura.
 

Val

Torniamo alla LIRA
In Campania balla ancora un seggio per il Senato, conteso tra Forza Italia e Liberi e Uguali.
I dati provvisori assegnano al collegio Campania 3 (Salerno) il seggio spettante a Campania 2:
così la poltrona va all'azzurro Giosy Romano a scapito di Giuseppe De Cristofaro di Leu.
Che denuncia come in una notte, quella tra l'11 e il 12 marzo, Forza Italia abbia «guadagnato circa 2mila voti, per rimontare addirittura di 6mila».

A Salerno, i riconteggi tolgono duemila voti alla lista di Piero De Luca per farli confluire a «più Europa» di Emma Bonino, portando in ogni caso il seggio ai dem.
A Modena per 46 voti di scarto al Senato il centrosinistra ha vinto sul candidato della Lega: per questo Matteo Salvini ha chiesto il riconteggio delle schede nulle, circa 4mila.

Ed è grazie agli effetti collaterali del Rosatellum che Giacomo Mancini, candidato non eletto nel collegio di Cosenza con il centrosinistra, entrerà in consiglio regionale col centrodestra.
Una piroetta possibile grazie a un'ulteriore acrobazia che ha fatto scattare un seggio per il partito di Giorgia Meloni togliendolo a Forza Italia.
Il candidato di Fratelli d'Italia Fausto Orsomarso entra, infatti, in Parlamento come secondo nel listino proporzionale,
scalzando la forzista Maria Tripodi e lasciando il posto libero in consiglio regionale.

La Sicilia resta ancora con un seggio in meno, perché il M5s al Senato ha ottenuto più seggi dei candidati che aveva a disposizione.
La legge prevede che sia assegnato il seggio in un'altra circoscrizione, ma essendo il Senato eletto su base regionale quel posto viene ora reclamato da Forza Italia, seconda classificata.

Elezione al cardiopalma per il candidato cuneese della Lega, Giorgio Maria Bergesio che in meno di 48 ore, è stato eletto, destituito e nuovamente eletto.
Il giorno dopo le votazioni, Bergesio riceve dalla prefettura la notifica del ministero che certifica la sua elezione a senatore.
Dodici giorni dopo la corte d'Appello di Torino fa sapere che i calcoli sono sbagliati: quel seggio a Palazzo Madama non va a Bergesio ma un altro candidato della Lega di Torino, Claudio Broglio.
Non è finita. Dopo poche ore arriva il mea culpa degli alti funzionari delegati ai conteggi: «Abbiamo sbagliato a dire che ci siamo sbagliati. Il seggio resta a Giorgio Bergesio».
 

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