Bruxelles. Con il “sì” del Parlamento di Reykjavik alla richiesta di adesione all’Unione
europea, l’Islanda tenta di mettersi al riparo da future bancarotte, dopo il collasso
del sistema bancario e il salvataggio del Fondo monetario internazionale dello scorso
autunno. Più che entrare nel club dei Ventisette, il voto (arrivato dopo una settimana
di negoziati, con 33 deputati favorevoli e 28 contrari) segna la volontà islandese
di mettere il paese sotto la protezione dell’euro. La premier socialdemocratica,
Johanna Sigurdardottir, aveva vinto le elezioni di aprile presentando l’ingresso nella
moneta unica come la panacea dell’Islanda. Quello di giovedì è stato “il voto più importante della storia del nostro Parlamento – ha spiegato Sigurdardottir –
Finalizzeremo (con l’Ue) un accordo che aiuterà a creare la stabilità economica necessaria e ad assicurare la prosperità nel lungo periodo sia alle famiglie sia alle imprese”. L’Islanda ha chiesto una corsia preferenziale per entrare nel 2012: due anni di negoziati con Bruxelles, che culmineranno in un referendum nazionale sull’adesione al blocco. Contemporaneamente, avvierà le procedure per la moneta unica, attraverso il passaggio obbligato nel meccanismo di tasso di cambio Erm II. Con più del 50 per cento delle imprese e il 15 per cento delle famiglie insolventi, un’inflazione al 12 per cento e un prestito da 10 miliardi di dollari del Fmi, gli economisti ritengono irrealistico stabilizzare la krona. Ieri il ministro dell’Economia, Gylfi Magnusson, ha annunciato negoziati con la Banca centrale europea in autunno sulle questioni monetarie. Secondo la star televisiva Felix Bergson, “non possiamo rimanere soli in mezzo all’oceano”.
Per Bruxelles, l’Islanda è un paese molto più facile da accogliere degli altri candidati, perché “ha percorso 40 chilometri della maratona, mentre i Balcani ne hanno fatto
la metà”, ha spiegato il commissario all’Allargamento, Olli Rehn. “L’ultimo chilometro
dovrebbe essere più rapido di qualsiasi altro paese” candidato. Membro storico dell’European Free Trade Agreement e dello Spazio economico europeo – che associano Svizzera, Islanda, Liechtenstein e Norvegia all’Ue – Reykjavik ha già adottato più di due terzi della legislazione comunitaria. Un’economia sviluppata e dinamica e 320 mila abitanti sono più semplici da assorbire di un grande paese in via di sviluppo. Negoziare con gli islandesi in una posizione di forza potrebbe contribuire a risolvere a vantaggio degli europei alcuni contenziosi: Olanda e Regno Unito esigono il rimborso dei miliardi depositati dai loro cittadini nelle banche dell’isola; Bruxelles limiterebbe il volume di pesca dei merluzzi dei pescherecci islandesi che fanno concorrenza agli europei. La Svezia, che ha la presidenza di turno dell’Ue e ha fornito megaprestiti agli istituti finanziari e al governo di Reykjavik, vuole il via libera ai negoziati entro il Consiglio europeo di dicembre. Ma, se in tempi di crisi il ruolo
protettore dell’Ue è visto con benevolenza dagli islandesi indebitati in euro, una volta
rilanciata l’economia e scoperte le condizioni poste dal club, l’Islanda potrebbe tornare
all’antico carattere isolano. Il collasso della krona ha rovesciato i rapporti di forza tra
pro e contrari all’integrazione europea: secondo un sondaggio Gallup di maggio, il 60
per cento degli islandesi è favorevole ai negoziati, ma solo il 39 per cento dice “sì” all’adesione, mentre il 38,6 è contrario. “L’approvazione in un referendum non è scontata”, avverte Einar Mar Thordarson della University of Iceland: “Il principale ostacolo sarà la politica agricola e della pesca”.
Da Il Foglio del 18/07/09