EUROPA nazista

Il 31 maggio è nata la polizia del pensiero, attenti a cosa scrivete. Ue e social vanno a caccia di odio
dal 31 maggio scorso l’Eurocrazia è passata dalle parole ai fatti su questo argomento, visto che l’Ue in collaborazione con Facebook, Twitter. YouTube e Microsoft ha svelato un nuovo “codice di condotta per combattere il dilagare on-line di discorsi di odio illegali in Europa”. Ovviamente, il tutto è stato mascherato con la scusa buona per tutte le stagioni della lotta al terrorismo, visto che per i proponenti del codice “dopo le stragi di Parigi e Bruxelles è necessario un giro di vite sui discorsi che incitano all’odio per contrastare la propaganda jihadista”.
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Esattamente come la legge di emergenza nazionale proclamata in Francia, servita pochissimo a contrastare l’islamismo violento ma moltissimo a mettere il bavaglio agli scioperi e alle manifestazioni contro la nuova legge sul lavoro.
Ma cosa contiene questo codice di condotta, presentato ufficialmente dalla Commissione Ue martedì scorso? “Siglando questo codice di condotta, le aziende IT si impegnano a proseguire i loro sforzi nel contrasto del linguaggio d’odio on-line. Questo includerà il continuo sviluppo di procedure interne e l’addestramento dello staff per garantire che controllino la maggior parte dei post e delle notifiche per giungere alla rimozione di quelle contenenti concetti d’odio in meno di 24 ore e di rimuovere o disabilitare l’accesso a questi contenuti, se necessario”.
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E ancora: “Le aziende IT rafforzeranno inoltre le partnership già in essere con organizzazioni della società civile che aiutano a segnalare chi promuove incitamento alla violenza e a condotte ispirate dall’odio. Le aziende IT e la Commissione Europea si ripromettono di continuare il loro lavoro di identificazione e promozione di contro-narrativa, nuove idee e iniziative, oltre al supporto di programmi educativi per incoraggiare il pensiero critico”. Tradotto, incoraggiamo il pensiero critico ma solo se rientra nei nostri schemi valoriali: altrimenti, cancellazioni, sospensioni, bandi e magari, in un futuro non troppo lontano, qualcosa di peggio che fa la spola tra un’aula di tribunale e una galera.
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Per fortuna, dopo la presentazione della nuova polizia del pensiero in stile orwelliano, qualcuno ha avuto da ridire, come il responsabile della comunicazione della National Secular Society britannica, Benjamin Jones, a detta del quale “lungi dal contrastare il cyber-jihad, questo accordo rischia di ottenere l’effetto opposto, etichettando ogni discussione critica sulla religione come vago “linguaggio dell’odio”. Come opereranno gli staff poco addestrati di Facebook o Twitter di fronte a critiche dell’Islam, magari in pagine che sono bersaglio proprio degli islamisti radicali?”.
Dello stesso avviso anche Jodie Ginsburg, amministratore delegato di Index on Censorship, a detta del quale “le leggi relative al linguaggio che incita l’odio sono già troppo vaste e ambigue in Europa. Questo accordo non definisce in maniera chiara cosa significhi linguaggio dell’odio e non offre sufficienti salvaguardie per la libertà di espressione. Ancora una volta si devolve potere a corporations non elette per determinare cosa sia odio oppure no e nel caso di punirlo, come una forza di polizia. Così facendo si spalancano le porte della clandestinità alle opinioni non allineate, di fatto dove è più difficile controllarle”.
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Un gruppo di organizzazioni per la libertà di espressione, European Digital Rights e Access Now, ha già dichiarato di non voler prendere parte a future discussioni con la Commissione Europea dopo il varo del codice di condotta, perché “in breve, questo accordo degrada la legge a uno status di seconda classe rispetto al ruolo preminente che si garantisce ad aziende private, a cui è stato chiesto di implementare arbitrariamente i termini dei loro servizi. Questo processo, nato al di fuori di un contesto democraticamente accertato, crea seri rischi per la libertà di espressione, visto che contenuti legali potrebbero essere cancellati come risultato di un volontario e non controllabile maccanismo di eliminazione e contrasto. Si tratta di una violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue”. Per l’europarlamentare indipendente britannica, Janice Atkinson”, si tratta di “un qualcosa di orwelliano. Chiunque abbia letto 1984, ora lo vede messo in atto dal vivo”.



