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Il futuro di Internet. L'argomento è di quelli che stanno appassionando non solo gli esperti del settore.
Dopo la sbornia della seconda metà degli anni Novanta, dopo i proclami dei guru dell'hi-tech (che parlavano di un'inarrestabile crescita della ricchezza grazie allo sviluppo delle conoscenze), dopo l'euforia delle Borse e le "sparate" dei sostenitori del cosiddetto "Nuovo Paradigma" (ovvero, coloro che ritenevano che i mercati azionari sarebbero cresciuti senza sosta, all'infinito), siamo precipitati nel baratro del pessimismo più nero. Adesso, spuntano come funghi gli scettici, quelli, per intenderci, che dicono 'L'avevo detto, io, che non sarebbe durata'. Quelli che considerano Internet nulla più di un "giochino", di una sorta di Game Boy. Quelli che avevano previsto il crollo del Nasdaq, che erano certi dell'esplosione della bolla speculativa, che giurano sulla morte totale delle dot-com. Quelli che... la new economy non esiste.
Da un estremo all'altro, insomma. E, come spesso accade, la verità sta nel mezzo.
La pensa così Gianfilippo Cuneo, numero uno della consulenza aziendale in Italia, uno dei primi imprenditori a puntare su Internet. Con questa intervista, Cww-Affari Italiani comincia una serie di riflessioni, con i protagonisti del mondo economico-finanziario, sul futuro del Web e della new economy.
Aziende che chiudono i battenti, listini tecnologici a picco, prodotti hi-tech che restano invenduti: allora, dottor Cuneo, che succede? La new economy è morta? Internet è senza futuro?
C'è un'anomalia di fondo: Internet è stato visto come un business e non come una tecnologia. Per questo si è delusi nel vedere che iniziative puramente nel Web non decollano o naufragano. Ma non c'è una banca Internet: ci sono banche multicanale, con uno sportello virtuale, con un canale fisico, con i promotori. In altri termini, Internet è un elemento di un business complesso.
Vent'anni fa, eravamo in pochi ad occuparci della qualità all'interno delle società: ora le aziende hanno capito che se non fanno qualità, spariscono. Lo stesso vale per Internet: avere un canale virtuale, essere in collegamento con clienti e fornitori via Web è fondamentale per le imprese, è la norma, non l'eccezione.
Dunque, non esiste un business di Internet di per sé: tranne in rarissimi casi, come Yahoo! ed eBay. Esiste un modo di agire delle aziende, i cui rapporti con clienti e fornitori, oltre che fisici, sono fatti in modo virtuale.
Internet, dunque, è una tecnologia e non un business. Ma esistono diverse modalità di utilizzare questa tecnologia: l'Adsl, la banda larga, il satellite... Qual è la scelta vincente?
Ognuno giura sulla bontà della propria scelta. Prendiamo, ad esempio, due ingegneri, entrambi laureati con 110 e lode al Politecnico: uno va in Italtel e l'altro ad eBiscom. Erano bravissimi, compagni di scuola, amici: dopo sei mesi, uno giura sull'Adsl, ritenendo che sia il modo corretto di dare la banda larga; l'altro, che è ad e.Biscom, dice 'no, io ti dò la fibra ottica, che funziona meglio'.
Poi, magari, c'è un terzo laureato che va a lavorare in una società di Umts e assicura che quello è il futuro. E un altro ancora che è andato a Netsystem e giura sulle performance dell'Internet via satellite.
La realtà è che non c'è un'unica ricetta. Ci sono spazi privilegiati per ciascun approccio. Se uno ha un'azienda di notevoli dimensioni, con una crescente necessità di banda, ha bisogno di fibra ottica. Le aziende di medie dimensioni preferiranno l'Adsl e successive evoluzioni. Il satellite può andare bene per soluzioni differenziate. E' difficile prevedere le quote di mercato che ciascuna soluzione avrà in futuro. Non si può nemmeno dire che il Wireless stia facendo dei salti di tecnologia superiori alle reti fisse. Quello che si può dire è che il Wireless costerà sempre di meno rispetto alle reti fisse. Queste ultime avranno una nicchia di pubblico là dove scavare per posare i cavi in fibra ottica costerà troppo.
E per quanto riguarda l'utenza privata di Internet?
L'utenza privata concentrata in aree urbane, laddove costa poco scavare per posare i cavi, utilizzerà la fibra ottica. Nelle aree dove scavare costa di più, si andrà con altre soluzioni wireless. Nelle abitazioni lontane dai centri abitati, probabilmente si sceglierà il satellite.
Parliamo dell'Umts. In settimana, Tiscali ha rinunciato ad aumentare la sua partecipazione in H3G Italia (uno dei consorzi che si sono aggiudicati le licenze della telefonia mobile di terza generazione, ndr). E' un segnale che il gruppo di Soru non crede in questa nuova tecnologia?
Tiscali ha tante opportunità d'investimento e non si può dire se la sua scelta sia dovuta ad una sfiducia nei confronti dell'Umts o alla volontà di allocare diversamente le risorse che ha.
