La Germania spaventa gli economisti
"Crescono debito e costo del lavoro"
L'allarme di Roland Berger è condiviso da diversi analisti: i tedeschi stanno perdendo lo slancio riformatore. Il flusso degli investimenti è in calo e l'addio al nucleare costerà mille miliardi
dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI Lo leggo dopo
BERLINO - Attenzione, oggi predichiamo rigore riforme e sforzi per aumentare la competitività a tutti i partner europei, ma da noi lo slancio riformatore sta perdendo forza propulsiva, la produttività cala, il costo del lavoro e il ruolo dello Stato nell'economia crescono, e se continuiamo così tra pochi anni saremo di nuovo il grande malato d'Europa. Come prima delle riforme del cancelliere socialdemocratico-migliorista Gerhard Schroeder. L'avvertimento, lanciato da Roland Berger, forse il più autorevole consulente aziendale d'Europa, è condiviso da molti economisti e operatori dei mercati qui nella Repubblica federale. Già, perché sebbene possiate stentare a crederci, il monito riguarda proprio la Germania.
I fattori di rallentamento e declino del successo tedesco, elencati in parte da Berger, in parte da altre fonti, sono stati tema stamane di un lungo e approfondito reportage dell'agenzia di stampa britannica (e globalissima) Reuters. Primo, il costo del lavoro: non ci crederete, ma negli cinque ultimi anni i cui dati sono disponibili (2007-2011) in Germania è cresciuto dell'11,6 per cento, cioè più o meno quanto in Francia e Italia, due paesi cui Angela Merkel chiede ogni giorno con la voce grossa riforme e sacrifici. Se parliamo del debito pubblico, poi, non va così meglio. Il disavanzo corrente è fortemente calato e appare sotto controllo, ma il debito pubblico complessivo è oltre l'80 per cento del prodotto interno lordo, ben sopra il 58-60 per cento dei tempi di Helmut Kohl, quota che corrispondeva ai tetti posti dai Trattati di Maastricht.
Ovviamente ciò vuol dire anche che la Germania diventa location meno interessante e attraente per gli investimenti. Secondo la Bundesbank infatti nel 2012 per la prima volta il flusso di investimenti nella Repubblica federale è calato di 2,4 miliardi di euro, dopo aver registrato straordinarie crescite nel 2010 e nel 2011 rispettivamente a 35,4 e 29,1 miliardi. L'inversione di tendenza appare chiara.
"Dobbiamo stare molto attenti a non deteriorare il clima per investitori e investimenti in Germania", dice Michael Heise, capo economista ad Allianz, notando che è in gioco l'avvenire dell'economia di tutta l'eurozona e la Ue e non solo quello della prima potenza europea. L'accresciuto peso dello Stato nell'economia - dopo i salvataggi di banche "di rilevanza sistemica" negli ultimi anni pesa sui conti pubblici, come le nuove misure sociali promesse da Angela Merkel anche in vista delle elezioni politiche federali del 22 settembre, in primis il Mindestlohn, salario minimo, cioè più o meno la stessa misura che i tedeschi rimproverano da anni alla Francia di aver introdotto.
Infine ma non ultimo, arrivano come una mazzata i costi della svolta energetica. L'addio al nucleare - tra necessaria costruzione di nuovi elettrodotti più potenti, investimenti in eolico, fotovoltaico e altre fonti rinnovabili e costo dell'import in prospettiva crescente di energia atomica francese, cèca, slovacca e domani polacca e finlandese - costerà mille miliardi di euro. Un aggravio pesante per i consumatori come per i costi di produzione dell'industria, e a questo problema Merkel non riesce a trovare una soluzione, anche perché troppo diversi e conflittuali sono gli interessi delle parti in campo nel negoziato. In conclusione, nel nostro futuro non c'è solo l'instabilità italiana, il declino francese, le tragedie sociali greca e spagnola, il timore del Portogallo di ricadere in crisi. No, come se non bastasse ci sono dubbi crescenti anche sulla cosiddetta (e arrogante, saccente) "locomotiva d'Europa".