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A gennaio 2015 la rinuncia alla soglia minima del tasso di cambio del franco svizzero contro euro aveva prodotto l’effetto dirompente di una bomba. Come se tutti gli investitori del mondo avessero atteso il momento della libera fluttuazione del franco, l’euro era precipitato in caduta libera, arrivando a quotare in alcune interminabili giornate addirittura al di sotto della parità contro la valuta rossocrociata. Per i settori dell’economia svizzera orientati all’export è così iniziato un calvario che si protrae ormai da oltre due anni e mezzo, sebbene come noto non tutti siano stati colpiti nella stessa misura dallo shock del tasso di cambio. L’industria farmaceutica è ad esempio apparsa quasi del tutto immune, conquistando in modo probabilmente irreversibile l’indiscussa leadership tra tutti i rami dell’export. Altri settori un tempo ai vertici, come quelli di macchinari, metallurgia e apparecchiature elettriche, hanno invece mostrato difficoltà più accentuate. Ad essere maggiormente colpito è stato tuttavia il comparto del turismo nazionale, che ha accusato pesanti contraccolpi a causa non solo della forza del franco svizzero, ma anche della debolezza congiunturale in Europa. Il 4.8.2017 il cross franco/euro è finalmente tornato sopra la soglia di 1,15 – il livello più elevato da quando era stato rimosso l’ancoraggio della nostra moneta nazionale all’euro. Finalmente, molto più di un timido cenno di distensione, ben diverso da quelli che nel recente passato sono stati perlopiù di natura fugace. Più volte l’euro era infatti rimbalzato invano contro la soglia di 1,10. Negli ultimi due anni e mezzo la BNS ha dovuto mettere sul piatto della bilancia ulteriori miliardi per difendere almeno il livello di 1,05. E ora, quasi come un fulmine a ciel sereno, questo spettro se ne starebbe andando in punta di piedi? Vogliamo ben sperarlo, in quanto si tratterebbe di una salutare boccata di ossigeno per la martoriata industria svizzera. Chi negli ultimi 30 mesi è riuscito ad affermarsi nell’agguerrito scenario della concorrenza globale in condizioni del tutto avverse ha infatti non solo dimostrato di essere piuttosto in forma, ma si è anche meritato una pausa per riprendere fiato. Soddisfatti con poco Anche se l’aumento dell’euro in direzione di 1,15 allenta la presa sugli esportatori, non si può certo parlare di cessato allarme, come sbandierato in modo probabilmente affrettato da diversi organi di stampa. I periodi di vacche magre per le aziende esportatrici non sono assolutamente ancora alle spalle, in quanto anche con l’attuale livello di cambio la nostra valuta è tutt’oggi fortemente sopravvalutata. Le cose dovrebbero andare decisamente meglio almeno per la BNS, che a suo tempo era stata la causa prima di questo disastro valutario, in quanto beneficia direttamente della rivalutazione dell’euro: in primo luogo ha accumulato riserve in valuta estera per oltre 700 miliardi di franchi e, secondariamente, al momento non deve più intervenire sul mercato dei cambi. Per l’intera economia produttiva resta ancora da vedere quali saranno gli effetti reali prodotti sui risultati operativi dall’attuale evoluzione sul mercato dei cambi. Ad oggi, qualsiasi dichiarazione a riguardo sarebbe prematura. Le dichiarazioni «a caldo» delle schiere di analisti non appaiono soddisfacenti: per quanto le spiegazioni fornite possano sembrare plausibili, nessuno può davvero dire per quale motivo il franco ha perso il favore dei mercati. Ma a oltre due anni e mezzo di distanza dallo shock del franco, qui in Svizzera ci si accontenta ormai con poco. «Esportazioni a livelli record» o «Inversione di tendenza nel numero di pernottamenti» sono sicuramente titoli a effetto per vendere più giornali, ma i dettagli sulle cifre evidenziano ancora che la ripresa poggia su basi troppo striminzite. Anche a un livello di 1,30 franchi per un euro, la moneta rossocrociata sarebbe ancora sopravvalutata