il consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.

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l'ormai consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.
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Stati e banche «fratelli siamesi» Ma chi governa il nostro destino?

di Guido RossiCronologia articolo19 giugno 2011
I





L'insolvenza della Grecia ha messo definitivamente in discussione dogmi, istituzioni e miti, sui quali si è basata la nostra cultura e il nostro modo di vivere. Molti di loro sono già rovinosamente caduti, altri stanno per frantumarsi, principalmente a causa delle trasformazioni politiche ed economiche del capitalismo finanziario e della globalizzazione.



Val dunque la pena di fare qualche indagine al riguardo.


Il maggior mito scomparso, che John Galbraith già nel 2004 giudicava falso, è quello del doppio settore del Privato, giudicato positivamente, e del Pubblico, tollerato, sovente in guisa retorica per il suo costante, quanto spesso ambiguo, riferimento al bene comune.

Da qui l'ormai consunto slogan «meno Stato più mercato» come panacea di civiltà.





Imprese private e Stati vivono sempre più in un inquietante connubio e le norme istituzionali rispettivamente a loro disciplina paiono ormai confuse e sfatte.



La Grecia versa oggi infatti in uno stato di insolvenza, come può accadere alle imprese, incapaci di pagare i debiti alla scadenza, e rischia di andare in fallimento, secondo l'odierna previsione di un prestigioso responsabile sia della crisi finanziaria, sia della caduta del mito, Alan Greenspan.

Naturalmente per gli Stati si usa il meno aggressivo termine di default invece che bankruptcy, ma si tratta comunque di fallimento.

Stati e imprese sono in egual misura soggetti alle speculazioni dei mercati finanziari, dove spadroneggiano tuttora, con allarmante asimmetria, le grandi banche private.


E si discute oggi sul salvataggio della Grecia, con procedura concorsuale tipica, come la ristrutturazione del debito, con un piano al quale dovrebbero intervenire le istituzioni internazionali, l'Unione europea e le istituzioni private su base volontaria, secondo l'apertura di Angela Merkel, dopo il vertice Germania – Francia di venerdì a Berlino.


Ma quale base volontaria?

E, poi, le grandi banche private?

Ebbene sì, non foss'altro perché sono esse ad avere in portafoglio i titoli di Stato a rischio insolvenza.

Una domanda allora, non più economica, ma istituzionale, dovrebbe oggi essere posta a esaminare la "mostruosa fratellanza siamese" fra Stati e banche, per adottare un'espressione già cara al grande banchiere Raffaele Mattioli, per il rapporto banca – industria, anch'esso sempre più attuale.

Non è dunque un caso che le grandi banche siano chiamate "di sistema", e quindi too big to fail, mentre gli Stati possono ben fallire.


Insomma, è la politica dei Governi oppure l'attività e l'interesse delle grandi banche, centrali o periferiche che siano, ad arbitrare il nostro destino?


Non corre peraltro dubbio che il connubio continua anche nelle persone che si alternano al comando. La maggiore istituzione bancaria americana Goldman Sachs, ad esempio ha avuto e ha fra i suoi alti dirigenti e consulenti ex primi ministri, ministri del Tesoro, governatori di banche centrali, commissari europei. Assai istruttivo sul denunciato connubio è il recente volume di William R. Rhodes, Banker to the World: Leadership Lesson from the Front Lines of Global Finance (MCGrow – Hill 2011).


Ma quel che oggi al riguardo preoccupa di più è il possibile effetto domino del default greco sulle banche e sui bilanci degli Stati membri dell'Unione europea, effetto che pare ora mettere in allarme anche l'Italia dopo le possibili revisioni al ribasso del rating, appena annunciato dall'agenzia Moody's a seguito di quello di Standard & Poor's. Da qui anche l'ovvia caduta delle borse, in un'ulteriore singolare mistura fra pubblico e privato dove società di rating, spesso accusate di conflitto d'interessi, danno giudizi sulla tenuta economica di Paesi, determinando l'andamento dei mercati finanziari e pesanti riflessi sul debito pubblico.


Può allora la Banca centrale europea risolvere questa inedita crisi che minaccia l'euro e ora molti altri membri dell'Unione europea, compreso il nostro?

E così impedire l'effetto domino?
La risposta pare a me assai ardua qualora la Bce non abbia un governo di riferimento, che non è certo né il board del consiglio dei governatori, né l'Eurogruppo. Il suo assetto è atipico, contraddittorio e fragile, come ha ben rilevato Alessandro Plateroti venerdì sulle pagine di questo giornale, anche perché è stato meticolosamente disciplinato seguendo il modello tipico statuale. Ma ad essa manca il governo di riferimento, mai approdato a compimento attraverso i trattati da Maastricht ad Amsterdam, da Nizza fino a quello di Lisbona del 2009.
La presenza invece, di uno Stato federale negli Usa ha finora impedito ogni effetto domino sugli altri Stati, ancorché il budget della California approvato proprio venerdì abbia nuovamente presentato un deficit grave e politicamente difficile da colmare.


Per concludere, pare a me doveroso sottolineare che la soluzione possibile a questa inquietante crisi economica e finanziaria può passare solo da una maggior vocazione europea di tutti i Paesi membri, a incominciare dal nostro, per darsi finalmente una vera Costituzione federale, purtroppo finora abortita.
 
