Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

posted by Mitt Dolcino
Mentre politici e alti ufficiali italiani vicini ad ambienti militari chiedono un cambio di rotta, i media finanziari riesumano l’Italexit: coincidenza?



Beh, a giudicare dal freddo calcolo di Mishtalk, considerare oggi l’uscita dall’euro come una possibilità concreta sembrerebbe un’ipotesi razionale, anzi di mera sopravvivenza per l’Italia. Nell’ordine, la situazione economica italiana secondo il rinomato blog britannico è la seguente (analisi correttissima, ndr):

  1. Il sistema bancario italiano è insolvente [dopo 6 anni di nefasta austerità EUroimposta]
  2. Un’altra crisi umanitaria si sta preparando (dalla Libya; da settembre i flussi saranno enormi, ndr)
  3. la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 37% [numero spaventoso]
  4. a BCE è l’unico acquirente vero dei BTP italiani
  5. La ripresa mondiale ha i giorni contati
  6. L’Italia non ha fatto nessun passo avanti durante la ripresa globale, non è cresciuta
  7. L’Italeave NON è più tabù [finalmente]
  8. Il debito italiano su GDP è oltre il 130% e, aggiungo io, se non si considera l’economia sommersa si è attorno al 155%, livello superiore a quello che portò la Troika in Grecia
Il punto 8 è interessante in quanto non è stato tanto il debito italiano (rispetto ai partners EU) a salire quanto la crescita a mancare, ossia il denominatore del rapporto debito/PIL. E tale stallo è diretta conseguenza dell’austerità voluta dall’EUropa ed inaugurata da Mario Monti, con una perseveranza tanto soffocante nell’imporre misure non solo inutili ma anche nefaste per uscire dalla crisi da poter ipotizzare che dietro ci sia un qualche piano recondito (tedesco) taciuto alle masse ed ai mercati, un secondo fine (…).



Si noti che anche le prospettive future italiane non lasciano ben sperare, vedasi grafico di Bloomberg. Tradotto: con una siffatta economia, con l’INPS sull’orlo del fallimento ed una popolazione vecchia e che invecchia la bancarotta italiana è garantita entro 5 anni!



L’altra considerazione che va enfatizzata è come lo stesso economista tedesco H. Flassbeck abbia concluso recentemente che l’Italia per modificare l’assetto attuale dell’EU (assetto che inevitabilmente porterà Roma alla bancarotta entro massimo 5 anni, ndr) deve minacciare seriamente un’uscita dall’Euro, l’unico modo per costringere la Germania a rinegoziare il debito non solo italiano ma soprattutto Greco oltre che i trattati EU (in questo contesto ricordo che, notizia di ieri, Schauble ha ufficialmente escluso la colomba FMI dalla troika per quanto riguarda i prossimi incontri per la rinegoziazione del debito ellenico ossia espellendo l’unico attore che si batteva apertamente per un taglio unilaterale del debito di Atene).



Tradotto: la Germania gioca l’All In con l’EU tedesca e non è disposta a mollare (con nessuno, nemmeno con gli USA). Dunque, o l’Italia esce dall’Euro o finirà come la Grecia. Punto e finito il discorso.

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In questo contesto l’aspetto interessante che sta emergendo è il coro di voci, chiaramente di matrice anglosassone, che sta improvvisamente soffiando sul fuoco dell’insostenibilità dell’Italia nell’EU e, notate bene, non per fare polemica ma per la prima volta dal 2011 per trovare – sembra – una soluzione. Appunto, sembrerebbe quasi che ci sia una regia (anglosassone?) tra militari italiani, alcuni politici vicini ad ambienti militari e la stampa specializzata USA (partendo da quella informale, per ora) nel mirare ad una rottura del fronte EUropeo incentrato nell’euro. Vedasi anche i commenti allarmistici di una certa stampa straniera ad enfatizzare i blindati austriaci al Brennero, quasi si fosse all’alba di un conflitto (…).



