vabbeh
per farmi perdonare vi metto quello che volevo inserire in geopolitica
(limes era quello on line..accessibile a tutti)
il grande Sergio ROMANO che in italia non leggereste
qualche giorno fa su cdt
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IL COMMENTO ■ SERGIO ROMANO
Provocazioni di Pyongyang e ruolo della Cina
La provocazione è il principale strumento diplomatico della Corea del Nord.
Il duello d'ar­tiglieria sull'isola di Yeonpye­ong è stato il più spettacolare degli in­cidenti degli scorsi mesi, ma molto me­no sanguinoso di quello che provocò la morte di 46 marinai sudcoreani nello scorso marzo.
Non stiamo assistendo, quindi, a un fat­to nuovo, ma alla ripetizione, in forme particolarmente clamorose, di una vec­chia tattica.
Più di una volta ci siamo chiesti perché il regime comunista rom­pesse sistematicamente le fasi negozia­li che si sono aperte soprattutto duran­te la presidenza di Bill Clinton, ma an­che durante il secondo mandato di Ge­orge W. Bush alla Casa Bianca.
Credo che a questa domanda sia possibile da­re almeno due risposte.
In primo luogo la Corea del Nord persegue una politi­ca che cerca di conciliare due obiettivi opposti.
Vuole l'isolamento perché sol­tanto la chiusura del Paese a qualsiasi influenza esterna permette ai suoi diri­genti di esercitare un controllo totale sulla società e sull'economia.
Ma deve rompere l'isolamento, di tanto in tan­to, per compiacere la Cina (il suo indi­spensabile protettore) e negoziare mi­sure d'assistenza economica che renda­no meno drammatiche le condizioni dei suoi sudditi.
È uno Stato ricattatore con cui è impossibile, finché i suoi dirigen­ti resteranno al potere, stabilire le con­dizioni di una pacifica coesistenza.
Oggi, tuttavia, la situazione è ulterior­mente complicata dal passaggio delle consegne fra un leader malato, Kim Jong-il, e il suo terzo figlio, Kim Jong­un, promosso al ruolo di Delfino du­rante un congresso straordinario del partito alla fine di settembre.
Sapeva­mo che la Corea del Nord è una mo­narchia comunista e la scelta non ci ha sorpreso.
Ma questo regime, fondato sul culto del leader supremo, è anche una oligarchia, militare.
I generali controllano gli arsenali e l'in­dustria bellica, manovrano uno dei più attrezzati e disciplinati eserciti asiatici, sono per molti aspetti la spina dorsale del Paese. Si proclamano difensori del­la patria comunista contro il nemico del Sud e gli Stati Uniti, ma difendono soprattutto sé stessi, il loro status al ver­tice del paese, le loro prerogative e i lo­ro privilegi. In questa prospettiva, uno stato di tensione permanente è la migliore delle garanzie possibili.
È probabile quindi che questa casta, al momento della successione, voglia assicurarsi contro la possibilità di una politica estera più conciliante.
Ed è possibile che l'ordine di sparare, impartito a quanto pare dallo stesso Kim Jong-il, servisse per l'appunto a dimostrare che il giovane Kim, dopo la successione, avrebbe fatto la politica del padre.
Esiste un rischio di guerra?
Quando le crisi vengono spinte sino all'estremo limite e la catena delle reciproche reazioni sfugge al controllo dei giocatori, il rischio esiste. Ma la Cina, fortunatamente, non vuole una guerra che potrebbe concludersi con il crollo del regime nordcoreano e un aumento dell'influenza americana in Asia orientale.
Speriamo quindi che Pechino tenga le briglia sul collo del suo piccolo alleato.
Ma faremmo bene a non dimenticare che questa vicenda, come quella della crisi finanziaria, conferma indirettamente l'importanza che la Cina sta assumendo nel mondo a scapito degli Stati Uniti.
Non è soltanto il maggiore finanziatore del debito pubblico americano. È anche il Paese da cui dipende in ultima analisi la pace nell'Asia orientale.