LASSU' (3 lettori)

Val

Torniamo alla LIRA
Fantastica questa presa di posizione. Rispecchia il bidet.



La conferenza (per la verità virtuale) di Jackson Hole ha dato origine a quello che gli americani chiamano un “Nothingburger”, un nulla.


Il più grande risultato del discorso di Powell è ciò che già sapevamo dai verbali del FOMC, vale a dire che

al recente incontro di luglio del FOMC, ero dell’opinione, come la maggior parte dei partecipanti,
che se l’economia si evolverà come ampiamente come previsto, potrebbe essere opportuno iniziare a ridurre il ritmo degli acquisti di asset quest’anno
“.

Powell osserva inoltre che

i tempi e il ritmo della prossima riduzione degli acquisti di attività non saranno destinati a portare un segnale diretto
per quanto riguarda i tempi del decollo dei tassi di interesse, per i quali abbiamo articolato un test diverso e sostanzialmente più rigoroso
“.


Cioè forse, ma forse, ridurremo gli acquisti, ma questo non vuol dire che aumenteremo i tassi d’interesse.

In altre parole, lo slogan familiare e banale del 2013: “tapering is not tightening” “il tapering non è stretta monetaria”




La cosa più importante per i mercati è che le osservazioni di Powell non sono riuscite a fornire una tempistica specifica,
il che può essere considerato particolarmente accomodante.

Quindi questo è stato un “Non evento”, un “Nothingburger”.


Alcuni altri punti salienti del suo discorso tramite Bloomberg:


  • Progressi sui lavori da luglio FOMC ma Delta si è diffuso
  • Non si può dare per scontato che l’inflazione transitoria svanirà
  • Se la situazione sull’occupazione migliora, l’inflazione torna all’obiettivo
  • Inflazione attuale Una preoccupazione ma probabilmente temporanea
  • C’è ancora molto spazio prim di arrivare alle piena occupazione l
  • Una mossa di politica monetaria inopportuna potrebbe essere particolarmente dannosa (cioè meglio non fare nulla)
  • Delta pone rischi a breve termine, ma le prospettive di lavoro sono buone
  • Le aspettative d’inflazione a lungo termine coerenti con l’obiettivo del 2%

Altri punti salienti, sulla politica…



  • I dati in arrivo dovrebbero fornire ulteriori prove del miglioramento di alcuni squilibri tra domanda e offerta
  • e ulteriori prove di una continua moderazione dell’inflazione, in particolare dei prezzi di beni e servizi che sono stati maggiormente colpiti dalla pandemia.

  • L’attenzione ai dati in arrivo e ai rischi in evoluzione offre una guida utile per le sfide uniche di politica monetaria di oggi.

  • “Al recente incontro di luglio del FOMC, ero dell’opinione, come la maggior parte dei partecipanti,
  • che se l’economia si fosse evoluta ampiamente come previsto, sarebbe stato opportuno iniziare a ridurre il ritmo degli acquisti di attività quest’anno”.

  • Il mese successivo ha portato ulteriori progressi sotto forma di un forte rapporto sull’occupazione per luglio, ma anche l’ulteriore diffusione della variante Delta

  • La prospettiva di base è per il progresso continuo verso la massima occupazione,
  • con l’inflazione che torna a livelli coerenti con il nostro obiettivo di un’inflazione media del 2% nel tempo.

  • La variante Delta presenta un rischio a breve termine, le prospettive sono buone per continui progressi verso la massima occupazione.

Inflazione
  • Rispondere alle fluttuazioni temporanee dell’inflazione può fare più male che bene,
  • in particolare in un’epoca in cui i tassi ufficiali sono molto più vicini al limite inferiore effettivo anche in periodi favorevoli

  • Se l’inflazione sostenuta dovesse diventare una seria preoccupazione,
  • la Fed risponderebbe sicuramente e utilizzerebbe strumenti per assicurare che l’inflazione sia coerente con l’obiettivo

Occupazione
  • C’è ancora molto da fare per raggiungere la massima occupazione.

  • Tuttavia, nonostante Powell abbia ribadito i suoi commenti sul verbale del FOMC,
  • il discorso risulta particolarmente accomodante, con Powell che afferma che sarebbe sbagliato rispondere alle fluttuazioni temporanee dell’inflazione.
  • “In effetti, rispondere può fare più male che bene, in particolare in un’era in cui i tassi ufficiali sono molto più vicini al limite inferiore effettivo anche nei periodi favorevoli”.


