GIANFRANCO MIGLIO NON AVREBBE PAGATO L’IMU
di GIUSEPPE MOTTA
La reintroduzione dell’ICI (ridenominata IMU) sulla prima casa, prospettata dall’attuale governo di tecnici (della confisca, del racket e della rapina, nobilitata da svariati e multiformi abbellimenti), riporta su un piano di grande attualità il coraggioso, sintetico scritto e uno dei più interessanti del suo ultimo decennio di vita, che Gianfranco Miglio dedicò alla legittimità della disobbedienza civile, nel 1993 (Miglio G. / Thoreau H. D., La disobbedienza civile, Mondadori 1993).
In quello scritto Miglio aveva smascherato impietosamente, da autentico scienziato della politica, la realtà della tassazione, ormai coincidente con lo stesso possesso ed esercizio del potere, nelle democrazie stataliste moderne.
«L’investitura politica – scriveva – con il passare del tempo è diventata soprattutto e primariamente “mandato a tassare”: cioè licenza che i cittadini (inconsapevoli) accordano ai governanti di manipolare i loro redditi e dunque una ricchezza privata la quale, se accumulata nel rispetto della legge, dovrebbe essere invece intangibile. È evidente, infatti, che su quanto una persona guadagna – vivendo in mezzo ai suoi concittadini, scambiando le sue prestazioni con loro e osservando le regole giuridiche del mercato – né i concittadini stessi né i detentori del potere possono vantare alcuna pretesa, fondata sul diritto naturale».
Ma il problema nasce dal fatto che «I detentori del potere hanno sempre più considerato gli averi dei sudditi come pienamente disponibili, collocando i prelievi di ricchezza di gran lunga in prima fila fra gli atti di governo. […]. La progressiva trasformazione in senso assolutistico della sovranità (e la crescente arroganza di chi la detiene) hanno condotto a pensare l’autorità politica come depositaria della “sapienza economica” e arbitra esclusiva della fortuna dei cittadini, ridotti con le loro risorse e i loro beni, alla completa mercé di chi quell’autorità impersona».
Miglio proseguiva contestando la legittimità di imposte sulla casa abitata (senza distinguere fra la prima o la seconda), in un periodo in cui, di fronte alle incredibili ruberie (responsabili di un’inaudita sottrazione di risorse ai danni dei cittadini), gigantesco iceberg solo parzialmente emerso dalle inchieste dei giudici di Milano, una classe politica corrotta aveva avuto l’ardire di imporre l’odiosa ISI (Imposta Straordinaria sugli Immobili).
L’imposta sulla casa è figlia di un’ideologia collettivista, che nega la proprietà privata per creare sudditi obbedienti, ricompensabili per la loro fedeltà politica, dipendenti da una concessione dall’alto di diritti dei quali i detentori del potere non possono affatto disporre.
È un’imposta che mira a precarizzare la sicurezza degli individui, a generare insicurezza nella vita sociale. È l’espressione di dominatori che considerano chi si costruisce con le sue ricchezze una casa, automaticamente un titolare di presunte risorse illegittime, comunque da perseguire.
Miglio affermava che sugli immobili abitati dai proprietari il fisco non può pretendere nulla: perché essi costituiscono un’estensione fisica e un completamento necessario della persona che li possiede e li usa. «Sarebbe come sottoporre a imposta la salute o la bellezza di un cittadino.
È oggettivamente contrario ai diritti naturali dei cittadini e dunque iniquo tassare gli immobili che i cittadini medesimi abitano, prelevando dalle loro tasche un’imposta, giustificata come porzione di una ricchezza presunta, ma effettivamente non mai goduta. Non pagare quella parte delle imposte che colpiscono la casa in cui si abita rappresenta un esemplare esercizio del diritto dei cittadini a resistere pacificamente a una legge iniqua». Per Miglio non c’era alcun dubbio che si trattasse di un caso da manuale di legittimità del ricorso alla disobbedienza civile.
Di fronte alla continuazione e alla crescita esponenziale attuale della corruzione, della spesa pubblica per mantenere una legione sterminata di parassiti, di sprechi colossali ai quali non si è ancora voluto mettere mano, quella resistenza a un attacco indiscriminato e alla cieca (giustificato con i “sacrifici”, in realtà solo espropriazioni legalizzate) a risorse legittimamente immobilizzate, gli sarebbe apparsa ancor più legittima.
Forse avrebbe anche ironizzato sui cosiddetti “tecnici”: cosa c’è di “tecnico” nel perseguire un bene per eccellenza visibile e non occultabile come l’immobile? Basta non essere orbi.