ECONOMIA
GERMOGLI VERDI MA SOLTANTO PER LA FINANZA
ALFONSO TUOR
Inodi stanno cominciando a venire al pettine.
Il tentativo di rilanciare l’economia attraverso pacchetti di stimolo governativi, il salvataggio statale delle banche sull’orlo del collasso, la politica monetaria espansiva attuata con tassi di poco superiori allo zero e con imponenti iniezioni di liquidità comincia a mostrare la corda.
I famosi «germogli verdi», intravvisti da molti analisti finanziari, sono sbocciati solo per una parte dell’industria bancaria.
Invece nell’economia reale sembra esaurirsi il lieve miglioramento dovuto alla ricostituzione delle scorte e ai programmi governativi, mentre continua a peggiorare la situazione del mercato del lavoro.
Tutto ciò non deve sorprendere.
Gli Stati Uniti hanno infatti deciso di affrontare la crisi adottando le medesime ricette utilizzate all’inizio di questo decennio dopo la caduta delle borse.
Allora l’amministrazione Bush aveva varato un piano di rilancio di circa 300 miliardi di dollari basato essenzialmente su sgravi fiscali e la Federal Reserve, capitanata da Alan Greenspan, aveva abbassato i tassi e li aveva mantenuti all’1% e contemporaneamente aveva seguito una politica monetaria espansiva.
Il denaro facile e a basso costo produsse i seguenti risultati: le borse ripresero a salire vorticosamente, le materie prime a volare, i prezzi delle case ad impennarsi, ingrossando la bolla del mercato immobiliare statunitense, l’indebitamento delle famiglie americane si allargò ulteriormente e infine il settore finanziario trasse vantaggio nella costruzione e nella vendita di nuovi prodotti
finanziari in cui impacchettò gran parte dei crediti.
L’economia reale ripartì, ma la ripresa non poteva essere duratura, poiché era originata da una bolla del credito che nel frattempo si era ulteriormente ingigantita.
Lo sbocco è noto: una crisi finanziaria ed economica molto più grave di quella originata dal crollo delle borse ad inizio decennio.
L’impostazione della risposta attuale è simile a quella di allora.
Ovviamente diversa è l’entità degli interventi, poiché questa crisi è molto più grave.
Ad esempio, Alan Greenspan non aveva stampato nuova moneta come stanno facendo oggi le banche centrali.
Questa volta il gioco non sembra però funzionare.
I principali motivi sono due.
In primo luogo, le famiglie americane, già gravate da pesanti debiti e incerte sulle prospettive del mercato del lavoro, non intendono aumentare il loro indebitamento.
In secondo luogo, il sistema finanziario e quello bancario, che sono lontani dall’essere ritornati in salute, non svolgono la loro funzione di trasmissione degli impulsi di politica monetaria, come dimostrano le grandi difficoltà ad accedere al credito da parte delle piccole e medie imprese.
La conseguenza è che l’enorme quantità di liquidità si scarica sui mercati finanziari creando nuove bolle.
Esse non riguardanon solo i mercati azionari, ma anche quelli dei capitali (dove i rendimenti sono scesi a livelli difficilmente comprensibili), quelli delle materie prime e sempre più anche le borse dei mercati emergenti dove si cercano nuove opportunità di investimento.
La grande liquidità ha soprattutto riavviato alla grande proprio quelle attività finanziarie a grande rischio che sono state una delle cause della crisi.
È il mondo dei paradossi: l’economia reale langue, la disoccupazione cresce ovunque, ma i principali responsabili della crisi se la godono e annunciano grandi utili, immediatamente accompagnati da ingenti programmi di distribuzione dei bonus.
Come ha detto il finanziere americano George Soros (Financial Times del 24 ottobre u.s.) questi utili sono in realtà «regali» fatti dai Governi, che «non possono essere usati per pagare i bonus».
Anzi, secondo Soros, «è giustificato il risentimento dei contribuenti nei confronti di queste pratiche».
cdt oggi