  • Come osserva Bloomberg, più si legge il testo completo del discorso, più risulta accomodante.

Insomma, tutto come previsto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sono stati diversi gli studi che hanno mostrato la maggiore protezione derivante dall’immunità naturale

rispetto a quella indotta dalla malattia, soprattutto contro le nuove varianti come la delta,

ma quest’ultimo studio israeliano è, in materia, piuttosto definitivo.



Ecco la presentazione e gli autori:


studio-israeliano-3.png



Quali sono le conclusioni dello studio, che potete leggere nella sua interezza a questo link



I vaccinati contro la SARS-CoV-2 avevano un rischio aumentato di 13,06 volte

per infezione da rottura con la variante Delta rispetto a quelli infettati,

quando il primo evento (infezione o vaccinazione) si è verificato nel mese di Gennaio e Febbraio del 2021.

L’aumento del rischio era significativo (P<0,001) per i sintomatici anche la malattia.


Quando si consente l’insorgenza dell’infezione in qualsiasi momento prima della vaccinazione (da marzo 2020 a febbraio 2021),

è dimostrato il fatto della diminuzione dell’immunità naturale, sebbene i vaccinati alla SARS-CoV-2

avessero un tasso di 5,96 volte aumento del rischio d’infezione da rottura

e 7,13 volte aumento del rischio di malattia sintomatica.

Anche i vaccinati alla SARS CoV-2 erano a rischio maggiore di ricoveri correlati a COVID-19 rispetto a quelli che erano precedentemente infettato.


Conclusioni:

Questo studio ha dimostrato che l’immunità naturale conferisce maggiore durata e forza protezione contro l’infezione,

la malattia sintomatica e l’ospedalizzazione causata dal Variante delta di SARS-CoV-2, rispetto al vaccino a due dosi BNT162b2 indotto immunità
.



Individui che erano stati precedentemente infettati da SARS-CoV-2

e somministrata una singola dose del vaccino

hanno ottenuto una protezione aggiuntiva contro la variante Delta.




Riassumiamo le conclusioni:


  • gli immuni per guarigione da malattia hanno una copertura vaccinale 13 volte più forte rispetto ai vaccinati a febbraio;
  • gli immuni per guarigione hanno 5,6 volte più copertura rispetto ai vaccinati recenti;
  • la vaccinazione cala rapidamente la propria efficacia contro le varianti del covid-19.

Qual è quindi la miglior politica contro la diffusione del covid-19?

La vaccinazione assoluta per tutti

o un mix di terapie in grado di ridurre gli effetti dell’infezione lasciando persone vive, in buona salute e naturalmente immuni?


 

Val

Torniamo alla LIRA
La sinistra, rimasta a corto di idee per il bene del Paese,
rispolvera un evergreen dal suo vasto armamentario demagogico:
la mobilitazione contro il pericolo fascista.

Stavolta a farne le spese è il sottosegretario leghista all’Economia del Governo Draghi, Claudio Durigon,
colpevole di aver proposto di re-intitolare il parco pubblico della città di Latina,
oggi dedicato ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ad Arnaldo Mussolini, fratello minore del Duce.

La combriccola male assortita di Partito Democratico, Cinque Stelle e Liberi e Uguali
ha chiesto (e ottenuto) le dimissioni dall’incarico ministeriale del politico tacciato di simpatie fasciste.


Bersaglio grosso centrato:

mettere in difficoltà Matteo Salvini che negli ultimi tempi sembra aver perso il tocco magico
che ne aveva caratterizzato la fase dell’ascesa sulla scena politica nazionale.

L’assalto a Durigon è stato una trappola e il leader leghista c’è cascato con tutte le scarpe.

Dopo un timido tentativo di rispondere all’attacco rilanciando sulle dimissioni della ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese
ipotesi lunare fin quando al Quirinale stazionerà l’attuale inquilino
Salvini ha ceduto al pressing interno al partito dell’ala draghiano-nordista
per indurre il “reo” a fare abiura e lasciare “spintaneamente” lo scranno ministeriale.


Ma cosa avrebbe fatto Durigon di tanto orribile da meritare un simile trattamento?

È la sera del 4 agosto.
In un clima notturno reso rovente dall’anticiclone africano, nel piazzale Loffredo di Capo Portiere a Lido di Latina
si tiene un comizio organizzato dalla locale sezione della Lega nell’ambito delle iniziative per la raccolta firme per i sei quesiti referendari sulla giustizia.
Ospite d’onore il segretario federale Matteo Salvini che lì conclude il mini-tour referendario in provincia di Latina,
cominciato poche ore prima in piazza XIX Marzo a Cisterna, nel cuore dell’agro pontino.

