Gramellescion

I figli di B si sentono perseguitati come gli ebrei ai tempi di Hitler. La fonte della rivelazione è estremamente autorevole: B. In un libro di Vespa, tra l’altro. E allora perché ne parli? (Me lo domando da solo). Per analizzare il meccanismo che ha cambiato l’informazione e un po’ le nostre teste. Funziona così: da vent’anni, quasi ogni giorno, B pronuncia una sciocchezza terrificante, contraria al buonsenso e al buongusto. La sciocchezza ha lo scopo di ribadire l’unica idea forte su cui B ha costruito il suo successo in politica: il vittimismo. Gli italiani adorano i vittimisti. Perciò un uomo che ha fatto affari con tutti i regimi e tutti i governi adora raccontarsi al suo popolo come il capro espiatorio di un’oscura macchinazione. B come i pellerossa, come gli ebrei, prossimamente come i migranti di Lampedusa. La scempiaggine provocatoria rimbalza sui siti e in tv, suscitando il commento divertito dei comici e quello indignato delle vittime vere. Ci cascano tutti. Ci cascano sempre. Per pigrizia, rabbia, automatismi strani. E la reazione alimenterà nel popolo di B il convincimento che lui sia veramente una vittima.

La tempesta di sabbia sollevata dalle panzane del Grande Incompreso è violenta ma breve, al pari di ogni altra emozione nella civiltà delle immagini. Il giorno dopo è già svanita nel nulla, lasciando un vuoto nevrotico che la prossima sparata provvederà a riempire. È una malattia di cui abbiamo inoculato il morbo. Non so chi perseguiti i figli di B.



Ma mi sono fatto un’idea di chi, da vent’anni, perseguita noi.

Concordo totalmente col punto di vista di Gramellini.
Secondo me gia' da un pezzo e' giunto il momento che le periodiche e puntuali esternazioni di B. vengano accolte col seguente commento: "Ok, anche oggi ha detto la sua str.onzata. Passiamo ad altro."
Una sola parola in piu' e' solo un regalo a B. e, quel che e' peggio, uno spreco di tempo.
 
È un'Italia che raccoglie i cocci della sua parte migliore e più ricca, il mitico Nord, quella che affronta l'autunno del 2013, cioè il momento in cui la crisi economica toccherà il suo punto peggiore, con durissime conseguenze per la popolazione.

Mentre tutto ciò avviene, il risultato delle elezioni della primavera 2013 ha lasciato il Paese nell'incertezza più totale. Non esiste alcuna proposta strutturata e credibile per uscire dalla crisi e nessuna forza politica pare avere le idee giuste per stimolare la crescita economica. Non si riesce a immaginare quale sarà la futura Storia (sì, con la S maiuscola) d'Italia. (...)



Il macrotrend economico negativo esiste, certo, ma in tanti, in troppi l'hanno usato come una comoda scusa. Una coperta per nascondere il fatto che l'Italia (...) va peggio di tutte le altre economie occidentali ed europee paragonabili, ed è ben al di sotto della media Ocse. Colpevole di questa disfatta è soprattutto un'intera generazione di politicanti e affaristi del Nord. Con poche eccezioni, le classi dirigenti del Settentrione hanno gestito in modo pessimo e, talvolta, persino criminale, sia i loro territori, sia l'intero Paese consegnato nelle loro mani, conducendoli sull'orlo della disfatta. Il Nord e il Paese intero si sono "meridionalizzati", nel senso peggiore che si può dare a questo termine (...).



La Caporetto è soprattutto economica e industriale. Certo, il lato più evidente e mediatizzato della disfatta del Nord è costituito dalle inchieste giudiziarie che, dalla primavera del 2012 in poi, hanno sconquassato un'intera classe dirigente come ai tempi di Tangentopoli.



Con la non trascurabile differenza che l'ordine di grandezza delle cifre in gioco è pari a dieci volte quello delle indagini che travolsero, a partire da Mario Chiesa, la prima Repubblica. Prendiamo i numeri che la magistratura contesta ai ciellini Pierangelo Daccò e Antonio Simone, ipotizzando eventuali complicità del governatore lombardo Roberto Formigoni, indagato per l'affaire. Si tratta di 70 milioni di euro, relativi a uno soltanto degli almeno 20 filoni di inchiesta aperti contemporaneamente sulla Regione Lombardia.



Ebbene, quella cifra è pari all'intero importo della tangente Enimont (150 miliardi di vecchie lire) che segnò la fine politica di due ex presidenti del Consiglio come Bettino Craxi e Arnaldo Forlani, e di personaggi centrali dell'establishment politico quali Gianni De Michelis, Giorgio La Malfa, Renato Altissimo. Ai quali va aggiunto Umberto Bossi, l'eccezione che conferma la regola. Eccezione perché, sebbene abbia preso i soldi e sia stato condannato sino alla Cassazione, il Senatùr è uscito da quella stagione politicamente indenne. (...)



