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Forumer storico
Bernabè: "Telecom non sarà spagnola"
«L'apertura della rete? Le nostre proposte sono una rivoluzione copernicana»
ARMANDO ZENI
Il titolo che soffre. Qualche azionista che fa pressioni, qualcun’altro che soffia sul fuoco. E sullo sfondo il rischio di una scalata ostile che rimbalza dalla Borsa e agita lo spauracchio che un altro grande gruppo italiano finisca in mani straniere, magari in quelle di Telefonica, indiziato numero uno. Non bastasse, ecco le polemiche dei concorrenti che bollano come insufficienti gli impegni per l’apertura della rete fissa presentati all’Autorità delle comunicazioni. Insomma, un’estate calda, caldissima, quella della Telecom Italia e del suo amministratore delegato, Franco Bernabè, da sette mesi impegnato, parole sue, «a tener dritta la barra», parlando il meno possibile e lavorando tanto. «Ho preso un impegno e non sono abituato a lasciare gli impegni a metà», dice. E aggiunge, quasi a voler smorzare per un attimo le tensioni attorno alla sua Telecom, «ho vissuto altre situazioni di riassetto in questo paese, anche più drammatiche, non mi spavento».
Cominciamo dall’ultimo episodio, dottor Bernabè, dal niet dei concorrenti, da Vodafone a Wind, sugli impegni per l’apertura della rete che avete presentato all’Autorità delle comunicazioni. Impegni insufficienti, dicono.
«Credo sia una reazione di forma più che di sostanza su quanto abbiamo proposto per realizzare una parità di trattamento, interno ed esterno, tra tutti gli operatori. Penso che dovremo affrontare il tema in modo più serio e analitico».
Un gioco delle parti...
«Sono certo che alla fine si capirà che quanto abbiamo proposto per la rete è una rivoluzione copernicana per il sistema delle tlc italiane. Solo in due casi, Inghilterra e Italia, su 27 paesi europei si è arrivati a un contesto di impegni così importante e innovativo. Comunque, penso che nè Telecom Italia nè il paese nè l’Autorità delle comunicazioni abbiano alcunché da giustificare».
Dal conflitto alla collaborazione: in un anno i vostri rapporti con Agcom sono diventati completamente diversi.
«Abbiamo instaurato con tutti un rapporto costruttivo e di lealtà chiudendo accordi per sanare i precedenti contenziosi».
Intanto, i concorrenti insistono per una separazione funzionale della rete.
«Il nostro obbiettivo è la verifica di parità del trattamento. Non credo che si debba confondere l’obiettivo con uno strumento, come la separazione funzionale, che per noi non è lo strumento più idoneo. Per noi Open Access funziona, in cinque mesi ha fatto passi in avanti da gigante, è stata migliorata la qualità del servizio per favorire l’accesso, il delivering e l’assurance».
I concorrenti dicono che avete assunto impegni solo sulla vecchia rete ma nessuno sulla nuova. Cosa risponde?
«Che oggi la nuova rete non c’è e che è inutile porre dei vincoli a una cosa che non c’è. Il problema, semmai, è quello di trovare le condizioni economiche-finanziarie per costruire la nuova rete ed è importante che uno degli obbiettivi regolamentari sia proprio la realizzazione delle infrastrutture di cui il paese ha bisogno. Attenzione, però, il consuntivo di dieci anni di liberalizzazione nella telefonia fissa italiana è troppo modesto soprattutto per le carenze di investimenti dei concorrenti. Troppo comodo criticare e non fare investimenti, troppo comodo pretendere condizioni economiche finalizzate a costruire la rete senza realizzarla».
In cauda venenum?
«Sono convinto che il paese abbia bisogno di infrastrutture reali».
E di una Telecom efficiente.
«Efficiente, competitiva e forte. Questo è il mio impegno sul quale chiedo tempo. Sto lavorando a un progetto ambizioso ma che non sia destinato a finire nel nulla come spesso accade in Italia».
Nel frattempo circolano scenari d’ogni tipo come quello che dice che gli spagnoli di Telefonica cerchino di stringere la presa su Telecom Italia.
«Con Telefonica c’è un rapporto fiduciario molto stretto, escludo che mettano in atto un’operazione aggressiva».
Un auspicio o una certezza?
«Telefonica è un partner di grandissima qualità e di grande successo, con loro abbiamo un’ottima collaborazione industriale e potremo collaborare di più in una dimensione ancora maggiore: con loro vale la pena di esplorare strade ambiziose. Serve coraggio imprenditoriale, fantasia, perché è interesse di Telecom Italia e di Telefonica, ma è anche dei due paesi, fare cose importanti. Sono certo: troveremo il modo giusto di collaborare».
Senza rischi che Telecom Italia finisca spagnola?
