Telefoni e spie
Telecom, Tavaroli spara a zero su tutti e Repubblica continua a dargli credito
Le parti lese nel procedimento sullo spionaggio Telecom che vede come principale imputato Giuliano Tavaroli sono almeno 5 mila. Due di esse, la Telecom e la Pirelli, rivestono contemporaneamente anche il non comodo ruolo di imputati come mandanti delle operazioni sporche addebitate al famigerato “tiger team”. E nella logica dei giudici milanesi le aziende commissionavano lo spionaggio a Tavaroli senza che i manager, gli azionisti, l’ad Carlo Buora e il presidente Marco Tronchetti Provera sapessero nulla.
Una logica che anche il “Corsera” di oggi si sforza vanamente di spiegare ai propri lettori. Per fare sì che tutte e cinquemila queste parti lese possano assistere all'udienza preliminare che si svolgerà in autunno, qualcuno in Tribunale a Milano sta pensando addirittura all'affitto di uno stadio di calcio.
Certo i processi allo stadio rievocano sinistramente quelli del Cile di Pinochet. Ma a leggere la seconda puntata delle rivelazioni molto interessate del protagonista negativo della vicenda al quotidiano “la Repubblica” l’atmosfera che fa da contorno a questa storia non è molto differente.
Se ieri infatti il noto quotidiano debenedettiano "Repubblica" prendeva di mira Berlusconi e il suo entourage, molto sobriamente definiti come un “network eversivo”, oggi è stata la volta dell’affossamento dello stato maggiore dei Ds e del coinvolgimento di uno dei giudici più importanti della procura di Milano, Armando Spataro, pm anche nel caso del rapimento dell’imam Abu Omar da parte della Cia e del Sismi nel marzo 2003.
A parlare con il cronista di punta di questo tipo di operazioni che periodicamente “Repubblica” fà, ovvero il bravissimo Giuseppe D’Avanzo, è sempre l’ex carabiniere dei nuclei speciali di Dalla Chiesa, Giuliano Tavaroli. Che nella seconda puntata pubblicata oggi dal quotidiano spiega chiaramente come Tronchetti lo avesse assunto apposta per scatenare una strategia deterrente fatta di raccolta di dati e di velati ricatti.
Nel merito ce n’è per tutti. A cominciare dai Ds e dai poveri Massimo D’Alema e Piero Fassino (che ha minacciato querela) di cui Tavaroli sostiene di conoscere i conti esteri su cui sarebbero state depositate le tangenti relative alla prima privatizzazione Telecom, quella del “capitano coraggioso” Roberto Colaninno.
“Fu un lavoraccio - spiega Tavaroli a D’Avanzo - l'inchiesta "Oak Fund". Per quel che poi ha scritto Cipriani nel dossier chiamato "Baffino", ora nelle mani della procura di Milano, i soldi hanno viaggiato nella pancia di trecento società in giro per l'Europa per poi approdare a Londra nel conto dell'Oak Fund, a cui erano interessati i fratelli Magnoni (Giorgio, Aldo e Ruggiero, vicepresidente della Lehman Brothers Europe) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino”. Ieri sia Fassino sia D’Alema hanno replicato con sdegno.
Fassino, noto per il suo aplombe, ci è andato giù duro con quel gruppo editoriale, l'Espresso appunto, che oramai ha abbracciato in pieno la linea poltica dipietresca: “Non ho mai avuto firme su conti esteri né a Londra, né altrove. Non so neanche cosa sia l'Oak Fund. Per queste ragioni ho immediatamente dato mandato ai miei legali di tutelarmi contro Tavaroli, D'Avanzo e chiunque altro sia responsabile di questa vigliaccata, nonché contro chiunque continuasse a diffonderla. Trovo inconcepibile che La Repubblica pubblichi, e per di più richiamandola con titoli di prima e seconda pagina e mia fotografia, una notizia del tutto falsa senza neanche verificarne non dico la fondatezza, ma la minima attendibilità. Non si invochi il diritto di cronaca o la libertà di stampa, che non c'entrano niente. Qui si sputtana una persona onesta e pulita ledendone la onorabilità e la dignità. E questo è inaccettabile”.