Un patto fra i produttori?
Al termine del nostro percorso fra le macerie ci chiediamo: ma il Nord e il Sud che si contendono queste risorse, dove si trovano realmente? Coincidono con il Settentrione e il Meridione della carta geografica, oppure si tratta di riferimenti politici? Non sarà che un po' dappertutto in Italia sono presenti un Settentrione produttore sempre chino a lavorare e un Meridione parassita e consumatore?

Magari, la questione settentrionale può essere vista in modo trasversale a tutti i territori del Paese. Si può definire come il rapporto fra quelli che producono concretamente lavoro e ricchezza e coloro che li assorbono in modo parassitario e assistito, restituendo poco o nulla ai primi. Per esempio, la Lega, il grumo di interessi Cl-Cdo e altri soggetti che abbiamo incontrato in questo viaggio nella disfatta potrebbero essere visti come esempi (settentrionali doc) di soggetti che succhiano risorse a chi le genera. Ma ce ne sono tanti altri.

(...)Peraltro, il Nord produttivo soffre soprattutto a causa di fattori del tutto estranei al luogo comune antimeridionale: le imprese piccolissime; la quasi totale scomparsa delle grandi aziende con il relativo indotto di ricerca, sviluppo, commesse, subforniture; la situazione disastrosa delle infrastrutture; il venir meno delle svalutazioni competitive; gli scarsi investimenti privati in ricerca e sviluppo; l'estrema difficoltà della sua economia nel compiere una trasformazione terziaria; le scarse innovazioni di processo e di prodotto per competere sulla qualità nel mondo; l'eccesso di burocrazia (...).
L'attuale presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, rappresenta forse il meglio che il Nord può esprimere oggi a livello di leadership. Ed è giusto parlarne al termine di un'inchiesta dedicata alla scadente classe dirigente del Settentrione. Il Nord, infatti, possiede al suo interno le risorse per rinascere. Il problema è trasformare quelle risorse in classe dirigente organizzata ed egemone. Non basta, insomma, il caso isolato: di uomini "alla Squinzi" ce ne vorrebbero alcune decine.
Squinzi può essere considerato un campione delle medie imprese del quarto capitalismo, quello che tiene in piedi l'Italia e di cui abbiamo appena finito di parlare. Certo, la sua azienda, la Mapei, è ormai una multinazionale (2,2 miliardi di euro di ricavi, il 70% dei quali all'estero) della chimica, ma è ancora gestita come quando, negli anni Settanta, venne fondata da Rodolfo Squinzi, il padre di Giorgio: molta ricerca e sviluppo; utili completamente re-investiti (non sono mai stati staccati dividendi); forte presenza della famiglia in azienda; molta internazionalizzazione; tutti contratti a tempo indeterminato; l'orgoglio di non aver mai licenziato né messo in cassa integrazione nessuno e di pagare stipendi più alti della media; nessun aiuto dalla politica né interferenza dello Stato. È tutto questo che ha permesso alla Mapei di diventare un'azienda medio-grande.
 
La Lega, insieme ad altri, per vent'anni è stata in posizione politicamente determinante sia nelle regioni del Nord, sia nel Paese intero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il Paese si trova in condizioni economicamente peggiori di quando sono arrivati i leghisti. I territori del Nord sono stati governati malissimo. La Lega ha occupato poltrone e posti di potere con una voracità e un'ingordigia superiore a quella di tutti i partiti della Prima Repubblica. I casi di corruzione sono stati numerosi e conclamati. La Lega non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che aveva tanto sbandierato (federalismo, riduzione delle tasse, sburocratizzazione, moralizzazione, liberalizzazioni, riduzione della partitocrazia, niente di niente) e anzi, molte volte si è adoperata perché avvenisse il contrario.
La Lega, insomma, ha fallito eticamente, politicamente e gestionalmente. Una Caporetto di dimensioni epocali che non si limita al piccolo partito bossian-maroniano, ma esamina vari altri problema creati da alcune classi dirigenti del Nord che, oltre ai loro territori, per un ventennio hanno avuto in mano il Paese intero.