Sul palco non si scorgono temibili camicie nere ma solo bianche “Emporio Armani” sbottonate altezza diaframma.

A prendere la parola per presentare l’ospite è il ras leghista del luogo, Claudio Durigon,
un ragazzone cinquantenne antitesi antropologica del “pariolino” figlio di papà,
con un fisico da contadino veneto ma con inflessione e linguaggio da “burino” della provincia laziale.

Durigon discende da coloni del Nord portati da Mussolini nell’agro pontino, dopo la grande bonifica degli anni Trenta,
per compiere quel miracolo agricolo che ancora oggi è la campagna del basso litorale laziale.

I suoi natali non li si rintraccia nelle epiche gesta dannunziane dell’impresa fiumana
e neppure nelle adunate “sansepolcriste” impreziosite dalle iperboli futuriste di un Filippo Tommaso Marinetti
ma nelle ruvide pagine di memoria di Canale Mussolini, la fatica letteraria di Antonio Pennacchi.


Claudio nasce nel 1971 a Latina,
per cui non avrebbe potuto esserci in quel dicembre del 1932 quando fu inaugurata la “fascistissimaLittoria
– denominazione cambiata in Latina dopo la fine della Guerra – ma i suoi nonni sicuramente ci saranno stati
proprio come i Peruzzi, la famiglia protagonista della saga di Pennacchi.

Durigon di quelle origini rurali è fiero, tanto da ricordarlo a Salvini nella presentazione al comizio.

È dunque l’orgogliosa rivendicazione di una storia familiare e comunitaria la chiave per comprendere la proposta,
all’apparenza inopportuna, lanciata dal parlamentare leghista:

tornare a intitolare il parco cittadino di Latina, attualmente dedicato ai due magistrati uccisi dalla mafia, ad Arnaldo Mussolini.


La sinistra, maestra di manipolazione,
l’ha raccontata come se un redivivo gerarca di provincia, agghindato in orbace,
volesse sovvertire l’ordine costituzionale riabilitando con un’intitolazione la storia del fascismo.

È falso.

L’abusata memoria di Falcone e Borsellino è stata associata al giardinetto comunale soltanto nel 2017,
quando il sindaco di Latina, Damiano Coletta, ha cancellato la decisione di un suo predecessore, Ajmone Finestra,
che nel 1996 con l’apposizione di una targa commemorativa intese ribadire la dedica dello spazio verde ad Arnaldo Mussolini, che sopravviveva dal 1934.

Finestra, negli anni Novanta, amatissimo sindaco dai cittadini del capoluogo laziale,
volle mantenerne l’intestazione originaria perché Arnaldo Mussolini, morto nel 1931,
fu ispiratore di molte leggi agrarie e di leggi istitutive dei parchi nazionali.


Il cambio di nome imposto dall’Amministrazione di sinistra nel 2017 è stato invece un atto in stile “Cancel culture”,

un assurdo processo di rimozione della memoria che non aiuta le persone a sentirsi più democratiche,

in compenso tende a recidere il senso identitario di appartenenza alle comunità territoriali.


Durigon con la sua richiesta non ha puntato a un ritorno del fascismo ma a una ricucitura della storia,
con le sue luci e le sue ombre, i suoi abissi e le sue altezze.

Guai se cominciassimo a negare ciò che del nostro passato non ci piace e a distruggere ciò che lo ricorda:
saremmo come i talebani che, in preda a un malato furore ideologico-religioso, fanno saltare con la dinamite le reliquie dell’antichità.



Non ci stiamo a questo gioco al massacro.

Immaginate se, con lo stesso criterio, dovessimo rimettere in discussione gli eventi storici che hanno condotto all’unità d’Italia.

Chi oggi dubiterebbe dell’unità della nazione?

Eppure, quell’unità è stata portata sulla punta delle baionette piemontesi.

Nel Mezzogiorno le bancarelle di libri vendono pamphlet che narrano di orrori compiuti
dall’esercito sabaudo in danno delle popolazioni del Sud conquistato.

Che si fa?

Buttiamo giù le statue di Giuseppe Garibaldi e dei Savoia?

Mettiamo all’indice le opere letterarie dei politici e degli intellettuali del Risorgimento?


