Grazie finalmente ho ben capito il significato della parola "bruni".
Sul rosso, su Weimar c'ero ma sto bruni non lo collegavo storicamente.
Grazie ancora Enrico!!!!
Io avevo scritto un articolo sul rossobrunismo, articolo che mi era stato pubblicato su un sito di un movimento culturale della mia città.
Poi l'articolo è stato rimosso (ho litigato con i capi del movimento).
Il pezzo era stato scritto molto prima delle elezioni politiche, in vista delle elezioni comunali nella città in cui abito (elezioni vinte dai "rossobruni").
Lo ripubblico qui.
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Rossobrunismo: l’ideologia fasciocomunista
Lo storico Eric Hobsbawm, con un’espressione divenuta celebre, definì “secolo breve” il Novecento, perché i grandi cataclismi storici che si sono verificati in tale secolo possono collocarsi tra il 1914 e il 1991. Il Novecento è stato, infatti, il secolo delle ideologie “applicate”. Con la caduta del muro di Berlino e la fine del mondo diviso in blocchi contrapposti si è entrati in una nuova era, in un nuovo tempo storico. Il nuovo corso del mondo è quello della globalizzazione, della “fine della storia” (tale è il titolo di una celebre opera di Francis Fukuyama), del primato dell’economia sulla politica, delle grandi migrazioni, del tramonto dello Stato-Leviatano, della fine della sovranità, del post-ideologico. Ed è proprio su quest’ultima categoria che in queste righe si cercherà di fare qualche riflessione di carattere politico e filosofico.
In seguito alla caduta del muro di Berlino e al crollo del blocco sovietico, infatti, da più parti si sostiene che le categorie di destra e di sinistra abbiano perso il loro significato storico e politico e che, in un mondo post-ideologico, non siano più le contrapposizioni e le differenze di concezione del mondo a stabilire il confine delle alleanze politiche, ma soltanto le soluzioni offerte per la definizione dei problemi pratici e concreti.
Costanzo Preve, forse il più coerente teorico del superamento della dicotomia destra-sinistra, in un’opera del 1998 che fu pubblicata con il titolo assai eloquente di “Destra e Sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali”, sostiene che la «serie di eventi storici contemporanei denominata “globalizzazione capitalistica” sconvolge il tradizionale panorama storico, politico e culturale in cui si erano formate la Destra e la Sinistra. Nonostante il crescente disagio a definire le differenze e le opposizioni, vi è come un’invincibile resistenza a lasciar cadere la dicotomia, certamente causata dalla legittima paura dello spaesamento e del sentirsi orfani di radici, identità e appartenenze. Occorre superare a nostro avviso questa pure sacrosanta paura. L’odierna “globalizzazione capitalistica” ha infatti una natura di destra in economia, di centro in politica e di sinistra nella cultura che sconvolge ogni dicotomia […]. Inoltre, le nozioni di Destra e di Sinistra non hanno alcuna consistenza veritativa, ma si muovono in un mondo virtuale ed ideologico».
Costanzo Preve è considerato non solo un maestro italiano del comunitarismo, cioè di quell’orientamento di pensiero post-marxista che reputa la comunità anteriore e prevalente rispetto all’individuo, cercando di coniugare la concezione aristotelica dell’uomo come animale politico e sociale con la teoria hegeliana della totalità («Il vero è l’intero», «das Wahre ist das Ganze», dice Hegel nella prefazione della “Fenomenologia dello spirito”, intendendo con ciò esprimere la preminenza del tutto sulla parte, dello Stato sull’individuo), ma è altresì ritenuto uno dei massimi esponenti del “rossobrunismo”.
Ma cosa s’intende per rossobrunismo, per pensiero rossobruno? Secondo tale concezione filosofico-politica, con la caduta del muro di Berlino e il collasso economico e politico dei sistemi socialisti si è imposta come vincente un’unica visione del mondo, quella del capitalismo globale o della globalizzazione capitalistica: tale visione del mondo ha assorbito in sé le categorie che dividevano lo spazio politico in destra, centro e sinistra, liquidandole in nome di un pensiero unico di stampo economicistico e di origine nordamericana. Dall’omologazione e dall’appiattimento de-ideologizzante imposto dalla globalizzazione dei mercati e del pensiero si sono salvate solo la tradizione della sinistra sovranista e nazionale (il “rosso”) e quella della destra sociale (il “bruno”). Se la globalizzazione viene da ovest, i rossobruni guardano ad est.
