Certamente le osservazioni fatte possono essere condivisibili; non c'è dubbio che oggi (ma così non era ai tempi parmalat e cirio) le fonti di informazione aventi ad oggetto questioni finanziarie abbiano subito un notevole incremento grazie anche alla diffusione totale di internet. Del pari la lettura dei bilanci e dei conti economici sarebbe prioritaria per un investimento fatto con cognizione di causa. Tuttavia, spesso i crac sono frutto di bilanci falsati e di conti creati ad arte per ingannare il mercato, creando apparenze ben lontane dalla realtà dei fatti allo scopo di dare una immagine di solidità aziendale ben lontana dalla realtà (e proprio il caso parmalat, come ben saprete, ne rappresenta l'archetipo); dinnanzi a ciò nessuna tutela esiste per alcuno, se non per coloro che operano all'interno degli uffici "che contano" di tali aziende e possono avere qualche informazione o, se non altro, il sentore di ciò che potrebbe accadere. Ma quanti sono costoro?Qualche decina di persone non di più. Diverso è il discorso se la società va male perchè non è in grado di stare sul mercato mancando di competitività; in tal caso dalla lettura dei documenti contabili stilati correttamente le magagne sono ben evidenziate, per cui se le cose vanno male ben si può dire "chi è causa del suo mal pianga se stesso".
Ma comunque il problema non è tanto questo: chiediamoci chi è in grado di leggere i bilanci, chi è in grado di capire le spiegazioni che i consulenti o le banche rendono (spesso attraverso opuscoli illustrativi lunghissimi e complicatissimi intrisi di termini tecnici) ai loro clienti. Anche ad ammettere che oggi le fonti di informazione, pur gratuite, abbondano in materia (resterebbe poi da dimostrare all'atto pratico quante di queste fonti si rivelino, ad attento esame, realmente affidabili) e che gli addetti ai lavori spesso si prestano alle spiegazioni del caso, resta sempre il problema della comprensione da parte di persone spesso non in grado di capire. E ciò, si badi bene, non solo per ignoranza o mancanza di adeguata scolarità (e comunque anche per costoro credo sia innegabile il diritto di investire i propri soldi, ci mancherebbe!!!), ma altresì per mancanza di tempo disponibile. Non si può chiedere al chirurgo piuttosto che all'avvocato o al funzionario statale, impegnati 10 ore al giorno a svolgere lavori impegnativi, di concentrarsi, al rientro a casa, nella lettura di testi di finanza o di economia. Allora per lo stesso motivo tutti noi quando si rompe la macchina o l'impianto elettrico di casa, invece di andare ad arricchire i meccanici o gli elettricisti di turno potremmo prendere dei manuali di meccanica o di elettronica (o fare dei corsi serali proposti dalle regioni) e imparare da soli!! Mi sembra eccessivo pretendere una cosa del genere. Ognuno fa il suo mestiere, e nel momento in cui io entro per necessità o per interesse in un campo non mio devo mettermi nelle mani di chi quel mestiere svolge potendo confidare, oltre che nella sua preparazione (certificata dai titoli abilitanti e rifuggendo dai consulenti più o meno improvvisati), nella sua onestà. Peccato che così non sia: basta guardare i massimari di giurisprudenza degli ultimi anni per rendersi conto di quanto pieni siano di cause intentate da clienti truffati o non adeguatamente informati sulla natura dei loro investimenti.
Così come l'utente Castore dice il giusto quando afferma di non affidarsi nelle mani "del pasticcione di turno , del guru de noantri, dell'impiegatello spaccone", erra clamorosamente (mi perdonerà se dico questo) quando banalizza l'importanza della professione di chi fornisce a terzi servizi di consulenza finanziaria. Probabilmente non serviranno 6 anni di università e 4 di specializzazione, ma nemmeno può trattarsi di attività da potere svolgere nel dopolavoro serale; non si può scherzare col denaro altrui speculando sul fatto che i terzi, ripeto, ignorino cose delle quali non possono materialmente venire a conoscenza.
Scusate la lunghezze e l'obiter; per me la questione è chiusa.