Ma nei racconti di Tavaroli di oggi al quotidiano fondato da Scalfari e diretto da Ezio Mauro ne esce con le ossa rotte anche il pm Spataro, quello del caso Abu Omar. Tavaroli infatti parla di una “convocazione” da parte del pm per parlare della vendita di Edilnord alla Real Estate del gruppo Pirelli.
Ecco come la circostanza è stata raccontata da Tavaroli a D’Avanzo: “Era più o meno il settembre del 2001. Mi chiama Armando Spataro, allora membro del Consiglio superiore della magistratura. Mi dice: 'Il tuo capo ha risolto i problemi di Berlusconi'. Era accaduto che Pirelli Real Estate avesse rilevato Edilnord di Berlusconi che navigava in cattive acque. Per Pirelli era un affare, per Spataro un favore. Nel 2003 Armando ritorna a Milano come procuratore aggiunto. Ho l'idea di farlo incontrare con Tronchetti. Organizzo il meeting. Ma, quel giorno, commetto un errore grave. Invece di andare via, come facevo sempre, rimango nella stanza e sono testimone della loro conversazione. Che non va per nulla bene. Quasi al termine, Tronchetti chiarisce che magistratura e politica devono reciprocamente rispettarsi e che il lavoro dei giudici non può pregiudicare le responsabilità della politica. E' più o meno una banalità, ma detta in quel momento suonò alle orecchie di Armando come una difesa pregiudiziale di Berlusconi e una censura per le iniziative della magistratura. Spataro ne ricava la convinzione di avere di fronte un uomo piegato agli interessi di Berlusconi. Nessuno gli ha tolto più quell'idea dalla testa.”
A prendere per buone queste dichiarazioni viene fuori un quadro della magistratura di Milano che più che potersi definire “politicizzata” potrebbe essere meglio descritta con la locuzione “parte in causa”. Con Berlusconi visto come al solito come “l’eterno nemico”.
Non mancano pesanti allusioni anche al ruolo di giornalisti di fama come Lucia Annunziata, definita “una consulente di Telecom” usata, a dire di Tavaroli, per avvicinare D’Alema. O Maurizio Costanzo, associato al giro della P2 (di cui effettivamente fu uno dei più illustri iscritti, ndr), pagato da Provera 3 milioni di euro l’anno per tenere alta “l’immagine di Afef Jnifen” sui giornali.
Immagine, quella di Afef, in realtà un po’ offuscata, sempre a detta di Tavaroli, a causa degli affari loschi del fratello che avrebbe fatto affari nel traffico delle armi insieme a uno dei figli di Gheddafi. Rischiando persino di venire eliminato dai servizi segreti libici.
Si parla poi di Tremonti, di Gasparri, di Bisignani e di decine di altri uomini poltici e di affari, tutti riuniti da Tavaroli in questa immaginaria “spectre” che dominerebbe la politica italiana tutto intorno a Berlusconi.
Il teorema difensivo di Tavaroli è che Provera avrebbe assunto lui, pagandolo milioni di euro l’anno e dotandolo di un budget pressochè illimitato, per difedere sé stesso e la Telecom dagli arrembaggi sia dei berlusconiani sia dei dalemiani. Un “fine” che dovrebbe giustificare il “mezzo” del dossieraggio di oltre 5 mila persone comprese nell’attuale classe dirigente italiana.
Con queste premesse un simile processo rischia di svolgersi davvero in uno stadio, e non solo per motivi di capienza delle aule giudiziarie del palazzo di giustizia milanese, tra i fischi e gli applausi del pubblico in un’atmosfera da curva sud delle istituzioni.
Da qui alle tricoteuse del Termidoro il passo sembra oggettivamente breve. E in questo scenario molto preoccupante, che non tiene minimamente conto dei moniti del capo dello stato Giorgio Napolitano a non spettacolarizzare i processi,“Repubblica” sembra essere passata dal ruolo di portavoce del partito dei giudici a quello di entusiasta corifeo del duo Di Pietro- Grillo.