Dipingere o creare

Dice Kiefer: “C’è una tale proliferazione di cose, musica, messaggi, che non esistono più confini da infrangere. Non voglio dire che Duchamp abbia fatto male a esporre il suo orinatoio, la prima volta è stato straordinario, ma la seconda non lo era già più, la terza volta non era altro hee un orinatoio. L’arte e la vita sono due cose molto diverse.” È davvero la fine di un’era. Anselm Kiefer

Dallo stesso sito (ricco di riproduzioni d'opere di Kiefer)


Kiefer, nato nel sud della Germania negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, ha elaborato il suo lavoro durante un periodo di grande crisi estetica. L’ansia del dopoguerra di ridefinire il ruolo dell'arte e l'affermazione di Adorno che non ci poteva essere poesia dopo Auschwitz.

"Non si può evitare la bellezza in un'opera d'arte", dice Kiefer. In una stanza piena di opere bruciacchiate, superfici spinate, costruite con cenere, piombo, frammenti di ceramiche, libri maltrattati e macchine scassate, che evocano le desolate devastazioni di guerra, ma conservano lirismo inciso nella violenza della loro realizzazione. "Si può prendere il più terribile dei soggetti e automaticamente diventa bello. Quel che è certo è che non avrei mai potuto fare arte su Auschwitz. È impossibile perché il soggetto è troppo grande"
Si tratta di un unico caso, perché Kiefer si è occupato di qualsiasi altra cosa. Negli anni ’60, ha fatto il suo grande debutto come artista di performance: con indosso l’uniforme dell'esercito di suo padre, si fece fotografare, facendo il saluto nazista, in iconiche località europee come il Colosseo a Roma, affrontando ciò che il suo collega artista Joseph Beuys chiama la tedesca "amnesia visiva" dell’Olocausto.
Mezzo secolo più tardi, in questa edizione della “Summer Exhibition” alla Royal Academy, ha mostrato la nuova pittura "Kranke Kunst" ("Arte Malata"), una ripresa di un acquerello del 1974 con lo stesso nome in cui un paesaggio del genere idealizzato dai nazisti era punteggiato di bolle rosa.

Kiefer spiega: "Mi piace il doppio senso. Innanzitutto "Kranke Kunst" è negativa, viene dalla censura nazista di un’arte degenerata. E poi, è vera, perché tutto è malato, la situazione nel mondo è malata ... Siria, Nigeria, Russia. La nostra testa è annebbiata da un malessere generale. Siamo nati e cresciuti male".
Che cosa può fare l'arte?
"L'arte non può aiutare direttamente. L'arte è il modo per rendere la realtà evidente. L'arte è cinica, mostra la negatività del mondo, è la sua prima condanna."

L'arte può essere celebrativa?
"Matisse celebra, ma io ci vedo tanta disperazione."

Kiefer mi dice tutto questo con un’allegra impassibilità in viso, accompagnato a un bicchierino di vodka alle tre del pomeriggio. Ci troviamo nel suo Atelier di Parigi, un ex magazzino di 30.000 metri quadrati. È così ampio che si attraversa in macchina, tra cisterne arrugginite, dipinti abbandonati, elementi casuali fuori dal tempo e cespugli di rose piantate dall'artista. A un certo punto quasi ci scontriamo con una gru che sollevava una lastra di piombo. "Per me, l’enorme non esiste", ammette Kiefer.
Alto e brizzolato, magro e svelto, l’artista si presenta in pantaloncini bianchi e camicia aperta. Ha appena abbandonato i preparativi per lo show di Londra. "E’ noioso per un artista per fare una retrospettiva". Mi offre in cambio un tour del lavoro nel suo atelier. Sculture battute da bombardieri danneggiati sono sparse ovunque nello studio. Le torri di polistirolo per il suo set di nove piani di "In the Beginning" per l'Opéra-Bastille. Centinaia di girasoli in resina giganti, in un comico omaggio a Van Gogh, stanno di guardia al cancello d'ingresso.