Non mi sembra che quanto è necessario nel 2011 sia così diverso da quel che serviva 30 anni fa manca solo un personaggio così onesto ed affidabile

Il profumo di pulito di Spadolini - Il Sole 24 ORE
Il profumo di pulito di Spadolini

di Alessandro De NicolaCronologia articolo19 giugno 2011
In questo articolo





Il 28 giugno del 1981 è una data che ormai non ricorda più nessuno, credo. Però in quel giorno accadde un evento importante per il nostro Paese, che avrebbe potuto portare uno sviluppo diverso della politica e dell'economia italiana. Quel giorno, infatti entrò in carica il primo Governo dell'Italia del dopoguerra presieduto da un non democristiano, Giovanni Spadolini.
Allora come oggi, l'Italia e il mondo erano in crisi. L'Occidente era in recessione dopo aver patito da poco tempo il secondo shock petrolifero dovuto alla rivoluzione degli ayatollah in Iran. Inoltre, l'espansionismo di Mosca sembrava dilagante: dal 1974 erano diventati comunisti o filo-sovietici Laos, Cambogia, Vietnam del Sud, Etiopia, Angola, Mozambico, Nicaragua e nel 1979 l'Armata Rossa aveva invaso l'Afghanistan. I russi avevano inoltre installato i missili SS20 puntati sull'Europa occidentale, percorsa da fremiti di pacifismo ingenuo o prezzolato. In Italia l'inflazione aveva toccato il 21%, la crescita del Pil era ferma, le lotte sociali riprese con vigore. In più, il Paese era ancora sotto la cappa degli anni di piombo, la malavita organizzata era entrata clamorosamente nella scena politica con il rapimento dell'assessore campano della Dc Ciro Cirillo da parte delle Br e che vide protagonista nelle trattative per il suo rilascio la camorra.

Soprattutto, era scoppiato lo scandalo della loggia massonica segreta P2, guidata da Licio Gelli. La P2 era uno strano groviglio di politica e affarismo che però annoverava ministri, generali, diplomatici, imprenditori, giornalisti e politici e fu percepita come una minaccia golpista. Incapace di fronteggiare l'urto, il debole Governo Forlani cadde e fu allora che, in clima di emergenza nazionale, venne chiamato a formare il Governo Spadolini, professore universitario, ex direttore del Resto del Carlino e del Corriere della Sera, segretario del Pri e presidente della Bocconi, un intellettuale "prestato alla politica" che, come diceva il suo amico Montanelli, quando passava lasciava l'"odore del pulito di bucato".
Bene, finita la commemorazione? Sì e no. I nostri problemi di allora sono diversi, ma simili. In quel momento inflazione e recessione erano il mostro da combattere, oggi il debito pubblico e la stagnazione. La P3 e la P4 odierne sono pallide controfigure della P2, ma la tenaglia della corruzione e dell'affarismo avvinghia ancora la nazione. L'imperialismo sovietico è stato sconfitto, ma la situazione internazionale è tutt'altro che calma specialmente per le turbolenze del mondo arabo e dell'islamismo militante che ci toccano direttamente.
Cosa fece all'epoca Spadolini? Si diede delle priorità e parlò al Paese. L'inflazione in due anni scese di 5 punti, il debito pubblico, nonostante i deficit, scese in percentuale al Pil e venne ristrutturato il ministero del Bilancio attraverso un vaglio di efficienza degli investimenti pubblici affidata a un apposito Nucleo di valutazione. In politica estera ci fu la scelta di Comiso per l'installazione degli euromissili americani. Ma fu sul piano della lotta alla criminalità che il Governo laico si distinse. Venne dato il colpo di grazia al terrorismo rosso dopo il sequestro e la successiva liberazione del generale americano Dozier, si inviò - come segnale d'impegno dello Stato, poi finito tragicamente - il generale Della Chiesa in Sicilia per organizzare la lotta alla mafia, si smantellò la loggia P2 emarginandone dalla vita politica i protagonisti e, nel caso dello scandalo del Banco Ambrosiano, il ministro Andreatta riuscì a commissariarlo affidandolo alle mani del professor Bazoli, sfidando così i malumori del Vaticano.
Naturalmente altre cose andarono male. Il Pil agganciò il treno della ripresa solo verso la fine del 1982, la crisi delle isole Falkland fece cozzare l'atlantismo filo-britannico di Spadolini con il terzomondismo pro-Argentina (dei generali torturatori, che vergogna!) di socialisti e Dc e infine la famosa "lite tra le comari", il socialista Formica e il democristiano Andreatta, affossò il Governo.
Quell'esperienza però insegnò che è possibile coniugare determinazione e cultura nell'impegno politico, unire il Paese di fronte a grandi obiettivi e risolvere problemi che sembrano intrattabili. La campagna elettorale del 1983 del Pri raffigurante un sorridente Spadolini ritratto da Forattini e che recitava «con quale politico italiano vorresti andare a cena stasera?», coglieva un tasto: si può essere rispettati anche al di là dei propri fan urlatori quando si ha la statura giusta.
Statisti provenienti dalla società civile, ma impegnati nella politica (e all'epoca, oltre Spadolini, da Giolitti a Merzagora, da Visentini ad Andreatta fino a un giovane Amato ce n'erano); chiarezza nei principi e nell'eloquio; capacità di darsi priorità; rigore e onestà nei comportamenti pubblici e privati; coraggio di scelte scomode. Non mi sembra che quanto è necessario nel 2011 sia così diverso da quel che serviva 30 anni fa.
[email protected]
 
condivisibile quello che scrive De Nicola
mancano nell'Italia di oggi personaggi onesti e fuori
dalla partitocrazia com'era Spadolini
l'unico che mi pare si avvicini è Tremonti
anche se non sono sempre d'accordo con lui
della sua onestà non dubito
 

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