OT: Topic del cazzeggio

E' morto Gianfranco de Laurentis, mitico giornalista sportivo. I meno giovani se lo ricorderanno con trasmissioni come dribbling, la domenica sportiva e altre. Mi spiace.

GIANFRANCO DE LAURENTIIS

Ho letto la notizia poco fa, dispiace molto anche a me. Nulla a che vedere con i fenomeni che oggi strepitano e straparlano in telecronaca.
 
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DOMANI/Serughetti

La manipolazione delle aspettative come potere
OCTOBER 17, 2020
  • Dovrebbe il governo, fare come insegnava Machiavelli di fronte alla «fortuna», cioè davanti a tutto ciò che non è nel controllo della volontà umana.
  • La fortuna, scriveva, è come uno di quei «fiumi rovinosi», che nella piena allagano le pianure, distruggendo alberi ed edifici, non lasciando a nessuno la possibilità di opporsi.
  • «Quando sono tempi quieti», il governo può «fare provvedimenti, e con ripari e argini», in modo che, al sopravvenire della piena dei fiumi, «l’impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso».
«Arriva il coprifuoco». «L’Italia chiude». «Ecco la stretta». I titoli si rincorrono mentre i contagi crescono e dal vertice di governo trapelano le prime indiscrezioni rispetto ai contenuti del decreto di prossima emanazione.
Tremano i genitori di figli in età scolare, i proprietari di ristoranti e bar, di palestre e centri benessere, i lavoratori della spettacolo. Si tratta solo di anticipazioni. Ma le anticipazioni dei Dpcm – l’abbiamo imparato nel corso della prima ondata – funzionano come strumento di governo, producono effetti destabilizzanti sui comportamenti, alternano percezioni, inducono risposte psicologiche.
Queste conseguenze siamo autorizzati a pensare che non siano casuali. Per settimane, da quando la curva dei contagi ha ricominciato a salire, è risuonato come un mantra il proclama «non ci sarà un nuovo lockdown».
Ora, uno stile di comunicazione fatto di anticipazioni sulle misure restrittive, valutazione delle reazioni, e infine decisione, sembra funzionale a governare, sul piano emozionale (e del consenso), l’inversione di rotta attualmente in corso. Ciò che manca, invece, è chiarezza nella visione politica, al di là della capacità di risposta puntuale alle circostanze che di volta in volta si presentano.
Il timore di una seconda ondata autunnale dell’epidemia circola da maggio, da quanto cioè è cominciato l’allentamento delle misure disposte nella fase 1.
Eppure, mentre si inaugurava la fase di «convivenza con il virus», il prefisso “post” ha cominciato ad accompagnare tutti i discorsi sul Covid-19. Si è diffusa cioè, nel discorso pubblico, la convinzione di trovarsi nel «dopo», di aver scampato il pericolo e di dover pensare alla ricostruzione di condizioni di vita ordinarie. Come se il «prima», l’epidemia, non fosse più attuale.
Non c’è dubbio che, per chi ci governa, questa prospettiva, confortata dalla curva discendente dei contagi nell’estate, risultasse funzionale anche a rassicurare gli attori economici e i mercati. Ma davvero nessuno si aspettava quel che ora sta succedendo? E se se lo aspettavano, perché non hanno operato per rendere strutturali, in chiave preventiva, misure di mitigazione del rischio come il telelavoro in tutti i settori in cui è applicabile, o la riorganizzazione dei tempi e dei trasporti pubblici? Se la riapertura delle scuole ha segnato il traguardo, anche psicologico, del ritorno alla piena socialità, non sarebbe stato utile però, al contempo, lavorare per potenziare strumenti e metodi della didattica a distanza, in vista di possibili necessità di ri-confinamento?
E ancora: i dati Istat segnalano la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, e la Caritas segnala un aumento drammatico delle persone in povertà assoluta, in particolare donne con figli minori. Intanto, però, la forza politica di maggioranza che esprime la ministra per le Pari Opportunità si dice favorevole allo sblocco dei licenziamenti. In vista di cosa? Di una ripresa dell’economia che non è all’orizzonte? O di un allargamento del disagio estremo e della marginalità?
Sembra, insomma, che aver pensato di trovarsi nel «dopo-Covid» abbia impedito finora di cogliere il carattere processuale, non puntuale, dell’evento pandemico. Coglierne il carattere processuale significa rintracciare le condizioni che hanno generato la diffusione della malattia e le sue aspre conseguenze, in primis la devastazione ambientale e le diseguaglianze sociali. Ma significa anche fare di questa comprensione una spinta all’azione, volta sia verso il presente sia verso il futuro. Un presente che non è il dopo ma il «durante» dell’epidemia; e un futuro da costruire, anche nella consapevolezza di possibili nuove catastrofi.
Dovrebbe insomma, il governo, fare come insegnava Machiavelli di fronte alla «fortuna», cioè davanti a tutto ciò che non è nel controllo della volontà umana. La fortuna, scriveva, è come uno di quei «fiumi rovinosi», che nella piena allagano le pianure, distruggendo alberi ed edifici, non lasciando a nessuno la possibilità di opporsi. Ma è qui che può intervenire l’agire umano, in particolare il potere politico: «quando sono tempi quieti», può «fare provvedimenti, e con ripari e argini», in modo che, al sopravvenire della piena dei fiumi, «l’impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso». Quel potere «che si appoggia tutto in sulla fortuna», è destinato alla rovina. Non così, quello capace di visione, anzi di pre-visione, di un futuro che è già presente.
 
