Gesell  - a 80 anni dalla morte (11 marzo 1930) – e la “moneta del popolo” 
Gesell  - a 80 anni dalla morte (11 marzo 1930) – e la “moneta del popolo”
Scritto  da autori vari, mercoledì 10 marzo 2010
Nel 1931, Woergl - una  cittadina del Tirolo - contava 4500 abitanti; e, fra i 2 mila adulti,  1500 disoccupati. Infuriava la grande «depressione», con il suo gelido  corollario: la deflazione. Le aziende avevano chiuso, fallite. Il denaro  non circolava; anzi era sparito, la crisi suggerendo a chi ne aveva di  tenerlo sotto il materasso (nella deflazione, i tassi d'interesse sono  troppo bassi per invogliare anche i depositi bancari). Insomma  l'economia era congelata. Il paesello affondava nella miseria. Il Comune  era formalmente in bancarotta, perché non riceveva più le imposte e i  tributi locali e non era in grado di pagare i suoi impiegati. Fu allora  che il sindaco - si introduce qui il nome di questo eroe qualunque:  Michael Unterguggenberger - decise di battere la sua propria moneta. Era  stato un sindacalista, socialdemocratico e anti-marxista. Voleva  aiutare i suoi disoccupati, voleva mettere dei soldi nelle tasche dei  suoi cittadini, perché costoro ricominciassero a pagare le tasse. Era  una moneta del tutto speciale: moneta deperibile. Per tenerla in corso,  chi possedeva una di quelle banconote doveva apporvi ogni mese un bollo,  che costava l'1% del valore facciale della moneta. Il taglio da 10  scellini (ma l'emissione comprendeva tagli da 1 a 5 scellini) esigeva un  bollo mensile di 0,1 scellini. Di fatto quella moneta perdeva ogni anno  il 12% del suo valore. Herr Unterguggenberger la chiamò «banconota del  lavoro». (1)
L'ammontare della nuova emissione era di 32 mila  scellini dell'epoca, pari a circa 4500 dollari di allora. Una cifra  ragguardevole per un piccolo paese, e infatti risultò presto in eccesso  in proporzione alle necessità di Woergl. Saggiamente, il sindaco  scongiurò l'inflazione che avrebbe potuto seguire l'eccesso di  emissione, ritirando parte delle banconote; gradatamente, solo un terzo  delle monete deperibili rimase in circolazione. L'emissione era  «coperta» alla pari: una somma uguale di veri scellini era depositata  dal Comune nella locale banca di risparmio. In ogni momento, ogni  detentore di «banconote del lavoro» (moneta deperibile) avrebbe potuto  presentarle all'incasso e riscuotere scellini. Ma fu stabilito che, per  questa operazione, la banca avrebbe riscosso un «aggio di servizio» del  2%. Poiché il costo di detenzione della moneta deperibile, 1%, era solo  la metà del costo del suo cambio in scellini, di fatto nessuno portò mai  all'incasso la nuova moneta. Tutti gli impiegati del Comune, compreso  il sindaco, dal luglio 1932 cominciarono a ricevere metà del loro  stipendio in moneta deperibile. Gli operai che lavoravano per il locale  «Comitato di soccorso disoccupati» (ed erano impiegati dal Comune in  piccole opere pubbliche) ricevevano invece integralmente il loro salario  nel denaro comunale.
A tutta prima, i bottegai locali si rifiutarono  di accettare quello strano surrogato di moneta, che per di più perdeva -  come in un'inflazione pre-programmata - ogni anno il 12 % del valore.  Ma il sindaco abilmente ruppe il fronte dei commercianti, convincendone  alcuni ad accettare la nuova moneta, promettendo agevolazioni a chi lo  faceva.
Anche i riluttanti alla fine saltarono su quel treno: del  resto, era praticamente il solo denaro in circolazione. Presto tutti la  accettarono senza esitare, per il solo fatto che chiunque altro  l'accettava.
Con due sole eccezioni: l'ufficio postale e la stazione  ferroviaria - istituzioni dello Stato - rifiutarono le «note del lavoro»  e continuarono a pretendere scellini. La presenza di quella moneta  deperibile, che nessuno aveva interesse ad accumulare, fece rinascere  vivacemente - a livello locale - la circolazione monetaria, e dunque  risorgere l'economia. La gente si affrettava a spendere quei soldi, e  riprese a comprare merci (uno dei danni terribili della deflazione è che  ognuno ritarda gli acquisti, perché si aspetta che i prezzi calino  ulteriormente domani); ci fu chi pagò in anticipo le tasse comunali, per  non dovere comprare i bolli dell'1% necessari a tenere in valore la  moneta (il Comune, ovviamente, accettava le sue note in pagamento dei  tributi).