Questo sembrerebbe denotare una prosssima vittoria dell’amministrazione di Trump sul Deep State con tutte le ripercussioni del caso a livello globale, vedremo; certo che all’arrivo del nuovo capo dell’FBI sostituto del troppo implicato Comey potrebbero partire inchieste in grado di annientare leltteralmente l’intero impianto clinton-obamiano [costruito sulla sabbia] degli ultimi 8 anni, non solo negli USA (ad es., Renzi?). La Germania oggi (per propri interessi, alas ricavarsi un posto al sole a nome dell’EU) rappresenta il baluardo del globalismo clintoniano oltre ad essere a termine il vero avversario occidentale degli USA, da cui si vuole emanicipare quanto meno in EUropa: se l’Italia esce dall’EU la Germania avrà perso tutte le sue battaglie mandando in frantumi una rincorsa durata 75 anni, ecco perchè Roma potrebbe – oggi, con Trump – valere una messa. Vedremo se a Berlino avranno fatto bene i loro calcoli.

L’antipasto in ogni caso lo avremo nelle settimane successive alla ratifica senatoriale della nomina del nuovo capocentro CIA a Roma, ossia l’Ambasciatore USA in Italia; per non parlare dell’ambasciatore presso l’EU, Tedd Mallock. Si va a poco.

Per intanto osserviamo speranzosi gli eventi.

MD
 
A CHE PUNTO E' LA NOTT€? (DA SHOCK ESTERNO) [/paste:font]

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Gomblotto! Va tutto benone: proseguiamo con le "riformeperlacrescita"!

1. Facciamo "un salto" dalle parti degli scenari di grande respiro.
Oggi, nel luglio 2017, pare sia importante parlare di crisi immigrati (quelli che fino a ieri erano le risorse che avrebbero dovuto pagare le pensioni) e di non-crisi bancaria sistemica in Italia.
La verità è che il sistema va avanti indisturbato verso i suoi obiettivi.
In una prospettiva congiunturale dell'intero mondo occidentale, quello alacremente dedito alla riforme "per la crescita" e (quindi) a crescere solo per via di domanda estera, prendo spunto da questo passaggio dell'ultimo post di Goofynomics:
"La crisi della finanza privata italiana è strutturale, non episodica. Il problema è una economia stagnante nella palude eurista, che perde competitività vis à vis il fratello-coltello teutonico ogni giorno che Odino manda in terra.
E che sarà troppo fragile per reggere il prossimo shock esterno.
...apro e chiudo una parentesi per segnalarvi che fra un po' di IFRS9 ne parleranno tutti. Noi abbiamo cominciato a parlarne qui... Ai nuovi del blog segnalo anche che Charlie Brown ci sta dicendo che nelle condizioni attuali potremo rispondere al prossimo shock esterno - per indicazioni su quale potrebbe essere suggerisco di farsi un giro sul blog di Andrea Mazzalai - noi potremo reagire solo innalzando il tasso di disoccupazione per far flettere i salari, far diventare i nostri prodotti più competitivi - che significa convenienti - per gli acquirenti esteri, e rianimare così la domanda estera - ma solo dopo aver depresso tagliando i salari quella interna!.

2. Il sunto si riallaccia a molti discorsi qui già svolti (e infatti i soprastanti links sono messi apposta per richiamarli).
Uno in particolare mi pare opportunamente riallacciabile al passo appena citato.
Il punto è questo: vero, il sistema istituzionale a ordinamento sovranazionale, in particolare quello L€uropeo a moneta unica irrinunciabile e basato sulle condizionalità perpetue agganciate al ricatto del debito pubblico, -peraltro due facce della stessa medaglia, pp.12-15-, è a rigidità non solo attualmente incontestabile ma in via di accrescimento (abbiamo più volte parlato di quale sia la grande riforma dei trattati che la Merkel vorrebbe imporre, e magari Schauble "insinuare" più pragmaticamente col metodo intergovernativo; per un quadro riassuntivo, v. qui, pp.13-15).

