«Lo Stato potrebbe non perdere nulla o qualcosa di estremamente ridotto nell'operazione sulle banche venete», evidenzia il vice direttore generale di Bankitalia Fabio Panetta, nel corso di un briefing in via Nazionale.
Un concetto ribadito, poco dopo, anche dal Capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo:
«Lo Stato anticipa una somma di cui tornerà in possesso nel tempo». Insomma: è sbagliato «dire che lo stato ci perde. «I 4,8 miliardi di esborso di cassa torneranno indietro con la vendita degli attivi. Lo Stato - chiarisce Panetta - anticipa una somma e aspetta il rientro».
E i 17 miliardi circolati?
«È una cifra che non esiste e comprende garanzie che non saranno attivate».
A poche ore dalla comunicazione ufficiale della messa in liquidazione con nomina dei commissari e cessione di parte del perimetro delle ex popolari venete a Intesa in «totale continuità operativa», Bankitalia è intervenuta per voce dei suoi autorevoli vertici sull’operazione e, soprattutto, sui suoi costi.
La previsione di «costi molto contenuti», fino a zero per lo stato, si basa secondo la Banca d'Italia, sul fatto che l'attivo della liquidazione di Popolare Vicenza e Veneto Banca ammonta a 11,7 miliardi ed «è capiente» per controbilanciare l’esborso.
L'attivo di liquidazione comprende crediti deteriorati netti per circa 12 miliardi, già svalutati da Atlante, in gran parte costituiti da inadempienze probabili (gli ex incagli) con buone probabilità quindi di essere recuperate dalla Sga, il soggetto pubblico attivato con il decreto per il recupero dei crediti. Insomma con questo embrione di bad bank nazionale (che al nostro paese non fu concessa, ndr) si potrà evitare di «svendere» i crediti a un valore di 20 agli operatori esteri e ricavare un valore di 40, che è quello indicato dalle analisi di via Nazionale e nella relazione tecnica del decreto. Si vedrà fra «3-5 anni» con i primi consuntivi se il processo di recupero procede come previsto.
Non si tratta di mera contabilità, ma anche evitare che imprenditori e privati del Veneto si vedano sottrarre «case e capannoni».
I costi sostenuti dallo Stato, spiegano, sono poco più di 5 miliardi da non confondere con i 17 miliardi di risorse «mobilitate» che è un nozionale dei rischi massimi «come il massimale delle assicurazioni ma quello che paghi, molto inferiore, è il premio». Nel conto a favore della procedura di liquidazione delle due banche venete vanno messe però anche le partecipazioni che non sono state trasferite a Intesa e che «sono di valore». In via Nazionale ricordano, tra le altre, l'interessenza nella sgr Arca, che potrà essere venduta anche con una plusvalenza. E soprattutto Bim che Intesa non vuole.
Le partecipazioni delle due banche venete ammontano a 2 miliardi per cui «certamente i 4,8 miliardi di anticipo torneranno indietro».
Il riferimento è al contributo pubblico per cassa da circa 3,5 miliardi dato a Intesa e che corrisponde al 12,5% delle attività ponderate per il rischio oggetto di acquisto. C'è poi il contributo pubblico da 1,285 miliardi versato a Intesa per fronteggiare gli oneri sul personale e sulla ristrutturazione della rete. Dalla Banca d'Italia chiariscono un altro punto: la possibilità che ha Intesa di retrocedere entro tre anni crediti in bonis ad alto rischio non è priva di paletti.
Da escludere, quindi, comportamenti opportunistici da parte della Banca guidata da Carlo Messina nei confronti della procedura di liquidazione nella valutazione di quella tipologia di crediti. La liquidazione delle due banche venete è stata fatta nel rispetto delle regole Ue e l'impatto sull'Unione bancaria, sostiene il vice direttore generale della Banca d'Italia e membro del Consiglio di Vigilanza Bce Fabio Panetta, «sarà positivo». A giudizio dell'esponente della Banca d'Italia il fatto che anche nel caso italiano, dopo i recenti salvataggi realizzati in Portogallo e Spagna, non si applicato il bail-in previsto dalla direttiva europea Brrd non vuol dire tradire lo spirito della legge europea ma «evitare uno shock». La liquidazione ordinata era senza alternativa, spiegano da palazzo Koch. Quanto all’offerta dei fondi rimbalzata in questi giorni e su cui anche il ministro Padoan è intervenuto, si precisa: «C’è stata una proposta non formalizzata di alcuni fondi di investitori che non è stata giudicata ammissibile».
La proposta degli hedge fund, ha spiegato Panetta, è stata bocciata da Dg Comp perché «mettevano troppo poco capitale» e conteneva una serie di clausole che estraevano troppo valore delle banche con poco capitale privato.