Dove sta andando lo yen giapponese?

Lo so....non avete voglia di cliccare.....ecco il testo completo.



Il valore degli assets giapponesi, in particolare dei titoli bancari, continua ad essere eroso dall'incertezza. Il mercato ora aspetta l'iniezione di fondi pubblici promessa dal Governo. Le cose dovrebbero divenire più chiare il 18 ottobre, quando in Parlamento si discuterà di riforme.

ANALISI FONDAMENTALE
Lo yen ha aperto la settimana all'insegna della debolezza, trascinato al ribasso dalla correzione degli indici azionari giapponesi.
Dai massimi dell'anno il Nikkei 225 ha perso circa il 28%, mentre il Topix Banks Index, l'indice dei titoli bancari ha lasciato sul terreno circa il 38%.
Il valore degli assets giapponesi, in particolare dei titoli bancari, continua ad essere eroso dall'incertezza che circonda le riforme strutturali promesse dal Governo, contro le sofferenze del sistema bancario. Inizialmente sembrava che la BoJ dovesse allentare ulteriormente la politica monetaria ed immettere ulteriore liquidità, ma tassi di interesse già praticamente vicino allo zero, il tasso overnight è allo 0,0475%, e una trappola della liquidità da cui il paese non riesce ad uscire non hanno permesso tale mossa. Il possibile acquisto di partecipazioni azionarie direttamente dalle banche, da parte della BoJ, per ora non ha avuto seguito, e semmai al momento dell'annuncio aveva contribuito a deprimere le quotazioni obbligazionarie. Il mercato ora aspetta l'iniezione di fondi pubblici promessa dal Governo, ma è evidente che il problema delle sofferenze bancarie va affrontato alla radice tramite delle riforme strutturali, specialmente alla luce di due questioni fondamentali.
Le recenti affermazioni del ministro dei servizi finanziari Takenaka, secondo cui "no japanese megabank was too big to fail", per cui anche grossi istituti finanziari potrebbero fare bankruptcy ed essere liquidati.
L'attuale outlook macroeconomico. L'economia è afflitta da una fase deflattiva che evidentemente induce le famiglie a ridurre il consumo presente, riduce i margini di profitto e rende più difficile rimborsare i debiti per le imprese. Il recente dato preliminare sul leading indicator di agosto ha fatto segnare un ribasso, rispetto a luglio, da 70 a 44,40; la cosa che deve preoccupare è non solo l'entità del calo, se dovesse essere confermato, ma anche il fatto che il dato, per la prima volta in otto mesi, è passato sotto 50, che funziona da break-even point tra contrazione ed espansione. Il dato sugli ordinativi di macchinari industriali, decisamente sotto le attese, disegna una spesa per beni capitali assai debole, mentre le quotazioni di un dollaro, che per i motivi che sappiamo, rimane ancora debole, rispetto ai massimi di 135 circa di quest'anno, non aiutano le esportazioni.
Le cose dovrebbero divenire più chiare il 18 ottobre, quando in Parlamento si discuterà di riforma fiscale e bancaria. E' chiaro che molto dovrà passare attraverso la sostenibilità della crescita economica. I margini sul fronte monetareio sono assai ridotti rispetto a quelli fiscali ed è lecito attendersi che le autorità possano ricorrere ad una massiccia vendita di yen, per favorire la competività delle merci sui mercati internazionali.

Luke
 
Bel post ,
Complimenti a Luke .

In quanto alla domanda , più che dove sta andando lo Yen ,
mi chiedo "quanto tempo impiegherà per arrivarci"

In linea teorica lo yen è chiaramente sopravvalutato nel rapporto
con lo scenario macro che ha alle spalle ,
Sempre in linea teorica si trova a dover fare i conti con la completa
assenza di concorrenti , l'Euro vista la situazione di Germania , Francia e
Italia ha poco da ridere , tanto per non parlare della percezione di
"entità" che se ne ha dall'esterno ,
il dollaro è anche esso sopravvalutato , forse è il più chiaro dei tre da
"leggere" ma anche in questo caso l'assenza di concorrenti lo lascia
sospeso in quel limbo nel quale fluttua da oltre un semestre .

