tontolina
Forumer storico
l'ormai consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.
http://www.ilsole24ore.com/art/noti...e-fratelli-siamesi-081027.shtml?uuid=AatP0HhD
Stati e banche «fratelli siamesi» Ma chi governa il nostro destino?
di Guido RossiCronologia articolo19 giugno 2011
I
L'insolvenza della Grecia ha messo definitivamente in discussione dogmi, istituzioni e miti, sui quali si è basata la nostra cultura e il nostro modo di vivere. Molti di loro sono già rovinosamente caduti, altri stanno per frantumarsi, principalmente a causa delle trasformazioni politiche ed economiche del capitalismo finanziario e della globalizzazione.
Val dunque la pena di fare qualche indagine al riguardo.
Il maggior mito scomparso, che John Galbraith già nel 2004 giudicava falso, è quello del doppio settore del Privato, giudicato positivamente, e del Pubblico, tollerato, sovente in guisa retorica per il suo costante, quanto spesso ambiguo, riferimento al bene comune.
Da qui l'ormai consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.
Imprese private e Stati vivono sempre più in un inquietante connubio e le norme istituzionali rispettivamente a loro disciplina paiono ormai confuse e sfatte.
La Grecia versa oggi infatti in uno stato di insolvenza, come può accadere alle imprese, incapaci di pagare i debiti alla scadenza, e rischia di andare in fallimento, secondo l'odierna previsione di un prestigioso responsabile sia della crisi finanziaria, sia della caduta del mito, Alan Greenspan.
Naturalmente per gli Stati si usa il meno aggressivo termine di default invece che bankruptcy, ma si tratta comunque di fallimento.
Stati e imprese sono in egual misura soggetti alle speculazioni dei mercati finanziari, dove spadroneggiano tuttora, con allarmante asimmetria, le grandi banche private.
E si discute oggi sul salvataggio della Grecia, con procedura concorsuale tipica, come la ristrutturazione del debito, con un piano al quale dovrebbero intervenire le istituzioni internazionali, l'Unione europea e le istituzioni private su base volontaria, secondo l'apertura di Angela Merkel, dopo il vertice Germania – Francia di venerdì a Berlino.
Ma quale base volontaria?
E, poi, le grandi banche private?
Ebbene sì, non foss'altro perché sono esse ad avere in portafoglio i titoli di Stato a rischio insolvenza.
Una domanda allora, non più economica, ma istituzionale, dovrebbe oggi essere posta a esaminare la "mostruosa fratellanza siamese" fra Stati e banche, per adottare un'espressione già cara al grande banchiere Raffaele Mattioli, per il rapporto banca – industria, anch'esso sempre più attuale.
Non è dunque un caso che le grandi banche siano chiamate "di sistema", e quindi too big to fail, mentre gli Stati possono ben fallire.
Insomma, è la politica dei Governi oppure l'attività e l'interesse delle grandi banche, centrali o periferiche che siano, ad arbitrare il nostro destino?
Non corre peraltro dubbio che il connubio continua anche nelle persone che si alternano al comando. La maggiore istituzione bancaria americana Goldman Sachs, ad esempio ha avuto e ha fra i suoi alti dirigenti e consulenti ex primi ministri, ministri del Tesoro, governatori di banche centrali, commissari europei. Assai istruttivo sul denunciato connubio è il recente volume di William R. Rhodes, Banker to the World: Leadership Lesson from the Front Lines of Global Finance (MCGrow – Hill 2011).
Ma quel che oggi al riguardo preoccupa di più è il possibile effetto domino del default greco sulle banche e sui bilanci degli Stati membri dell'Unione europea, effetto che pare ora mettere in allarme anche l'Italia dopo le possibili revisioni al ribasso del rating, appena annunciato dall'agenzia Moody's a seguito di quello di Standard & Poor's. Da qui anche l'ovvia caduta delle borse, in un'ulteriore singolare mistura fra pubblico e privato dove società di rating, spesso accusate di conflitto d'interessi, danno giudizi sulla tenuta economica di Paesi, determinando l'andamento dei mercati finanziari e pesanti riflessi sul debito pubblico.
Può allora la Banca centrale europea risolvere questa inedita crisi che minaccia l'euro e ora molti altri membri dell'Unione europea, compreso il nostro?
E così impedire l'effetto domino?
La risposta pare a me assai ardua qualora la Bce non abbia un governo di riferimento, che non è certo né il board del consiglio dei governatori, né l'Eurogruppo. Il suo assetto è atipico, contraddittorio e fragile, come ha ben rilevato Alessandro Plateroti venerdì sulle pagine di questo giornale, anche perché è stato meticolosamente disciplinato seguendo il modello tipico statuale. Ma ad essa manca il governo di riferimento, mai approdato a compimento attraverso i trattati da Maastricht ad Amsterdam, da Nizza fino a quello di Lisbona del 2009.
La presenza invece, di uno Stato federale negli Usa ha finora impedito ogni effetto domino sugli altri Stati, ancorché il budget della California approvato proprio venerdì abbia nuovamente presentato un deficit grave e politicamente difficile da colmare.
