Euro sì-euro no - euro fallisce?

L'uscita di Mario Monti è l'unico modo per salvare l'Italia


Anche Evans Pritchard dal Telegraph prende le distanze dal coro: Mario Monti sarà pure un grande gentleman eropeo, ma è anche un sommo sacerdote del progetto UE e un protagonista dell'adesione dell'Italia all'euro, la valuta sbagliata.




di Ambrose Evans Pritchard - L'Italia ha solo un grave problema economico. Ha la valuta sbagliata.
Il paese è più ricco della Germania in termini pro capite, con circa 9.000 miliardi di € di ricchezza privata. Ha il più grande avanzo primario nel blocco dei G7. Il suo debito pubblico e privato combinato è al 265pc del PIL, inferiore a quello di Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone.


Voci dall'estero: L'uscita di Mario Monti è l'unico modo per salvare l'Italia


domenica 6 gennaio 2013

Forse non sono stato chiaro...


Mi intrometto nella discussione segnalando questi due video di grillo [ame=http://www.youtube.com/watch?v=xs1EMaitDt8]Beppe Grillo a Piazza Pulita (19/04/'12) - YouTube[/ame] qui prende una posizione sull'euro al minuto 4:08 il secondo [ame=http://www.youtube.com/watch?v=-0565lU74sI]Beppe Grillo: "Torneremo alla lira. La Germania ci sta fregando" - YouTube[/ame] al minuto 4:00 parla dell'europa e della germania. Dopo questi video la sua posizione è cambiata ed ha iniziato a dire referendum sull'euro, forse, dico io, perchè la gente non riusciva a seguirlo su certe posizioni. Insomma con la disinformazione che c'è dire usciamo dall'euro penso che crei il panico e basta.
Alessio Ferrari

Grazie per il contributo. Mi ripeto perché vedo che forse è necessario (però promettetemi di leggere tutto il post), anche perché la mia posizione in merito ha subito un'evoluzione che chi segue il blog può aver percepito, mentre altri, magari meno attenti o arrivati da poco, no. La mia opinione attuale, che vorrei condividere con voi e sottoporre al vostro giudizio, è questa:

So bene che dopo 30 anni di disinformazione potrebbe essere pericoloso in termini elettorali parlare di uscita dall'euro, e che una campagna elettorale al grido di "fuori dall'euro!" certamente metterebbe l'Italia in mano ai mercati (cioè a Draghi, che ha un ovvio interesse a mantenere l'euro). Da tecnico non sono certo io quello che deve dire ai politici quali scelte politiche fare. Ma nessuno obbliga a mentire ripetendo che la crisi è stata causata dal debito pubblico. Non chiedo a nessuno di schierarsi esplicitamente a favore di un progetto che potrebbe terrorizzare gli elettori disinformati ("fuori dall'euro!"). Chiedo (umilmente) solo di non mentire attribuendo al debito pubblico la colpa della crisi attuale. Solo smettendo di mentire i politici possono dimostrare di voler porre le basi per una soluzione democratica della crisi economica e politica del nostro paese, possono cioè aiutare gli elettori a formarsi un giudizio, a "unire i puntini". Mentendo, dimostrano solo di voler uccidere la democrazia per rubare consenso. Dimostrano cioè di essere come tutti gli altri. Le facce nuove non mi interessano se fanno cose vecchie.
 
Rischi tedeschi



Frank Wiebe, redattore di Handelsblatt, con un commento sul principale quotidiano economico, ci ricorda che anche al di sopra delle alpi qualcuno conosce i principi della Goofynomics. Da Handelsblatt.de
La Germania, almeno così pare, non ha perso slancio. Lo stato tedesco riceve dagli investitori denaro quasi gratis, le aziende tedesche prendono a prestito ad un tasso piu' basso di alcuni stati e mettono all'angolo i loro concorrenti, soprattutto in Europa. I tentativi degli stati in crisi di recuperare competitività sono in pericolo, e rischiano di fallire sotto la supremazia dell'economia tedesca. Gli ingegneri tedeschi, cosi' sembra, sono imbattibili, e i manager tedeschi sono sempre capaci di vendere in tutto il mondo la tecnica prodotta dai loro ingegneri.


Lasciamo per un attimo da parte la domanda morale:
"i tedeschi" con la loro politica di competitività senza rispetto spingono gli altri paesi verso l'abisso - o invece hanno solo fatto qualche errore in meno degli spagnoli, dei francesi e degli italani?
Poniamoci piuttosto la domanda: dove risiedono i pericoli per il nostro modello economico?
Abbiamo per caso trovato la pietra filosofale e sappiamo come crescere in maniera equilibrata, mentre gli americani, i britannici e gli europei del sud si nutrono di bolle nate sui mercati finanziari, che inevitabilmente finiranno per scoppiare?
Oppure anche noi stiamo finendo, senza saperlo, in una bolla?