Lo Yen , ha alle spalle un paese ricco , che ha ancora un surplus della
bilancia dei pagamenti e ingienti capitali in obbligazioni in valuta
ma il deficit statale ha raggiunto proporzioni stellari e il rimpatrio di capitali
da parte delle istituzioni finanziarie per il ribilanciamento è ormai strutturale .

l'Euro non ha alle spalle niente , se non la ricchezza degli abitanti della
zona euro , non è poca cosa , ma non abbastanza per fargli prendere il
volo (per fortuna). Magari fra una ventina di anni le cose cambieranno ,
eppoi anche la Germania ha scoperto la delizia del cambio debole
per sostenere le esportazioni .

Il dollaro ha alle spalle tutto tranne la ricchezza degli omini USA ,
che sono ricchi di soli debiti e tranne la ricchezza della nazione , che ha
un deficit federale e commerciale in espansione , in compenso ha
una banca centrale con pieni e insindacabili poteri e una politica che
non ha esitato nel passato a servirsi del cambio .

La sola moneta che faccia la differenza e vive di luce propria
è il Franco Svizzero , va a finire che lo tengo ancora un pò .

Cordiali saluti
 
sosa ha scritto:
quindi secondo voi a quanto potrà arrivare il rapporto euro/yen a 130
o più?
grazie


Mi spiace , ma non sono in grado di rispondere a questa domanda ,
come ho esposto sopra la situazione mi appare di difficile lettura .

Cordiali saluti
 
generali1984 ha scritto:
Bel post ,
Complimenti a Luke .

In quanto alla domanda , più che dove sta andando lo Yen ,
mi chiedo "quanto tempo impiegherà per arrivarci"

In linea teorica lo yen è chiaramente sopravvalutato nel rapporto
con lo scenario macro che ha alle spalle ,
Sempre in linea teorica si trova a dover fare i conti con la completa
assenza di concorrenti , l'Euro vista la situazione di Germania , Francia e
Italia ha poco da ridere , tanto per non parlare della percezione di
"entità" che se ne ha dall'esterno ,
il dollaro è anche esso sopravvalutato , forse è il più chiaro dei tre da
"leggere" ma anche in questo caso l'assenza di concorrenti lo lascia
sospeso in quel limbo nel quale fluttua da oltre un semestre .

Lo Yen , ha alle spalle un paese ricco , che ha ancora un surplus della
bilancia dei pagamenti e ingienti capitali in obbligazioni in valuta
ma il deficit statale ha raggiunto proporzioni stellari e il rimpatrio di capitali
da parte delle istituzioni finanziarie per il ribilanciamento è ormai strutturale .

l'Euro non ha alle spalle niente , se non la ricchezza degli abitanti della
zona euro , non è poca cosa , ma non abbastanza per fargli prendere il
volo (per fortuna). Magari fra una ventina di anni le cose cambieranno ,
eppoi anche la Germania ha scoperto la delizia del cambio debole
per sostenere le esportazioni .

Il dollaro ha alle spalle tutto tranne la ricchezza degli omini USA ,
che sono ricchi di soli debiti e tranne la ricchezza della nazione , che ha
un deficit federale e commerciale in espansione , in compenso ha
una banca centrale con pieni e insindacabili poteri e una politica che
non ha esitato nel passato a servirsi del cambio .

La sola moneta che faccia la differenza e vive di luce propria
è il Franco Svizzero , va a finire che lo tengo ancora un pò .

Cordiali saluti

Ciao, una domanda per piacere. Credi il Franco Svizzero possa rompere all'insu. E da un pò che ci sta provando e fino ad ora nulla! Anche se rimane forte, credo le autorita svizzere non abbiano intenzione di farlo rafforzare ancora... credo!?

Un saluto

conide
 
Un consiglio caloroso: indebitatevi in yen per comprare mediolanum: è l'unica azione del settore "clown economy" quotata in borsa. :cool:
 
Ciao Conide ,
concordo sul fatto che le autorità vedano come il fumo negli occhi
la rivalutazione del franco , vero è che se i capitali cercano rifugio ,
non vedo alternative .


in breve , non ne ho la più pallida idea :D
so solo che ancora non esco .


