OT: Topic del cazzeggio (1 Viewer)

Fabrib

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I segreti della coda alla vaccinara
Le origini, la tradizione, il segreto, il contorno perfetto: le quattro caratteristiche della tradizionale ricetta romana...
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Coda alla Vaccinara





11/10/2016
SALVO CAGNAZZO (NEXTA)

LE ORIGINI – La ricetta nasce nel cuore di Roma, nel rione Regola, dove anticamente abitavano i vaccinari. La coda è la “regina” del quinto quarto, ovvero di tutti gli scarti della vaccina. Rientrano in questa categoria anche la trippa, la pajata, il cuore, la milza e le frattaglie. Si possono utilizzare sia la coda di vitello che quella di manzo, ma il secondo tipo di carne richiede una cottura più lunga.

LA TRADIZIONE – Esistono due versioni principali: la prima è quella di Ada Boni nel suo libro La cucina romana, datato 1929. L’autrice prepara con la stessa carne un primo piatto, con il brodo ottenuto lessando la coda, e poi un secondo, con la carne vera e propria. L’altra versione, più golosa, si arricchisce di una salsa a base di cacao amaro, pinoli e uva passa.

IL SEGRETO – Gli ingredienti di contorno, che siano uva sultanina e pinoli, importano poco. Il segreto è nel lungo lavoro necessario per pulire la carne dal suo sangue e nella cottura lentissima. La coda a pezzi, infatti, viene fatta rosolare per circa 20 minuti, a fuoco basso, con un trito di verdure. Poi, aggiunti i pomodori, saranno necessari tempi ben più lunghi, dalle 2 alle 3 ore. La cottura è corretta quando la carne inizia a staccarsi dalle ossa.

IL CONTORNO PERFETTO – Per un sapore più tradizionale ed antico, realizzate un trito composto da aglio, cipolla, prezzemolo, carota, lardo e prosciutto. Aggiungete in un secondo momento salsa di pomodoro e sedano sbollentato. Fate in modo che la salsa si restringa, ma non troppo. Se necessario aggiungere dell’acqua calda.

Articolo pubblicato oggi da "La Stampa"; si direbbe scambi culturali in corso. A Roma francobolli e a Torino delicatessen.
 

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E non c'è niente da capire...

Tutte le giravolte degli ex Pci sulla legge elettorale
Dal doppio turno di collegio al no preferenze, fino alla battaglia per le preferenze

12/10/2016
MATTIA FELTRI
ROMA
Tenetevi forte: saliamo sulle montagne russe. Dicembre 2005, nasce il Porcellum. È in fasce e fa già schifo a tutti, per capirlo basta il nome. Negli anni sarà definito schifezza, indecenza, vergogna, verrà dichiarato incostituzionale, si invocheranno governi di scopo per cancellarlo. Ma dura tre elezioni: una vinta a destra, l’altra a sinistra, la terza finita in pareggio. Ma quando a fine 2011 era arrivato Mario Monti, i partiti non avevano altra incombenza che rifare la legge elettorale. Un un terzetto di prescelti - Maurizio Migliavacca per il Pd, Denis Verdini per il Pdl, Nando Adornato per i centristi - si incontra e tratta. Il Pd vuole il sistema francese con doppio turno di collegio, il Pdl risponde ok, perfetto, allora dateci il semipresidenzialismo. Il semipresidenzialismo? Mai! Provocazione! Scandalo! Insomma, salta tutto (se non riuscite a stare dietro a doppi turni, collegi eccetera non importa, la trama non ne risentirà). Allora il Pdl dice: teniamo il Porcellum e aggiungiamo le preferenze, così l’elettore si sceglie il parlamentare. Le preferenze? Mai! Provocazione! Scandalo! Anna Finocchiaro: «Siamo contrari alle preferenze». Pierluigi Bersani: «Collegi, non preferenze, non possiamo metterci fra Tangentopoli e la Grecia». Vannino Chiti: «Niente ritorno alle preferenze». Salta tutto. Si torna al voto col Porcellum, febbraio 2013.


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Bersani non riesce a fare il governo. Lo fa Enrico Letta col centrodestra. Si comincia a lavorare alla nuova legge elettorale. Si istituisce un apposito comitato di saggi. Nel frattempo, nel Pd, Roberto Giachetti, che è in sciopero della fame per sollecitare la cancellazione del Porcellum, propone - per sicurezza, casomai i saggi fallissero, o si dovesse tornare alle urne - di ripristinare il Mattarellum, la legge degli anni Novanta. Bastano quindici giorni, dice. Il Mattarellum, capito? Cioè: niente preferenze, ma collegi. Eppure nel Pd firmano soltanto in una cinquantina. Ma a poco a poco arrivano altri, da Scelta civica, dal Pdl (Antonio Martino), da Sel, e quando si tratta di votare una mozione di indirizzo, una semplice dichiarazione d’intenti, il Pd con segretario Guglielmo Epifani riunisce il gruppo parlamentare e le firme vengono ritirate. Tutte. Di colpo, niente collegi. Fate attenzione: quando il Pdl voleva le preferenze, il Pd voleva i collegi. Quando Giachetti voleva i collegi, il Pd non li voleva più: stava passando alle preferenze. La mozione viene votata dai grillini: se il Pd ci fosse stato, oggi ci sarebbe il Mattarellum.



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Se ne va Letta, tocca a Matteo Renzi e si incardina l’Italicum, che non prevede preferenze, ma brevi liste bloccate. E - magia! - la minoranza del Pd, che era maggioranza fino all’arrivo di Renzi, si invaghisce delle preferenze. Bersani: «I cittadini debbono poter scegliere i loro deputati. Su questo non intendo desistere: va bene la ditta e la fedeltà ma quando si arriva a temi di democrazia...». Gianni Cuperlo sarebbe ancora per i collegi ma «vanno bene anche le preferenze». Miguel Gotor raccoglie le firme attorno a una proposta: 25 per cento di nominati, 75 per cento con le preferenze. Si rifà l’Italicum. Come chiede la minoranza Pd, si cambiano le soglie per entrare in Parlamento e per ottenere il premio di maggioranza, soprattutto si inseriscono le preferenze nelle percentuale del settantacinque. Tutto a posto? No. Adesso la minoranza Pd ci ha pensato bene, vuole il Mattarellum che non voleva quando a volerlo era Giachetti. La minoranza Pd riraccoglie le firme per «riequilibrare governabilità e rappresentanza e dare diritto di tribuna ai partiti più piccoli». Cuperlo: «Si riparte insieme dal Mattarellum!». Ripartiamo: che verbo preciso.
 

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