L'economista americano William White in un paper uscito in agosto, centrato sulle conseguenze di lungo periodo di una politica monetaria espansiva, ha fatto una annotazione istruttiva sulla Germania. Ha citato il governatore della banca centrale giapponese, il quale ha ripetuto in piu' occasioni: il Giappone non ha risolto i suoi problemi poiché non è riuscito ad orientare la sua economia verso i bisogni di una popolazione in rapido invecchiamento e a difendersi dalla concorrenza dei paesi in via di sviluppo.


Vi ricorda qualcosa? Anche noi abbiamo una popolazione in rapido invecchiamento e in alcuni settori, come l'industria solare, subiamo chiaramente la concorrenza dell'estremo oriente. White teme che la Germania, dopo la crisi finanziaria, abbia sovvenzionato una struttura economica obsoleta, troppo orientata all'export, e quindi dipendente dagli squilibri economici, che prima o poi dovranno necessariamente essere colmati.


E qui si arriva a un tema, che i critici della Germania come l'economista Heiner Flassbeck propongono già da anni: grandi avanzi commerciali non sono possibili senza l'accumulo di crediti verso l'estero - sia che si nascondano in investimenti privati, nei portafogli delle Landesbank tedesche o nei saldi Target della banca centrale. Detto altrimenti: se VW ora mette all'angolo Fiat anche in Italia, come potrà pretendere la Germania il rimborso dei suoi crediti verso l'Italia? Tali squilibri alla lunga non sono sostenibili, e questo è il pericolo per il modello economico tedesco.
Anche la dipendenza di molte industrie dalla Cina come motore di crescita, potrebbe costarci cara. In Cina regna ancora un'economia di mercato controllata dallo stato, vale a dire: una allocazione delle risorse scorretta potrebbe restare nascosta a lungo, ed avere effetti per un tempo anche maggiore.



Molte aziende tedesche sono consapevoli di questi rischi e agiscono con prudenza. E' molto difficile per la politica avere influenza su cosa l'economia produce e per chi. Ma discutere se abbiamo il giusto modello economico per una società in rapido invecchiamento in un ambiente incerto, tormentato da crisi continue, potrebbe anche tornarci utile.
Voci dalla Germania: Rischi tedeschi
 
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Nell’euro si perde il lavoro, ci sono le prove…

di Marcello Foa
giugno 19, 2013
Riporto qui per intero il mio ultimo post del blog “Il Cuore del Mondo”:
La fonte è a prova di smentita: trattasi dell’Organizzazione internazionale del Lavoro.

Il dato inequivocabile, poiché statistico.
Secondo le cifre diffuse alcuni giorni fa e di cui ben pochi hanno parlato in Europa, i 19 Paesi dove l’occupazione è tornata sopra i livelli prima della crisi dei mutui subprime del 2008 sono:
Argentina, Turchia, Ungheria, Repubblica Dominicana, Malta, Romania, Armenia, Brasile, Cile, Lussemburgo, Germania, Colombia, Israele, Uruguay, Perù, Russia, Svizzera, Kazakistan, Thailandia.
I Paesi che l’Organizzazione internazionale del lavoro considera in continuo declino sono:
Giordania, Croazia, Grecia, Spagna, Italia, Marocco, Sri Lanka, Belgio, Portogallo, Slovacchia, Francia, Irlanda, Slovenia, Giamaica, Finlandia, Cipro, Giappone, Danimarca, Olanda, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia.
Poi c’è l’Austria che rientra nella categoria dei Paesi in miglioramento ma sotto i livelli pre-crisi.
Dunque: solo 3 Paesi della zona euro stanno veramente bene, ma di questi tre due (Lussemburgo e Malta) sono così piccoli e operano in condizioni talmente particolari da non fare quasi testo. Ne resta uno solo: la Germania.
Tutti gli altri, dall’Italia alle new entry Slovacchia e Slovenia, stanno molto peggio e tutte, tranne forse l’Austria, sono in declino strutturale. Ovvero l’entrata della moneta unica non ha portato i giovamenti a lungo sbandierati e a cui pochi credono ancora. S’incrina un altro teorema consolatorio, quello secondo cui lo scudo dell’euro consente ai singoli Paesi di resistere meglio alle crisi.
E’ vero il contrario: chi adotta l’euro rende anelastica la propria economia e dunque alla fine paga un prezzo molto elevato in termini di crescita e di occupazione. Detto in modo meno elegante e più diretto: quei Paesi diventano più poveri e vedono svanire le prospettive di crescita.
Insomma, a meno di essere tedeschi, non è proprio un affare. E, ne converrete, non si tratta di un’opinione ma di una prova, certificata dall’Organizzazione internazionale del lavoro.