Hanno ragione Giuseppe Basini e Cinzia Bonfrisco che, in un articolo scritto a quattro mani per L’Opinione sul caso Durigon,

denunciano il tentativo di questa sinistra pseudo-democratica

di riabilitare il comunismo attraverso la via obliqua di una anacronistica unità antifascista.



E poi, con tutto il rispetto per la sacra memoria dei due magistrati eroi,
non è pensabile che la storia d’Italia si riduca, nella toponomastica, a un unicum Falcone-Borsellino.

Ci sono stati quasi tremila anni di costruzione di una civiltà che è stata faro per l’umanità
che non meritano di essere cancellati con provocatori colpi di spugna.


Ci provò, qualche anno fa, la signora Laura “genuflessa” Boldrini
a chiedere che il nome e il volto di Mussolini venissero cancellati da tutte le raffigurazioni pubbliche e dalle installazioni artistiche presenti in Italia.

In quella circostanza, la “compagna” Boldrini rimediò una sonora spernacchiata coram populo.

Attualmente le cose sono cambiate: le correnti negazioniste della tradizione, nate negli Stati Uniti,

hanno varcato l’Oceano e sono approdate in Europa.



A Durigon non si sarebbe dovuto chiedere di fare il passo indietro preteso strumentalmente dalla sinistra.


Non è solo questione del personale destino politico del “Fra Tuck” della pontina.

In gioco ci sono i valori storici e ideali sui quali non senza difficoltà un visionario Salvini della prima ora
è riuscito a fare breccia nella storica diffidenza di buona parte degli elettori del Sud nei confronti delle istanze leghiste.

Il successo elettorale della Lega è stato reso possibile da quel cambio di prospettiva valoriale
che oggi il siluramento di Durigon rischia di mettere in seria discussione.

È inutile girarci intorno: Matteo Salvini, scaricando Durigon, ha commesso un errore politico colossale.

Passi l’ossessione giorgettiana di restare aggrappati alla giacchetta di Mario Draghi a qualsiasi costo;

passi qualche ammiccamento di troppo del segretario leghista agli atavici egoismi regionalistici
di cui si è nutrita la Lega di Umberto Bossi al tempo del “celodurismo” padano,

ma cedere sui valori asseverati a patrimonio condiviso dai vecchi e nuovi aderenti al progetto leghista nella versione del sovranismo,
rischia di condannare l’originalità dell’esperimento salviniano alla medesima cattiva sorte toccata ai Cinque Stelle:

diventare il nulla nella considerazione dell’opinione pubblica.



Riguardo alla sinistra, individuato il punto debole del leader leghista non si fermerà a questo primo risultato raggiunto a proprio vantaggio.

Dopo Durigon metterà nel mirino qualche altro leghista che naviga controcorrente.


E Salvini che farà? Continuerà a cedere pur di restare legato alla greppia di Mario Draghi?


Attento, Matteo. A furia di offrire la testa al boia, prima o dopo si finisce decollati.
 

Val

Torniamo alla LIRA
The reading of “A Strategic Plan to Improve the Political Position of the Islamic State of Iraq
(Khoutah Istratigya li Ta’aziz al-Moqif al-Siyasi al-Dawlat al-Islamyiah fi al-Iraq)
would give the attentive reader a hint of the approach the Islamic State of Iraq and the Levant – Khorasan Province (IS-K)
is taking in exerting its influence in the central Asian region.

The document published in 2010 condemns the armed opposition of the Sunni Awakening Councils in 2007,
with American help, which was overwhelming and devastating for the group.

The contents of Khoutah Istragiya are worth a consideration as they outlined a strategic plan
to “improve the position of Islamic state; therefore, it will be more powerful politically and militarily…”

The Islamic State announced its expansion to the Khorasan region in 2015,
which historically encompasses parts of modern-day Iran, Central Asia, Afghanistan, and Pakistan.

IS-K first started to consolidate territory in the southern districts of Nangarhar province,
which sits on Afghanistan’s northeast border with Pakistan and is the site of al-Qaida’s former stronghold in the Tora Bora area.

The recent terrorist attacks in Kabul are the expression al-shawkat (power, intensity)
and al-taghloub (overcoming), official core tenets of the terrorist formation matching power with legitimacy to rule
.

We could elaborate on the timing recalling again the document, citing Arabic poetry
“When will a building be completed when what one builds is being destroyed by another,”
highlighting “This great wisdom is one of the most important policies that should be applied in the jihadi work, especially in this critical period.”