Non è colpa solo della crisi. Certo, la recessione economica in atto in tutto il mondo sta accelerando la caduta del Paese nella miseria. Ma il fatto è che l'Italia governata dal Nord (Berlusconi-Bossi) ha sofferto molto di più degli altri Paesi occidentali in recessione.
Secondo calcoli svolti da Eurostat, nel 1994, quando il duo Berlusconi-Bossi ha preso in mano il governo italiano per la prima volta, fatto 100 il reddito pro capite medio Ue, quello italiano era a livello 121. Nel 2010 (ultimo anno disponibile per i calcoli), fatto 100 il reddito pro capite medio Ue, quello italiano era a quota 104. Per quanto riguarda il debito pubblico, è passato dai 1134 miliardi di euro del 2001 ai 1900 del 2011.
«Nell'ultimo decennio», spiega l'economista Ronny Mazzocchi, intervistato nel libro «indipendentemente dall'indicatore utilizzato - prodotto interno lordo, pil pro capite, produttività del lavoro, total factor productivity - ci collochiamo agli ultimi posti nei ranking mondiali».
E così, negli anni Duemila, il tasso di risparmio delle famiglie si è abbassato del 5%, e quello di indebitamento è aumentato del 30%. Secondo l'Istat, il 2011 si è chiuso con ottantottomila occupati in meno nelle aziende con almeno un dipendente. In percentuale, nel 2011 l'occupazione è calata dello 0,7%. Meno della discesa dell'1,5% che si è vista nel 2010, ma comunque sempre di forte crisi si tratta, con ben pochi spiragli all'orizzonte. Particolarmente forte la disoccupazione nell'industria, che secondo Bankitalia ha chiuso il 2011 con un calo degli occupati dell'1%, che si somma al calo del 2,2% registrato nel 2010.
Vent'anni di Berluscon-leghismo hanno prodotto un tasso di disoccupazione che, considerando i cassintegrati, viene stimato da alcuni pari al 34% della popolazione attiva. Solo nel quinquennio 2006-2011, il manifatturiero, le fabbriche, sono passate dal 21% al 16% del pil. Tanti altri numeri sono citati nel libro, che è stato scritto con molta attenzione ai fatti, alle cifre.

I tre fallimenti della lega: morale, gestionale e politico. Il fallimento morale della Lega è il più evidente, dimostrato dalle spericolate avventure di Umberto Bossi (condannato in via definitiva per finanziamento illecito ai partiti), Francesco Belsito e altri.
Il secondo fallimento della Lega è quello politico: in vent'anni di vita parlamentare e dieci di governo in una posizione di forza, la Lega non ha portato a casa neanche uno degli obiettivi che rappresentano la sua ragion d'essere. Né il federalismo in qualche forma, né la riduzione delle imposte (che sono addirittura aumentate, proprio negli anni in cui la Lega esprimeva il ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, poi candidate a premier proprio dal Carroccio) né provvedimenti a favore delle piccole imprese e delle partite iva, né un miglior accesso al credito, né la semplificazione burocratica.
 
«questione settentrionale», o, meglio, attorno al suo lato oscuro: l’inadeguatezza e la rapacità delle sue classi dirigenti”.


Classi dirigenti che nel lontano 1994 erano calate dal nord produttivo verso Roma ladrona per settentrionalizzare il paese e che invece hanno solo causato la meridionalizzazione delle regioni sotto le alpi: “a vent’anni di distanza non solo i leader del Nord non hanno imposto i loro presunti valori al resto d’Italia ma paiono averli dimenticati. Alla meritocrazia si è sostituito il nepotismo, alla concorrenza i favori personali”.


Non solo il nord non è riuscito a esportare le sue virtù (la buona sanità, amministrazioni che funzionano, infrastrutture realizzate nei tempi e nei costi) al resto d'Italia, ma le cronache giudiziarie ci raccontano di come oramai la famosa “linea della palma” sia bel oltre la linea del Pò, solo per parlare della mafia. Visto che non ha più senso parlare di rischio infiltrazione.
La meridionalizzazione del nord ha portato all'occupazione da parte della politica di tutte le poltrone possibili, l'assenza di controllo sulla spesa pubblica usata solo per favore amici, l'assenza di meritocrazia, di rispetto delle regole e del bene comune, cementificazione, traffico illegale di rifiuti, e ancora “corruzione, clientelismo, malagestione, mafie, sottosviluppo economico, lentezza, incapacità o impossibilità di prendere decisioni”.


Nulla è stato risparmiato ai cittadini di Lombardia, Piemonte, Veneto.
Colpevole di questa disfatta è soprattutto un’intera generazione di politicanti e affaristi del Nord: “passando da Maroni a Formigoni, da Monti a Tosi e Ponzellini, dalla Lega a Comunione e Liberazione; tra banche che finanziano gli amici anziché le piccole imprese, grandi aziende pronte a fuggire all’estero, ricchezze accumulate a scapito della salute dei cittadini”.



