OT: Topic del cazzeggio (3 lettori)

Ventodivino

מגן ולא יראה
Che fare per uscire dalla crisi? Tre fasce d’età e tempi certi
Subito un piano per la ripresa dell’attività con il graduale rientro degli under 55 Il contagio costerà 300 miliardi di debiti
  • Corriere della Sera
  • 24 Mar 2020
  • Di Giovanni Cagnoli
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Il profilo ● Giovanni Cagnoli è presidente di Carisma, holding che detiene 14 aziende con oltre 300 milioni di fatturato e oltre 1.000 dipendenti. Ha fondato Bain & Company Italia che ha guidato come ceo fino al 2017


È tempo di decidere come uscirne. Per quanto tragici, i dati sugli effetti della diffusione del Coronavirus vanno affrontati e il piano d’uscita avviato subito e gestito in base alle informazioni via via disponibili e, date le circostanze, alle inferenze. Ma non sempre, almeno in Italia, comunicazione e scelte sembra siano state fin qui coerenti con gli uni e con le altre.

Sappiamo che la malattia colpisce tutti, non solo gli anziani. Sono gli esiti dell’infezione a essere molto diversi. Nei Paesi dove si fanno tanti tamponi (Germania, Corea, Austria, Norvegia) i dati sono inequivocabili: i contagiati sono distribuiti abbastanza omogeneamente per classi di età. Affermare tuttavia che i giovani sono a rischio è capzioso. Sotto i 50 anni il tasso di mortalità senza patologie pregresse è molto vicino allo zero, meno di 0,1%.

Tra i 50 e i 60 anni la mortalità sale ma non come dichiarato e scritto dall’istituto di Sanità del 1,2%. Questo è un dato sbagliato che trae in inganno e può portare a decisioni sbagliate. La mortalità del 1,2% (110 casi in Italia su 4.000 all’epoca di pubblicazione dei dati) si riferisce al rapporto dei decessi su casi riscontrati. Poiché è evidente anzi eclatante che i casi riscontrati (al 21 marzo 50 mila circa in Italia) sono un sottoinsieme molto basso della realtà, la mortalità vera ha numeratore certo e denominatore incerto o meglio certamente sottostimato.

In base ai dati raccolti in alcuni Paesi europei il ratio decessi su un numero più realistico di infettati può essere stimato tra 1:400 e 1:600. Ne deriva che in Italia al 22 marzo il numero di persone entrate in contatto con il virus era di circa 2 milioni, più di due terzi in modo inconsapevole.

Volendo guardare allo scenario peggiore indicato dai grafici, se il virus si sviluppasse al Sud come al Nord rischierebbero la vita 50 mila concittadini. Molti meno, ma non meno di 20 mila, se il contenimento funzionasse davvero e se un piccolo aiuto (non dimostrato) arrivasse dall’alzarsi delle temperature. Ma l’esodo provocato dalla fuga di notizie sabato 7 marzo rischia di portare a più decessi di quanti ne scongiuri la proibizione delle corsette.

Siamo a 6 mila decessi, inutile parlare di picco o altro. Meglio prepararci alla realtà dei fatti. E’ irrealistico pensare di «azzerare» il contagio, con l’isolamento. I servizi essenziali (alimentari, sanità, elettricità, rifiuti, comunicazioni, logistica ) non sono comprimibili e implicano un’ulteriore diffusione del contagio.

Il piano

Cosa fare, dunque? Mio padre era un medico e diceva sempre che quando un medico prende una decisione rischia una vita. Quando si sbaglia il prezzo è terribile. La difesa degli operatori sanitari che prendono decisioni tremende ogni giorno è sacra. Leviamoci tutti il cappello in silenzio. Proprio per rispetto a loro e ai decessi dobbiamo fare bene le scelte per la ricostruzione. Per ridurre i casi giornalieri in Italia a 100 o 200 da questi livelli occorrerà ancora del tempo forse fino a metà o fine del mese di maggio. Inutile illudere gli italiani. Quando inizieremo a tornare a vivere normalmente? Ben oltre il picco purtroppo. Ci diranno «ma non si può fare diversamente». Non è assolutamente vero. Si può eccome se si vuole e se si ha il coraggio delle proprie decisioni. Se si è davvero come Churchill o come il Draghi di «whatever it takes».

