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LIVORNO. L’impero marinaro della famiglia
Onorato – così radicato fra Livorno e Piombino – in questi giorni sembra, da un lato, prendere finalmente una boccata d’ossigeno puntando a una intesa con un socio finanziario che ne puntelli il risanamento con un po’di soldi e, dall’altro, tornare in alto mare con una proroga a metà della convenzione con lo Stato che garantisce un flusso di 70 milioni di euro annui solo per i collegamenti via mare che assicurino la continuità territoriale per la Sardegna e quasi la metà relativamente all’Elba. Adesso su tutto questo piomba il macigno di una puntata di “Report”, la trasmissione d’inchiesta (creata da
Milena Gabanelli e ora condotta da
Sigfrido Ranucci) che ha alle spalle l’intervista choc all’origine del tragicomico tourbillon della sanità calabrese: il reportage è annunciato per domani sera.
il salvataggio e il cavaliere
L’ultima puntata della telenovela ha a che fare con l’arrivo del “cavaliere bianco”: riprende il cammino in direzione di un accordo per la ristrutturazione del debito, come anticipato dal Tirreno già nel novembre 2019 e poi confermato agli inizi dell’estate con il gruppo della famiglia Onorato che si è messo sotto l’ombrello del concordato preventivo per proteggersi da eventuali attacchi dei creditori.
A quanto è dato sapere – ma non esistono ancora note ufficiali che lo confermino – è stata trovata l’intesa per far affluire capitali in Moby. Ad apportarli sarà Europa Investimenti, la controllata italiana di Arrow Global Group Plc, fondata da
Zachary Lewy, quartier generale a Manchester in Booth Street fra il municipio e la Barclays. Non è chiaro al momento se Arrow avrà una quota in Moby, risulta però che la famiglia Onorato rimarrà non solo azionista ma anche in plancia di comando. Ed è questa forse la prima operazione importante della gestione di
Achille Onorato in tandem con
Alessandro, i figli di
Vincenzo.
Sia chiaro, non è tutto risolto: adesso c’è da passare al vaglio dei creditori e bisogna vedere se i sì saranno sufficienti a rendere operativo il piano proposto. Intanto, erano stati chiesti al tribunale di Milano due mesi extra per arrivare in porto.
i fondi attaccano, un fondo salva
Un fondo arriva come salvagente, un pool di fondi avevano scatenato la guerra. Il siluro contro Moby l’avevano lanciato un anno e mezzo fa un gruppo di fondi ad alto rischio (soprattutto Sound Point Capital, Cheyenne Capital e York Capital) che ha in pugno buona parte del bond lussemburghese da 300 milioni di euro al 7,75% scadenza 2023 con cui la compagnia della Balena Blu aveva cercato di tenere a galla le proprie finanze negli anni scorsi. Come? Con una istanza di fallimento: respinta al mittente dal tribunale fallimentare di Milano nell’autunno dello scorso anno, ma in quell’altolà ai fondi speculativi il collegio presieduto da
Alida Paluchowski ha messo nero su bianco anche la richiesta di una sterzata nella guida della società. Riassumibile in estrema sintesi così: può tornar anche utile vendere alcune navi della flotta ma guai a pensare che un piano di risanamento possa stare tutto lì perché se le navi non ci sono più, non viaggiano e dunque non si fa fatturato.
Ma intanto una parte del piano si appoggiava alla compravendita incrociata di traghetti fra la compagnia danese Dfds e Moby: due belle navi in cambio di due un po’ più vecchiotte, rimediando una differenza di prezzo che avrebbe dato fiato alle casse degli Onorato. Ma quando è tutto già fatto e si sbrigano le formalità burocratiche, ecco che salta fuori lo stop delle banche creditrici della compagnia italiana. Il motivo? Entrano quattrini ma si perde patrimonio, che vale come garanzia per chiunque vanti un credito nei riguardi di Moby.
bruxelles e l’effetto boomerang
Non è questo l’unico pericoloso iceberg nel mare in tempesta in cui naviga la flotta della Balena Blu. Nel marzo scorso è piombata sul tavolo una decisione della commissione europea risultata favorevole per la compagnia armatoriale degli Onorato ma solo a metà o forse meno: gli oltre 800 milioni di euro versati dal 2009 nelle casse della Tirrenia (ex pubblica) non sono impropri aiuti di Stato, dunque Onorato non deve restituirli.
Occhio all’effetto boomerang, però: la decisione di Bruxelles ha reso esigibile il pagamento della privatizzazione finora congelato (e stiamo parlando di oltre 100 milioni di euro). A catena, dopo i no del passato, ottiene il via libera dei giudici romani la richiesta di sequestro conservativo delle navi di Onorato per un importo pari a 55 milioni di euro. Bene o male, viene messa una pezza all’uno come all’altro guaio: ma il problema è che arrivano l’uno dopo l’altro.
Ma soprattutto c’è la fine della convenzione ereditata con la privatizzazione dell’ex compagnia pubblica Tirrenia (e sottoscritta il giorno prima del passaggio ai privati): un pacco di milioni, come detto, dati dallo Stato al gruppo Onorato perché al di fuori dai canoni di mercato sia garantito agli abitanti delle isole il collegamento alla terraferma.
La convenzione scaduta
È scaduta a luglio, manco a dirlo nel bel mezzo del caos della pandemia che ha sconvolto il settore dei trasporti marittimi. Il governo l’ha prorogata ma risulta al Tirreno che l’abbia fatto senza formalizzarlo alla compagnia: anzi, senza pagare, secondo quanto emerge da indiscrezioni (anche se, sembra di capire, un certo ritardo nel saldo è quasi prassi). Fatto sta che, in assenza di un impegno formale, la compagnia ha dato l’ultimatum: o la proroga assume tutti i crismi o non continuiamo a garantire i collegamenti.
Beninteso, è un problema che non riguarda Livorno: la linea merci per Cagliari non rientra fra quelle dell’ultimatum, i traghetti da e per Olbia sono una rotta talmente forte da reggersi sulle proprie gambe (e le leggi di mercato). Ma, dopo che l’armatore aveva deciso di fermare le navi dal 1° dicembre, poi slittando al 3 (per via dell’apocalisse meteo in Sardegna), in extremis sono arrivate dalla politica le rassicurazioni richieste: a far da garanti una schiera di parlamentari sardi Pd e M5s. A metà mese decollerà il meccanismo in vista della gara per l’affidamento: anzi, di una serie di gare, una per ciascuna tratta.
lo scontro con grimaldi
Era stata proprio, da parte della compagnia armatoriale di
Emanuele Grimaldi, colosso da oltre 3 miliardi di ricavi, l’attivazione di un nuovo collegamento Livorno-Olbia a far divampare la guerra con Moby. Anche se forse lo scontro ha radici più lontane: nella rottura dell’alleanza che avevano costruito per acquisire insieme Tirrenia. Fatto sta che la guerra fra i due big ha contrassegnato gli ultimi anni: Vincenzo Onorato ha tirato bordate contro Grimaldi in nome del sostegno pubblico solo a chi imbarca marittimi italiani; Grimaldi ha contestato al rivale la convenzione invitando il governo o a lasciare in mano al mercato i collegamenti con le isole o a utilizzare il modello spagnolo che offre l’aiuto non all’armatore bensì al cliente (che poi può scegliere di viaggiare con chi gli pare). —