Le inchieste della magistratura non sono il problema, ma solo il sintomo di una malattia grave, che rischia di essere sottovalutata: prendiamo ad esempio l'inchiesta che riguarda Formigoni e la Maugeri: i numeri che la magistratura contesta ai ciellini Pierangelo Daccò e Antonio Simone, sono 70 milioni di euro, relativi a uno soltanto degli almeno 20 filoni di inchiesta.
Solo questa cifra è pari all’intero importo della tangente Enimont (150 miliardi di vecchie lire): tangente Enimont che segnò la fine di un'intera classe politica della prima Repubblica.


Formigoni (e i suoi assessori) e Maroni che ne ha preso il posto in regione, invece non sembrano avere accusato nessun colpo.
Spiega l'autore, e lo ripete più volte nel corso del libro che a lui non interessa tanto l'aspetto giudiziario:
“ciò che conta davvero sono i comportamenti (morali, storici, gestionali e politici) che emergono dagli atti giudiziari e dalle cronache”.Tutti i politici coinvolti nelle inchieste raccontate infatti si dicono sereni, nell'attesa che la magistratura faccia il suo corso. Al massimo, quando proprio lo scandalo è enorme, parlano di complotti politici orditi da giudici o dall'opposizione.
Così si è difeso Bossi, così si difende Formigoni.


Ma le inchieste raccontano di fatti che meriterebbero, a prescindere dal corso giudiziario, una risposta politica. Chi ha fatto entrare la ndrangheta nei cantieri del nord e perfino dentro la giunta regionale? Come si fa a parlare di regione virtuosa, buon governo, quando non si conoscono i costi della sanità, quando questa è praticamente in mano ad un movimento religioso e dove tutti i dirigenti di Asl e strutture ospedaliere sono nominati per tessera politica (e non per merito)?
Come sono potuti capitare gli scandali del Santa Rita, dei rimborsi regionali, il crac del S. Raffaele?


I numeri della questione settentrionale.

Se si esclude la Lega, nessun partito politico porta nella sua agenda la questione settentrionale (e questo è l'unico merito che si può concedere al Carroccio).
Il nord, in pratica le tre regioni citate poco prima, mantengono il resto d'Italia, sia in termini di PIL prodotto, sia in termini di tasse che escono dal territorio e finiscono al governo centrale e alle altre regioni.
Alcuni dati forniti dall'autore: “in media, ciascun lombardo spende (in tasse) 3800 euro ogni anno per mantenere i connazionali del Centro e soprattutto del Sud”.

E ancora: “ogni anno i cittadini della Sicilia ricevono dalle altre regioni italiane la bellezza di venticinquemilaseicento miliardi di vecchie lire”.
Il Nord nel suo insieme, con il 45,5% della popolazione, produce il 54,5% del pil.
Il Sud con le isole, abitato dal 34,9% degli italiani, produce infine il 16% del pil.
Questi numeri che raccontano di una Italia a due velocità dovrebbero far riflettere: prima per capire come far diminuire questo gap (far sì che il meridione cresca come PIL, come benessere, come servizi ottenuti dallo Stato). Dall'altro per l'importanza nel saper amministrare correttamente questa ricchezza, saper governare questa locomotiva che oggi, per colpa della crisi e di questa malagestione, rischia di rimanere al palo. E se il nord tracolla, per i numeri che abbiamo visto prima, tutto il paese cade.



Il falso mito dell'eccellenza lombarda


In un precedente post avevo riportato tutte le considerazioni dell'autore che smonta il falso mito della Lombardia sinonimo di buon governo: la Lombardia è oggi governata, col silenzio complice della Lega, da CL e dal suo braccio operativo che è la Compagnia delle Opere.



Nella mia regione, di fatto, è stata realizzata una sorta di privatizzazione nei beni pubblici, fatta coi soldi dello Stato, del cittadino: “Formigoni e i suoi accoliti sono riusciti a realizzare, a modo loro, il sogno leghista: la disarticolazione dello Stato.[..]

è stata privatizzata buona parte della sanità, dei servizi sociali, del welfare, della gestione dei beni comuni.[..]
La privatizzazione «sussidiaria» apre anche la strada alla riduzione della spesa sociale tout court.”Si dice che questa privatizzazione coi soldi pubblici alla fine costi poco al cittadino e che abbia portato la sanità a livelli di eccellenza: ma la realtà, spiega l'autore, è diversa. La sanità è a buoni livelli grazie a tutti i soldi che vengono in essa investiti, grazie al lavoro fatto ben prima che arrivasse Formigoni.


Il sedicente Governo tecnico di Monti


Forse pochi altri governi erano nordisti come quello del professore in loden: anche lui si prende la sua parte di demerito per come ha gestito il suo anno abbondante di esecutivo, sia per l'Italia che per il nord.
Monti è subentrato a Berlusconi e al suo governo del Bunga bunga (che non riusciva più a fare alcuna riforma per sanare il deficit e che per anni non aveva nemmeno ammesso l'esistenza di una crisi): il professore in loden è stato chiamato come salvatore della patria, uno dei tanti nella nostra sfortunata storia, per salvarci dal default: “il paese si è salvato per qualche mese dal default e dal discredito internazionale, facendo però pagare tutto il conto alle fasce più deboli della popolazione”.