Penso che l'Umts non avrà i fasti che si immaginavano due anni fa. Ma avrà spazi significativi. Perché chi ha pagato le licenze deve per forza investire per sfruttarle. Non so se sarà un business di grande redditività. Sarà, però, senz'altro redditizio dal punto di vista marginale.
L'Umts avrà un'utenza di nicchia?
No, l'Umts wireless può raggiungere abbastanza facilmente un vasto territorio. Quindi, avrà un buon pubblico. Ciò non significa che sarà anche redditizio in termini generali.
Capitolo televisione. In settimana, parlando in Parlamento, il presidente dell'Authority delle Tlc, Enzo Cheli, ha detto che il termine per il passaggio dal sistema analogico al digitale è fissato per il 2006. Lei, che sta investendo molto nell'integrazione fra tv e Internet, considera questa prospettiva interessante? Ritiene che la tv digitale sia un business promettente?
Tutto il mondo passa dall'analogico al digitale: l'Adsl non è altro che lo sfruttamento delle reti pensate per l'analogico per fornire servizi in digitale. L'analogico ha concluso la sua corsa di sviluppo tecnologico.
La Tv seguirà la stessa strada. Ma questo processo avrà tempi lunghi. Il problema delle reti è che per offrire servizi bisogna che ci siano tanti utenti. Cioè, finché un milione di persone non sono collegate, la cosa non vale niente. E siccome non vale niente, nessuno ci investe. Nel momento in cui si supera la massa critica, il business decolla. L'abbiamo visto con il Gsm, per esempio. E' chiaro che l'etere, essendo una risorsa scarsa, deve essere utilizzato con perizia e il digitale consente di sfruttarlo meglio dell'analogico. Ma c'è il problema dei tempi e dei costi associati ai nuovi servizi. Non vedo un passaggio immediato. Se scommettiamo a lungo termine, punto tutto; a breve termine, ci andrei cauto.
La scadenza del 2006 indicata da Cheli le pare credibile?
Il 2006 è quasi domani. Se si ragiona sugli investimenti necessari, le infrastrutture da approntare, i nuovi apparecchi televisivi da mettere sul mercato, si conclude che i tempi non possono che essere lunghi.
E' vero che è in atto uno sviluppo tecnologico e che i prossimi televisori che compreremo saranno predisposti per collegarsi ai decoder digitali; ora, però, questi prodotti rappresentano lo 0,1% del mercato. Se ci fosse una morìa di televisori domattina, sarei più ottimista. Ma siccome mi sembra improbabile che tutti gli apparecchi del mondo smettano di funzionare di colpo, perché la tv digitale diventi un business che produce utili bisognerà attendere ancora diversi anni.
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Dopo la sbornia della seconda metà degli anni Novanta, dopo i proclami dei guru dell'hi-tech (che parlavano di un'inarrestabile crescita della ricchezza grazie allo sviluppo delle conoscenze), dopo l'euforia delle Borse e le "sparate" dei sostenitori del cosiddetto "Nuovo Paradigma" (ovvero, coloro che ritenevano che i mercati azionari sarebbero cresciuti senza sosta, all'infinito), siamo precipitati nel baratro del pessimismo più nero. Adesso, spuntano come funghi gli scettici, quelli, per intenderci, che dicono 'L'avevo detto, io, che non sarebbe durata'. Quelli che considerano Internet nulla più di un "giochino", di una sorta di Game Boy. Quelli che avevano previsto il crollo del Nasdaq, che erano certi dell'esplosione della bolla speculativa, che giurano sulla morte totale delle dot-com. Quelli che... la new economy non esiste.
Da un estremo all'altro, insomma. E, come spesso accade, la verità sta nel mezzo.
La pensa così Gianfilippo Cuneo, numero uno della consulenza aziendale in Italia, uno dei primi imprenditori a puntare su Internet. Con questa intervista, Cww-Affari Italiani comincia una serie di riflessioni, con i protagonisti del mondo economico-finanziario, sul futuro del Web e della new economy.
Aziende che chiudono i battenti, listini tecnologici a picco, prodotti hi-tech che restano invenduti: allora, dottor Cuneo, che succede? La new economy è morta? Internet è senza futuro?
C'è un'anomalia di fondo: Internet è stato visto come un business e non come una tecnologia. Per questo si è delusi nel vedere che iniziative puramente nel Web non decollano o naufragano. Ma non c'è una banca Internet: ci sono banche multicanale, con uno sportello virtuale, con un canale fisico, con i promotori. In altri termini, Internet è un elemento di un business complesso.
Vent'anni fa, eravamo in pochi ad occuparci della qualità all'interno delle società: ora le aziende hanno capito che se non fanno qualità, spariscono. Lo stesso vale per Internet: avere un canale virtuale, essere in collegamento con clienti e fornitori via Web è fondamentale per le imprese, è la norma, non l'eccezione.
Dunque, non esiste un business di Internet di per sé: tranne in rarissimi casi, come Yahoo! ed eBay. Esiste un modo di agire delle aziende, i cui rapporti con clienti e fornitori, oltre che fisici, sono fatti in modo virtuale.
