Idee e grafici. - Cap. 2

Germania: Moody's conferma la tripla A

Finanza.com – 2 ore 31 minuti fa


Moody's ha confermato il rating tripla A della Germania con outlook stabile. In una nota l'agenzia spiega che la mossa riflette l'economia avanzata, diversificata e altamente competitiva del Paese teutonico oltre alle storiche politiche orientate alla stabilità macroeconomica. Tuttavia, proseguono gli esperti, il declino della forza lavoro e l'invecchiamento della popolazione potrebbe impattare negativamente sul tasso di crescita economica potenziale di Berlino e sulla sostenibilità del sistema di previdenza sociale. Moody's tiene a puntualizzare che il report odierno è un aggiornamento per il mercato e non costituisce un'azione sul rating. "La Germania - spiega Thorsten Nestmann, analista senior di Moody's - ha un'economia molto sviluppata e altamente competitiva, molto ben integrata nel commercio globale e nei mercati dei capitali e beneficia anche di un ampio mercato domestico". La Germania, prosegue la nota, è la quarta economia mondiale con un Pil nominale di 3.600 miliardi di dollari nel 2013 dopo gli Stati Uniti (16.800 miliardi di dollari, tripla A stabile), la Cina (9.200 miliardi, Aa3 stabile) e il Giappone (4.900 miliardi, Aa3 stabile). Il Pil tedesco ha rallentato la sua crescita allo 0,4% a nel 2013 sullo sfondo di condizioni esterne difficili. Gli esperti tuttavia si aspettano che il Pil tedesco cresca dell'1,7% nel 2014 e nel 2015 grazie a maggiori consumi privati e ad una ripresa degli investimenti.
 
buona giornata





Dopo il pranzo di Grillo
Camera, assunto a tempo indeterminato lo staff del M5s


25 luglio 2014

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Il lamento del consigliere Ncd:
"6.800 euro al mese sono pochi"










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"Bastava soltanto aspettare", scrissero di Beppe Grillo, dopo che a sorpresa si fermò a pranzo al ristorante del Senato - undici euro tutto compreso -, luogo simbolo della Casta. Stavolta a crollare è stato il delfino dei comico di Genova, cioè il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio: quindici mesi in Parlamento e già si adeguato alla ventennale tradizione, iniziata nella Prima Repubblica, di chiedere alla Camera dei deputati di assumere ("stabilizzare", per la precisione) il personale (assistenti e addetti stampa, soprattutto) cooptato dai membri dell'ufficio di presidenza di Montecitorio.
Il ramo del Parlamento presieduto da Laura Boldini ha approvato ieri, giovedì 24 luglio, il suo bilancio interno che contiene qualche taglio, qualche nuova regola, piccoli passi avanti. In compenso alcune cose sembrano non cambiare mai. Due ordini del giorno (odg 4/5 e odg 4/70), quasi identici nella forma proponevano una stabilizzazione di fatto del personale che in questo momento lavora o collabora con i gruppi parlamentari, e come se non bastasse si proponeva di allargare la stabilizzazione di fatto anche al personale (ovviamente esterno alla Camera, ma che si trova lì dopo una "chiamata" di qualche politico) che lavora in decreto nelle segreterie dei membri dell’ufficio di presidenza, nelle segreterie dei presidenti di commissione, delle giunte e dei comitati.
Il meccanismo suggerito sembra fatto apposta per consentire a quei partiti che hanno tanti dipendenti ma non hanno più soldi per pagarli di trasferirli stabilmente a carico del bilancio della Camera, alla voce gruppi parlamentari. Un po’ la stessa operazione che fu realizzata nel lontano 1993 quando Tangentopoli stava facendo sparire tutti i partiti del pentapartito. La stabilizzazione e la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti (quasi) a tempo indeterminato è stato pensato sotto forma di revisione del "famoso" Allegato B, ovvero l’elenco che ha raccolto tutte le persone che hanno lavorato anche solo un giorno presso Montecitorio negli ultimi 15 anni e che, di conseguenza, hanno la priorità sui lavoratori esterni, alla faccia della trasparenza e della democrazia.
I due documenti chiedevano uno "sfoltimento" dell'elenco passato a vantaggio - guarda caso - di coloro che attualmente lavorano presso i gruppi parlamentari o ai singoli deputati. E' una specie di sanatoria sul passato che favorisce i "nuovi" portaborse a scapito dei "vecchi". Ma chi ha proposto questo meccanismo diabolico? Gianni Melilla e Annalisa Pannarale di Sinistra e libertà il primo. E il secondo? Porta in calce la firme di Claudia Mannino, Riccardo Fraccaro e soprattutto di Luigi Di Maio, cioè tre deputati del Movimento 5 Stelle. Ma non erano contro la Casta?
di Paolo Emilio Russo
 