Salvataggio compiuto grazie alle sue “riforme”, parola che da allora “è diventata espressione di sacrifici e peggioramento”: la riforma delle pensioni (che ha causato il dramma degli esodati) e quella del lavoro (che non ha portato alcun beneficio nell'occupazione).


“Con Monti e i suoi tecnici nessuno dei problemi strutturali (la bassa crescita economica, il pauroso deficit che affliggono l’Italia è stato risolto. [.. ] Il nordista bocconiano Monti ha lasciato il Paese in uno stato peggiore [..] ha evitato il default e ha offerto un’immagine internazionale più presentabile del «Bunga Bunga» berlusconiano”.


La riforma Fornero ha creato “lavoratori che oggi hanno fra i 25 e i 50 anni sono stati trasformati, senza saperlo, nei poveri di domani. Senza una pensione dignitosa” e più facilmente licenziabili.
I conti del paese sono stati tamponati dai tecnici che “hanno impostato solo una politica di aumento della tassazione, riduzione dei diritti dei lavoratori, prelievo di risorse dall’Inps”.


Nonostante le tante promesse e i titoloni dei giornali, “Non c’è stato alcun rigore. Solo aumento delle tasse e riduzione dei diritti dei lavoratori”.
La spesa pubblica e il debito pubblico non sono stati ridotti in alcun modo, non è stata fatta nessuna reale liberalizzazione o apertura dei mercati chiusi.
Scrive l'autore: “Grazie alle «riforme» montiane, sul fronte fiscale, le entrate passeranno da 740 miliardi nel 2011 a 765 nel 2013, 800 miliardi nel 2014 e 820 nel 2015.[..]
I sacrifici sono stati a carico soprattutto delle famiglie, che soffriranno per l’aumento delle bollette
[..] In nome di presunte «necessità» ci si è accaniti contro le parti più deboli della popolazione, senza chiedere alcunché alla parte più ricca del Paese, ai percettori di rendite di posizione, alle banche”.Come si è visto ora, tutto questo rigore senza crescita strozza l’economia.

Alla fine, il tecnico Monti che mai si sarebbe ricandidato, si è invece dato alla politica costruendosi un suo partito: la sua discesa in capo è stata a fianco di un altro personaggio che verrà poi successivamente citato dal libro.
Monti è apparso, il 20 dicembre 2012 in coppia con Sergio Marchionne alla Fiat di Melfi, dove non si capiva chi dei due presentava il suo programma politico: Marchionne che garantiva i suoi investimenti al sud, a Melfi, modello industriale fatto a discapito dei diritti dei lavoratori. Diritti tolti anche grazie alle “riforme” del professore.


Doveva essere il trionfo del manager e del politico tecnico, e invece è stata solo la dimostrazione della “inadeguatezza di Monti, visto che, nemmeno un mese dopo l’incontro a Melfi, Marchionne ha annunciato due anni di cassa integrazione proprio nella fabbrica della Basilicata appena visitata con Monti”.

Spiega Astone : “quella di Monti è solo ideologia, [..] Mario Monti si toglie la maschera del tecnico e si rivela per quello che è sempre stato: un politico, pronto a sfruttare la visibilità ottenuta con la premiership per correre alle elezioni”.



Il caso Ponzellini: il volto della disfatta


“Se la disfatta del Nord potesse avere un volto, sarebbe quello pingue e con gli occhiali alla Onassis di Massimo Ponzellini, l’ex presidente della Banca popolare di Milano”: Ponzellini, come gli esponenti della politica, è uno dei protagonisti della storia di questa disfatta.
Presidente della banca popolare, che è arrivato a questa carica grazie alla sponsorizzazione della Lega ma che è stato votato grazie anche alla lobby dei sindacalisti-azionisti in banca (per mantenere i propri privilegi), è riuscito nel compito di portare la sua banca in crisi, a tradire il suo mandato (che doveva essere quello di favorire le piccole imprese) per finanziare i grandi imprenditori del salotto buono della finanza (Ligresti e Caltagirone). Ma anche BPLUS di Francesco Corallo. Figlio del boss mafioso Gaetano Corallo, vicino a Nitto Santapaola, l'uomo dei corleonesi a Catania.



Anche questa storia racconta di “mazzette in cambio prestiti a società contigue a esponenti della criminalità organizzata”, di “familismo, la mancanza di meritocrazia, i sistemi chiusi, la corruzione, l’intrusione della politica nelle aziende”.