Cordiali saluti
 
dalla solita usemlab:

Yen carry trade e flussi di capitale tra Usa e Giappone
(30/09/02) Siamo dell’idea che l’osservazione dei movimenti di capitale tra USA e Giappone sia oramai di fondamentale importanza per cercare di capire la spirale deflattiva e recessiva nella quale le due economie più grandi del pianeta sembrerebbero essere oramai congiuntamente intrappolate.

Riportiamo di seguito un grafico relativo al debito pubblico giapponese tratto da uno degli ultimi articoli del Mises Institute “Can more yen save Japan” (25 settembre), autore lo stesso Frank Shostak da noi citato nell’articolo “Il consumo che distrugge ricchezza”:



A partire dal 1992 il debito giapponese in termini di GDP è letteralmente esploso. Grazie all’enorme quantità di risparmi del popolo giapponese, quel debito è stato finanziato, contrariamente a quello americano, con capitali domestici. Motivo per cui negli ultimi sei anni il Giappone è riuscito a mantenere i tassi a lungo termine estremamente bassi. Qualora per finanziare quel debito si fosse dovuto ricorrere a capitali stranieri il crescente premio per il rischio richiesto sul debito avrebbe infatti portato a un inevitabile rialzo dei rendimenti, perlomeno quelli a lungo termine.

L’insufficienza di domande per coprire totalmente l’asta dei JGB decennali di due settimane fa potrebbe essere il primo segnale che i capitali domestici necessari a coprire il debit pubblico stiano raggiungendo la soglia limite oltre la quale, a meno di far monetizzare il debito stesso direttamente dalla Banca del Giappone (con tutte le gravi conseguenze che ciò comporterebbe), si rende necessario il ricorso a capitali stranieri.

In questo scenario i tassi giapponesi avrebbero oramai toccato il fondo e sarebbero destinati a risalire. L’effetto di un rialzo dei tassi sarebbe tuttavia quello di distruggere il valore del debito stesso (un rialzo dei tassi porta infatti a una perdita del valore delle obbligazioni) e quindi i capitali (e i risparmi) che per questi anni lo hanno assurdamente finanziato.

Il Giappone gode anche, sempre contrariamente agli USA, di un saldo della bilancia commerciale positivo. Di conseguenza negli ultimi anni i giapponesi hanno avuto modo di investire molti dei proventi di quel surplus in azioni e obbligazioni americane che durante il boom offrivano rendimenti molto più alti di quelli giapponesi.

La soluzione, onde evitare di ricorrere ai capitali stranieri per finanziarie il debito interno, sarebbe quindi quella di rimpatriare parte di quei i capitali. Tuttavia, tassi nipponici tendenti al rialzo in contrasto con quelli americani al ribasso potrebbe mettere definitivamente in crisi una strategia di trading largamente usata dagli operatori istuzionali, quella dello Yen Carry Trade.

Da quando a metà degli anni novanta il differenziale dei tassi dei depositi tra Giappone e USA è diventato particolarmente elevato, la strategia utilizzata dagli operatori istituzionali è stata infatti quella di sfruttare i bassissimi tassi giapponesi (di borrowing, per prendere a prestito) montando le seguenti operazioni (denominate appunto di Yen Carry Trade): prendere a prestito soldi in Giappone a tassi inferiori all’1%, quindi vendere yen contro dollari e infine investire in asset denominati in dollari (obbligazioni ma anche azioni) con tassi di rendimento molto più elevati, lucrando l’ampio differenziale. Né più né meno la stessa strategia che negli ultimi anni avrebbe avuto il risultato di sopprimere il prezzo dell’oro: prendere a prestito l’oro dalle banche centrali (a tassi inferiori all’1%) venderlo a pronti sul mercato e investirne il ricavato in asset con rendimenti molto più elevati.