Era dal 1926 che il Comune non vedeva tanti introiti. Le  tasse arretrate e non pagate fino all'introduzione della moneta  deperibile ammontavano a 118 mila scellini, ossia al quadruplo  dell'emissione di «banconote del lavoro». Nel primo mese della nuova  emissione, già 4.542 scellini erano stati pagati. Il Comune non solo  potè cominciare a far fronte ai suoi creditori, ma presto riuscì ad  occupare parte di quei 1500 disoccupati in opere pubbliche.
Furono  asfaltate sette strade di Woergl per un totale di 6 chilometri;  migliorate le fognature; piantati nuovi alberi nelle foreste; nel 1933  era in costruzione un trampolino da sci per i turisti (Woergl è una  località alpina). Le opere pubbliche attivate dalla moneta deperibile  ammontarono al triplo dell'emissione, 100 mila scellini.
Persino  la sola banca del paese (filiale locale della Reifeisen Bank) ne ebbe  vantaggio. Qui, per tutto l'anno precedente l'introduzione della  banconota deperibile, i prelievi avevano superato i depositi. Ma già  nell'agosto 1932, dopo un solo mese di vita della nuova banconota, i  depositi tornarono a crescere, superando i prelievi di 6591 scellini.
Il  microscopico esperimento di «moneta di popolo», insomma, funzionò. Al  punto che alcune città vicine, compresa Innsbruck, cominciarono a  prendere in considerazione l'idea. Giornalisti, poi economisti,  accorsero a visitare quella cittadina tirolese che cominciava a  prosperare, unica isola nella miseria della «grande depressione».
Funzionò  troppo bene. Il sindaco, felice, raccontò ai giornalisti quanto segue:  che il 12% annuo estratto dalla bollatura delle banconote, lui, l'aveva  reinvestito e speso per il bene della popolazione.
E che, dato il  ritmo della circolazione, ogni mese il Comune vedeva tornare nelle sue  casse «venti volte» l'ammontare dei primi stipendi pagati con le  banconote deperibili. Il 2000 %. Incauta rivelazione. Forse senza  nemmeno sospettarlo, Unterguggenberger rivelava due segreti vietati:  l'enorme profitto che il sistema bancario estraeva dalla circolazione, e  quello immenso e occulto che l'emissione monetaria regala a chi batte  la moneta.
Fino a quel momento, il governo austriaco non aveva  mostrato ostilità verso l'esperimento di Woergl. Fu la Banca Nazionale  d'Austria - la banca privata che emette lo scellino, la moneta nazionale  - a pretendere l'abolizione di quel fastidioso concorrente,  quell'innocente rivelatore della frode fondamentale. A forza di legge,  la moneta deperibile fu bandita nel settembre 1933, come contraria al  monopolio monetario accordato alla Banca Centrale.
L'idea della  moneta deperibile, che accese la fantasia di Ezra Pound, ha un inventore  sul cui nome è stato fatto cadere l'oblio: Silvio Gesell (1862-1930).
Come  definirlo? Utopista socialista, antimarxista, economista selvaggio,  conobbe anni di celebrità. John Maynard Keynes lodò la sua genialità. I  suoi libri conobbero molte traduzioni, e le sue teorie ebbero molte  applicazioni persino in USA, negli anni '30. Tedesco di nascita, Gesell  era un uomo pratico: commerciante e importatore in Argentina. Nel 1880,  l'Argentina conobbe una crudele deflazione: il tipo di crisi su cui  Gesell meditò, e a cui propose il suo eretico rimedio. Fenomeno  contrario dell'inflazione, la deflazione (che segue spesso una bolla  speculativa, un boom malsano) consiste in una continua caduta dei  prezzi. Di conseguenza, i consumatori tendono a ritardare i loro  acquisti, nell'aspettativa di poterli comprare più tardi a prezzi meno  cari. Le imprese produttrici vedono le loro merci restare invendute;  poiché sono indebitate presso le banche, rischiano di non essere più in  grado di pagare gli interessi sui debiti. Si risolvono ad abbassare i  prezzi, per invogliare gli acquirenti, limando sui propri profitti: ma  ciò aggrava il ribasso e dunque la crisi deflazionistica. Viene il  momento in cui le aziende devono dichiararsi insolventi; falliscono,  licenziano. I disoccupati aumentano, il potere d'acquisto diminuisce,  ancor più merci restano invendute. Alla fine è l'intera produzione,  l'intera economia, che si paralizza.