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D’altronde, la logica era nell’aria da tempo e nel settembre 2015 se ne ebbe conferma quando Angela Merkel fu scoperta, grazie a un microfono lasciato acceso, mentre chiedeva al numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, cosa stesse facendo per prevenire critiche sul social alla sua politica di porte aperte verso gli immigrati.
Detto fatto, a gennaio di quest’anno, Facebook ha lanciato una “Online Civil Courage Initiative” indirizzata agli utenti in Germania per “combattere il linguaggio dell’odio e l’estremismo su Internet”. In un articolo per il Gatestone Institute, il commentatore britannico Douglas Murray ha notato che l’offensiva di Facebook contro il linguaggio razzista include anche qualsiasi tipo di critica all’attuale politica europea sull’immigrazione: “Decidendo che ogni commento relativo alla crisi in atto sia razzista, Facebook ha tramutato la visione della maggioranza dei cittadini europei in xenofobia e in tal modo condanna le loro visioni. Questa politica avrà un suo ruolo nello spingere l’Europa verso un futuro disastroso”.
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E proprio due giorni fa, Facebook ha sospeso l’account di Ingrid Carlqvist, esperta di Svezia proprio per il Gatestone Institute, dopo che aveva postato sul social network un filmato di 9 minuti intitolato “Sweden’s Migrant Rape Epidemic” e dedicato all’aumento esponenziale di stupri nel Paese scandinavo in concomitanza con l’arrivo in massa di immigrati, come dimostra anche questo grafico.
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In un editoriale, il Gatestone Institute ha scritto quanto segue: “Dopo una fortissima pressione dei nostri lettori, i media svedesi hanno cominciato a parlare della censura pesantissima posta in essere da Facebook. Il quale è andato in modalità controllo del danno, mandando in back-up l’account di Ingrid, senza offrire spiegazioni o porre delle scuse. Ironicamente, la censura ha solo aumentato l’attenzione della rete per il video. Facebook e l’Ue si sono arrese, per ora. Ma sono mortalmente serie nel loro intento di fermare idee che non piacciono loro. E ci riproveranno”.

Certo che ci riproveranno e non si limiteranno al razzismo e all’odio, ma alzeranno il tiro anche contro i critici e i gufi, per dirla alla Renzi, perché non possono permettersi che circolino in rete grafici come questo,
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frutto di un sondaggio IPSOS nel quale si chiedeva ai cittadini francesi quale fosse il futuro della Republique a loro modo di vedere, esprimendo il giudizio in una sola parola. Delle prime cinque utilizzate, quattro erano “esplosione sociale, declino, immobilismo e decadenza”. Per ora, non mi resta che lasciarvi con le ultime, immortali e quantomai preveggenti pagine di “1984” di George Orwell: “Guardò su, alla faccia enorme. Gli ci erano voluti quaranta anni per imparare che specie di sorriso era nascosto sotto quei baffi neri. Oh, che equivoco crudele! Oh, quale indocile esilio volontario da quell’affettuoso seno! Due lacrime puzzolenti di gin gli sgocciolavano ai lati del naso. Ma ogni cosa era a posto, ora, tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se medesimo. Amava il Gran Fratello”. Meditate. Prima che sia davvero troppo tardi.
 

non bastavano le quote latte: l’unione europea adesso ci impone anche le quote vino
Visto che il “vigneto Italia” si estende per 640mila ettari la nuova superficie disponibile si limita a 6.400 ettari. In realtà le effettive necessità dei coltivatori di piantare nuovi vigneti sono molto inferiori. Il 2015 si è chiuso con un export a quota 5,4 miliardi di euro…
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La Ue vuole far sparire dalle etichette la data di scadenza per facilitare lo smaltimento dell’olio vecchio

Dopo il via libera senza dazi dell’olio tunisino sul mercato dell'Unione europea, “Una scelta sbagliata - come ha dichiarato Coldiretti - che non aiuta i produttori tunisini, danneggia quelli italiani e aumenta il rischio delle frodi a danno dei consumatori”, arriva un'altra notizia che dà un ulteriore colpo di grazia all’olio extravergine l’oliva. La Ue vuole far sparire dalle etichette la data di scadenza per facilitare lo smaltimento dell’olio vecchio, con la conseguenza di ulteriore incertezza sulla qualità dei prodotti che consumiamo. La notizia ha sconvolto i produttori d’olio. I primi a scendere in campo per protestare sono stati gli agricoltori pugliesi con lo slogan per un no alle “mani dell’Europa nell’olio”.