La mia proposta è questa: distinguere la popolazione in tre fasce per altrettanti protocolli: fino a 55 anni (verde). Da 55 a 65 (giallo). Oltre i 65 (rosso). Lo fanno in Israele, dove la competenza in tema di emergenze è indiscussa. Per gli over 65, le misure di protezione drastiche. Va organizzato da subito, come servizio essenziale, il recapito a casa della spesa. Fatto da 30enni, volontari o meno.

Per la fascia 55-65 rientro in azienda o in ufficio dilazionato di almeno un mese. Fino a 55 anni tempistica certa e dichiarata di ritorno graduale all’attività. Il 6 aprile potrebbero riaprire le aziende. L’apertura definitiva sarà il 14 aprile dopo Pasqua. Se ci saranno ancora casi (sicuro) si cercherà di gestirli al meglio. Il 6 aprile potrebbero essere riaperte le corsette domenicali per dare un segnale.

Il 21 aprile potrebbe essere la volta di negozi, bar e ristoranti, con l’obbligo di distanza. Il 2 maggio si potrebbero togliere le limitazioni di spostamento per tutti e riaprire le scuole. Quanto all’andamento dell’epidemia, ogni giorno i dati andranno discussi in base allo scostamento dalle previsioni. Impariamo a prevedere azioni correttive. Se emergono novità di scenario tali da sconvolgere il programma (cure, vaccino, mutazioni genetiche, decessi ), si adegua il passo. Si fa così nelle organizzazioni complesse, ogni giorno. Un numero ristretto di persone competenti si assume le responsabilità.

Infine, chiarezza immediata

d Difendiamo le imprese e le banche. No alle nazionalizzazioni né oggi né mai concordando le stesse azioni con l’europa. «Golden rule » per le acquisizioni dall’estero di società quotate

in queste due settimane del programma di sostegno ai privati e alle aziende. Uno slogan unico e totalizzante , fortissimo e coinvolgente per lavoro , impresa, sindacati, banche. Al 1° settembre 2020 tutte le aziende e imprese italiane saranno vive e pronte alla ripresa come lo erano al 1° febbraio 2020. Tutti, nessuno escluso, costi quel che costi. Le proposte sono un «back stop» dello stato per le perdite su crediti delle aziende con apertura di credito rapida, non burocratica per tutte le imprese che ne abbiano bisogno eliminando i vincoli di capitale delle banche. Sostegno al reddito per tutti i lavoratori. Sostegno alle nostre banche senza nazionalizzazioni ne oggi né mai concordando le stesse azioni con l’europa. Golden rule per acquisizioni dall’estero di società quotate.

I debiti

Se disperdiamo anche una minima parte del capitale umano, imprenditoriale, know how, capacità produttiva, presenza sul mercato per questo stop, il conto di 300 miliardi sarà ripartito su un numero minore di soggetti e l’aliquota sarà maggiore, forse anche impossibile da pagare, nello scenario peggiore può anche darsi che la competizione internazionale venga a prendersi pezzi di Italia stroncati della nostra insipienza, non dal Coronavirus. i soldi per questa manovra li troveremo ma non saranno regalati. Saranno i privati, i cittadini e le imprese stesse che sono state aiutati a doverli restituire nei prossimi 20 anni di impegno e lavoro. Sbaglieremo qualcosa? Pazienza. In queste stime, ho messo in conto 50 miliardi di errori, furbetti che approfitteranno, qualche brutto episodio da scovare e punire duramente. Il tempo vale di più della perfezione e l’ottimo è nemico del bene. Azzeccarci subito all’80%-90% è meglio che aspettare due mesi e poi fare giusto al 95%.

In emergenza, ai leader viene chiesto di saper prendere decisioni rapide, giuste e di assumersi le responsabilità delle conseguenze che definiranno l’essenza stessa del nostro vivere sociale, della nostra geo-politica, dei nostri diritti e dei nostri doveri, soppesando con enorme difficolta’ costi e benefici spesso su piani diversi come la salute e l’occupazione tra 1 anno. Sbagliare adesso sarà terribilmente costoso in futuro.
 