In this respect, the Western troops withdrawal from Afghanistan had many analogies with the Iraqi experience.

IS-K seems intending to replicate the experiences envisaged in its 2009 document.

Therefore, it will focus on targeting the future government structures, military bases,
individuals who cooperate with the government, as well as government or foreign business interests.
(Kremlin spokesman Dmitry Peskov said on friday that Russia’s intelligence is working to prevent any spill over into neighbouring regions).

In the short term, IS-K will likely continue its efforts to sow panic and chaos,
disrupt the withdrawal process and demonstrate that the Afghan Taliban are incapable of providing security to the population.

In the meantime it will find the financial resources to assert a more aggressive posture.

It is a fact that, extending the line of communication both eastward towards Central Asia and Westward into the Sahel will pose obvious logistic challenges.

Thus, the group will need to remain part of a global network of financiers and facilitators to fund activities and operations
to compensate the loss of territorial control and the access to highly lucrative oil fields as well as populations and commercial enterprises it could tax and extort.

In this respect, US Central Command has also stated in 2020 that the Global Coalition has targeted around 30 Daesh banks and financial centres,
destroying tens of millions of dollars of Daesh’s liquid assets.

Now that IS has reoriented itself as an insurgent movement, there is a different financial profile of basic revenues.
The group, will have to rely more on formal international financial systems channelling money raised through criminal activities
(kidnapping-for-ransom, taxing human trafficking and smuggling oil) into legitimate businesses,
from real estate and car dealing to fish farming and currency exchanges, and external donations.

Mafia-style activities including extortion and robbery will allow Is to raise enough money to continue
a low-level insurgency for the foreseeable future as long as they subjugate tribes where they still are present.

Further, IS has increased its propaganda machine increasing its relevance in the Cyberspace.

Namely, it has managed to acquire wealth from the Web and the Deep Web and has eventually moved to the Dark web in 2015
when hundreds of IS websites were taken down after November 2015 attacks in Paris.

In this respect, the recent seizure of Terrorist organizations’ cryptocurrency accounts provides evidence
that IS is tapping in Cyber-Enabled Campaigns to finance its organization, as other terror organizations such as the Izz ad-Din al-Qassam Brigades,
the armed wing of Hamas, already developed a sophisticated campaign to raise funds using Bitcoin,.

In the same vein, IS take full advantage from cryptocurrencies for several operative activities
like the transferral of money from banks to operative areas or for the depositing of illegal cash money that can be used when necessary.

The activities in which cryptocurrencies turn out to be most useful are certainly fundraising and targeted crowdfunding,
needed in order to gain funds, donations, to finance the purchase of weapons, munitions, dynamite,
campaigning and to pay services necessary to maintain the operative network of terrorists.
Cybercrime can also be a relevant method of financing the organization.

The blatant defiance of Junaid Hussain, a key figure in a group of Islamist computer hackers who call themselves
the Cyber Caliphate who was killed on 25 August 2015 in a drone strike, is a case in point.

ISIS and al Qaeda use terrorism as a tactic, but these organizations are insurgencies that aim first
to overthrow all existing governments in the Muslim world and replace them with their own, and later,
to attack the West from a position of power to spread their ideology to all of humanity.
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All al Qaeda groups and ISIS affiliates seek to take the war into those parts of the world
that have not yet been conquered by the House of Islam (Dar al-Harb, the “house of war”)
to fulfil their grand strategic objective of establishing a global caliphate.

It is highly symbolic that the main contested region between these two ideologies is Khorasan,
where the Seljuk Empire was born when the nomads of the Ghuzz moved down into Khorasan and defeated in battle the Ghaznavids.

In this framework, we should not forget that the Seljuk Turks defeated the Byzantine army in 1071 Manzikert Battle and planted the seeds of the Ottoman Empire.

Further, at the Council of Clermont in 1095, Pope Urban II preached a Crusade
to be undertaken in order to capture Jerusalem and, in the process, assist the Byzantine Empire
which could no longer guard Christendom in the East from Islamic aggression.

All in all, binary frameworks are pitting secular and sacral interpretations of world politics in a zero-sum relationship and is bringing us back to our medieval heritage.

In sociological perspective and engaging in the standing debate over the primacy of structure or agency in shaping human behaviour,
structure, which represent the recurrent patterned arrangements which influence or limit the choices and opportunities available,
would run contrary to our expectations limiting our collective and individual autonomy.

In reality, we have experienced history as not being patterned or having directionality.