3. Ciò che possiamo chiederci è se in questa corsa accelerata verso la rigidità ci sia un punto di rottura. Tre anni e mezzo fa avevamo più o meno ipotizzato questo, in modo relativamente ottimistico (qui, p.VII-VIII):
"...La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione."
VIII. Attenzione, non voglio considerare questo commento un epitaffio ma solo la definizione di un momento di transizione: sono più propenso a ritenere, ora, che questo "sentiment" segni solo l'inizio di una riscossa democratica, verso un (ri)allargamento della sua prospettiva.
E ciò, vista anche l'evoluzione della situazione mondiale, che implica un progressivo cedimento della "facciata" marmorea di una governance mondiale affidata alla grande finanza, ormai irreversibilmente screditata.
In una situazione, cioè, in cui il capitalismo finanziario finisce per essere come un condannato con la "condizionale", questa sorta di "epitaffio", vale nell'orizzonte del breve periodo.
Al massimo, può ancora durare fino a quando una probabile nuova crisi finanziaria imporrà di prendere quelle misure che dopo il 2008 non si ebbe il coraggio di attuare: limitazione della libera circolazione dei capitali e superamento del modello di banca universale (almeno).
Certo non sarà senza traumi un simile "rappel a l'ordre", ma almeno implicherà la profonda revisione della composizione della governance mondiale: ne verranno travolti e dunque ripensati, FMI, WTO e la stessa UEM.
E si dirà basta con i banchieri al potere...ovunque.
Avranno perso ogni legittimazione anche di mera facciata, e il controllo mediatico non basterà più: come potranno i giornalisti di regime e i banchieri istituzionalizzati chiedere ancora alle masse di disoccupati e lavoratori precari, spogliati di ogni sicurezza sociale e dei loro risparmi (e prospettive di risparmio) di sopportare ancora i costi della crisi che "loro" avranno nuovamente provocato?
Nel medio-lungo periodo, dunque (quando ancora non "saremo tutti morti", si spera), questa incomprensione, o incompleta comprensione, degli effetti del neo-liberismo, porterà inevitabilmente a ripensamenti e revisioni da parte di tutti gli attori (USA in primis): tanto più traumatici per tutti, quanto più sarà ritardata l'espulsione dai processi decisionali degli attuali componenti della stessa governance "globale".

4. Ora, "a che punto è la nott€" (della ragione)?
Se si approfondiscono i reali andamenti del mercato del lavoro USA (cosa che abbiamo fatto più volte seguendo i dati veri e farlocchi delle statistiche "US gov.", fino a U6 e anche oltre) possiamo anche vederci un po' più chiaro (appunto laddove si includano le schiere degli "scoraggiati permanenti" di tipo sistemico e non congiunturale):

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4.1. Risultato:
"In altri termini come abbiamo già detto, - e come, per motivi del tutto analoghi, verificatosi in Giappone- strutturare definitivamente una società sul mercato del lavoro-merce, che esclude istituzionalmente i salari dalla crescita del prodotto, eliminando il welfare pubblico (pensionistico e sanitario), conduce alla deflazione permanente.
E quindi acuisce il rischio della insolvenza sistemica e della stagnazione irreversibile dell'economia reale. Cioè del benessere e della dignità degli esseri umani coinvolti.
In tale situazione, aumentare il deficit pubblico, neppure sortisce più gli effetti anticiclici che, in teoria, si verificavano in passato: comunque la spesa pubblica si indirizza alla crescente emergenza disoccupazionale, con grande dispendio di inutili misure tampone, e comunque finisce in improbabili misure supply side, che includono pure i programmi di spesa per infrastrutture e di alleggerimento del costo fiscale del lavoro, una volta che il mercato dello stesso lavoro sia strutturato sulla precarietà e sulla deflazione salariale".

