OT: Topic del cazzeggio

Niente delisting, per il momento. Dan Friedkin non riesce a togliere il titolo della Roma da Piazza Affari dopo il lancio dell’opa a 0,1165 euro ad azione. Nonostante un prezzo inferiore ai minimi registrati nel corso degli ultimi cinque anni, l’adesione è stata tale da raccogliere solo 1,674% del capitale. Friedkin, dopo aver acquistato da Pallotta l’86,6% del club capitolino, avrebbe dovuto raggiungere almeno il 95% per poter procedere con lo “squeeze-out” delle minoranze. Nelle scorse settimane, il ceo della Roma Guido Fienga aveva invitato i soci ad aderire all’offerta pubblica totalitaria per permettere ai nuovi proprietari “di far progredire l’AS Roma nel programma di potenziamento del Club e, di conseguenza, di investire più risorse nella società stessa e nel rafforzamento della squadra” , ma la risposta degli azionisti non è stata tale da permettere il delisting del club giallorosso.
«Sulla base dei risultati provvisori – si legge in un comunicato della Roma – e tenuto conto delle n. 544.468.535 azioni ordinarie AS Roma, pari a circa l’86,6% del capitale sociale dell’Emittente, già detenute, direttamente e indirettamente, dall’Offerente, quest’ultimo verrebbe a detenere complessivamente, direttamente e indirettamente, n.545.881.425 azioni ordinarie AS Roma, pari all’86,8% circa del capitale sociale dell’Emittente. Alla luce di quanto precede, ad esito dell’Offerta l’Offerente detiene una partecipazione inferiore al 90%del capitale sociale dell’Emittente; pertanto, non si sono verificati i presupposti per l’esercizio dell’Obbligo di Acquisto ai sensi dell’art. 108, comma 2, del TUF ovvero dell’Obbligo di Acquisto ai sensi dell’art. 108, comma 1, del TUF e del Diritto di Acquisto, ai sensi dell’art.111 del TUF». I risultati definitivi dell’offerta saranno diffusi entro l’11 novembre.
Lo scorso 8 ottobre, nel documento di offerta pubblicato dalla Roma, si è fatto inoltre riferimento ad una possibile soluzione alternativa «qualora il Delisting non sia raggiunto ad esito dell’Offerta». In questo scenario, «l’Offerente si riserva di valutare se procedere o meno con il Delisting. Qualora l’Offerente decidesse di procedere con il Delisting, lo stesso si riserva comunque di porre in essere successive operazioni volte a tale scopo, come ad esempio la fusione per incorporazione dell’Emittente nell’Offerente (società non quotata) ovvero in un’altra società non quotata del gruppo facente capo a Thomas Dan Friedkin (la “Fusione”), a condizione che tali operazioni non comportino un esborso complessivo superiore a quello che verrebbe pagato nel contesto del Delisting conseguente all’Offerta».
Il Sole 24 ore/Bellinazzo
 