Comunicare informazioni dettagliate su un prodotto, è indispensabile soprattutto per gli alimenti così da rendere consapevole il consumatore su ciò che sta per acquistare. Non solo, rappresenterebbe una maggiore tutela per i prodotti made in Italy e per la salute del consumatore. Che fine farebbe il nostro preziosissimo olio extravergine d’oliva? Per vederci chiaro sull’argomento si è ritenuto indispensabile chiedere un parere a due esperti doc di extravergine: a Paolo Scialla agronomo e redattore della guida SlowFood e a Fausto Borella fondatore di Masestrod’olio e curatore del libro guida Terred’olio.

Paolo Scialla: “Sulle intenzioni della Ue di modificare la normativa ancora ne so ancora poco però, per me su tutte le bottiglie dell’olio extravergine dovrebbe essere obbligatorio indicare l’annata della campagna olivicola. La data di scadenza che troviamo su prodotti di largo consumo è calcolata dal momento in cui s’imbottiglia fino ad un massimo di diciotto mesi. L’anno d’imbottigliamento non è detto che corrisponda all’anno della raccolta. Per assurdo si potrebbero anche imbottigliare oli franti tre anni prima. La normativa andrebbe rivisitata. Quindi la cosa migliore sarebbe dare l’obbligo di indicare l’anno della campagna olivicola cioè l’anno in cui avviene la raccolta e la frangitura già obbligatorio per i prodotti DOP e IPG dove si è certi dell’anno di produzione e d’imbottigliamento. A mio avviso l’olio extravergine d’oliva è consigliabile consumarlo entro dodici mesi, oltre i quali si ossida, inacidisce, si perdono tutti i valori nutrizionali. Raggiunti i diciotto mesi non è che scade, perde tutte le proprietà nobili che decadono fino ad annullarsi, l’olio diventa una sostanza grassa e basta”.

Fausto Borella: “La Ue in realtà vorrebbe che non siano più obbligatori i diciotto mesi di scadenza dall’imbottigliamento che da una parte è dannoso dall’altra dovrebbe provare ad autoregolamentare gli oleifici, le aziende. Si sa che l’olio cattivo sta nei silos. Un olio imbottigliato oggi primo aprile 2016 avrebbe come scadenza fine 2017 quindi, se magari è del 2014 invece di essere del 2015 addirittura senza anche la data di scadenza, se viene controllato e si scopre che non è extravergine partirebbero le multe oppure addirittura il ritiro. Per le industrie quindi, da una parte potrebbe essere un boomerang dall’altra è il consumatore che sarebbe disorientato e lasciato solo e non sarebbe più tutelato. Come al solito si vanno a trovare degli escamotage che non fanno bene a nessuno. Vi sarebbe un’altra legge che porta una grossa perdita. Se dovesse passare questa legge come al solito si cercherebbe di aiutare l’industria anche se poi, ripeto diventerebbe un boomerang”.

“Se arrivasse l’obbligo dell’annata di produzione blizzerebbe tutti - continua Borella - però a quel punto non esisterebbe più l’olio. Anch’io che faccio il poeta ma, racconto un milione di litri italiani, qui ci sono in ballo trecento milioni di litri. Io parlo quindi di un centesimo di produzione nazionale e di qualità, gli altri 99 centesimi chi li manda avanti? E’ ovvio che se venisse fuori l’obbligo dell’annata di produzione, non ci sarebbe più olio e sarebbe un disastro. Lo dico dispiaciuto, io vorrei che ci fosse l’obbligo dell’annata di produzione. Però è così, d’altra parte noi compriamo tonnellate di olio provenienti dalla Grecia, Spagna, abbiamo liberato i dazi per la Tunisia, poi c’è stata la Turchia ogni volta c’è ne è una. Arriva l’olio, o viene importato e fatto diventare, come giusto che sia, comunitario e non comunitario ma con i maneggi diventa addirittura 100 per 100 italiano, insomma non ne usciamo mai, questo è il problema. Vediamo gli sviluppi nei prossimi giorni per questa nuova proposta di legge”.

Insomma a quanto pare le leggi di mercato vengono sempre prima della salute per il consumatore. L’unica cosa forse sarebbe stare molto attenti a ciò che compriamo dando la prevalenza alla qualità del nostro made in Italy.
 

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