Astone racconta della Bplus, dell''attività di lobbying da parte delle società di giochi online nei confronti della politica (PDL) per avere leggi più favorevoli :
Nel marzo 2012 in Commissione finanze della Camera, dove siede Laboccetta, un emendamento del Pdl fa cadere le barriere antimafia per le concessionarie dei giochi d’azzardo, abolendo per i soci l’obbligo della certificazione”.Non solo “quando la Corte dei conti contesta all’Atlantis un danno all’erario per aver scollegato le slot machine dal sistema telematico della Sogei, Laboccetta (come risulta da intercettazioni predisposte per altre cause dal pm Henry John Woodcock) fa pressione sull’allora segretario di Fini Francesco Proietti Cosimi, perché la concessione dell’Atlantis non venga revocata”.



Ma oltre alla storia dei Corallo, Astone racconta anche della raccomandazione chiesta da Grilli (quando era dirigente del ministero del Tesoro) a Ponzellini per la nomina a presidente della Banca d'Italia : “il milanese bocconiano Vittorio Grilli (non ancora assurto a ministro «tecnico» dell’Economia) cercherà più volte di farsi raccomandare da Ponzellini per ottenere dal centrosinistra d’opposizione la benevolenza verso la sua corsa all’incarico.
[..]
Grilli non diventerà mai governatore, risultando battuto da Ignazio Visco. Ma se ce l’avesse fatta, sarebbe stato proprio lui a vigilare su Ponzellini”.Conclude l'autore: “l’affaire Ponzellini dimostra che, al di là delle parole, i politici della Lega Nord non hanno mai lavorato in favore del proprio elettorato di riferimento e dei relativi territori. Alla Lega, una banca serviva solo per la sua leadership, e per il ristretto clan che la circondava”.


La mafia al nord


Altra causa della disfatta del nord, la presenza della mafia dentro i gangli dell'economia: Il fronte più insidioso della disfatta del Nord è rappresentato dalle mafie che – grazie all’alleanza con alcuni settori delle élite settentrionali – vanno colonizzando con successo territori un tempo sani e produttivi”.



I mafiosi, che l'autore chiama i “Caproni”, “pervertono il sistema della concorrenza capitalistica, facendo in modo che nella competizione di mercato non prevalga il migliore”, perché alla fine vince chi ha dietro di sé la criminalità organizzata. Per cui riesce a spuntare prezzi più bassi per un appalto, tariffe più convenienti per lo smaltimento rifiuti ..


Come succedeva per la Sicilia alcune decine di anni fa, per molti, la mafia al nord non esiste e , se esiste, è solo una presenza sporadica. Eppure “secondo il Mafia Index, un vero e proprio indice della penetrazione della mafia in Italia, elaborato da Transcrime la Lombardia è la regione del Nord a maggiore densità mafiosa”.
“Il catalogo dei luoghi comuni vuole che le mafie al Nord non siano poi così presenti e che gli imprenditori collusi siano stati costretti dalle minacce”
racconta e dunque la penetrazione che non è frutto della minaccia dei “caproni” agli imprenditori padani ma bensì “sono al contrario i colletti bianchi settentrionali che si rivolgono ai criminali, che li corteggiano”.


Le mafie hanno costituito delle vere e proprie reti che mettono assieme professionisti, imprese, politici locali. Che devono a questa rete criminale la propria ascesa politica: per i voti presi, per in finanziamenti.



Ogni volta che vengono pescati dalle forze dell'ordine, ci si dovrebbe chiedere come mai i loro leader politici non li hanno fermati prima: “come nel caso del governatore della Lombardia Roberto Formigoni, che ha ignorato la contiguità ai Caproni del suo alleato politico e compagno di partito Massimo Ponzoni”.


Per raccontare questo fenomeno, l'autore racconta poi i casi dell'assessore Massimo Ponzoni, del costruttore Ivano Perego e dell'assessore regionale alla Casa Domenico Zambetti.

Dove erano gli amministratori virtuosi? Dove era la Lega?


Il fallimento della Lega



Tra i principali artefici della Caporetto nordista c’è la Lega – mette subito in chiaro l'autore: “il Nord non è mai riuscito a esprimere una leadership politica all’altezza della sua economia e del suo tessuto sociale”.


La Lega
“ha alimentato una classe di politicanti che sotto lo spadone di Alberto da Giussano si è rivelata vorace, disonesta e incapace [..] i consiglieri regionali del Carroccio si sono completamente appiattiti su Formigoni e Comunione e liberazione”. La politica che Astone chiama la “sussidiarietà dei favori”.