Per concludere, pare a me doveroso sottolineare che la soluzione possibile a questa inquietante crisi economica e finanziaria può passare solo da una maggior vocazione europea di tutti i Paesi membri, a incominciare dal nostro, per darsi finalmente una vera Costituzione federale, purtroppo finora abortita.
http://www.ilsole24ore.com/art/noti...e-fratelli-siamesi-081027.shtml?uuid=AatP0HhD
Stati e banche «fratelli siamesi» Ma chi governa il nostro destino?
di Guido RossiCronologia articolo19 giugno 2011
I
L'insolvenza della Grecia ha messo definitivamente in discussione dogmi, istituzioni e miti, sui quali si è basata la nostra cultura e il nostro modo di vivere. Molti di loro sono già rovinosamente caduti, altri stanno per frantumarsi, principalmente a causa delle trasformazioni politiche ed economiche del capitalismo finanziario e della globalizzazione.
Val dunque la pena di fare qualche indagine al riguardo.
Il maggior mito scomparso, che John Galbraith già nel 2004 giudicava falso, è quello del doppio settore del Privato, giudicato positivamente, e del Pubblico, tollerato, sovente in guisa retorica per il suo costante, quanto spesso ambiguo, riferimento al bene comune.
Da qui l'ormai consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.
Imprese private e Stati vivono sempre più in un inquietante connubio e le norme istituzionali rispettivamente a loro disciplina paiono ormai confuse e sfatte.
La Grecia versa oggi infatti in uno stato di insolvenza, come può accadere alle imprese, incapaci di pagare i debiti alla scadenza, e rischia di andare in fallimento, secondo l'odierna previsione di un prestigioso responsabile sia della crisi finanziaria, sia della caduta del mito, Alan Greenspan.
Naturalmente per gli Stati si usa il meno aggressivo termine di default invece che bankruptcy, ma si tratta comunque di fallimento.
Stati e imprese sono in egual misura soggetti alle speculazioni dei mercati finanziari, dove spadroneggiano tuttora, con allarmante asimmetria, le grandi banche private.
E si discute oggi sul salvataggio della Grecia, con procedura concorsuale tipica, come la ristrutturazione del debito, con un piano al quale dovrebbero intervenire le istituzioni internazionali, l'Unione europea e le istituzioni private su base volontaria, secondo l'apertura di Angela Merkel, dopo il vertice Germania – Francia di venerdì a Berlino.
Ma quale base volontaria?
E, poi, le grandi banche private?
Ebbene sì, non foss'altro perché sono esse ad avere in portafoglio i titoli di Stato a rischio insolvenza.
Una domanda allora, non più economica, ma istituzionale, dovrebbe oggi essere posta a esaminare la "mostruosa fratellanza siamese" fra Stati e banche, per adottare un'espressione già cara al grande banchiere Raffaele Mattioli, per il rapporto banca – industria, anch'esso sempre più attuale.
Non è dunque un caso che le grandi banche siano chiamate "di sistema", e quindi too big to fail, mentre gli Stati possono ben fallire.
Insomma, è la politica dei Governi oppure l'attività e l'interesse delle grandi banche, centrali o periferiche che siano, ad arbitrare il nostro destino?
Non corre peraltro dubbio che il connubio continua anche nelle persone che si alternano al comando. La maggiore istituzione bancaria americana Goldman Sachs, ad esempio ha avuto e ha fra i suoi alti dirigenti e consulenti ex primi ministri, ministri del Tesoro, governatori di banche centrali, commissari europei. Assai istruttivo sul denunciato connubio è il recente volume di William R. Rhodes, Banker to the World: Leadership Lesson from the Front Lines of Global Finance (MCGrow – Hill 2011).
Ma quel che oggi al riguardo preoccupa di più è il possibile effetto domino del default greco sulle banche e sui bilanci degli Stati membri dell'Unione europea, effetto che pare ora mettere in allarme anche l'Italia dopo le possibili revisioni al ribasso del rating, appena annunciato dall'agenzia Moody's a seguito di quello di Standard & Poor's. Da qui anche l'ovvia caduta delle borse, in un'ulteriore singolare mistura fra pubblico e privato dove società di rating, spesso accusate di conflitto d'interessi, danno giudizi sulla tenuta economica di Paesi, determinando l'andamento dei mercati finanziari e pesanti riflessi sul debito pubblico.
Può allora la Banca centrale europea risolvere questa inedita crisi che minaccia l'euro e ora molti altri membri dell'Unione europea, compreso il nostro?
E così impedire l'effetto domino?
La risposta pare a me assai ardua qualora la Bce non abbia un governo di riferimento, che non è certo né il board del consiglio dei governatori, né l'Eurogruppo. Il suo assetto è atipico, contraddittorio e fragile, come ha ben rilevato Alessandro Plateroti venerdì sulle pagine di questo giornale, anche perché è stato meticolosamente disciplinato seguendo il modello tipico statuale. Ma ad essa manca il governo di riferimento, mai approdato a compimento attraverso i trattati da Maastricht ad Amsterdam, da Nizza fino a quello di Lisbona del 2009.
La presenza invece, di uno Stato federale negli Usa ha finora impedito ogni effetto domino sugli altri Stati, ancorché il budget della California approvato proprio venerdì abbia nuovamente presentato un deficit grave e politicamente difficile da colmare.
Per concludere, pare a me doveroso sottolineare che la soluzione possibile a questa inquietante crisi economica e finanziaria può passare solo da una maggior vocazione europea di tutti i Paesi membri, a incominciare dal nostro, per darsi finalmente una vera Costituzione federale, purtroppo finora abortita.