La circolazione monetaria  declina, fino tendenzialmente all'arresto. Non si spende più. Chi ha  denaro lo accumula anziché investirlo, aggravando il male. Del resto, le  banche non trovano più imprenditori disposti a chiedere prestiti: una  delle conseguenze della deflazione è che, anche se il denaro è prestato  all' 1 %, allo 0,5 %, è ancora troppo caro. I tassi d'interesse reali  sono troppo costosi in deflazione, perché al tasso nominale va aggiunto  il peso della diminuzione dei prezzi. Se i prezzi sono calati del 6 %  (-6), anche un tasso nominale dell' 1 % risulta, per il debitore, del 7 %  reale.
Keynes, preoccupato dello stesso fenomeno che mobilitò  Gesell, la deflazione appunto, raccomandò l'abbassamento dei tassi. Ma,  come abbiamo visto, questa decisione non basta a riavviare l'economia,  perché i tassi reali sono sempre troppo cari. Per contrastare  l'inflazione è utile (fino a un certo punto) rialzare i tassi; ma per  combattere la deflazione bisognerebbe applicare tassi «negativi», il che  è impossibile: come si può convincere il risparmiatore a investire  (prestare) 100 euro con la condizione che, alla fine, ne otterrà 96?
Per  questo la deflazione è molto peggio che l'inflazione: è incurabile.  Nella storia, il solo modo escogitato per uscire dalle fasi di  deflazione è stato la guerra: grande consumatrice che si sostituisce ai  consumatori.
E' la moneta deperibile di Gesell la soluzione al  problema. Anziché «premiare» il capitale con la concessione di un  interesse a chi lo presta, il suo sistema «penalizza» chi detiene  capitale inoperoso, chi non lo spende. La lieve penalizzazione - il  bollo mensile per mantenere in corso le banconote - rende conveniente  spendere quei soldi.
Di fatto, Gesell inserì la sua idea  monetaria in una teoria economica utopica, socialista (alla Proudhon,  non alla Marx) che chiamò economia liberata (Freiwirschaft), e a cui  attribuiva doti palingenetiche di giustizia sociale e progresso umano.
Non  solo voleva liberare il credito dall'interesse, ma la terra dal costo  delle rendite e degli affìtti. Secondo lui, in un'organizzazione  «economica liberata» dai privilegi e dai lucri dei proprietari terrieri e  dei prestatori finanziari, i lavoratori avrebbero ricevuto finalmente  il frutto integrale del loro lavoro.
La concorrenza avrebbe avuto  garantite per tutti uguali condizioni iniziali, l'economia sarebbe  fiorita; ma senza confische forzose, né autarchia, né  collettivizzazione. Come?
Gesell analizzò l'interesse monetario,  l'aggio che il creditore riscuote dal debitore, e lo dichiarò costituito  da tre parti. La prima è la quota d'interesse, legittimo, che  retribuisce il rischio insito nel prestar denaro (il debitore potrebbe  fallire, fuggire, rubare). La seconda è la quota d'interesse che  compensa l'inflazione attesa, ed è anch'essa legittima: il prestatore ha  diritto a vedersi restituire almeno lo stesso potere d'acquisto dei  risparmi che (invece di spenderli per i propri piaceri) ha prestato a un  imprenditore. Ma la terza quota - Gesell la chiama «tributo» - è ciò  che il creditore riscuote per il vantaggio naturale di possedere denaro  anziché altri beni, e questa quota è illegittima.
Perché mentre gli  altri beni, le merci, deperiscono, invecchiano, si consumano e si  usurano, la moneta è l'unico bene che non deperisce, e la cui detenzione  non comporta costi.
Questo interesse è un «tributo» perché, come  prelievo occulto, pone un limite inferiore al tasso di profitto atteso  da un progetto produttivo, agricolo o industriale.
In altri  termini: ogni capitalista presterà il proprio capitale solo se il suo  tasso d'interesse, oltre a retribuire il rischio e compensare  l'inflazione, comprenderà anche il «tributo»; e ognuno comprerà e  investirà solo con l'aspettativa che il prezzo di vendita supererà il  prezzo d'acquisto accresciuto del «tributo». Altrimenti, il capitale  verrà tenuto da parte.
Il panettiere non può fare a meno di vendere  il suo pane; chi detiene la moneta può accumularla in attesa di tempi  migliori, perché la moneta non diventa rafferma, non caglia, non  marcisce, non si usura (tranne nell'inflazione: ma Gesell ha di mira la  deflazione).
Per questo - come Gesell ha capito meglio di Keynes -  non vale abbassare i tassi d'interesse, far costare meno il denaro, per  riavviare l'economia raggelata dalla deflazione. Perché se il tasso  d'interesse scende sotto il tasso del «tributo» (che Gesell calcolò tra i  3 e il 4 %), l'effetto disastroso è di favorire l'accumulo del denaro  fuori dai depositi bancari.