Instead, it operates through the creative transposition of existing cultural categories to the new factual situations.
 

Val

Torniamo alla LIRA
In Libia il voto di dicembre potrebbe essere a rischio.

Mentre il mondo intero segue con apprensione ciò che accade in Afghanistan per le evidenti ripercussioni,
a pochi chilometri dalle coste italiane l’instabilità regna sovrana.

Il nuovo governo di presunta unità nazionale guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh,
frutto dell’ennesima mediazione Onu, ha inglobato un po’ tutte le anime.

Uomini di Haftar, fedeli di Sarraj (il premier imposto dall’Onu e predecessore di Dbeibeh),
esponenti dei Fratelli Musulmani, qualche ex gheddafiano, simpatizzanti della Turchia e così via.


Un calderone che è servito a distribuire cariche a destra e a manca
nel tentativo di tenere unito il Paese e condurlo al voto del 25 dicembre.

A capo di questa coalizione l’uomo ormai noto nell’ambiente come “l’imprenditore con la pancia piena”,
che pure avrebbe buone idee per il futuro della Libia.

Ma il voto è un’incognita per tutti e alcuni componenti di questo governo,
che nel frattempo forti della carica di sottosegretari a “qualcosa”
girano per Tripoli alla guida di lussuose e potenti automobili simbolo del potere tanto desiderato,
iniziano a storcere il naso davanti alla prospettiva elettorale.

Consci, probabilmente, che il risultato delle urne non sarebbe loro favorevole.


E in questo caos arriva anche lui, Saif Gheddafi, che spariglia le carte di tutti.



Il figlio dell’ex Rais, come da anni ripetiamo in solitudine da queste pagine,
potrebbe essere la sorpresa (solo per gli analisti e i commentatori più distratti però), del voto in Libia.

Saif è sceso in campo e tra i libici gira una voce (inquietante solo per i sinistri di casa nostra et similia):

“Se Saif si candida vince le elezioni a mani basse”.

Nonostante le accuse di genocidio, il popolo libico guarda con favore all’erede di Gheddafi.

E l’uomo in questione pare ne sia consapevole.

In un’intervista piuttosto controversa rilasciata al New York Times
(Saif pare non sia rimasto affatto contento del risultato e forse a breve potrebbe rispondere, magari attraverso i media russi),
il figlio prediletto di Gheddafi ha lanciato un messaggio molto chiaro:

quelli che fino a ieri sono stati i miei carcerieri oggi sono dalla mia parte.

E, secondo fonti locali, l’affermazione di Saif corrisponderebbe a verità.

Nel dialogo avuto con il giornalista del famoso quotidiano americano,
Saif ha accusato i politici libici definendoli “violentatori del paese”
e responsabili delle condizioni di disagio sociale e economico della nazione:


“Non ci sono soldi, non c’è sicurezza, non c’è vita, non c’è benzina.
Mentre noi esportiamo petrolio e gas in Italia: diamo la luce a metà dell’Italia ma noi abbiamo blackout continui. È più di un fallimento, è un disastro totale”.


Al momento, Saif disporrebbe di un paio di tv locali che lo supportano nella propaganda.

Attraverso i media invita la popolazione a registrarsi per il voto di dicembre e la quota degli iscritti avrebbe già superato i 3 milioni.


Un colpo, forse, per alcune Cancellerie europee e Occidentali

che ancora immaginano di poter interferire e manipolare l’autodeterminazione di un popolo
.


L’Afghanistan e il ritorno dei Talebani sono la prova di quanto sia
effimera l’illusione di esportare la democrazia secondo i canoni occidentali in paesi totalmente diversi da noi.


E la Libia è tutto questo.


Le conseguenze della caduta di Gheddafi e della Primavera araba sono sotto gli occhi di tutti.


L’Europa, e l’Italia in particolare, stanno pagando il conto di decisioni scellerate
che hanno destabilizzato un quadrante delicato e fondamentale per gli equilibri del Mediterraneo.



Ma non solo.

L’operazione “esporta la tua democrazia, anche con la guerra”
che tanto è piaciuta alla sinistra italiana e europea, ha lasciato campo libero al terrorismo.


Oggi nel sud della Libia, secondo i numerosi report dell’intelligence italiana e europea,
sono stanziate cellule di Al Qaeda (Aqmi), Daesh (Iswap) e Boko Haram
che gestiscono quel traffico di esseri umani che l’Europa e l’Italia non riescono a bloccare.