L’effetto netto di queste strategie è quello di spingere al ribasso o mantenere su valori inferiori rispetto a quelli di equilibrio il prezzo dell’asset il cui costo di borrowing è particolarmente basso. Nell’ottobre del 1998 ad esempio, la strategia dello Yen Carry Trade venne minacciata dagli interventi congiunti della FED e della Banca del Giappone tesi a stabilizzare il tasso di cambio. Il risultato fu l’uscita di massa degli operatori dalle posizioni in essere che portò nel giro di tre giorni una rivalutazione dello Yen di circa il 20%. Lo stesso accadde nel settembre del 1999 sul mercato dell’oro, quando l’accordo degli Stati europei di non vendere le proprie riserve d’oro per i 5 anni successivi fece schizzare il prezzo del metallo del 30% in soli 3 giorni.

Tuttavia con i rendimenti dei titoli di stato e delle borse americane in caduta libera quella strategia ha già incontrato diversi problemi nel primo semestre del 2002 portando appunto lo Yen a rafforzarsi contro la divisa americana, dai 135 di febbario ai 115 di luglio, e sollevando le preoccupazioni della Banca del Giappone in merito alla stabilità del tasso di cambio USD/JPY, la cui debolezza soffocherebbe le esportazioni e quindi l’economia nipponica.

Considerando che i giapponesi detengono un ammontare significativo di titoli di stato (circa 300 B di dollari) obbligazioni e crediti corporate (altri 300 B) e azioni americane, il rischio maggiore a cui si sta andando incontro è che molti di quei capitali parcheggiati negli USA, non più giustificati da un ampio differenziale di tassi, vengano rimpatriati in Giappone sia per sostenere l’ammontare crescente del debito pubblico che per rimpiazzare i capitali distrutti dai fallimenti interni. A questi si aggiungono i capitali legati allo scioglimento delle posizioni basate sullo Yen Carry Trade.

Da qui il dilemma che potrebbe portare a un terremoto finanziario nei movimenti internazionali dei capitali. Un rimpatrio “forzato” di capitali nipponici che abbia come origine la vendita di asset americani tenderebbe a indebolire il dollaro e a rafforzare lo yen. Proprio il contrario di quello che servirebbe al Giappone per uscire dalla crisi.

I flussi in uscita dagli asset americani porterebbe a un rialzo dei rendimenti USA necessario perlomeno a scoraggiare le vendite di titoli di stato americani da parte dei giapponesi. Tuttavia, un rialzo dei tassi in USA contribuirebbe a questo punto del processo (per cui l’economia americana ha evitato la recessione grazie solo alla discesa dei tassi) a spingere l’economia verso un avvitamento estremamente pericoloso.

Vendite di dollari da parte dei giapponesi tese, più che a rimpatriare totalmente i capitali, a spostarli nel continente europeo eviterebbe un rafforzamento dello yen estremamente dannoso per la già ristagnante economia nipponica, tuttavia, pur esercitando meno pressione sul cambio dollaro yen, indebolirebbe comunque il dollaro in termini di euro. In questo secondo caso, la debolezza del dollaro nei confronti della valuta europea, già evidente negli ultimi sei mesi, metterebbe a rischio anche il rendimento di altri capitali non giapponesi che sono parcheggiati negli USA in attesa della ripresa economica. La minaccia della svalutazione di quei capitali potrebbe innescare ulteriori disinvestimenti e accelerare la caduta del dollaro a favore della quale si pone anche l’enorme debito delle partite correnti americano.

A tal punto, la fuga di capitali giapponesi potrebbe assumere ulteriori stimoli e quindi essere dirottata necessariamente verso il Giappone stesso. La vendita di asset in dollari porterebbe a un rialzo dei rendimenti, perlomeno quelli a lungo termine, che hanno stimolato finora il mercato americano (in particolare quello immobiliare e dei crediti al consumo). Il rialzo dello Yen causerebbe d’altra parte problemi non indifferenti all’economia giapponese, soffocandone ogni speranza di ripresa e quindi accendendo la stessa spirale di rialzo dei tassi.

Le armi a disposizione delle banche centrali per difendersi da questi movimenti di capitale sono, data la situazione attuale, oramai ridotte. La difesa della valuta tramite un rialzo dei tassi non sarebbe neanche utilizzabile, pena il collasso della bolla del credito. La situazione potrebbe pertanto sfociare in una delle crisi valutarie più importanti ed interessanti degli ultimi 10 anni.
 

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