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In atto una lenta ripresa ma il deficit rimane alto
di Riccardo Sorrentino
Era un piccolo paradiso, per gli investitori: alti rendimenti e una rassicurante tripla A da parte delle agenzie di rating. Chi avrebbe potuto mai temere qualcosa dall'Islanda, paese moderno, europeo e persino nordico? La crisi del 2008 è stata poi spietata, per Reykjavik e per i risparmiatori che avevano sottoscritto, ignorando in realtà mille segnali d'allarme, i Glacier bond emessi dalle banche locali. Il paese è collassato, insieme alle sue agguerritissime e indebitatissime aziende di credito, e la corona non è stata più trattata sul valutario, impedendo le transazioni finanziarie con l'estero. La cura è stata dolorosa. L'Islanda ha cambiato tutto. Il governo e la politica hanno indirizzato il paese su una strada nuova: il vecchio liberismo populista che ha reso ricco e vulnerabile l'isola atlantica, è stato abbandonato a favore di un approccio più sobrio e pragmatico. Il settore finanziario è stato risanato, le aziende di credito tecnicamente fallite sono state salvate, la banca centrale è stata depurata da quelle incrostazioni politiche che sono state la fonte prima del disastro e il paese è ormai avviato verso l'Unione europea, dopo aver superato mille remore.
L'isola può dunque ripartire: ritorna lentamente alla ribalta, ma si ripresenta agli investitori con una "tripla B meno" di Standard & Poor's – lo stesso voto del Perù e della Colombia, ma anche del più affidabile Brasile – e una Baa3 della Moody's che, più coraggiosa, le dà il voto di Romania, Bulgaria e Lettonia. Il paese resta però vulnerabile. Sono, è vero, scomparsi i segnali dello squilibrio: la forte inflazione si è raffreddata un po' e il deficit dei conti con l'estero – quell'enorme 20% del Pil che segnalava quanto l'isola fosse dipendente dai finanziamenti degli stranieri – si è azzerato. Oggi però l'Islanda ha un deficit pubblico del 14% del prodotto interno lordo, che continua a indicare uno stato di sofferenza dell'economia, mentre il debito con l'estero ha raggiunto il 310% del Pil. E la sua esuberanza finanziaria, che aveva attratto tanti investitori, è un ricordo del passato. Ora l'Islanda è piuttosto un monito per tutti. Le sue vicende ricordano che i mercati finanziari possono lanciare a lungo messaggi fuorvianti, sganciati dalla realtà economica.
6 dicembre 2009