E' accaduto anche durante la recente  deflazione giapponese: poiché le banche non davano interessi sui  depositi, i giapponesi (grandi risparmiatori) hanno ritirato il loro  denaro dalla banca, si sono comprati una cassaforte a muro e l'hanno  riempita dei loro yen - misura prudenziale, oltretutto, contro  l'insolvenza delle banche. Così il denaro viene addirittura sottratto al  sistema economico. E' il fenomeno che Keynes battezzò come «liquidity  trap», la trappola della liquidità. Il denaro liquido, che dovrebbe  circolare, diventa ghiaccio. C'è, ma non scorre più.
Gesell perciò  propone di rendere la moneta deperibile come ogni altra merce. In tal  modo ne vuole scoraggiare l'accumulo inoperoso, o - in altre parole - ne  accelera la circolazione: la gente ha interesse a spenderla per evitare  di pagare il bollo mensile.
Gesell intendeva anche distruggere i  tassi d'interesse. Chi deposita la sua moneta in banca non riceve  interessi: in compenso, può ritirare, alla fine, la stessa somma che ha  depositato all'inizio. Essendo il compito di bollare le banconote del  loro detentore, in quel caso la spesa è a carico della banca; la quale  così è stimolata a fare prestiti, per liberarsi dalla costosa  incombenza.
Dopo la liquidazione dell'esperimento, gli economisti  universitari - servili agli interessi bancari - hanno fatto di tutto per  cancellarne anche la memoria. Ciò non impedì, come ricordò Keynes, che  centinaia di gruppi favorevoli alla moneta di Gesell si sviluppassero in  tutto il mondo.
«Negli anni del dopoguerra i suoi devoti (di Gesell)  mi hanno bombardato di copie dei suoi scritti... Dopo la sua morte nel  1930 lo speciale tipo di fervore che dottrine del genere sogliono  suscitare è stato deviato verso altri, e a mio parere meno eminenti,  profeti».
Quanto a Keynes, confessa lui stesso, «come altri  economisti accademici, ho trattato il suo studio profondamente originale  come fosse l'opera di un mattoide». (2)
Ma negli Stati Uniti della  «grande depressione», dove l'economia era paralizzata dalla  non-circolazione del denaro, la moneta deperibile convinse un economista  importante, Irving Fisher.
Nel 1933, Fisher scrisse un opuscolo  («Stamp Script») per spiegare come funzionavano le banconote bollate.  Giunse a proporre a Roosevelt (che allora era in gara per la presidenza)  un sistema temporaneo di moneta deperibile su scala americana; le  banconote di Fisher avrebbero dovuto essere bollate - per rendere più  veloce la loro circolazione - ogni settimana, con un bollo del 2% del  valore facciale. Un disegno di legge per introdurre la nuova moneta  bollata fu presentato al Congresso - dove fu, ovviamente, bocciato.
Ma  nel 1932-33 una quindicina di cittadine americane - la maggiore delle  quali fu Knoxville, nel Tennessee - introdussero monete deperibili su  base locale. In genere furono emissioni allo scoperto, all'americana: il  nuovo denaro non era coperto da un pari ammontare di dollari  depositati, ma creato dal nulla. La riserva, la copertura, sarebbe  dovuta venire dopo, grazie agli introiti della vendita settimanale dei  bolli del 2% da applicare sulle banconote.
In molti casi, il sistema  funzionò: nel giro di un anno l'ente di emissione (comunità locale)  aveva in cassa il 104 % del valore facciale delle banconote emesse.  Anche camere di commercio e gruppi di commercianti emisero moneta  deperibile; frodi nacquero qua e là.
In vari casi furono commessi  errori, a riprova di come fosse difficile per certuni comprendere il  metodo di Gesell: certe comunità, anziché imporre la bollatura delle  banconote ogni settimana, stabilirono che dovessero essere bollate al  momento dello scambio, quando passavano di mano.
Ciò produsse  l'effetto contrario al beneficio della rapida circolazione, perché i  detentori erano indotti ad accumulare le loro banconote e - invece -  ricorrere a forme di baratto senza uso del circolante, in modo da  evitare la piccola tassa del bollo.
In Francia, la città di Nizza  riuscì a sperimentare per quasi due anni una moneta deperibile; poi la  Banque de France soppresse l'esperimento. Ancora nel 1933 Eduard  Daladier, presidente del Consiglio, propose l'introduzione della moneta  di Gesell al congresso del suo partito: disgraziatamente era il Partito  Radicale, braccio politico della Massoneria e degli interessi bancari.
La  proposta fu respinta addirittura con indignazione.