Ventodivino

מגן ולא יראה
Faccio sempre la tara ai discordi di DT (Presidente che è stato imposto agli USA dall'elite democratica), rimango stupito da quelli che costantemente-si-indignano (magari scordando quello che hanno fatto esimi predecessori) ma questo mi spaventa : DT vuole essere rieletto e, per me, si è messo in testa che prima riapre meglio è per lui.
Aprire un secondo prima (in modo non razionale) sarebbe pericolosissimo.

Sto ovviamente parlando del nostro ptf.
 

Ventodivino

מגן ולא יראה
Faccio sempre la tara ai discordi di DT (Presidente che è stato imposto agli USA dall'elite democratica), rimango stupito da quelli che costantemente-si-indignano (magari scordando quello che hanno fatto esimi predecessori) ma questo mi spaventa : DT vuole essere rieletto e, per me, si è messo in testa che prima riapre meglio (a Pasqua ? per me impossibile) è per lui.
Aprire un secondo prima (in modo non razionale) sarebbe pericolosissimo.

Sto ovviamente parlando del nostro ptf.

FAUCI SAYS TRUMP'S EASTER GOAL FOR LIFTING CORONAVIRUS RESTRICTIONS SHOULD BE "VERY FLEXIBLE"


In Fauci we trust.(sperem).

Sbagliare la retro può capitare, ma poi almeno, dopo, rimettersi in carreggiata con prudenza.
CCTV IDIOTS on Twitter
 

Ventodivino

מגן ולא יראה
SI FA PRESTO A DIRE EUROBOND
Si può parlare di bond comuni a due condizioni. Primo: accettare di trasferire nuove competenze economiche e sociali in Europa. Secondo: sbloccare immediatamente il Mes. Chi ci sta? Discutiamone, ma senza ipocrisie
  • Il Foglio Quotidiano
  • 25 Mar 2020
  • Di Lorenzo Bini Smaghi
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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte riceve a Palazzo Chigi il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (foto LaPresse)


Non passa oramai giorno senza che non venga lanciata, da qualche accademico, esponente politico o governativo, un appello ad emettere degli Eurobond – cioè dei titoli di stato europei – per finanziare gli interventi necessari a contrastare la crisi del Coronavirus. Qualcuno li ha addirittura chiamati Coronavirus Bond. Gli Eurobond sembrano in effetti essere l’uovo di Colombo nella situazione attuale. Consentirebbero agli stati europei di reperire capitali per sostenere maggiori spese o minori entrate, senza indebitarsi direttamente. L’idea sembra geniale, almeno in teoria. In pratica, non è facilmente realizzabile. Il motivo non è che altri paesi – in particolare la famigerata Germania – si oppongono. E’ piuttosto che le condizioni per realizzarla sono difficilmente praticabili dal punto di vista politico, almeno nel breve periodo. Il punto da capire è che qualsiasi titolo di debito che viene emesso sul mercato deve avere delle garanzie, che convincano eventuali acquirenti che almeno gli interessi vengano regolarmente pagati e che il capitale sia finanziariamente sostenibile. Le garanzie dei titoli di debito pubblico sono rappresentate in generale dal patrimonio pubblico e dalla capacità dello stato di generare un flusso di entrate tributarie adeguato nel tempo. Più dubbi ci sono sulle garanzie, più elevato è il premio di rischio richiesto dall’investitore, ossia il tasso d’interesse.

Non è un caso che il rischio – e pertanto il tasso d’interesse – sul debito italiano sia più elevato di quello medio degli altri paesi europei. Ciò è dovuto alla crescita italiana sistematicamente più debole di quella europea negli ultimi 20 anni, al debito pubblico più alto, in proporzione al Prodotto lordo, e alle incertezze sulla volontà politica di rimanere nell’area dell’euro.

Visto che il rischio sul debito pubblico degli altri paesi europei è inferiore a quello italiano, si potrebbe pensare che un titolo europeo possa beneficiare di un tasso d’interesse inferiore, e che ci sia un vantaggio ad indebitarsi a livello comunitario piuttosto che nazionale.

Purtroppo, non è così. Un titolo europeo, cioè un Eurobond emesso da una istituzione Europea – ad esempio la Commissione europea – i cui proventi finanziari verrebbero distribuiti agli stati membri per intervenire a sostegno delle rispettive economie, avrebbe un rischio molto elevato se privo delle necessarie garanzie. In effetti, non vi è oggi né un patrimonio europeo né una capacità europea di generare risorse tributarie autonome, che possano essere usati come garanzie per titoli di debito europeo.