Internet, dunque, è una tecnologia e non un business. Ma esistono diverse modalità di utilizzare questa tecnologia: l'Adsl, la banda larga, il satellite... Qual è la scelta vincente?
Ognuno giura sulla bontà della propria scelta. Prendiamo, ad esempio, due ingegneri, entrambi laureati con 110 e lode al Politecnico: uno va in Italtel e l'altro ad eBiscom. Erano bravissimi, compagni di scuola, amici: dopo sei mesi, uno giura sull'Adsl, ritenendo che sia il modo corretto di dare la banda larga; l'altro, che è ad e.Biscom, dice 'no, io ti dò la fibra ottica, che funziona meglio'.
Poi, magari, c'è un terzo laureato che va a lavorare in una società di Umts e assicura che quello è il futuro. E un altro ancora che è andato a Netsystem e giura sulle performance dell'Internet via satellite.
La realtà è che non c'è un'unica ricetta. Ci sono spazi privilegiati per ciascun approccio. Se uno ha un'azienda di notevoli dimensioni, con una crescente necessità di banda, ha bisogno di fibra ottica. Le aziende di medie dimensioni preferiranno l'Adsl e successive evoluzioni. Il satellite può andare bene per soluzioni differenziate. E' difficile prevedere le quote di mercato che ciascuna soluzione avrà in futuro. Non si può nemmeno dire che il Wireless stia facendo dei salti di tecnologia superiori alle reti fisse. Quello che si può dire è che il Wireless costerà sempre di meno rispetto alle reti fisse. Queste ultime avranno una nicchia di pubblico là dove scavare per posare i cavi in fibra ottica costerà troppo.
E per quanto riguarda l'utenza privata di Internet?
L'utenza privata concentrata in aree urbane, laddove costa poco scavare per posare i cavi, utilizzerà la fibra ottica. Nelle aree dove scavare costa di più, si andrà con altre soluzioni wireless. Nelle abitazioni lontane dai centri abitati, probabilmente si sceglierà il satellite.
Parliamo dell'Umts. In settimana, Tiscali ha rinunciato ad aumentare la sua partecipazione in H3G Italia (uno dei consorzi che si sono aggiudicati le licenze della telefonia mobile di terza generazione, ndr). E' un segnale che il gruppo di Soru non crede in questa nuova tecnologia?
Tiscali ha tante opportunità d'investimento e non si può dire se la sua scelta sia dovuta ad una sfiducia nei confronti dell'Umts o alla volontà di allocare diversamente le risorse che ha.
Penso che l'Umts non avrà i fasti che si immaginavano due anni fa. Ma avrà spazi significativi. Perché chi ha pagato le licenze deve per forza investire per sfruttarle. Non so se sarà un business di grande redditività. Sarà, però, senz'altro redditizio dal punto di vista marginale.
L'Umts avrà un'utenza di nicchia?
No, l'Umts wireless può raggiungere abbastanza facilmente un vasto territorio. Quindi, avrà un buon pubblico. Ciò non significa che sarà anche redditizio in termini generali.
Capitolo televisione. In settimana, parlando in Parlamento, il presidente dell'Authority delle Tlc, Enzo Cheli, ha detto che il termine per il passaggio dal sistema analogico al digitale è fissato per il 2006. Lei, che sta investendo molto nell'integrazione fra tv e Internet, considera questa prospettiva interessante? Ritiene che la tv digitale sia un business promettente?
Tutto il mondo passa dall'analogico al digitale: l'Adsl non è altro che lo sfruttamento delle reti pensate per l'analogico per fornire servizi in digitale. L'analogico ha concluso la sua corsa di sviluppo tecnologico.
La Tv seguirà la stessa strada. Ma questo processo avrà tempi lunghi. Il problema delle reti è che per offrire servizi bisogna che ci siano tanti utenti. Cioè, finché un milione di persone non sono collegate, la cosa non vale niente. E siccome non vale niente, nessuno ci investe. Nel momento in cui si supera la massa critica, il business decolla. L'abbiamo visto con il Gsm, per esempio. E' chiaro che l'etere, essendo una risorsa scarsa, deve essere utilizzato con perizia e il digitale consente di sfruttarlo meglio dell'analogico. Ma c'è il problema dei tempi e dei costi associati ai nuovi servizi. Non vedo un passaggio immediato. Se scommettiamo a lungo termine, punto tutto; a breve termine, ci andrei cauto.
La scadenza del 2006 indicata da Cheli le pare credibile?
Il 2006 è quasi domani. Se si ragiona sugli investimenti necessari, le infrastrutture da approntare, i nuovi apparecchi televisivi da mettere sul mercato, si conclude che i tempi non possono che essere lunghi.
E' vero che è in atto uno sviluppo tecnologico e che i prossimi televisori che compreremo saranno predisposti per collegarsi ai decoder digitali; ora, però, questi prodotti rappresentano lo 0,1% del mercato. Se ci fosse una morìa di televisori domattina, sarei più ottimista. Ma siccome mi sembra improbabile che tutti gli apparecchi del mondo smettano di funzionare di colpo, perché la tv digitale diventi un business che produce utili bisognerà attendere ancora diversi anni.
teccio