delaware - Inviato il: 09/08/2014 12.15
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i peti del "leader" del PD
Il tagliadebito è una buffonata che non si è ancora capito su cosa si basa. Un fondo garantito dagli invendibili immobili di stato? Bah.
L’unica vera strada è il taglio drastico della spesa pubblica. E’ inamissibile che i contribuenti italiani continuino a mantenere una macchina statale che sfrona parassitismo, tangenti e corruzione.
Altro che taglia debito.
Il problema è che i nanetti politici come Renzi e Berlusconi non sono altro che tangentari e intrallazzatori nati e cresciuti con la spesa pubblica.
Il problema è che la spesa pubblica mantiene in piedi le redazioni di molti giornali, che ormai non sfornano altro che propaganda.
Il problema è che per di più questi "statisti" pagliacci alla Renzi non sono altro che dei pupazzetti che chinano il capo di fronte alla cricca di Washington.
Gli Stati Uniti hanno forti interessi economici a isolare e a bandire la Russia. L’Europa ha invece tutti svantaggi.
E Renzie che fa? Mah direi che il presidente di turno dell’unione europea china il capo di fronte agli emissari di Washington.
In compenso il caro Renzie non fa mancare ai cittadini italiani quegli olezzanti peti inconcludenti che escono dalla sua bocca su questioni che sembrano di natura filosofica e ultraterrena.
Bah, il PD ha ormai superato di gran lunga anche l’osceno PDL in buffonaggine e scempiaggini.
 
Lettera Ue bacchetta l'Italia: "Non avete una strategia". A rischio 40 miliardi di fondi

Documento della Commissione sull'accordo di partenariato. Nel mirino ricerca, innovazione, agenda digitale e cultura. L'Europa vuole chiarimenti sulle esenzioni

di VALENTINA CONTE Lo leggo dopo
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fondi europei

ROMA - Ricerca, innovazione, agenda digitale, competitività, sviluppo tecnologico, cultura: l'Italia non ha una strategia. E per questo la Commissione europea,nella lettera inviata al governo Renzi un mese fa e finora inedita, rimanda a settembre il piano italiano sui nuovi fondi europei, quelli relativi al settennato 2014-2020. Respinge al mittente cioè proprio l'Accordo di partenariato, quel documento chiave che ogni paese è chiamato a predisporre e che l'Italia ha inviato il 22 aprile scorso.

Indispensabile per sbloccare i singoli programmi, nazionali e regionali. Senza l'assenso di Bruxelles su questo particolare Accordo si ferma tutto, non arrivano i soldi e non si inizia a spendere. Una partita che vale per l'Italia 41 miliardi e mezzo in sette anni. Cifra che raddoppia con il cofinanziamento nazionale. E che ora dunque si congela. Con lo svantaggio per l'Italia di partire male e in ritardo sui fondi strutturali, pure stavolta. Ma Bruxelles è categorica. Senza un piano e una strategia chiari ed efficaci, appunto, l'assenso non c'è. Anche perché - ed è questa la critica più forte - l'Italia ha gravi problemi di governance. La sua pubblica amministrazione non è efficiente e ben funzionante. E quando il motore è inceppato, non si può sperare che la linfa europea contribuisca a rivitalizzare il paese. Anzi i fondi rischiano di imboccare di nuovo la via, biasimata, degli incentivi a pioggia. Se non è una bocciatura, poco ci manca.

Capacità



istituzionale - In 249 punti e 37 pagine, la Commissione europea analizza passaggio per passaggio tutto il piano italiano. E chiede ancora una volta al governo, come aveva raccomandato già in marzo, di rispondere sulla sua "capacità amministrativa". Se sia cioè migliorata e come, non tanto l'abilità e l'organizzazione tecnica nel gestire i programmi operativi. Quanto il quadro complessivo, la cornice in cui si muove questo fiume di denaro: la pubblica amministrazione. Per Bruxelles l'Italia confonde tra "assistenza tecnica" e "capacità istituzionale". Se la prima si può ovviare con l'Agenzia per la coesione (istituita di recente e coordinata direttamente da Palazzo Chigi, sotto la supervisione del sottosegretario Graziano Delrio), per la seconda occorre "sostenere ampie e orizzontali riforme" della p. a. e "buone iniziative di governance". Di più, "il ruolo delle diverse istituzioni deve essere chiarito, definendo chi fa cosa, quando e come". Punto fondamentale, visto che si tratta di una spesa ad alta incidenza territoriale. Laddove però centro e periferia (assai parcellizzata) faticano a coordinarsi. Con i magri risultati di questi anni: soldi spesi tardi, male, in qualche caso persi in mille rivoli o restituiti al mittente.