La Lega “ha la responsabilità di aver creato un clima culturale diffuso che ha fornito risposte sbagliate ai problemi del Nord: chiusura invece di apertura al mondo globalizzato e alle sue opportunità, tradizionalismo invece di innovazione”. Ma anche occupazione delle poltrone come faceva la vecchia Democrazia Cristiana, ha dato troppa enfasi al problema della piccola criminalità, dimenticandosi delle mafie (che nel frattempo erano entrate nell'Ortomercato), ha ricandidato consiglieri che erano stati immortalati assieme a mafiosi (come Ciocca), non si è accorta degli affari del suo tesoriere Belsito (l'inchiesta parla di ipotesi di riciclaggio e associazione mafiosa).
Aver promesso agli elettori il famoso “federalismo” e aver invece solo portato ai tagli lineari da Roma, il patto di stabilità, il porcellum (che blocca gli eletti in Parlamento), l'aumento delle tasse regionali.


Il fallimento della Lega : “Sì, la Lega ha fallito almeno tre volte: dal punto di vista morale, politico e gestionale.”.


La disfatta del Piemonte


Infine, cosa sta succedendo in Piemonte, dopo che la Fiat ha deciso, ma non l'ha detto chiaramente, di abbandonare il nostro paese. Tutta colpa del Contrattone stipulato tra Fiat e Chrysler, nel 2009: riuscirà il nord e il paese a fare a mano della sua più grande (e unica) azienda di auto?


La conclusione dell'autore: come può uscirne il nord, da questa disfatta? Solo con un alleanza trasversale, da parte di tutto il ceto veramente produttivo. Un'alleanza dei contadini, la chiama Filippo Astone.

Quello cioè, che non ha solo succhiato risorse per se e per gli amici, aziende che investono in ricerca (come la Mapei di Squinzi, il nuovo presidente di Confindustria), che non credono nella libertà di licenziamento per fare impresa, aziende che non godono di protezioni politiche o che fanno impresa esclusivamente col denaro (e le sovvenzioni, e la sussidiarietà) del pubblico.
Contadini in contrapposizione ai Luigini, quelli che governano le aziende coi patti di sindacato, con le reti di relazioni dei salotti buoni.
Perché questi contadini non propongono alla politica una “piattaforma che promuova le istanze dei produttori ed elimini le rendite di posizione do coloro che nulla generano e tutto succhiano?”.
Così il nord potrebbe rallentare la corsa verso la disfatta.

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per tanti italiani, lo Stato che viene accettato - anzi sollecitato a intervenire - è quello che elargisce salari, pensioni, provvidenze di vario genere. Non quello che richiede il rispetto delle leggi o il pagamento delle imposte (anche perché, a onor del vero, nel nostro Paese sono troppe le une e le altre). Oggi il centrodestra appare distante anni luce da qualunque modello del tipo law and order : per i problemi che il suo principale leader ha avuto con la giustizia, ma non solo per questo, ha alimentato piuttosto l’idea di una certa elasticità delle leggi. Da parte sua il centrosinistra, se ha insistito sul rispetto della legalità, ha però dato prova anch’esso di quel disinvolto uso dei soldi del finanziamento pubblico che sembra ormai un costume bipartisan, com’è testimoniato da ultimo dall’inchiesta che riguarda la Regione Emilia Romagna.
 
per tanti italiani, lo Stato che viene accettato - anzi sollecitato a intervenire - è quello che elargisce salari, pensioni, provvidenze di vario genere. Non quello che richiede il rispetto delle leggi o il pagamento delle imposte (anche perché, a onor del vero, nel nostro Paese sono troppe le une e le altre). Oggi il centrodestra appare distante anni luce da qualunque modello del tipo law and order : per i problemi che il suo principale leader ha avuto con la giustizia, ma non solo per questo, ha alimentato piuttosto l’idea di una certa elasticità delle leggi. Da parte sua il centrosinistra, se ha insistito sul rispetto della legalità, ha però dato prova anch’esso di quel disinvolto uso dei soldi del finanziamento pubblico che sembra ormai un costume bipartisan, com’è testimoniato da ultimo dall’inchiesta che riguarda la Regione Emilia Romagna.

Scusi Gramellini, ma il centrosinistra ha in sé anche retaggi di antichi popoli che vissero il "tanto peggio, tanto meglio", anarcoidismi vari...
Mi sa che, in alcune frange del centro sinistra, l'anti-legalismo vive ancòra. :mumble:
 
Scusi Gramellini, ma il centrosinistra ha in sé anche retaggi di antichi popoli che vissero il "tanto peggio, tanto meglio", anarcoidismi vari...
Mi sa che, in alcune frange del centro sinistra, l'anti-legalismo vive ancòra. :mumble:


citi me, rispondo io :)

Mi piace pensarla come quel saggio, e rispondere:
"Non è un problema mio" (José Mourinho).