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Niente delisting, per il momento. Dan Friedkin non riesce a togliere il titolo della Roma da Piazza Affari dopo il lancio dell’opa a 0,1165 euro ad azione. Nonostante un prezzo inferiore ai minimi registrati nel corso degli ultimi cinque anni, l’adesione è stata tale da raccogliere solo 1,674% del capitale. Friedkin, dopo aver acquistato da Pallotta l’86,6% del club capitolino, avrebbe dovuto raggiungere almeno il 95% per poter procedere con lo “squeeze-out” delle minoranze. Nelle scorse settimane, il ceo della Roma Guido Fienga aveva invitato i soci ad aderire all’offerta pubblica totalitaria per permettere ai nuovi proprietari “di far progredire l’AS Roma nel programma di potenziamento del Club e, di conseguenza, di investire più risorse nella società stessa e nel rafforzamento della squadra” , ma la risposta degli azionisti non è stata tale da permettere il delisting del club giallorosso.
«Sulla base dei risultati provvisori – si legge in un comunicato della Roma – e tenuto conto delle n. 544.468.535 azioni ordinarie AS Roma, pari a circa l’86,6% del capitale sociale dell’Emittente, già detenute, direttamente e indirettamente, dall’Offerente, quest’ultimo verrebbe a detenere complessivamente, direttamente e indirettamente, n.545.881.425 azioni ordinarie AS Roma, pari all’86,8% circa del capitale sociale dell’Emittente. Alla luce di quanto precede, ad esito dell’Offerta l’Offerente detiene una partecipazione inferiore al 90%del capitale sociale dell’Emittente; pertanto, non si sono verificati i presupposti per l’esercizio dell’Obbligo di Acquisto ai sensi dell’art. 108, comma 2, del TUF ovvero dell’Obbligo di Acquisto ai sensi dell’art. 108, comma 1, del TUF e del Diritto di Acquisto, ai sensi dell’art.111 del TUF». I risultati definitivi dell’offerta saranno diffusi entro l’11 novembre.
Lo scorso 8 ottobre, nel documento di offerta pubblicato dalla Roma, si è fatto inoltre riferimento ad una possibile soluzione alternativa «qualora il Delisting non sia raggiunto ad esito dell’Offerta». In questo scenario, «l’Offerente si riserva di valutare se procedere o meno con il Delisting. Qualora l’Offerente decidesse di procedere con il Delisting, lo stesso si riserva comunque di porre in essere successive operazioni volte a tale scopo, come ad esempio la fusione per incorporazione dell’Emittente nell’Offerente (società non quotata) ovvero in un’altra società non quotata del gruppo facente capo a Thomas Dan Friedkin (la “Fusione”), a condizione che tali operazioni non comportino un esborso complessivo superiore a quello che verrebbe pagato nel contesto del Delisting conseguente all’Offerta».
Il Sole 24 ore/Bellinazzo
Ma ce le lasciassero...
 
- La mascherina bianca, stelle e strisce "Trump 2020", quella l'ha già tolta e rimessa in tasca ieri. Per tornare a esibire davanti alle telecamere la classica in versione tricolore nazional-populista.
Quel "stanno emergendo brogli, ha ragione Trump" di giovedì sera ha lasciato il posto a un più cauto "gli elettori hanno sempre ragione: è stata una grande prova di democrazia".
Metamorfosi (non solo nel look) di Matteo Salvini. -

La Repubblica

Uno come questo se non ci fosse bisognerebbe inventarlo! :D
 
Ultima modifica:
In effetti doveva succedere e finalmente è successo: in una bellissima intervista concessa a «La Repubblica», Walter Veltroni ha sottolineato che la vittoria di Joe Biden deve essere un modello per la sinistra italiana. Aveva usato le stesse identiche parole quando fu eletto Barack Obama: un modello per la sinistra italiana. Quando in Brasile fu eletto Lula, un autorevole dirigente dei Ds, Cesare Salvi, lo definì un fatto di straordinaria portata per la sinistra italiana. Quando in Spagna fu eletto José Zapatero, un altro autorevole dirigente dei Ds, Fabio Mussi, lo ritenne un punto di svolta per la sinistra italiana. Quando in Francia fu eletto François Hollande, il sempre simpatico Pierluigi Bersani individuò l’apertura di una fase nuova per la sinistra italiana. Quando negli Stati Uniti fu eletto Bill Clinton, molto sobriamente il sommo Massimo D’Alema si limitò a dichiararlo un ponte per la sinistra italiana. Quando in Gran Bretagna fu eletto Tony Blair, il bravo Piero Fassino vi scorse un esempio per la sinistra italiana. Quando in Grecia fu eletto Alexis Tsipras, l’eternamente e deliziosamente laterale Gianni Cuperlo invitò a cogliere l’opportunità per riaprire il cantiere della sinistra italiana. Persino quando in Venezuela fu eletto Hugo Chávez, ci fu chi riuscì a vedere a portata di mano la grande occasione per la sinistra italiana, e fu l’impareggiabile Fausto Bertinotti. Purtroppo non ricordo più chi intravvide anche nell’elezione di Bill de Blasio a sindaco di New York una imperdibile chance per la sinistra italiana. Poi, non so come non so quando, sono finiti a Di Maio.
La Stampa/Mattia Feltri
 

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