La sensazione in alcuni ambienti, a questo punto, è che l’Occidente democratico

(sempre quello che ha trascorso gli ultimi 20 anni in Afghanistan),

dovrà ingoiare un altro boccone amaro: dopo i Talebani il ritorno di Gheddafi in Libia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
“Io leggo nei giornali quello che fanno i nostri grandi uomini.

Devono essere grandi uomini, perché hanno i posti più importanti.


Leggo quello che fanno e quello che dicono,

e ho un mucchio di amici, di quelli che si potrebbero chiamare bighelloni,

e non mi pare che ci sia tanta differenza tra di loro.


Ho sentito certuni fra codesti bighelloni venirsene fuori con della roba

che pareva anche meglio di quella che ci fa andar giù il ministro.


Oh accidenti!”
 

Val

Torniamo alla LIRA
Caro Gianluigi,

mi chiamo Andrea, ho ventuno anni, sono uno studente universitario, studio giurisprudenza.

Questa mattina ho ricevuto l’elisir di lunga vita, o vaccino, che dir si voglia.

Non ero convinto di farmi inoculare il vaccino perché, intanto, avendo avuto la malattia, circa nove mesi fa,
ho ancora degli anticorpi e perché credo che alcuni dei tuoi illustri colleghi ci abbiano mentito su efficacia, effetti e contenuti.


Mi riferisco a:

"dopo il vaccino bisogna portare la mascherina”,

”la seconda dose va fatta uguale”,

”la seconda dose è meglio farla diversa, però fino a una certa età”,

”il vaccino è sicuro, lo abbiamo controllato”

– poi dopo due giorni –

”no, ritiriamo il lotto che lo controlliamo di nuovo”, ecc ecc.



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Due sere fa ho deciso di prenotarmi per il vaccino,

dato che il giorno 10 settembre dovrò sostenere un esame all’università e indovina,

dal primo di settembre tutti gli esami si svolgeranno in presenza, con lasciapassare,

e sono previste deroghe solo per chi:

è in quarantena,

è all’estero o in una zona con particolari restrizioni

oppure è un soggetto fragile.

Io non rientro in nessuna di queste tre categorie, per fortuna,

ma faccio parte della categoria ”sprovvisti di green pass” (e anche della sottocategoria ”contrari al green pass”).



Io, cittadino italiano, incensurato, che faccio volontariato, che pago la retta dell’università nei tempi previsti,

tra pochi giorni, dovrò mostrare il lasciapassare per entrare nelle aule di un’università pubblica per sostenere un esame,

per esercitare il mio diritto allo studio.

Oggi mi sono sentito umiliato.




Mi sono sentito umiliato mentre aspettavo i famosi quindici minuti dopo la somministrazione del siero,

nella sala d’attesa dell’hub e guardavo il video, sul teleschermo, di una signora che ci mostrava come lavare le mani e come asciugarle.

Ed intanto scuotevo la testa.


Mi sono sentito umiliato perché l’estate scorsa ho passato più di un mese

a studiare diritto costituzionale con tutti i meravigliosi diritti e libertà fondamentali.


Mi sono sentito umiliato perché l’università non ha ancora preso in considerazione

la possibilità che qualcuno possa non avere O NON VOLERE il green pass.


Ho telefonato alla segreteria studenti per comunicare che forse il giorno 10 settembre
non sarei stato in possesso del lasciapassare e se potevo comunque sostenere l’esame.

E sai cosa mi ha chiesto la segretaria?

Perché non avessi ancora il green pass e mi ha consigliato di informarmi bene per farmelo rilasciare al più presto.

Ho scritto anche a un professore e non mi ha ancora risposto.


Ormai ci sembra tutto normale.


Sono sconsolato.

Ho amici giovani e meno giovani che non vedevano/vedono l’ora di scaricare il green pass per poter andare al ristorante.

E si sentono liberi, adesso.


Provo vergogna per aver accettato il ricatto di questo Governo,

talmente tanta, che non ho ancora detto ai miei genitori che ho fatto il vaccino

solo per poter fare l’esame e non perdere così la sessione.


Ma di sicuro non entrerò più in palestra né andrò al ristorante finché chiederanno il lasciapassare.



Con questa lettera volevo sfogarmi un po’ e ci sono riuscito
ma vorrei anche dirti che la battaglia che hai intrapreso è giusta, che noi siamo nel giusto.

Non mollare perché, davvero, l’opposizione in Parlamento è ridotta a te e a Sgarbi, forse la Meloni.