Pare evidente che un pensiero rossobruno autonomo possa essere partorito solo in un mondo post-ideologico, cioè in un universo di senso nel quale non esistono più le ideologie a porre delle linee di demarcazione nette tra gli “amici” e i “nemici”.
Poiché i rossobruni non si sono piegati di fronte alle forze della globalizzazione capitalistica, essi concepiscono se stessi come gli unici “puri”, come i veri depositari dei sacri valori delle rispettive tradizioni politiche, le quali si fondono in un milieu dalla cui analisi si possono enucleare alcuni tratti comuni caratterizzanti. Oltre alla “purezza” politica, il rossobrunismo rivendica con orgoglio non solo la propria opposizione alla globalizzazione, ma, per quanto riguarda il nostro continente, anche all’Unione europea e all’euro, perché tutti gli atti delle organizzazioni internazionali vengono concepiti come delle aggressioni all’idea stessa di sovranità dello Stato. Lo Stato tende a confondersi con la comunità nazionale, la cui cultura specifica va difesa dallo sradicamento provocato dall’afflusso di popolazioni migranti, viste, da parte “rossa”, come un meccanismo attraverso il quale il sistema capitalistico tende ad abbassare il salario reale dei lavoratori nazionali (i migranti, in quest’ottica, sostituiscono i disoccupati, l’“esercito industriale di riserva” di cui parlava Marx) e concepite, da parte “bruna”, come un intollerabile attacco ai valori del sangue e della terra. Contro il mondo moderno, contro l’“individuo” della tradizione borghese e liberale, dipinto come atomo sociale sradicato in balia delle forze distruttive del libero mercato, il rossobrunismo si appella all’idea di “comunità”, idea su cui si riverbera una nobile tradizione di sinistra e una molto meno nobile dottrina di destra (la
Volksgemeinschaft, la “comunità del popolo”, era un concetto cardinale dell’ideologia nazionalsocialista). A questo richiamo della comunità quale orizzonte di senso, comunità spesso vagheggiata e idealizzata come una sorta di paradiso terrestre riproposto in ottica storico-politica, corrispondono atteggiamenti di forte sfiducia nei confronti dei metodi razionalistici che hanno reso possibile il progresso della civiltà occidentale: dai no-euro ai no-vax è tutto un crescendo di critiche nei confronti della scienza economica nonché della scienza
tout court, interpretata come strumento attraverso il quale la globalizzazione capitalistica tende a imporre il dominio delle imprese multinazionali. Il populismo e il qualunquismo, infatti, si alimentano di complottismo e tutti gli elementi si confondono in una miscela incandescente, esplosiva, che vive di un pensiero fortemente simbolico, quasi “magico”, e che, alla prova dei fatti, risulta incapace di qualsivoglia razionalizzazione.
Il rossobrunismo non ha dato vita a uno specifico movimento politico, ma ha prodotto più che altro una mentalità, la quale nel nostro Paese, come dimostra l’avvento del grillismo e il rafforzamento dei movimenti cd. anti-politici e anti-sistema, sembra attraversare vasti strati della popolazione per accreditarsi come maggioritaria nella nostra società. La mentalità rossobruna accomuna tutti i critici del sistema dei partiti tradizionali, giacché questi ultimi non sono riusciti, almeno in Italia, a condurre verso un approdo sicuro la transizione da noi cominciata nel 1992 con Tangentopoli.
Anche ad ***** la critica più che legittima e più che fondata all’amministrazione comunale del PD ha prodotto un’opposizione che, in forza dello spazio politico ricoperto dalle alleanze createsi, potremmo definire rossobruna. E’ dunque quest’opposizione rossobruna l’unica alternativa possibile nella nostra città? È credibile un cambiamento, da tanti evocato, temuto, sperato, che si tinga degli inquietanti colori rossobruni?
Antonio Pennacchi, pittoresco scrittore che si è sempre occupato di storie del Ventennio, ha forse definito meglio di altri quella che, in fondo, è l’essenza del rossobrunismo; se si vivesse ancora in un mondo ideologico, infatti, non lo si potrebbe chiamare altrimenti che “fasciocomunismo”.