Segnatevi in agenda la data del 21 luglio. Non ci sarà nessuna Grexit; nessun accordo sul nucleare iraniano; nessuna svolta nell’impegno internazionale contro i tagliagole dell’Isis.  Sembra che da queste cose il nostro presidente del Consiglio sia  piuttosto distratto. No, il 21 luglio, come annunciava un po’  pomposamente Repubblica qualche giorno fa, “Matteo Renzi salirà al Quirinale insieme a Gaetano Quagliariello – tenendolo per mano? – per farlo giurare come nuovo ministro per gli Affari regionali”.  Con l’occasione dovrebbero entrare nell’esecutivo anche due nuovi  viceministri, che andranno a occupare poltrone rimaste vuote da un po’ e  tenute in caldo per “i responsabili” della minoranza interna del Pd. Il nuovo gruppo che ha come leader il giovane ministro Maurizio Martina, forse la vera carta che Renzi ha in mente di giocare per la difficile competizione del prossimo anno a Milano, qualora non gli riuscisse di far rientrare il gran rifiuto di Giuliano Pisapia. A completare il rimpasto dovrebbe esserci anche il recupero di un posto a favore di Scelta Civica, visto che la ministra Stefania Giannini,  senza che nessuno per la verità ci avesse fatto caso, ha deciso di  passare armi e bagagli al Pd. A perdere una posizione dovrebbe essere il  Ncd, ormai destinato a svolgere il ruolo dello zerbino  di Renzi. A seguire le vicende degli alleati del Pd c’è da perdere la  testa. Dall’implosione dell’utopia centrista, è derivata una girandola di sigle, di scissioni,  di migrazioni e di promozioni che sfugge a qualsiasi logica  ricostruttiva. Inesplicabile. Forse a capirci qualcosa potrebbe essere  proprio la professoressa Giannini, esperta di “percorsi  metalinguistici”. Un po’ come per la frantumazione delle minoranze dem,  grazie alla quale dovrebbe rientrare nelle stanze del governo il  sempiterno Cesare Damiano, a suo tempo leader della contestazione al job  acts.