Fabrib
Forumer storico
"La Repubblica":
Abbandonati nella favela in attesa del volo low cost, l'odissea olimpica dei campioni kenyani
L'incredibile rientro del team che ha vinto sei ori: "Di notte sentiamo i colpi di pistola". I dirigenti tornati subito a casa (in business?) licenziati dal governo per gli scandali. Korir, maratoneta e politico: "Felice di andarmene"
di ETTORE LIVINI
2,3mila
Wesley Korir
LA BELLA favola delle Olimpiadi del Kenya - sei ori solo nell'atletica - si è chiusa senza lieto fine e nel caos. Mezza squadra - inclusi alcuni medagliati - è rimasta parcheggiata per quattro giorni a Rio in una sorta di favela ("di notte sentiamo qui attorno i colpi di pistola", hanno twittato i diretti interessati) in attesa che scendessero i prezzi dei biglietti aerei per il rientro. I dirigenti del Comitato olimpico nazionale sono tornati subito in patria - pare in business - a raccogliere gli onori delle fatiche altrui. Ma al rientro hanno trovato una sorpresa: la lettera di licenziamento del Governo di Nairobi, che ha azzerato i vertici dello sport a cinque cerchi, accusandoli di aver pasticciato su questioni di doping, di non aver garantito servizi adeguati al team - come pare evidente dall'epilogo della trasferta - e di aver addirittura lucrato sul loro ruolo rivendendo come bagarini alcuni gadget della Nike riservati per la squadra.
A smascherare il finale fantozziano dell'avventura ai giochi degli atleti kenyani è stato il capitano del team, il maratoneta (e politico) Wesley Korir. Due sere fa, disperato, ha scattato un paio di foto, le ha caricate sul suo profilo di Twitter e ha sganciato la bomba: "Il dramma continua a Rio per il #Teamkenya: questa è la nostra casa per stanotte". Nelle immagini, eloquenti, alcune baracche fatiscenti, una strada sterrata e una macchina arrugginita divorata dalle erbacce. "Siamo la seconda miglior squadra di atletica al mondo, ed ecco come ci trattano", ha aggiunto. Nessuno sperava in un rientro trionfale come quello garantito a Team Gb, tornato a Londra a bordo di un jumbo a noleggio ribattezzato "VictoRIOus" dove sono state stappate 77 bottiglie di champagne. Ma la sistemazione fatiscente rimediata dai "burocrati" nazionali "in attesa di trovare biglietti low-cost" - come ha spiegato il capitano - ha lasciato sotto choc le stelle dello sport africano. "Non sono mai stato così felice di lasciare un paese in vita mia - è stato l'ultimo messaggio di Korir all'alba di ieri prima di decollare da Rio - . Dopo una notte piena di drammi e colpi di pistola non vedo l'ora di riabbracciare la mia famiglia".
Tutto bene quel che finisce bene? Mica tanto. Korir, sbarcato in patria, ha scoperto che la gioia per i trionfi ai Giochi è già stata soffocata da un mare di polemiche. Il Governo ha sciolto il Comitato olimpico per "aver tradito l'orgoglio del popolo kenyano "". La spedizione a Rio in effetti - al netto dei risultati sportivi - è stata un disastro. Il team manager Michael Rotich è stato espulso per aver accettato mazzette in cambio di aiuti per dribblare i test anti-doping. Un altro dirigente è stato rispedito a casa dopo aver usato i documenti di un atleta fingendosi mezzofondista (con tanto di consegna di provetta d'urine per un test) pur di ottenere l'accesso a una prima colazione gratuita. I kit forniti dalla Nike alla squadra per gli allenamenti a Rio sono quasi tutti scomparsi, rivenduti dai responsabili - dicono le malelingue - per arrotondare i benefici della trasferta. Tutto il pianeta ha visto in mondovisione il disappunto di Eliud Kipchoge, oro nella maratona, quando al rifornimento cruciale del 30esimo chilometro non ha trovato il banchetto del Kenya con acqua e idratanti. Il motivo? Nessuno l'aveva preparato. Lui ha vinto lo stesso. Poi, con alcuni dei nomi più noti della squadra, è tornato a casa - arrabbiatissimo - pagando di tasca proprio il viaggio e risparmiandosi così il "supplemento favela". Ma una volta in Kenya si è rifiutato di prendere parte ai festeggiamenti ufficiali per protesta.
I fenomeni della Rift Valley del resto sono da tempo ai ferri corti con il governo per motivi economici: lo stesso Korir aveva minacciato a nome di tutti i compagni una sorta di sciopero bianco (no a meeting e Olimpiadi) se il Governo non avesse ritirato un giro di vite fiscale - pari a un prelievo del 30% - sui premi già tassati all'estero. Una tagliola che ha convinto molti dei campioni forgiati nel campus di Eldoret a cambiare casacca e correre per Qatar e Bahrain, che oltre a essere paradisi offshore garantiscono agli atleti pure una pensione a fine carriera.
La coda polemica della trasferta di Rio pare ora destinata a durare a lungo. I vertici del Comitato olimpico nazionale hanno alzato le barricate: "Non abbiamo fatto niente di sbagliato - ha detto il segretario generale Francis Paul - . Solo il Cio può chiederci di farci da parte, questa è interferenza politica. Domani saremo in ufficio a fare il nostro lavoro". Il braccio di ferro rischia di trasformarsi in una sfibrante maratona. Più che d'oro, di fango.