Vorrei dirti che apprezzo molto la tua coerenza in politica,
forse il Parlamento non fa per te ma se ci resti sarai una piccola speranza (con la s minuscola) per molte persone.

Continua la tua lotta, sappi che c’è anche gente che studia e che sa di cosa parla dalla tua parte.

Ti invito però a continuare a portare la mascherina,
a lavare le mani per almeno sessanta secondi
e a mantenere la distanza di sicurezza tra una macchina e l’altra
o si rischia di fare i tamponamenti (o erano i tamponi?).

Ti auguro una buona serata e tante soddisfazioni per la tua carriera politica.

Un abbraccio (ah! non si può)

Andrea
 

Val

Torniamo alla LIRA
Non è una teoria da complottasti e nemmeno da No Vax, qui a parlare sono semplicemente i dati.

In America esiste un database, VAERS, che raccoglie gli eventi avversi ai vaccini.

Nell’ultimo aggiornamento il numero dei morti segnalati post vaccinazione anti-Covid è arrivato a 13.068.




Il database VAERS contiene al momento 1,037 pagine ognuna delle quali riporta in dettaglio una decina di eventi avversi mortali,

con data, età e eventuali patologie della persona morta e data della vaccinazione.




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Sono, dunque, migliaia le persone che risultano essere morte a seguito della vaccinazione.

Non può non essere osservato un aspetto che mette in evidenza la redazione del blog di Nicola Porro:

“Questo dato è 65 volte più alto di quello registrato per tutti gli altri vaccini messi assieme”.

Infatti, mentre “la media annuale delle segnalazioni è di meno di 200 decessi.
Qui dopo circa 7 mesi i morti segnalati sono (13 mila diviso 200) 65 volte di più, se l’aritmetica non è una opinione”.


Sempre secondo la redazione del blog, inoltre,
partendo dai dati rilevati negli Usa sarebbe possibile calcolare la proporzione che dovrebbe essere segnalata in Italia.

“Facciamo la proporzione di quanti sono vaccinati in Usa e Italia (5 volte di più): 13 mila diviso 5 = 2.200 (circa).
Insomma, in base all’incidenza dei decessi post vaccino rilevata dalle autorità sanitarie Usa,
in Italia dovremmo avere 2.200 morti connessi alla vaccinazione allo stesso modo.

AIFA invece ne riporta meno di 500″.




Cosa ne pensate? Noi una idea ce la siamo fatta e non ci piace per niente, i dati parlano.
 

Val

Torniamo alla LIRA
In un clima di crescente oppressione,

dove parlare male dei vaccini è ormai diventato intollerabile alle orecchie di politici e virologi

e dove ogni scusa è buona per imporre agli italiani la somministrazione,

ecco arrivare l’ennesima conferma di una dittatura sanitaria sempre più forte:

a Roma i dipendenti delle mense scolastiche dovranno avere il Green pass per continuare a svolgere il proprio lavoro,

servendo i circa 150 mila pasti che ogni giorno vengono distribuiti nella capitale.



Una decisione che interesserà complessivamente circa 2.500 persone,
nella città con il più grande appalto di ristorazione collettiva in Italia.

Ai dipendenti spetterà così il triste record di essere i primi lavoratori privati a dover sottostare all’obbligo del Green pass,
un altro passo avanti verso la totale privazione di libertà dei cittadini italiani.

Le ditte interessate dal provvedimento, nel frattempo, sono già insorte.


“Non possiamo chiedere ai nostri dipendenti se sono vaccinati, né imporre il pass, né sospendere chi ne è privo”
ha spiegato il responsabile mense Legacoop Andrea Laguardia, aggiungendo che a queste condizioni
c’è il rischio di non poter garantire il servizio causa mancanza di personale.

Il Comune di Roma è stato il primo a muoversi in questa direzione
con una circolare del 22 agosto nel quale si precisa che le società che gestiscono in appalto il servizio mense
sono tenute “l’obbligo di accertamento del possesso del Green pass”.


Una decisione che oltre a sollevare forti polemiche andrà anche a scontrarsi, inevitabilmente, con il Garante della Privacy.

E che lascia il dubbio che si sia voluto scaricare sulle singole aziende il problema,
senza che sia stato il governo a intervenire con una vera e propria norma.


L’esecutivo Draghi, d’altronde, ci ha già fatto capire come lavora:


ricatti, vie traverse, obblighi mascherati.


Nel mirino, sempre e comunque, gli italiani.
 

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