Per poter emettere Eurobond, l’Unione europea dovrebbe poter generare risorse fiscali nuove, da reperire attraverso nuovi tributi. Il rendimento sugli Eurobond si allineerebbe sui rendimenti dei paesi con miglior merito di credito, coerente cioè con un rating tripla A della Germania o dei Paesi bassi o anche doppia A della Francia, del Belgio o dell’Austria, solo se questa capacità fiscale fosse diretta, ossia decisa ed eseguita direttamente dalle istituzioni europee. In altre parole, dovrebbe essere dato all’Unione europea il potere di stabilire e percepire direttamente alcune imposte nei paesi membri, senza che questi possano interferire.

Il modo più semplice per assicurare tale vincolo sarebbe quello di creare un vero e proprio bilancio europeo, nel quale verrebbero specificate le voci di entrata e di spesa che passerebbero dal controllo nazionale, ossia dei parlamenti nazionali, a quello europeo.

Si potrebbe ad esempio decidere che la sanità non sia più competenza nazionale ma diventi europea. Ciò comporterebbe il trasferimento a livello comunitario delle decisioni che sono attualmente di pertinenza nazionale o regionale, dai ticket sanitari alle imposte per finanziare i costi di struttura e di funzionamento, dai contratti dei medici e para-medici alle decisioni su quali ospedali tenere aperti e quali eventualmente chiudere, ecc. Sarebbero dunque le istituzioni europee a decidere il livello della spesa sanitaria nei vari paesi e come coprirla, attraverso maggiori tasse o contraendo nuovo debito. Si potrebbero fare altri esempi di settori del bilancio che potrebbero essere finanziati attraverso meccanismi europei, incluso l’indebitamento, come l’assistenza contro la disoccupazione o il sistema pensionistico, ma ciò comporterebbe il trasferimento al livello comunitario delle decisioni in questi settori, inclusa l’età pensionabile, i contributi previdenziali e le norme che regolano il mercato del lavoro. Una tale scelta non è impossibile, anzi forse desiderabile in alcuni settori. Non si può tuttavia ignorare che ciò comporti un trasferimento di sovranità molto rilevante, che probabilmente non tutti i paesi sono pronti ad affrontare, inclusa l’Italia.

In sintesi, gli Eurobond possono essere emessi per finanziare spesa corrente solo se i poteri di gestire quella spesa, e di coprirne le entrate, vengono trasferiti a livello europeo. Chi propone l’adozione di Eurobond deve pertanto specificare quali componenti del bilancio nazionale, dal lato delle entrate e delle spese, dovrebbero essere sottratti alla potestà del parlamento nazionale e regionale e trasferiti a livello dell’Unione. Senza questo chiarimento la proposta non sta in piedi, e crea inutili illusioni.

Per evitare il problema delle garanzie, è stato proposto da alcuni osservatori che gli Eurobond vengano acquistati direttamente dalla Banca centrale europea, al momento dell’emissione. Ciò non è consentito legalmente, né sarebbe peraltro desiderabile. Gli statuti della BCE – come quelli di tutte le banche centrali di paesi avanzati – non consentono l’acquisto di titoli pubblici o privati sul mercato primario. Questo divieto nasce proprio dall’intenzione di evitare che la moneta venga usata come strumento fiscale non democraticamente legittimato dal parlamento o per falsare i prezzi di mercato. L’acquisto di titoli da parte della banca centrale a un valore nominale, che sarebbe superiore a quello di mercato in assenza delle garanzie spiegate sopra, comporterebbe una perdita di bilancio che comunque si tradurrebbe in minori utili retrocessi ai tesori nazionali. Rappresenterebbe di fatto un esproprio del capitale dell’istituto di emissione. Peraltro, l’articolo 21 dello statuto della BCE che vieta il finanziamento monetario degli stati e non può essere modificato se non con l’accordo di tutti gli stati membri, con ratifica da parte di ciascuno stato secondo le procedure previste. Anche se ci fosse il consenso tra i vari paesi, il che non è attualmente il caso, la procedura potrebbe prendere molto tempo.

