Obbligazioni bancarie Obbligazioni Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca

No. Abbiamo un conto cointestato. Pensavo che si potesse fare tutto su quello. Non sono pratico. Devo allora chiedere di venderlo al consulente?
Oppure trasferire il titolo su un'altro conto?
 
O devi chiederne l'annullamento (ma non tutte le banche lo permettono)
O devi trasferire il titolo su di un'altro conto (della stessa o di un'altra banca) che non sia parimenti intestato; es. un conto intestato solo a te o solo a lei o ad un parente ... e poi chiederne nuovamente il trasferimento.
 
Vuoi tenere il titolo per poter far causa o no?
Se si trasferisci tra ptf con diversi intestari e poi lo fai ritornare

Se no. Con alcune banche si può dismettere

Cfr 13 luglio pagine relative
Ferdo pf anch'io mi trovo nella stessa situazione e, dopo l'approvazione del decreto, trasferirò il titolo il sub nel deposito a nome di mio fratello
Vorrei chiederti però un chiarimento: se con le plus nel quinquennio pareggiassi la minus, è corretto dire che avrei recuperato il 26% del mio investimento iniziale in bond Pop VI ?
Se fosse così, nella fregatura solenne, sarebbe una bella notizia , tenuto anche conto che in TV ( SKY 24 economia) hanno detto che i bondisti LT2 di MPS, che avranno le azioni al posto dei bond, .potranno recuperare ragionevolmente non più del 30- 40% del loro investimento- Ma è così?
Grazie
 
Qualcuno ha idee in ordine alla insinuazione al passivo per le obbligazioni subordinate?

Ho appena scritto a quelli della vicenza ma mi hanno risposto di rivolgermi in filiale....
 
io scriverò al loro liquidatore, ma senza grandi speranze

Ma hai l'indirizzo di poste elettronica?

Non per altro: mi hanno risposto dalla mail della banca ma nel testo vi è il riferimento alla direzione intesa...

A logica se mandasse una pec alla popolare di vicenza dovrebbe rispondere la bad bank....
 
Prestiti "baciati" ;la cosa più curiosa è che si giocava tutti in casa, facile vincere cosi!Buona sera ai forumisti.