«Ripeto, escludo operazioni ostili. Tanto più che un’Opa su una società come Telecom Italia non può avvenire senza il consenso del paese. E un paese ha mille strumenti per fermarla».
Lei lavora per una Telecom Italia che non sia italiana solo nel nome?
«Io lavoro per fare di Telecom Italia una struttura essenziale per lo sviluppo del paese».
Un passo indietro, dottor Bernabè. Come legge l’agitazione continua su quanto succede attorno alla società?
«C’è una situazione oggettiva di grande tensione sui mercati finanziari che alimenta speculazioni, paure razionali e irrazionali. Stiamo vivendo il momento più difficile degli ultimi vent’anni e basta guardarsi attorno: ci sono società solidissime che hanno visto tracolli del 60%, inspiegabili. Tutto il settore tlc è stato penalizzato con una perdita media del 30% in Borsa».
Voi avete perso di più.
«Perché siamo più deboli».
Lei si aspettava un’estate di fuoco come questa?
«Il problema non è se io me l’aspettassi, il fatto è che mi sono trovato a gestire Telecom durante il crollo dei mercati, sotto la peggior crisi, anche di credibilità, e nel momento in cui la liberalizzazione del settore ha cominciato a erodere i risultati di tutte le società di tlc».
Si può venirne fuori?
«Certo, con risposte chiare e con un progetto ambizioso, risolutivo, di sistemazione, che richiede un approfondimento notevole».
Un nuovo piano strategico?
«Ne parliamo a fine anno».
E l’accelerazione che l’azionista Fossati continua a chiedere?
«Non commento, la sede per discutere di strategie in una società è una sola, il consiglio d’amministrazione, non i giornali».
A proposito di giornali, in un’intervista Gilberto Benetton ha ipotizzato un prossimo aumento di capitale e il presidente Galateri lo ha escluso categoricamente...
«Ha già detto tutto il presidente Galateri».
A proposito di sedi proprie: lei è stato due volte in dieci giorni a Palazzo Chigi. Un caso o una necessità?
«Capisco che in un paese dove si fa del “chiacchiericcio” su tutto possa sembrare strano, ma si tratta di incontri di ordinaria amministrazione. Ci sono temi che riguardano le tlc oggetto di provvedimenti legislativi che ci preme seguire con attenzione».
Nessun pressing politico?
«Al contrario, visti i provvedimenti, la testimonianza di un’attenzione particolare».
«L'apertura della rete? Le nostre proposte sono una rivoluzione copernicana»
ARMANDO ZENI
Il titolo che soffre. Qualche azionista che fa pressioni, qualcun’altro che soffia sul fuoco. E sullo sfondo il rischio di una scalata ostile che rimbalza dalla Borsa e agita lo spauracchio che un altro grande gruppo italiano finisca in mani straniere, magari in quelle di Telefonica, indiziato numero uno. Non bastasse, ecco le polemiche dei concorrenti che bollano come insufficienti gli impegni per l’apertura della rete fissa presentati all’Autorità delle comunicazioni. Insomma, un’estate calda, caldissima, quella della Telecom Italia e del suo amministratore delegato, Franco Bernabè, da sette mesi impegnato, parole sue, «a tener dritta la barra», parlando il meno possibile e lavorando tanto. «Ho preso un impegno e non sono abituato a lasciare gli impegni a metà», dice. E aggiunge, quasi a voler smorzare per un attimo le tensioni attorno alla sua Telecom, «ho vissuto altre situazioni di riassetto in questo paese, anche più drammatiche, non mi spavento».
Cominciamo dall’ultimo episodio, dottor Bernabè, dal niet dei concorrenti, da Vodafone a Wind, sugli impegni per l’apertura della rete che avete presentato all’Autorità delle comunicazioni. Impegni insufficienti, dicono.
«Credo sia una reazione di forma più che di sostanza su quanto abbiamo proposto per realizzare una parità di trattamento, interno ed esterno, tra tutti gli operatori. Penso che dovremo affrontare il tema in modo più serio e analitico».
Un gioco delle parti...
«Sono certo che alla fine si capirà che quanto abbiamo proposto per la rete è una rivoluzione copernicana per il sistema delle tlc italiane. Solo in due casi, Inghilterra e Italia, su 27 paesi europei si è arrivati a un contesto di impegni così importante e innovativo. Comunque, penso che nè Telecom Italia nè il paese nè l’Autorità delle comunicazioni abbiano alcunché da giustificare».
Dal conflitto alla collaborazione: in un anno i vostri rapporti con Agcom sono diventati completamente diversi.
«Abbiamo instaurato con tutti un rapporto costruttivo e di lealtà chiudendo accordi per sanare i precedenti contenziosi».
Intanto, i concorrenti insistono per una separazione funzionale della rete.
