Ho passato 3 giorni a Firenze, al caldo.
Ma pernottavo a Fiesole.
Ero con la mia famiglia, oggi siamo rientrati qui, nel paese sul mare in cui vive mio marito.
Inutile che vi parli delle bellezze di Firenze o del gran caldo.
Inutile pure che vi dica come io sia fiera e felice dei miei bambini e delle giornate che sto vivendo.
Sto qui, con voi, stasera e mi dilungo qualche minuto perché sono rimasta incantata dal posto in cui avevo prenotato il BeB.
Le colline nelle vicinanze di Fiesole, in cui si stava bene, benissimo.
(C'era anche una piccola micetta nera di nome Lolita che era identica alla mia indimenticata gattina Velvet, morta ormai da 7 anni).
La prima notte che ho passato al BeB è stata una di quelle notti che io chiamo "magiche".
Dormo poco. Pochissimo. Di solito una come me, quando non dorme, rimugina.
E, se non rimugino, desidero.
Io desidero in continuazione: sono sempre inquieta, sempre alla ricerca di qualcosa. So che sbaglio tantissimo, ma non posso fare a meno di desiderare.
Desidero tante cose, tanti mutamenti, tante emozioni. A volte ho desideri da ragazzina: avventure, viaggi, accadimenti da romanzo di Verne.
Perdonate la debolezza: oscillo tra l'inquietudine, l'infantile, il superficiale, il romantico e il sublime, il senso di giustizia, lo struggimento, l'insoddisfazione, il desiderio di scappare, quello di rifare tutto daccapo, quello di ripartire, di fermarmi...
Insomma. Un calderone di desideri senza senso, quasi senza forma.
Ma... nelle notti Magiche, io non rimugino e non desidero.
Mi sono alzata da letto, non riuscivo a dormire. Mi sono affacciata alla finestra dalla quale entrava dell'aria fresca e profumata.
I grilli frinivano la loro monotona serenata.
Di fronte, all'orizzonte, le colline dolci, a sinistra l'alta e scura sagoma di un vecchio abete, a destra Firenze: un mare di luci che mi facevano pensare alle lucciole del mio giardino, quando ero piccola, davanti ai miei occhi l'uliveto che la luna faceva luccicare come se fosse d'argento. E davanti alla porta del BeB, Lolita cacciava le falene, giocava con le foglie della vite e mi faceva sorridere.
Ho guardato il paesaggio per ore, e l'ho talmente guardato che l'ho imparato a memoria.
E non pensavo e non bramavo. Solo, SENTIVO il fresco e UDIVO i grilli e GUARDAVO la notte, il cielo, le stelle, la luna, il paesaggio.
E tutto questo con serenità e con tanta intensità che sentivo tutto sulla mia pelle, come se fossi l'ulivo baciato dalla luna, o l'abete alto e scuro, o le luci di Firenze.
E quando sono tornata nel letto che era tutto bianco, illuminato come era dall'unica fonte di luce che entrava dalla finestra (la luna) che sembrava incantato, ho portato con me il paesaggio e l'ho vissuto per tutta la notte, senza stancarmene mai.
E, al mattino, mi sono tornate alla memoria, le parole de "La sera fiesolana" di G. D'Annunzio.
E, siccome tanto ormai vi ho stufati e annoiati per benino con i miei vaneggiamenti, concludo degnamente l'opera di fracassamento dei vostri attributi
, tanto peggio di così è dura.
Se avete letto fino a qui, sopportandomi, per voi, ecco:
La Sera Fiesolana
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
su l'alta scala che s'annera
contro il fusto che s'inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sè distenda un velo
ove il nostro sogno giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe'; tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l'acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pinidai novelli rosei diti
che giocano con l'aura che si perde,
e su 'l grano che non è biondo ancora
e non è verde,
e su 'l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l'ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perchè la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!
Le mie vacanze proseguono e chissà se mi verrà voglia di parlarvene ancora, al rientro.
Adesso vi saluto.
Un abbraccione