orari in cui notoriamente la gente si aggrega, un segnale che lo svago è male e cosa proibita
ma la gente del resto pensa che fuori la porta di casa ci sia la morta ad attenderla
sotto natale ne vedremo delle belle
 
orari in cui notoriamente la gente si aggrega, un segnale che lo svago è male e cosa proibita
ma la gente del resto pensa che fuori la porta di casa ci sia la morta ad attenderla
sotto natale ne vedremo delle belle
Non mi pernetto di definire stupido il coprifuoco ma la differenza dell'ora di inizio tra due regioni della stessa nazione
 
«Qui mi serve un direttore generale di assoluta fiducia», pensò dopo la nomina (tutta politica in una società tutta pubblica) l’amministratore delegato di SoseVincenzo Atella. Pensa e ripensa, assunse sé stesso. Al triplo dello stipendio che aveva come docente universitario. Cattedra che comunque decise di tenere (di riserva: non si sa mai...) mettendosi in aspettativa. Il tutto, agli esordi del «governo del cambiamento» giallo-verde. Con un contorno di consulenze a stagionati ottantenni da 650 euro al giorno e incarichi a colleghi docenti da 800 euro l’ora...
Ma partiamo dall’inizio. Cioè dalla Sose (Soluzioni per il Sistema Economico), una società con 160 dipendenti controllata interamente dal ministero dell’Economia (88%) e dalla Banca d’Italia (12%), che si occupa di analisi strategica dei dati in materia tributaria (come lo sviluppo degli Indici Sintetici di Affidabilità che hanno sostituito gli Studi di settore o la determinazione dei Fabbisogni Standard) e fattura praticamente il 100% (21,1 milioni nel 2019) al suo principale «proprietario»: il Mef. Per capirci: una S.p.A. con concorrenza zero, posti blindati, rendite sicure, niente competitività sul mercato. Men che meno rischi anche in caso di smottamenti finanziari. Ripianati, ovvio, con soldi pubblici. Lo scossone arriva a maggio 2018. Giorni roventi. Che andranno a chiudersi con la formazione dell’esecutivo grillo-leghista guidato da Conte, annunciato da Luigi Di Maio come il «governo del cambiamento» perché «prima si è discusso di temi e poi di nomi» e nel contratto sono previsti «sistemi realmente meritocratici».
In attesa della rivoluzione «virtuosa», il ministero dell’Economia mette le mani avanti e per 8 volte in 6 mesi va a vuoto la convocazione dell’assemblea dei soci fino a spingere l’allora ad Vieri Ceriani (economista laureato con Federico Caffè, per anni all’ufficio studi Bankitalia, sottosegretario tecnico con Monti, alla guida del «tavolo sull’erosione fiscale» che aveva mappato 720 agevolazioni fiscali), ad andarsene. Niente dimissioni di cortesia: grazie, fuori. Con tutto il cda. «Meglio la ghigliottina», gli avrebbero sentito dire, «sarebbe stata più rispettosa...».
Siamo nel dicembre 2018. Al suo posto il responsabile del Mef Giovanni Tria, fino a pochi mesi prima docente di economia a Tor Vergata, sceglie d’accordo con lo storico direttore generale, Fabrizia Lapecorella (al suo posto dal 2008 con diversi governi) un collega che conosce bene. Si chiama Vincenzo Atella, insegna lui pure economia a Tor Vergata e diventa amministratore delegato a 99 mila euro di fisso e 35 mila variabile. Lordi. Alla presidenza arriva Antonio Borrello, dirigente delle Entrate e nel cda entra come terzo membro Laura Serlenga, docente all’Università di Bari. La stessa che elenca ancora tra i docenti attuali (in aspettativa, si immagina) Fabrizia Lapecorella. Va da sé che in azienda c’è chi, sulla doppia coppia di atenei paralleli, solleva perplesso il sopracciglio: era proprio il caso?