cmq, parvemi che certa politica del tanto peggio tanto meglio et anarcoidismi vari, sia oggi meglio interpretata dal M5S
sul retaggio di antichi popoli, sarebbe utile anche chiedersi se i residui fazzisti oggi siano anch'essi nel M5S ... e chiedersi pure ove fossero prìa
imho, 2c etcetc
 
Grosse Koalition, continuano i negoziati

Le trattative oggi si concentreranno sulla politica economica ed estera
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BERLINO - È cominciata stamane a Berlino la terza tornata in plenaria dei negoziati per la formazione di un governo di grande coalizione in Germania. Alla riunione "mammut", che si svolge questa volta nella sede della Csu bavarese, partecipano 75 delegati. Le altre riunioni si sono svolte nella sede della Cdu della cancelliera Angela Merkel e nella sede del partito socialdemocratico (Spd).
Al terzo round si prevedono decisioni in politica economica e estera. Fra queste lo sviluppo della banda larga in tutta la Germania: con un investimento aggiuntivo di un miliardo di euro, entro il 2018 tutto il paese dovrà essere dotato di internet veloce ad almeno 50 megabit al secondo. Inoltre saranno decisi bonus fiscali per attività di ricerca per piccole e medie imprese.
 
La Grande Pappa



massimo gramellini



Prefetti in carica che si ingozzano a sbafo di aragoste nel resort di Ligresti (li trovate nell’intervista all’ex direttore dell’hotel). La Cancellieri che non trova imbarazzanti gli strusci di un ministro della Repubblica con una famiglia di pregiudicati. E la telefonata di Vendola a un pezzo grosso dell’Ilva poi finito ai domiciliari. L’avete sentita? Il governatore della Puglia ha appena visto il pezzo grosso in televisione, impegnato nell’eroica impresa di togliere il microfono a un giornalista che stava chiedendo conto dei morti di tumore. Il leader della sinistra allergica ai compromessi e vestale della Costituzione si complimenta col censore aziendale per lo «scatto felino» con cui ha zittito il cronista. Sghignazza addirittura nella cornetta, al ricordo di quella «scena fantastica». E, cosa anche più grave, per il resto della conversazione non ammaina mai un certo tono amichevole e deferente.
Il bubbone italiano è tutto in questa danza che i potenti ballano tra loro, in questa confusione continua di ruoli che non sempre configura dei reati, ma instaura comunque un clima complice, un circuito chiuso al cui interno si consuma lo scambio dei privilegi e dei favori. Chi è fuori dai giochi vi assiste con rabbia o con invidia, a seconda dei gusti e del carattere. È un bubbone incurabile. Si può soltanto estirpare, sostituendo radicalmente la classe dirigente e fissando regole che ne prevedano il ricambio totale ogni dieci anni. Prima che si formi il nuovo bubbone. Non è detto che chi arriva sia migliore di chi se ne va. Ma il salto nel torrente è preferibile a questa pappa in cui ormai si può solo affogare.
 
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massimo gramellini



Prefetti in carica che si ingozzano a sbafo di aragoste nel resort di Ligresti (li trovate nell’intervista all’ex direttore dell’hotel). La Cancellieri che non trova imbarazzanti gli strusci di un ministro della Repubblica con una famiglia di pregiudicati. E la telefonata di Vendola a un pezzo grosso dell’Ilva poi finito ai domiciliari. L’avete sentita? Il governatore della Puglia ha appena visto il pezzo grosso in televisione, impegnato nell’eroica impresa di togliere il microfono a un giornalista che stava chiedendo conto dei morti di tumore. Il leader della sinistra allergica ai compromessi e vestale della Costituzione si complimenta col censore aziendale per lo «scatto felino» con cui ha zittito il cronista. Sghignazza addirittura nella cornetta, al ricordo di quella «scena fantastica». E, cosa anche più grave, per il resto della conversazione non ammaina mai un certo tono amichevole e deferente.
Il bubbone italiano è tutto in questa danza che i potenti ballano tra loro, in questa confusione continua di ruoli che non sempre configura dei reati, ma instaura comunque un clima complice, un circuito chiuso al cui interno si consuma lo scambio dei privilegi e dei favori. Chi è fuori dai giochi vi assiste con rabbia o con invidia, a seconda dei gusti e del carattere. È un bubbone incurabile. Si può soltanto estirpare, sostituendo radicalmente la classe dirigente e fissando regole che ne prevedano il ricambio totale ogni dieci anni. Prima che si formi il nuovo bubbone. Non è detto che chi arriva sia migliore di chi se ne va. Ma il salto nel torrente è preferibile a questa pappa in cui ormai si può solo affogare.

l'ipocrisia vomitevole di questo giornalaio non smette di amareggiarmi le giornate, non so neanche perché lo leggo, sarà il fascino dell'orrido...
 

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