5. Ci basti vedere come cresce il debito in USA nei vari settori:
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Si tenga conto che il debito studentesco, pur di dimensione relativa più modesta, non è collateralizzato, cioè non è assistito da alcuna garanzia, ed è diffuso su milioni di debitori insolventi, in una progressione che coinvolge prima di tutto i giovani, segnando la fine della mobilità sociale (che si sia o meno "college graduate"):

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6. Si obietta che, in questi ultimi anni post-crisi 2008, il rischio è passato essenzialmente dal sistema bancario al...bilancio dello Stato, pur avendosi livelli di debito subprime che hanno superato quelli del 2006-2007, e che navigano verso quelli del 2009, cioè registrati in piena recessione.
La "fiscalizzazione", tuttavia, sicuramente non vale per il settore auto, fortemente strutturato in ABS e derivati (considerate che il trend è oscillante per ragioni "stagionali", in primavera e d'estate ci ri ricorda di pagare le rate, mentre in autunno e inverno...molto meno: ma la delinquency, cioè l'insolvenza conclamata, sale sempre di più):

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7. Dunque, lo shock esterno sta accumulando la sua energia cinetica; e questo a tener conto solo della situazione degli USA...
La domanda è questa: ove questo shock si manifestasse, forse nei prossimi 12 mesi (viste le prospettive di crescita delle insolvenze annidate fra gli americani tra i 21 e i 54 anni), l'onda che arrivasse inevitabilmente in L€uropa, potrebbe lasciare intatta la rigidità del sistema e rendere politicamente praticabile un nuovo assalto fiscale di aggiustamento deflattivo (come ipotizza Alberto essendo ciò, a istituzioni vig€nti, sicuramente "scontato")?

8. Quali governi in L€uropa potrebbero reggere politicamente un nuovo "fate presto!"?
Siamo davvero sicuri che l'eurozona possa proseguire il proprio cammino basandosi solo sul terrorismo colpevolizzatore e lo "stato di eccezione", già prolungato oltre ogni ragionevolezza, e predicare un aggiustamento competitivo mentre, in Italia, la disoccupazione, persino quella ufficiale, già tende a risalire (e per di più alle soglie dell'estate "turistica" e del boom atteso delle assunzioni stagionali)?


Pubblicato da Quarantotto a 12:07 16 commenti: Link a questo post
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MPS BANCHE VENETE DEFLAZIONE SALARIALE: MISSIONE COMPIUTA!
Scritto il 5 luglio 2017 alle 09:59 da icebergfinanza

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Alla fine il Monte dei Fiaschi di Siena è stato nazionalizzato circa il 70 % della più antica banca al mondo è definitivamente di proprietà dello Stato italiano e dei suoi contribuenti.

Mps, nel piano 5.500 esuberi al 2021, da chiudere 600 filiali
Sono 5.500 gli esuberi nel gruppo Mps previsti dal piano di ristrutturazione 2017-2021. Di questi, 4.800 attraverso l’attivazione del fondo di solidarietà. Le filiali da chiudere sono circa 600: dalle 2000 del gruppo nel 2016 a 1400 nel 2021. L’utile netto di Mps al 2021 sarà superiore a 1,2 miliardi di euro, con un Roe pari al 10,7%. Il programma prevede anche la cessione al fondo Atlante 2 delle tranche junior e mezzanine delle sofferenze, ad un prezzo pari al 21% del loro valore lordo. In tutto, le sofferenze lorde da dismettere da parte del gruppo ammontano a 28,6 miliardi lordi, di cui 26,1 miliardi attraverso la cartolarizzazione più un portafoglio di 2,5miliardi costituito da crediti unsecured attraverso procedure dedicate.

Due grandi notizie!

La prima è che verranno spazzati via altre 4.800 anime grazie alla gentile collaborazione della connivenza politica e di una vigilanza assente ovunque che ha permesso in questi anni ad un manipolo di psicopatici di distruggere il tessuto economico e sociale del Paese, la seconda è che verranno letteralmente regalati oltre 28 miliardi di sofferenze allo spettacolare prezzo di 21 centesimi quando non più tardi di qualche settimana fa lo stesso fondo Atlante era disponibile a pagarne oltre i 30 centesimi.