Abbandonati nella favela in attesa del volo low cost, l'odissea olimpica dei campioni kenyani
L'incredibile rientro del team che ha vinto sei ori: "Di notte sentiamo i colpi di pistola". I dirigenti tornati subito a casa (in business?) licenziati dal governo per gli scandali. Korir, maratoneta e politico: "Felice di andarmene"
di ETTORE LIVINI
2,3mila
Wesley Korir
LA BELLA favola delle Olimpiadi del Kenya - sei ori solo nell'atletica - si è chiusa senza lieto fine e nel caos. Mezza squadra - inclusi alcuni medagliati - è rimasta parcheggiata per quattro giorni a Rio in una sorta di favela ("di notte sentiamo qui attorno i colpi di pistola", hanno twittato i diretti interessati) in attesa che scendessero i prezzi dei biglietti aerei per il rientro. I dirigenti del Comitato olimpico nazionale sono tornati subito in patria - pare in business - a raccogliere gli onori delle fatiche altrui. Ma al rientro hanno trovato una sorpresa: la lettera di licenziamento del Governo di Nairobi, che ha azzerato i vertici dello sport a cinque cerchi, accusandoli di aver pasticciato su questioni di doping, di non aver garantito servizi adeguati al team - come pare evidente dall'epilogo della trasferta - e di aver addirittura lucrato sul loro ruolo rivendendo come bagarini alcuni gadget della Nike riservati per la squadra.
A smascherare il finale fantozziano dell'avventura ai giochi degli atleti kenyani è stato il capitano del team, il maratoneta (e politico) Wesley Korir. Due sere fa, disperato, ha scattato un paio di foto, le ha caricate sul suo profilo di Twitter e ha sganciato la bomba: "Il dramma continua a Rio per il #Teamkenya: questa è la nostra casa per stanotte". Nelle immagini, eloquenti, alcune baracche fatiscenti, una strada sterrata e una macchina arrugginita divorata dalle erbacce. "Siamo la seconda miglior squadra di atletica al mondo, ed ecco come ci trattano", ha aggiunto. Nessuno sperava in un rientro trionfale come quello garantito a Team Gb, tornato a Londra a bordo di un jumbo a noleggio ribattezzato "VictoRIOus" dove sono state stappate 77 bottiglie di champagne. Ma la sistemazione fatiscente rimediata dai "burocrati" nazionali "in attesa di trovare biglietti low-cost" - come ha spiegato il capitano - ha lasciato sotto choc le stelle dello sport africano. "Non sono mai stato così felice di lasciare un paese in vita mia - è stato l'ultimo messaggio di Korir all'alba di ieri prima di decollare da Rio - . Dopo una notte piena di drammi e colpi di pistola non vedo l'ora di riabbracciare la mia famiglia".
Tutto bene quel che finisce bene? Mica tanto. Korir, sbarcato in patria, ha scoperto che la gioia per i trionfi ai Giochi è già stata soffocata da un mare di polemiche. Il Governo ha sciolto il Comitato olimpico per "aver tradito l'orgoglio del popolo kenyano "". La spedizione a Rio in effetti - al netto dei risultati sportivi - è stata un disastro. Il team manager Michael Rotich è stato espulso per aver accettato mazzette in cambio di aiuti per dribblare i test anti-doping. Un altro dirigente è stato rispedito a casa dopo aver usato i documenti di un atleta fingendosi mezzofondista (con tanto di consegna di provetta d'urine per un test) pur di ottenere l'accesso a una prima colazione gratuita. I kit forniti dalla Nike alla squadra per gli allenamenti a Rio sono quasi tutti scomparsi, rivenduti dai responsabili - dicono le malelingue - per arrotondare i benefici della trasferta. Tutto il pianeta ha visto in mondovisione il disappunto di Eliud Kipchoge, oro nella maratona, quando al rifornimento cruciale del 30esimo chilometro non ha trovato il banchetto del Kenya con acqua e idratanti. Il motivo? Nessuno l'aveva preparato. Lui ha vinto lo stesso. Poi, con alcuni dei nomi più noti della squadra, è tornato a casa - arrabbiatissimo - pagando di tasca proprio il viaggio e risparmiandosi così il "supplemento favela". Ma una volta in Kenya si è rifiutato di prendere parte ai festeggiamenti ufficiali per protesta.
I fenomeni della Rift Valley del resto sono da tempo ai ferri corti con il governo per motivi economici: lo stesso Korir aveva minacciato a nome di tutti i compagni una sorta di sciopero bianco (no a meeting e Olimpiadi) se il Governo non avesse ritirato un giro di vite fiscale - pari a un prelievo del 30% - sui premi già tassati all'estero. Una tagliola che ha convinto molti dei campioni forgiati nel campus di Eldoret a cambiare casacca e correre per Qatar e Bahrain, che oltre a essere paradisi offshore garantiscono agli atleti pure una pensione a fine carriera.
La coda polemica della trasferta di Rio pare ora destinata a durare a lungo. I vertici del Comitato olimpico nazionale hanno alzato le barricate: "Non abbiamo fatto niente di sbagliato - ha detto il segretario generale Francis Paul - . Solo il Cio può chiederci di farci da parte, questa è interferenza politica. Domani saremo in ufficio a fare il nostro lavoro". Il braccio di ferro rischia di trasformarsi in una sfibrante maratona. Più che d'oro, di fango.