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Quella del 24 maggio a Bruxelles, negli uffici della Direzione Concorrenza della Ue, fu una riunione particolare: agli amministratori delegati di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, Fabrizio Viola e Cristiano Carrus, e al dirigente generale del Tesoro, Alessandro Rivera, furono presentati dal vicedirettore generale per gli aiuti di Stato, Gert-Jan Koopman, i risultati di uno stress test. Questa volta non della Bce ma della stessa DgComp. Era un test legato alla richiesta di «ricapitalizzazione precauzionale», cioè di aiuti di Stato, avanzata lo scorso 17 marzo. Mostrava che — se alcune delle ipotesi del piano «Tiepolo» di ristrutturazione non fossero andate a buon fine — nel 2021 la nuova banca post-fusione avrebbe registrato perdite tra 1,5-2 miliardi, tali da intaccare nuovamente il patrimonio. Sarebbe di conseguenza servito nuovo capitale che però — secondo la DgComp — la banca non sarebbe stata in grado di recuperare sul mercato poiché non avrebbe vantato un’adeguata redditività. «È questo il motivo vero per cui il piano non ha tenuto», racconta un testimone privilegiato di quella vicenda.
Soldi dai privati
Finora si era saputo che la trattativa con Bruxelles era naufragata per la richiesta che Vicenza e Montebelluna coprissero le «perdite probabili» derivanti dalla vendita dei crediti in sofferenza con 1,2 miliardi di euro messi da investitori privati; solo successivamente ci sarebbe stato l’ok agli aiuti di Stato così da arrivare — con la conversione dei bond subordinati — ai 6,4 miliardi chiesti da Bce. Ma il quadro è appare più complesso. Il problema del capitale mancante era emerso quasi subito, tra le proteste del Tesoro che però — visto che la situazione delle due banche continuava a deteriorarsi — per non perdere tempo prezioso provò comunque a sondare il terreno per una nuova «operazione di sistema», per esempio con il Fondo Atlante o con qualche grande banca. «Un investitore privato accanto allo Stato sarebbe stato un indizio della sostenibilità del piano da far pesare a Bruxelles», spiegano due fonti a conoscenza delle trattative. Ma Roma aveva le mani legate: senza un piano validato dalla DgComp poteva solo muoversi sottotraccia. A maggio la voce dei capitali mancanti cominciò a girare. Ne approfittarono alcuni fondi speculativi come Cerberus e Attestor, con proposte però inapplicabili: poco capitale e tanti bond subordinati al 14% di interesse.
I clienti fuggiti
Ma lo scoglio vero sul quale la trattativa fra Tesoro e DgComp si arenò fu il piano «Tiepolo», cui Bruxelles non aveva mai creduto, neanche dopo averlo fatto correggere per ben due volte in senso restrittivo. Lo stress test ipotizzava che dai crediti deteriorati meno rischiosi (gli «unlikely to pay») la banca ricavasse zero interessi: «Ipotesi ridicola», commenta uno dei protagonisti della vicenda, «che però da sola pesava per un miliardo sui conti». Altro punto delicato, i clienti «marginali»: in 600 mila — praticamente il 50% della clientela totale — avevano svuotato i depositi, pur mantenendo il conto. Di questi, però, solo il 7% era rappresentato da soci «infuriati» perché avevano perso tutto. La stragrande maggioranza erano clienti fuggiti per paura. Viola e Carrus stimavano di recuperarne almeno il 40%. La Ue non lo credette possibile. Analogo stress subirono i ricavi da commissioni, drasticamente ridotti. Il buco creato da quelle simulazioni era enorme: non esistevano risparmi che potessero colmare 2 miliardi di perdite in più. La valutazione della Ue era ancora preliminare ma Viola e Carrus la presero come una bocciatura definitiva, non foss’altro perché da quel giorno i banchieri non furono più coinvolti nelle discussioni. Il Tesoro al contrario da un lato continuava a difendere il piano; dall’altro studiava le alternative. Una soluzione a portata di mano c’era.
Il precedente della bcc
Nell’estate 2015 Bankitalia aveva posto in liquidazione «ordinata» una piccola Bcc di Cesena, Banca Romagna Cooperativa. In quel caso attività e passività erano passate a Banca Sviluppo (gruppo Iccrea), con un contributo versato dal fondo di garanzia delle Bcc per coprire le perdite. Avendolo già autorizzato in un caso, sostenne il Tesoro, Bruxelles non avrebbe potuto opporsi se la stesso schema fosse stato adottato per le venete. Le difficoltà erano piuttosto di altro genere. Giuridico e politico. Da un lato bisognava allineare le istituzioni europee: la Vigilanza Bce doveva dichiarare lo stato di dissesto e il Resolution Board (Srb) avrebbe dovuto escludere il «bail in» attestando che PopVi e Veneto Banca non erano sistemiche pur rappresentando il 2% del mercato. Fu la stessa Commissione, questa volta allineata agli italiani, a trattare con lo Srb: era l’unica strada legale, poggiata sulle discrezionalità delle varie autorità coinvolte, perché la DgComp autorizzasse l’impiego di denaro pubblico «per mitigare l’impatto della crisi delle banche sull’economia nel Nordest». Serviva poi l’avallo politico. Che fu trovato presto tra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e il commissario Vestager, con l’intervento anche del premier Paolo Gentiloni e del presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker. A quel punto mancava solo l’acquirente. A metà giugno fu incaricata la banca d’affari Rothschild, con un mandato volutamente generico: «Vendere attivi e passivi in un contesto in cui si poteva contemplare un intervento dello Stato». La parola «liquidazione» non poteva ancora essere pronunciata ufficialmente. Dei sei soggetti interessati, solo Intesa Sanpaolo mandò un’offerta vincolante il mercoledì 21. Ma le pretese iniziali erano troppo alte, sia come cash sia come garanzie. Ci vollero quattro giorni di discussioni per trovare la quadra. Il decreto del governo arriverà solo la domenica pomeriggio. Poche ore dopo, le banche potevano riaprire. Fino all’ultimo, non è stato scontato.

24 luglio 2017 (modifica il 24 luglio 2017 | 23:04)
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Popolare di Vicenza e Veneto Banca, così Bruxelles bocciò il salvataggio
 

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