Il problema delle garanzie non si porrebbe se gli Eurobond venissero emessi per finanziare progetti infrastrutturali europei. Tuttavia, i proventi della gestione delle infrastrutture dovrebbero essere trasferiti automaticamente a livello europeo, in base allo stesso ragionamento di cui sopra.

Anche in questo caso, deve trattarsi di infrastrutture e di asset nuovi. Se, come è stato proposto da qualche osservatore, venissero messi a garanzia degli eventuali Eurobond delle infrastrutture o degli asset esistenti, come le partecipazioni statali, si avrebbe come effetto di diminuire le garanzie sui titoli di stato in essere dei paesi membri, con il rischio di ridurne il merito di credito e di aumentarne il tasso d’interesse al momento al momento del rinnovo alla scadenza. Ad esempio, se l’Italia utilizzasse parte del patrimonio nazionale – immobiliare o mobiliare – per l’emissione di Eurobond, i titoli di debito pubblico italiano in essere diventerebbero più rischiosi e il loro rinnovo alla scadenza comporterebbe un aumento degli interessi.

In conclusione, gli Eurobond non possono essere usati per finanziare spesa corrente, a meno di trasferimenti importanti di sovranità dal livello nazionale al livello europeo.

Che cosa può essere fatto, allora, in concreto?

Una soluzione, che è attualmente in discussione a livello europeo, consiste nel far emettere titoli obbligazionari europei da una istituzione comune come il Meccanismo Europeo di Stabilità, che ha un rating Tripla A, grazie a una serie di garanzie sul proprio capitale conferita dai paesi membri. Il MES ha già emesso titoli per finanziare prestiti agli stati membri che hanno contratto un programma di aggiustamento, come la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda. Il MES ha la possibilità di emettere ancora circa 400 miliardi di euro. I proventi di questa emissione verrebbero prestati ai paesi membri che ne fanno domanda.

Questo meccanismo comporta un aumento del debito pubblico dei paesi che ne usufruiscono, anche se sotto forma di debito bilaterale nei confronti del MES piuttosto che di titoli obbligazionari venduti sul mercato. Il vantaggio è che il costo del debito è più basso, in particolare per i paesi che hanno un rating inferiore alla Tripla A, e che non ci sono rischi di liquidità e di rifinanziamento per la durata del prestito.

Il problema di questo meccanismo riguarda le condizioni alle quali il MES può erogare i fondi ai paesi che ne fanno richiesta. Le procedure esistenti prevedono che debba essere concordato con le istituzioni europee un programma di aggiustamento finanziario. Ciò crea, nel contesto attuale, un problema reputazionale per gli stati membri, perché le esigenze finanziarie non derivano tanto da difficoltà provocate da una gestione imprudente delle finanze pubbliche quanto da una crisi sistemica, dovuta ad un fattore esogeno come il Coronavirus.

La proposta di riforma del MES, che l’Italia finora blocca, prevede linee di credito precauzionali con condizionalità leggera. E’ possibile concordare una condizionalità ancor più leggera, legata ad un monitoraggio ex post delle risorse utilizzate per far fronte all’emergenza economica provocata dalla crisi sanitaria.

Rimane anche in questo caso un problema di stigma. Se ad usare questi fondi fosse un solo paese, o un gruppo limitato di paesi, ciò potrebbe essere interpretato, dal punto di vista politico o dell’accesso ai mercati finanziari, come un segnale di debolezza. Se invece vi facessero ricorso tutti i paesi dell’area dell’euro, la dimensione europea dello strumento tenderebbe a prevalere e non ci sarebbe più alcun stigma. D’altra parte, alcuni paesi, in particolare quelli con rating tripla A o doppia A, non avrebbero un vantaggio materiale ad usare questo strumento, dato che già si indebitano a tassi relativamente bassi. Inoltre, maggiore sarebbe il numero di paesi partecipanti, più limitati sarebbero i fondi a disposizione di ciascuno. Se ad esempio tutti i paesi partecipassero, secondo una chiave di ripartizione basata sul reddito nazionale e la popolazione, l’Italia potrebbe ottenere circa 70 dei 400 miliardi disponibili. L’ammontare sarebbe ben maggiore se i paesi con tassi d’interesse più bassi non facessero ricorso a questa facility del MES. Si tratta dunque di avere un numero di paesi sufficientemente ampio per evitare lo stigma, senza “sprecare” le risorse per paesi che hanno maggiore possibilità di indebitarsi direttamente sul mercato.La capacità di indebitamento del MES può essere ovviamente aumentata oltre i 400 miliardi, basta aumentarne il capitale con contributi degli stati membri.