Specializzazione intelligente
- L'altro buco nero italiano, che la Commissione torna a denunciare come fa da almeno tre anni, è quello delle "Strategie di specializzazione intelligente". Una definizione burocratica per intendere, in buona sostanza, un piano su come far ripartire il Paese (anche con i soldi europei), ora necessario più che mai, visto il ritorno dell'Italia in recessione. Non solo il governo non ha "per il momento" ancora adottato queste Strategie, "a livello nazionale e regionale". Ma risulta, agli occhi della Ue, deficitario praticamente in tutti gli ambiti che contano per il rilancio. Agenda digitale: "Manca una vera strategia". Innovazione: "Calo significativo dei fondi", ma "ciò non deve comportare un calo delle risorse per la ricerca industriale nel settore privato". Aziende: "Identificazione ancora insufficiente degli interventi strutturali necessari per riguadagnare competitività". Anzi, sottolinea Bruxelles, "regimi di aiuto "generalisti" orizzontali andrebbero evitati". E sostituiti da "un sostegno mirato alle imprese legato allo sviluppo tecnologico". A questo proposito, la Commissione si chiede anche che fine abbia fatto il piano Giavazzi per sfoltire incentivi alle aziende. E quale effetto abbiano avuto i crediti d'imposta concessi dai vari governi. Cultura: "Assenza di un progetto strategico e di cenni alle lezioni apprese dal periodo di programmazione 2007-2013". E cioè il disastro Pompei (fondi ancora non spesi pari a 105 milioni, rimessi da poco in pista) e 15 milioni restituiti. Addirittura, la Commissione ricorda che "il Fesr (uno dei fondi strutturali, ndr) non sostiene "eventi" culturali e turistici che sono considerati a basso valore aggiunto". Ma "solo interventi strutturali e che possono avere un impatto strutturale". Insomma, meno sagre e più patrimonio culturale da curare, restaurare, far fruttare. Infine, istruzione: "Le percentuali di risorse destinate all'abbandono scolastico per le regioni meno sviluppare (12%) e di partecipazione all'istruzione superiore (2%) sembrano basse rispetto alla portata dei problemi in queste aree".

Programmi a rischio - Il governo Renzi dovrà rispondere su questi e altri punti. Ma è chiaro che la tirata d'orecchie non fa piacere, specie in un momento non proprio brillante per l'Italia sul fronte dei risultati economici. Se la Commissione da una parte dà pur adito all'esecutivo di voler accentrare, per meglio fluidificare, la gestione dei fondi europei - anzi si dice "favorevole al rafforzamento degli interventi gestiti dalle amministrazioni centrali" - dall'altra parte "sospende le sue considerazioni in attesa di una valutazione approfondita degli obiettivi" su tre proposte: legalità, aree metropolitane e cultura. In particolare, ritiene che l'attuazione del programma nazionale sulle Città metropolitane "appare a rischio, in considerazione della architettura complessa e dei rischi di sovrapposizione con programmi regionali". Insomma troppa confusione, tra piani nazionali per città metropolitane che ancora non esistono e piani regionali per città non metropolitane, spesso assai piccole (5 mila comuni italiani su 8 mila hanno meno di 5 mila abitanti). La domanda di Bruxelles sembra essere: ma ce la fate?

Cronoprogramma - Tra l'altro, osserva ancora la Commissione, in molti casi non ci sono proprio le premesse per spendere. Mancano o sono insufficienti le "condizioni ex ante". In particolare, considera "solo parzialmente soddisfatte", tra le altre, le condizionalità in materia di "agenda digitale, gestione delle acque, trasporti, politiche del lavoro, abbandono scolastico, sistemi di controllo sugli aiuti di Stato". Per questo chiede al governo italiano di "fornire un cronoprogramma plausibile per l'adozione dei vari provvedimenti". E "si riserva di valutare l'effettivo soddisfacimento delle condizionalità quando tutte le informazioni saranno disponibili". Altra bacchettata. Infine un richiamo pure sul "gran numero" dei soggetti chiamati ad attuare questo Accordo di partenariato. Può anche andar bene, ma Bruxelles vorrebbe che fossero esplicitati "i criteri per la selezione dei partner". Anche qui troppa superficialità.

Mezzogiorno in affanno
- È chiaro che una pagella siffatta fa male soprattutto alle regioni meridionali, destinatarie del 71,1% delle risorse messe a disposizione dall'Europa, come calcola il Servizio politiche territoriali della Uil. Un Sud Italia che non sempre è stato messo in condizione, dalla politica locale e nazionale, di lavorare bene. Ne parlerà forse Renzi con gli amministratori delle città che visiterà a partire da domani. (13 agosto 2014) © Riproduzione riservata
 

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