«Il nostro obbiettivo è la verifica di parità del trattamento. Non credo che si debba confondere l’obiettivo con uno strumento, come la separazione funzionale, che per noi non è lo strumento più idoneo. Per noi Open Access funziona, in cinque mesi ha fatto passi in avanti da gigante, è stata migliorata la qualità del servizio per favorire l’accesso, il delivering e l’assurance».
I concorrenti dicono che avete assunto impegni solo sulla vecchia rete ma nessuno sulla nuova. Cosa risponde?
«Che oggi la nuova rete non c’è e che è inutile porre dei vincoli a una cosa che non c’è. Il problema, semmai, è quello di trovare le condizioni economiche-finanziarie per costruire la nuova rete ed è importante che uno degli obbiettivi regolamentari sia proprio la realizzazione delle infrastrutture di cui il paese ha bisogno. Attenzione, però, il consuntivo di dieci anni di liberalizzazione nella telefonia fissa italiana è troppo modesto soprattutto per le carenze di investimenti dei concorrenti. Troppo comodo criticare e non fare investimenti, troppo comodo pretendere condizioni economiche finalizzate a costruire la rete senza realizzarla».
In cauda venenum?
«Sono convinto che il paese abbia bisogno di infrastrutture reali».
E di una Telecom efficiente.
«Efficiente, competitiva e forte. Questo è il mio impegno sul quale chiedo tempo. Sto lavorando a un progetto ambizioso ma che non sia destinato a finire nel nulla come spesso accade in Italia».
Nel frattempo circolano scenari d’ogni tipo come quello che dice che gli spagnoli di Telefonica cerchino di stringere la presa su Telecom Italia.
«Con Telefonica c’è un rapporto fiduciario molto stretto, escludo che mettano in atto un’operazione aggressiva».
Un auspicio o una certezza?
«Telefonica è un partner di grandissima qualità e di grande successo, con loro abbiamo un’ottima collaborazione industriale e potremo collaborare di più in una dimensione ancora maggiore: con loro vale la pena di esplorare strade ambiziose. Serve coraggio imprenditoriale, fantasia, perché è interesse di Telecom Italia e di Telefonica, ma è anche dei due paesi, fare cose importanti. Sono certo: troveremo il modo giusto di collaborare».
Senza rischi che Telecom Italia finisca spagnola?
«Ripeto, escludo operazioni ostili. Tanto più che un’Opa su una società come Telecom Italia non può avvenire senza il consenso del paese. E un paese ha mille strumenti per fermarla».
Lei lavora per una Telecom Italia che non sia italiana solo nel nome?
«Io lavoro per fare di Telecom Italia una struttura essenziale per lo sviluppo del paese».
Un passo indietro, dottor Bernabè. Come legge l’agitazione continua su quanto succede attorno alla società?
«C’è una situazione oggettiva di grande tensione sui mercati finanziari che alimenta speculazioni, paure razionali e irrazionali. Stiamo vivendo il momento più difficile degli ultimi vent’anni e basta guardarsi attorno: ci sono società solidissime che hanno visto tracolli del 60%, inspiegabili. Tutto il settore tlc è stato penalizzato con una perdita media del 30% in Borsa».
Voi avete perso di più.
«Perché siamo più deboli».
Lei si aspettava un’estate di fuoco come questa?
«Il problema non è se io me l’aspettassi, il fatto è che mi sono trovato a gestire Telecom durante il crollo dei mercati, sotto la peggior crisi, anche di credibilità, e nel momento in cui la liberalizzazione del settore ha cominciato a erodere i risultati di tutte le società di tlc».
Si può venirne fuori?
«Certo, con risposte chiare e con un progetto ambizioso, risolutivo, di sistemazione, che richiede un approfondimento notevole».
Un nuovo piano strategico?
«Ne parliamo a fine anno».
E l’accelerazione che l’azionista Fossati continua a chiedere?
«Non commento, la sede per discutere di strategie in una società è una sola, il consiglio d’amministrazione, non i giornali».
A proposito di giornali, in un’intervista Gilberto Benetton ha ipotizzato un prossimo aumento di capitale e il presidente Galateri lo ha escluso categoricamente...
«Ha già detto tutto il presidente Galateri».
A proposito di sedi proprie: lei è stato due volte in dieci giorni a Palazzo Chigi. Un caso o una necessità?
«Capisco che in un paese dove si fa del “chiacchiericcio” su tutto possa sembrare strano, ma si tratta di incontri di ordinaria amministrazione. Ci sono temi che riguardano le tlc oggetto di provvedimenti legislativi che ci preme seguire con attenzione».
Nessun pressing politico?
«Al contrario, visti i provvedimenti, la testimonianza di un’attenzione particolare».