Un punto finale riguarda il coinvolgimento della Banca centrale europea. Molte proposte fatte in questi giorni chiedono che la BCE acquisti i titoli emessi dal MES nell’ambito della sua politica di quantitative easing, che in seguito all’annuncio della settimana scorsa supera i mille miliardi di euro.

Sarebbe un errore. I titoli emessi dal MES hanno il rating più elevato e sono pertanto molto richiesti, soprattutto in questa fase di instabilità dei mercati. Sono peraltro appetibili non solo per le istituzioni finanziarie europee, in particolare le banche che hanno in bilancio un eccesso di titoli di stato nazionali, ma anche per quelle non-europee, come titolo sintetico europeo di ottima qualità. Il titolo emesso dal MES è di fatto il “safe asset”, cioè privo di rischio, europeo.

Non ha dunque alcun senso che la BCE crei liquidità acquistando un titolo già liquido e sicuro come quello emesso dal MES, che

Gli Eurobond possono essere emessi per finanziare spesa corrente solo se i poteri di gestire quella spesa vengono trasferiti a livello europeo

La Bce dovrebbe continuare a concentrare i suoi acquisti sui titoli esistenti, emessi dagli stati nazionali o da emittenti privati

gli operatori finanziari richiedono in abbondanza. Non sarebbe il modo migliore per far fronte alle attuali tensioni dei mercati finanziari, generati dal desiderio degli operatori di disfarsi dei titoli meno liquidi, che creano forti divaricazioni degli spread.

La BCE dovrebbe piuttosto continuare a concentrare i suoi acquisti sui titoli esistenti, emessi dagli stati nazionali o da emittenti privati. Ciò consentirebbe di assecondare al meglio la domanda di liquidità, sostituendo attività finanziarie con moneta di banca centrale. Consentirebbe anche di ridurre il rischio di illiquidità, fin quando i titoli detenuti dalla BCE vengono rinnovati alla loro scadenza, il che dovrebbe essere a lungo il caso come suggerisce l’esperienza americana.

Vale la pena ricordare al riguardo che l’Eurosistema – ossia la BCE più le banche centrali nazionali dei paesi dell’area dell’euro – detiene attualmente circa il 20 per cento del debito pubblico italiano, per effetto delle misure messe in atto fino ad ora. Le decisioni di questi giorni comportano la possibilità di ulteriori acquisti per circa il 10 per cento. Ciò significa che, al netto dei titoli detenuti dalle autorità monetarie, il debito pubblico italiano ammonterebbe a meno del 100 per cento del Prodotto lordo.

In conclusione, il dibattito sugli Eurobond pone – soprattutto all’Italia – due importanti scelte politiche. La prima consiste nel farsi promotore di un ampio trasferimento di competenze economiche e sociali dal livello nazionale a quello europeo, necessario per dare all’Unione la capacità di finanziare titoli europei. La seconda è quella di togliere il veto alla riforma del MES, magari rafforzandone ulteriormente il potenziale con una condizionalità calibrata anche per i casi di crisi sistemiche.

Le due scelte non sono necessariamente alternative. Possono anzi essere complementari e portate avanti con una diversa scadenza temporale. Vanno tuttavia fatte in modo esplicito. Altrimenti è inutile, e illusorio, parlare di Eurobond.
 

Fabrib

Forumer storico
SI FA PRESTO A DIRE EUROBOND
.
Sabato mattina, alla radio, Michele Boldrin la pensava alla stessa maniera.

...In sintesi, gli Eurobond possono essere emessi per finanziare spesa corrente solo se i poteri di gestire quella spesa, e di coprirne le entrate, vengono trasferiti a livello europeo. Chi propone l’adozione di Eurobond deve pertanto specificare quali componenti del bilancio nazionale, dal lato delle entrate e delle spese, dovrebbero essere sottratti alla potestà del parlamento nazionale e regionale e trasferiti a livello dell’Unione. Senza questo chiarimento la proposta non sta in piedi, e crea inutili illusioni...
 

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