I conti non tornano Dalla Borsa solo un quinto del gettito
Antonella Olivieri
Cronologia articolo15 dicembre 2012
In questo articolo
Argomenti: Borsa di Londra | Camera dei deputati | Comitato Esecutivo | Index | Borsa di Milano | Etf | Borsa Valori | Tobin tax
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La gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Un bell'handicap per il percorso accidentato della Tobin tax, dove la concitazione della fine anticipata della legislatura e l'azione delle diverse lobby in campo, ha finito per stravolgere l'impostazione iniziale del Governo che originariamente prevedeva un'aliquota del 5 per mille su tutte le transazioni finanziarie con l'esclusione di quelle sui titoli di Stato. L'esecutivo non ha tenuto conto dell'ordine del giorno passato con un plebiscito alla Camera al motto di "pagare meno, pagare tutti", prospettando invece con l'emendamento Giarda una soluzione che di fatto taglia fuori dalla gittata del prelievo il 95% della base imponibile iniziale.
I conti però non tornano. Nelle stime governative, che accompagnano l'ultima formulazione della tassa, si indica un volume annuo imponibile di 636 miliardi di negoziazioni azionarie, cui si aggiungono 416 miliardi di scambi over the counter (Otc), cifre da ridurre, per i contraccolpi dell'imposizione, la prima a 446,9 miliardi e la seconda a 385. Da queste basi si dovrebbe ricavare un miliardo di entrate fiscali all'anno.
Rifacendo i calcoli, partendo dal mercato, non si arriva però neanche a un quinto del gettito previsto. Anzitutto la Borsa. Quest'anno gli scambi sono stati nell'ordine dei 2 miliardi al giorno, riducendosi ultimamente a 1,6 miliardi: la proiezione per tutto il 2012 fa 470 miliardi. Di questi, non meno del 30% (141 miliardi) viene mosso dai trader online che, chiudendo le posizioni in giornata, sarebbero di fatto esentati. Supponiamo però che il 30% dei day trader non saldi zero a fine giornata e venga sottoposto perciò al prelievo: su 42 miliardi di scambi annui fa 41 milioni (con l'aliquota "normalizzata" del 10 per mille) di introiti annui per le casse dello Stato. Il 20% circa degli scambi (94 miliardi) deriva dagli high-frequency trader, che verrebbero spiazzati dall'imposizione più penalizzante, oppure potrebbero accordarsi con i market maker (che sono esenti) per aggirare il balzello, oppure ancora potrebbero riuscire a chiudere le posizioni in giornata. L'effetto non cambia: da questo canale non si caverà un euro. Poi c'è il 10% del mercato fatto da Index trader, che arbitraggiano tra cash e future, ma sono qualificati come market maker e dunque esenti: anche qui 47 miliardi di scambi che sfuggono alla Tobin tax. Un altro 10% dei volumi viene mosso dai privati, finora almeno per il 60% tramite lo strumento delle gestioni patrimoniali, sulle quali, per sentenza europea, è stata introdotta l'Iva, con la conseguenza che le gestioni andranno a sparire a favore dell'investimento in Etf (fondi che resplicano l'indice o panieri di azioni): dal retail superstite si potrebbero ricavare meno di 20 milioni di gettito. C'è infine il 30% di istituzionali – 141 miliardi di scambi (sulle stime 2012), di cui il 20% italiani e l'80% esteri. Dal conto sono da togliere però un 10% di scambi, esentati, sui titoli con capitalizzazione inferiore al mezzo miliardo, un altro 5% su Stm e Tenaris che hanno sede all'estero e come tali esenti, e infine i grandi investitori che utilizzando i cosidetti contracts for difference, come è successo in Francia, aggirerebbero la Tobin tax. Totale: dalla Borsa azionaria arriverebbero meno di 135 milioni di gettito.
Ci sono poi i derivati: 600 miliardi di scambi sui future e 70 sulle opzioni, stimabili per il circuito di Borsa nel 2012. Al massimo 30 milioni all'anno per il Fisco, che l'anno prossimo, dato che per questi strumenti la data d'avvio della Tobin è il 1° luglio, si riducono alla metà. Dunque, per il 2013, complessivamente, non più di 150 milioni il gettito da Piazza Affari.
Il grosso delle entrate, secondo le previsioni governative, dovrebbe però derivare dalle negoziazioni Otc. Ma qui è proprio nebbia fitta. I principali due circuiti di riferimento sono all'estero: su Chi-x e Turquoise della Borsa di Londra transitano all'incirca 100 miliardi all'anno di scambi su azioni italiane. Sui dark pool sparsi per il mondo, dove comunque le negoziazioni sui titoli tricolori sono irrilevanti, non si sa nulla. Ma che potere impositivo può avere lo Stato italiano su un investitore estero che compra e vende all'estero? Come recuperare gli 800 milioni di gettito previsto con l'aliquota dello 0,22% (0,2% nel 2014) è proprio un mistero.
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direi che è stata pure ottimista.


Non ha considerato il mancato introito da capital gain