"Archaikum, mesozoikum," recita, pronunciando le sillabe, come se recitasse una poesia. Parla bene l'inglese, ma si apre in vere espressioni di piacere quando pronuncia qualche espressione in tedesco. "Mi piacciono queste parole! Quanti milioni di anni hanno? Non lo sai? Tu non conosci la tua età! È presenta la catastrofe nella mia biografia. Ed è quello che si mostra nell’”Età del mondo”. Si torna a molto prima del nostro compleanno. 350 milioni di anni fa un meteorite ha colpito la terra e il 95 per cento della vita si estinta. 350 milioni di anni fa i dinosauri - e tanta gente - sono morti. La storia tedesca? È incominciata con l’’Archaikum’ ".
“Jerusalem”, il riferimento di Kiefer alla mistica ebraica e alla storia, ha attratto manifestazioni contro il blocco israeliano di Gaza. Indossando magliette con il titolo dell’opera, hanno chiesto di rimanere nella galleria per discutere sulle questioni sollevate dal lavoro di Kiefer. La galleria ha chiamato la polizia, dicendo: "Questa è proprietà privata. Siamo qui per vendere arte."
Si tratta di un tradimento alla serietà di Kiefer, un'ammissione che l'arte del XXI secolo è soprattutto merce? Non mi viene in mente nessun’altra figura contemporanea che operi tra arte, denaro, politica e storia in modo così trasparente e con tale equilibrio. È innegabile, e confermato dai risultati d'asta imprevedibili, che la qualità della sua produzione è irregolare.

D'altra parte, la coesione di idee e di tonalità in mostra alla RA, la prima retrospettiva di Kiefer, drammatizza il modo in cui l'impulso concettuale sia alla base di tutti i suoi sforzi materiale, il che significa che tutte le sue opere appartengono a un insieme, come una sorta di “Gesamtkunstwerk”, di un’unica opera d’arte - o addirittura come una “performance in progress”, che ha avuto inizio con il suo Sieg Heil a Roma mezzo secolo fa.
Estratto dall’articolo di Jackie Wullschlager per il Financial Times
Quando la pandemia sarà finita, ci ritroveremo tutti un sabato o una domenica all'Hangar Bicocca, a Milano, a vedere i suoi 7 Palazzi Celesti e le tele che ha aggiunto all'installazione qualche anno fa. Offro toast liscio e acqua minerale a tutti al bistrot, a Lory pure il caffé.
 
Ci sarò certamente anch'io, Frank, a rivedere per l'ennesima volta quelle enormi opere di Kiefer. E in ottima compagnia.:)

Kiefer offre qui il mezzo per verificare la nostra piccolezza umana, e contestualmente l'indicazione della meta. Sempre alta.

p.s. - comincio a essere pessimista sulla fine di questa peste e sulla possibilità di tornare ai tempi precedenti. Ma questo è forse un bene, se sapremo cambiare, lasciarci alle spalle le storture.
 
Ci sarò certamente anch'io, Frank, a rivedere per l'ennesima volta quelle enormi opere di Kiefer. E in ottima compagnia.:)

Kiefer offre qui il mezzo per verificare la nostra piccolezza umana, e contestualmente l'indicazione della meta. Sempre alta.

p.s. - comincio a essere pessimista sulla fine di questa peste e sulla possibilità di tornare ai tempi precedenti. Ma questo è forse un bene, se sapremo cambiare, lasciarci alle spalle le storture.
Anch'io sono preoccupato.
Nel frattempo, prova a dare un'occhiata al 3d "Giustino Caposciutti - incisione 2020" e facci sapere se ti va di partecipare, ok?
 
