Non ridete dopo aver letto questa notizia......c'è da piangere. A cosa si arriva è impensabile.
Tutto partì da uno scritto anonimo ed è finito per risolversi con l'auspicato happy ending grazie (anche) alle foto "di vecchia data" estrapolate da Google earth e street view.
Processo decisamente curioso quello celebrato quest'oggi al cospetto del giudice monocratico del Tribunale di Lecco Salvatore Catalano.
La sbarra - metaforicamente ovviamente - due colichesi, padre e figlio ovvero Luciano e Mauro Sgheiz, ex olimpionico del canottaggio il primo
e attuale consigliere comunale d'opposizione il secondo, chiamati a rispondere, in concorso tra loro, del furto aggravato... di sassi dal torrente Inganna.
Ebbene sì, anche prelevare sedimenti dal greto di un fiume senza la necessaria autorizzazione configura un reato.
Ed i due imputati - entrambi assistiti dall'avvocato Stefano Pelizzari - stando al quadro accusatorio lo avrebbero fatto ben oltre - in quanto a lasso temporale e a quantitativo -
rispetto al permesso effettivamente ricevuto per compiere tale attività dall'Aipo su richiesta inoltrata all'Agenzia preposta dal "Pirellino" di Lecco, Ente a cui gli Sgheiz si erano rivolti.
A raccontare "l'antefatto" della vicenda e come si è arrivati poi alle accuse mosse nei confronti dell'anziano e del figliolo con la passione per la politica
è stato il maresciallo capo della Stazione Carabinieri di Colico Giuseppe Caciccia, primo teste escusso nella mattinata odierna nel corso della quale
l'intera istruttoria è stata portata a termine arrivando poi alla sentenza.
La divisa, rispondendo alle domande poste dal viceprocuratore onorario Mattia Mascaro, ha esordito dicendo di aver ricevuto una lettera anonima corredata da alcuni scatti.
Sintetico il quesito posto tramite il foglietto privo di firma: "è lecito rubare sassi dal fiume e metterli su un terreno privato?".
Uno "spunto" che ha fatto poi partire le verifiche degli uomini dell'Arma, compiute accertando la presenza di due comuli di massi
in un terreno di proprietà dell'imputato "senior" ed escutendo poi a sommarie informazioni altri colichesi, oggi sfilati dinnanzi al giudice per "ridimensionare"
le dichiarazioni sottoscritte in caserma, elemento che ha spinto il Vpo a chiedere al giudice - durante la propria requisitoria - di valutare
l'eventuale trasmissione in Procura degli atti per un giudizio sulla genuinità delle loro deposizioni.
"Sono emerse presunte responsabilità delle persone di cui ci stiamo occupando" ha sintetizzato il maresciallo
procedendo nella propria esposizione e introducendo così la questione della concessione: gli Sgheiz, stando agli atti,
erano stati infatti autorizzati a prelevare manualmente sedimenti dall'Inganna per un volume complessivo di quaranta metri cubi e dal 10 al 31 ottobre 2009.
Eppure la "denuncia" era ben successiva e sull'appezzamento ispezionato dai carabinieri erano presenti due "mucchi"
di pietre per complessivi 70 metri cubi, calcolati "a spanne" dai militari stessi come ammesso dal Comandante.
E sempre l'operante, incalzato dall'avvocato Pelizzari, si è poi visto costretto ad ammettere di non aver effettuato accertamenti per appurare l'origine dei massi.
Dettaglio questo decisivo. La difesa ha infatti portato in Aula ulteriori due colichesi pronti a testimoniare di aver autorizzato i due imputati
a "portar via" dai rispettivi fondi del materiale "saltato fuori" durante degli interventi di livellamento del terreno.
Un terzo soggetto - estraneo al "circuito" del donatore-ricevente - ha poi confermato tale circostanza asserendo di aver assistito ad un "carico".
A portare acqua - in tutti i sensi - al mulino del penalista lecchese, poi anche la relazione redatta dal dr. Claudio Depoli, geologo libero professionista,
che ha attestato come l'Inganna sia un terrente caratterizzato da "un continuo trasporto di materiale" tanto da richiedere
continui interventi di rimozione dei detriti per ragioni di "equilibrio" evitando così pericolose esondazioni.
Tutto ciò per arrivare a dichiarare che Mauro e Luciano Sgheiz anche qualora avessero prelavato più rocce di quanto permesso loro dall'Aipo
non avrebbero comunque arrecato "danni" al fiume. Tutt'altro.
A chiarire ulteriormente l'intero quadro è "intervenuto" - sottoponendosi ad esame - lo stesso imputato "junior",
raccontando di aver accatastato tutte quelle pietre (con le quali la sua famiglia pensava di realizzare una nuova costruzione e di sistemare, in futuro, una casa già di proprietà)
in un lungo arco temporale, dimostrando ciò mostrando delle foto aeree tratte da Google, attestanti la presenza di una "pila" già nel 2008.
4 mesi e un'ammenda da 100 euro la richiesta di condanna avanzata dalla pubblica accusa.
L'assoluzione - chiaramente - la conclusione suggerita dall'avvocato Pelizzari.
E per tale seconda "strada" ha optato anche il giudice, "perché non è stata raggiunta prova sufficiente", riservandosi 30 giorni per la motivazione della sentenza.