Più sconcerto ancora, però, solleva la mossa successiva. Il nuovo amministratore delegato viene infatti nominato dal cda (cioè dagli altri due membri, ammesso che lui se ne fosse uscito a bere un caffè) anche direttore generale. Non è più una (legittima) scelta politica in un’azienda pubblica esposta ai cambi d’umore di un partito o un ministro: è una vera e propria assunzione. Definitiva. Con tutte le certezze di cui godono i dipendenti pubblici. Compresa quella di irrigidirsi in caso di rimozione o trattare una sostanziosa buonuscita. Già messa in conto con l’accantonamento delle eventuali somme da sborsare. Certo, Vincenzo Atella rinuncia agli emolumenti da ad (alla carica no) ma viene preso a tempo indeterminato a 190 mila euro annui, quasi il triplo dello stipendio (66 mila circa) da docente universitario. Gerarchicamente, a questo punto, è il diretto superiore di se stesso.
Tema: è tutto formalmente correttissimo? Può essere. Non vogliamo entrarci. Decideranno, eventualmente, altri. Le perplessità sulla opportunità di tutta l’operazione, però, restano. E pesano. Tanto più per la coltre di (imbarazzati?) silenzi che fino ad oggi ha rallentato se non bloccato la conoscenza dei fatti. Compresa l’evaporazione di interrogazioni parlamentari mai arrivate a compimento...
Non bastasse, tutta la faccenda è costellata di fatti, nomi, episodi, a dir poco curiosi. A spicciare le faccende legali, come dicevamo, pensa tra gli altri un ottantenne, Pierluigi Semiani. Pensionato della pubblica amministrazione di lunghissimo corso (due anni prima dello sbarco sulla Luna era già assistente del sottosegretario Franco Maria Malfatti!) non potrebbe teoricamente, secondo la legge Severino del 2012 sul «pantouflage» (porte girevoli, dal francese) lavorare ancora per lo Stato. Ma di fatto la tesi è stata via via così contrastata da spingere tre mesi fa l’Anac a chiedere al Parlamento di «dirimere incertezze interpretative». Fatto sta che l’ottuagenario consulente risulta avere una collaborazione da 650 euro al giorno per 380 giorni. Cioè, par di capire, 247 mila euro per due anni e quattro mesi scarsi. Senza contare i rimborsi spese. Braccia rubate ai nipotini...
Non meno controverso l’incarico (a causa del «limitato organico di Sose», si legge in un verbale del cda) dato a Laura Serlenga, la docente membro del cda nominata responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza. Una prestazione, dice l’«autorizzazione ad incarico extra istituzionale» firmata dall’ateneo barese il 14 maggio 2019, a un carico di lavoro di 25 ore l’anno per tre anni con un compenso annuale di 20.000 euro. Vale a dire 800 l’ora. Mica male... Non manca una noterella finale. Cioè l’acquisto da parte di Sose di quadri da appendere nella stanza dell’amministratore delegato-direttore generale di cui dicevamo. Prima, raccontano, c’erano pareti spoglie o manifesti. Ora ci sono opere dell’artista italo-tedesca Susanne Kessler. Pagati 9.700 euro dalla società con regolare fattura. Fosse un’azienda privata, affari loro. Essendo pubblica, cioè di tutti i cittadini sottoposti ai minuziosi controlli dello stesso ministero, ci sarebbe da discutere... Interessante però, a vedere le immagini su Google, il tema trattato generalmente dall’artista. Grovigli ferrosi neri, grovigli ferrosi rossi, grovigli ferrosi blu... Perfetti, per un’azienda così attenta alla chiarezza.
Corsera/Grevini-Stella
 

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