Di seguito spero torneremo a cercare di capire come e perché oggi le capacità tecniche antiche siano divenute assai meno importanti per il creatore d'arte - e come qualcuno ne approfitti bassamente
Nel Medioevo il disegno degli artisti era abbastanza modesto, se visto secondo i canoni moderni, eppure vi sono opere in tal modo create che noi consideriamo capolavori. Di solito si crede che gli artisti di allora non avessero ancora sviluppato una tecnica sufficiente a rendere "fotograficamente" le figure: in tal modo si pone come scopo centrale di ogni epoca quello che fu il punto caratteristico solo di un certo periodo, il Rinascimento.
Per non andar troppo lontano, si osservi come i fumetti siano in gran parte creati secondo criteri non naturalistici, da Topolino e Linus ai personaggi "barocchi" di Max Bunker, con in mezzo le figure bazzotte di Pazienza o le Sturmtruppen di Bonvi.
I Tex e i Dylan Dog, tendenzialmente naturalistici, non sono affatto l'unica espressione possibile, né peraltro la migliore tout-court. Il mondo dei fumetti, insomma, mostra in contemporaneità, in sincronia, una varietà di approcci validi che la pittura colta poté conoscere solo diacronicamente, nel tempo. E come noi possiamo apprezzare la varietà di questi, così siamo in grado di godere della varietà di quelli.
Il problema sorge quando, invece, che so, di mirare ad una nuova Divina Comedia in salsa 2000, l'artista si fissa sulla forma dell'apostrofo e ci passa una vita sopra :sad: . No, dico, magari i risultati, a furia di approfondire, appaiono interessanti, ma poi ci si dovrebbe anche rendere conto che se con 21 lettere combinate si scrive la Comedia, con sole 5 lettere a disposizione si balbetta qualche parola e poi tutto finisce lì. Almeno, questo è quanto viene spesso vissuto confrontando certe decantate opere moderne con capolavori di Goya, Caravaggio o Dürer. Si pensa allora "Beh, però gli antichi sì che erano grandi, queste quattro righe colorate non possono certo esservi confrontate".
Ecco, magari le 4 righe no, però altre cose sì, è opinione comune che Picasso o Chagall, Kandinski o Klee fossero dei grandi non inferiori al Tintoretto, pur non avendo mai prodotto opere di un certo stile figurativo. Così come è comune opinione che Beltrame o Molino (Domenica del Corriere), Bonelli (Tex) o Sclavi (Dylan Dog), pur bravi, non possano essere messi a confronto con Bosch o Cimabue (pur sapendo "disegnare" meglio di loro).

Riprenderei da qui. Da che cosa si richiede oggi all'artista.


Un'opera d'arte ha molte componenti. Disegno. Colore. Composizione. Atmosfera. Richiamo intellettuale. Richiamo inconscio. Emozione. ecc.
Bene, pare evidente che ad un creatore d'arte oggi non venga richiesto di saper disegnare "fotograficamente", è una funzione che appunto la fotografia ha reso obsoleta. Però non gli viene nemmeno proibito, eh.
Il colore: beh, quello è ancora apprezzato, si rifà ad armonia ed espressione. Tuttavia non poche volte si dimostra non indispensabile. Lo stesso Kiefer lavora con pochi pigmenti non preziosi.
La composizione talora viene proposta, talora trascurata, significa che non viene percepita come essenziale. Ma non credo sia dimenticata, se non altro perché in ogni lavoro astratto prende quasi la funzione che nel figurativo era della narrazione.
L'intellettualità la paragonerei alle mutande, bene la presenza, però se si vede troppo ci si perde in eleganza.
I surrealisti e i simbolisti hanno esplorato abbondantemente il terreno dei richiami inconsci, ma non l'hanno esaurito: secondo me oggi al prodotto artistico viene richiesta una certa capacità di far vibrare corde inaspettate. Ciò può essere ottenuto tanto nell'astrazione quanto nel campo del figurativo, e con varietà di mezzi. Il tramite più valido per questo processo è tuttavia l'astratto, in quanto, se pur un certo uso della figurazione possa creare novità, in realtà impedisce che l'attenzione si focalizzi su questa qualità particolare, che oggi viene appunto richiesta all'artista. Proprio riuscire in questa impresa, un astratto che "muova" l'intimo senza limitarsi ad essere opera intellettuale, ovvero rivolta al passato per darne una nuova versione, proprio questo esercizio di astrattismo maieutico (che cioè ci tira fuori dall'intimo cose interessanti ed ignote) pare essere ciò che i tempi richiedono a chi intenda operare creando arte nello spazio.
Però attenzione: per paradosso l'astrattismo maieutico (lancio il movimento ;) ) può tranquillamente valersi di forme del figurativo. Deve però considerarle come pure forme, non certo come richiamo ad una realtà terza da richiamare pedissequamente.

Un esempio strano: il grande Chopin riuscì ad estrarre dal pianoforte il massimo della rappresentatività. Viceversa, scrivere per orchestra non gli era così congeniale. Ecco che per lui gli altri strumenti, pur potendo moltiplicare l'espressività, come in Ravel, viceversa appesantiscono il discorso. Allo stesso modo, chi usi oggi richiami figurativi, lo può fare, ma alla Ravel, senza che questo fatto leghi ad una tradizione che si ponga come peso morto.
 

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