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Tremonti in gran forma...confesso che a me è sempre piaciuto.
Tremonti: "Renzi insegue un mondo finito"
L'ex ministro ironico: "Mi ricorda il Federale. Come Tognazzi nel film, ma in camicia bianca"
di RAFFAELE MARMO
Ultimo aggiornamento: 22 novembre 2016
Giulio Tremonti
5 min
Roma, 22 novembre 2016 - «HA PRESENTE il santino stampato sul cartoncino di propaganda inviato all’estero, quello di Renzi con Obama? Ha presente anche il pellegrinaggio di fine presidenza a Washington? Ecco, con tutto il rispetto per gli Stati Uniti e per il presidente Obama, dal lato italiano Renzi è come Ugo Tognazzi nel Federale, con la camicia bianca al posto dell’orbace».
«Ha presente poi quell’altra immagine della primavera scorsa con i leader della sinistra europea ad Atene, anche loro con la camicia bianca, la nuova divisa dell’anima? Ecco, lei ha difficoltà a capire se sono in un luogo di sofferenza tragica come è Atene o a Davos al Word Economic Forum. Indistinguibili». È un Giulio Tremonti ironico da par suo quello che non risparmia battute su un mondo «che sta per finire».
Eppure, i grandi giornali internazionali scrivono di mercati allarmati per il possibile esito negativo del referendum italiano.
«Sto rileggendo, naturalmente con grande interesse, le analisi e le previsioni fatte da quelle parti prima sulla Brexit e poi sulle elezioni americane».
Tanto basta per liquidarle. A lui interessa altro, interessa quello che ha raccontato dal ’92 in avanti in ‘Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza Nazione’, ‘Il fantasma della povertà’, ‘La paura e la speranza’ e, da ultimo, ‘Mundus furiosus’.
Professore, mettiamo in fila un po’ di eventi: Brexit, Trump, il successo dei movimenti cosiddetti populisti. Che cosa sta succedendo?
«Succede che emerge la ragione dei popoli. È il ritorno dei popoli. Che si manifesta in Europa in forme varie, poi nel Regno Unito, quindi in America e, infine, di ritorno, anche nelle primarie francesi. È la reazione contro il tentativo di standardizzazione prodotto dalla globalizzazione. Il rifiuto dell’ingerenza delle élite nella vita degli altri. A questo si aggiungono la crisi finanziaria, poi economica, poi sociale e alla fine politica. E la paura delle migrazioni. Tutto questo genera la reazione che abbiamo visto. Ma non la puoi demonizzare come populismo».
Allora, che cosa è? A che cosa stiamo assistendo?
«Il presidente Obama ha detto che non è la fine del mondo. È vero, ma è di sicuro la fine di un mondo. Di quel mondo che si è basato su un’ideologia, il mercatismo, e su una tecnologia, la rete. Un mondo che ha posto, sicut Deus, il mercato sopra tutto. Sopra i popoli, sopra i Parlamenti, sopra la democrazia, sopra le tradizioni. È la fine, insomma, di quell’idea secondo la quale la globalizzazione debba essere considerata l’anno zero dell’umanità, la base per costruire un mondo nuovo e un uomo nuovo politically correct. Con un potere che tende a questo obiettivo attraverso una sconfinata quantità di legislazione mirata a cancellare le tradizioni, le differenze, le origini. Le faccio qualche esempio?».
Faccia pure.
«L’ultima legge americana messa in cantiere a Washington per uniformare le toilettes degli uffici federali in una logica gender. Oppure i 150 chilometri di legislazione europea del solo 2015, espressione di quell’ideologia secondo la quale le élite sanno come deve vivere il popolo e, dunque, si occupano di stabilire come deve essere la luce a casa, la larghezza dei termosifoni, o che cosa e come si deve mangiare».
Con questo mondo che cosa c’entra Renzi?
«Ho citato prima due immagini perché l’iconografia e la liturgia provano, più delle parole, il senso di quello che dico. Renzi in pellegrinaggio da Obama è come il personaggio di Tognazzi nel Federale. Corre dietro a un mondo finito. La foto dei leader della sinistra ad Atene è l’immagine della fine di una sinistra embedded nella fede mercatista della globalizzazione».
Anche la riforma costituzionale è figlia di quell’ideologia?
«Premesso che ho sempre votato No sia alla legge elettorale sia alla riforma costituzionale, entrambe sono parte di un unico political compact, disegnato con la stessa logica e portato avanti con la stessa forza nella direzione di una concentrazione del potere, di un regime neo-consolare. E nel referendum la carta costituzionale viene calata come una carta da gioco che vede il cambiamento come valore in sé, come era il Futurismo prima della Grande Guerra».
Perché non la convince?
«Perché questa carta, non collegata con i fondamentali, è assolutamente nella logica del mondo che sta finendo, della velocità fine a se stessa, del può fare schifo ma l’importante è che ci sia la mossa. Chi invece vede nella Costituzione la difesa dei valori della tradizione non è affatto arretrato ma, all’opposto, è allineato con la ragione dei popoli e dunque con le forze che stanno riemergendo in tutto l’Occidente».