Nell?euro si perde il lavoro, ci sono le prove? | Capire davvero la crisi
 
Alberto Bagnai: Perchè siamo entrati in crisi


Pubblicato in data 10/apr/2013
Con una narrazione rigorosa -- il libro del prof.Alberto Bagnai "Il Tramonto dell'Euro" professore associato di Politica economica presso il Dipartimento di Economia dell'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti-Pescara che a Livorno il 6 Aprile 2013 ce lo ha presentato, è pieno di dati reali, riscontrabili nei database delle principali istituzioni economiche mondiali, Ormai ad essere in gioco, secondo l'autore, non è più soltanto l'economia dell'Italia, la sostenibilità dei suoi bilanci, ma la democrazia stessa, perché questa è una crisi non più soltanto economica, ma politica nel senso autentico del termine e quindi una crisi sistemica della democrazia nel continente europeo. Occorre ridefinire i termini e i concetti chiave della nostra società ed "il tramonto dell'euro" analizza il contesto politico ed economico, identifica i responsabili e cerca di abbozzare il dopo euro, richiamando il lettore e il cittadino alle proprie responsabilità.



https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=9tZxxko-jDE
 
scire dall’Euro, i Trattati lo prevedono?

Presentiamo questo interessante articolo di Angela Iannone apparso su Yahoo! Finanza.



Si può uscire dall’euro? Legalmente? E’ un’ipotesi che diventa sempre più ricorrente e viene vista come il “male minore” rispetto a quella di perseguire le politiche economiche comunitarie, causa di austerità e recessione in molti Paesi europei. Alla domanda ha provato a rispondere Pietro Manzini, docente di Diritto Internazionale, ospite al Festival dell’Economia di Trento che si è svolto qualche giorno fa.
L’opinione comune, secondo Manzini, sostiene che non si può uscire dalla moneta unica senza una previa modifica dei Trattati .


In realtà,ci sono altri aspetti da esaminare e soprattutto, tre differenti ipotesi che sono:

l’espulsione dall’euro di uno o più paesi in default;
il recesso volontario di questi stessi paesi

e l’abbandono volontario dell’euro da parte dei paesi virtuosi per costituire un “super euro”.



Analizziamo attentamente e separatamente le tre ipotesi.
Per immagini: crisi dell’Eurozona, la situazione Paese per Paese
L’ipotesi di un’espulsione per rischio default è la più improbabile perchè, secondo Manzini, “non è contemplata in nessun caso dai Trattati europei, né per quanto riguarda l’appartenenza all’Unione né per quanto attiene l’adesione all’euro”. L’Unione Europea è infatti disciplinata da una serie di regole, racchiuse nei Trattati, che hanno proprio lo scopo di evitare che un Paese venga estromesso dall’Europa. Tra queste, l’articolo 126, relativo al problema dell’eccesso di disavanzo pubblico rispetto al Pil, stabilisce che la Commissione o gli altri Stati membri devono “obbligatoriamente perseguire una soluzione politica elaborata in seno al Consiglio”, come “intimare” allo Stato a rischio di prendere misure correttive, ma non l’uscita dall’euro. Perciò “non appare configurabile nessuna espulsione forzata di uno Stato in default, né attraverso un ricorso alla Corte, né con una deliberazione politica da parte degli altri Stati membri”.


Il secondo caso previsto riguarda il recesso volontario dei Paesi a rischio. In questo caso, il Trattato prevede, con l’art. 50, che “ogni Stato membro possa decidere di recedere dall’Unione”. Una decisione che, sebbene non esplicitamente prevista dai Trattati, non è “giuridicamente inimmaginabile”: questo articolo, infatti, prevede che si può uscire dall’Unione in toto e non soltanto da un suo “pezzo”, ovvero la moneta unica. In realtà, esistono altre norme dei Trattati – come l’articolo 3 o l’articolo 140 – che legano Unione e euro in maniera definitiva. Tuttavia, secondo il docente, l’articolo 50 non è un ostacolo giuridico insormontabile all’uscita dall’euro pur restando nella UE: “Anzitutto – spiega – prevedendo la possibilità di recesso dall’Unione, non vieta esplicitamente il recesso solo dall’euro; [...] in secondo luogo, una norma che ammette la possibilità di recedere dall’intero blocco degli obblighi europei potrebbe essere interpretata nel senso di consentire anche la possibilità di recedere da una parte soltanto di questi obblighi”.
C’è poi l’ultima ipotesi, quella che vede allontanare gli Stati virtuosi da quelli a rischio default, costituendo una nuova area con una nuova moneta più stabile dell’euro. Ipotesi verificabile, ma meno compatibile con l’attuale struttura costituzionale europea. In particolare, l’articolo 3 prevede che “la moneta dell’Unione sia l’euro” e perciò esclude la possibilità che vi siano due monete in circolazione. Inoltre, l’uscita volontaria non parla di uscita in blocco. Tuttavia, abbiamo visto come l’articolo 50 lo permetta, anzi, spiega Manzini, gli Stati virtuosi possono motivare la loro uscita proprio dal non rispetto da parte degli altri Stati dei vincoli posti dai Trattati europei.
In sintesi, a parte l’impossibilità nel primo caso – l’estromissione per rischio default - per gli altri due casi non vi sono ostacoli giuridici insormontabili da impedirne l’attuazione. “È meglio saperlo -conclude l’autore - nel caso in cui il ‘recesso volontario’ venga suggerito dai partner europei come una soluzione obbligata.

By GPG Imperatrice
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