Ricordo a tutte le anime ingenue che quelle sofferenze valgono ben oltre i 50 centesimi e qua e la in mezzo all’immondizia che si ha fretta di eliminare perchè lo chiede l’Europa e la BCE, ci sono autentiche perle distrutte solo da un politica demenziale di austerità e sistematico perseguimento della svalutazione salariale e della distruzione della domanda interna come dichiarato da Monti alla CNN nel 2012

FISCAL COMPACT: DEFAULT COMPATTO!
La terza grande notizia è che salvando le banche venete, come ha dichiarato il ministro Padoan abbiamo salvato l’occupazione!

Banche Venete,saranno chiuse 600 filiali
(ANSA) – MILANO, 28 GIU – Circa 600 filiali saranno chiuse entro il 30 giugno 2019. E’ quanto emerso dall’incontro tra Intesa Sanpaolo e i sindacati ai quali sono stati illustrati i contenuti dell’operazione delle Banche venete. Intesa – si apprende da fonti qualificate – ha sottolineato che al centro dei propri piani di sviluppo ci sono le persone che lavorano nel gruppo.
E’ stato anche presentato il quadro legislativo e regolamentare e il possibile sviluppo del confronto che dovrà tenere conto dei vincoli della vigilanza europea di riduzione anche degli organici di 3900 unità.

Seicento di qua e seicento di la, se ne chiudevano 666 era meglio così potevano dire che il diavolo ci aveva messo lo zampino. Ironia a parte ieri il ministro Padoan si è prodigato a ricordare a tutti che se non avessero regalato le due banche a Intesa, perchè questo è quello che hanno fatto, sarebbe saltata l’economia veneta, peccato che bastava nazionalizzare senza regali…Italia Bankitalia: soluzione senza alternative per le venete

Circa 100mila piccole e medie imprese e circa 200mila famiglie sarebbero state costrette a restituire per intero i loro crediti (circa 26 miliardi), scrive Bankitalia. Ne sarebbero con ogni probabilità derivate «diffuse insolvenze». E la conseguente distruzione di valore «si sarebbe scaricata sui detentori di passività»

“Ho la massima fiducia che il Parlamento si renda conto dell’importanza del decreto. L’operazione delle banche venete si basa si condizioni oggettive che devono essere rispettate per far funzionare l’operazione”

Il Parlamento è in trappola, lasciate perdere gli emendamenti, questi mettono la fiducia su tutto, fanno quello che vogliono e nessuno si prende le proprie responsabilità.

Gli italiani, gli azionisti del Monte dei Pasci di Siena e gli obbligazionisti subordinati dell’ultima ora, insieme al mago della finanza Davide Serra che ha sua volta sollecitava l’investimento in MPS, ringraziano sentitamente l’ex presidente del consiglio per la preziosa e proficua consulenza …

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L’unica buona notizia è che la Corte dei Conti cita in giudizio Morgan Stanley, la responsabile del debito pubblico e il dg del Tesoro ma purtroppo come sempre finirà tutto in un bolla di sapone, perchè loro possono comprare chiunque.

L’estate ormai è ben avviata e le premesse, come ben sapete non sono delle migliori!
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IL DEBITO PUBBLICO GRAVA SULLE GENERAZIONI FUTURE? MOLTO, MOLTO MENO DELL'EURO, MR. MOSCOVICI [/paste:font]


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1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
E tale punto è il seguente: questa affermazione è scientificamente vera dal punto di vista economico nonché legittima dal punto di vista costituzionale?

2. Nel corso degli anni ne abbiamo già trattato fino allo sfinimento:
"Tutto ciò (cioè il programma costituzionale di diritti fondamentali sociali, in funzione di prestazioni redistributive ex ante per realizzare la democrazia sostanziale) non ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull'idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.

Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanche del neo-liberismo che si "riprende il maltolto": essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio istituzionalizzati per favorire la "stabilità monetaria".

Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta essenzialmente all'effetto del regime di mercato del lavoro conforme all'obiettivo della stessa "stabilità monetaria".

3. Quello che si può più utilmente focalizzare oggi è che, se per ragioni di conservazione del consenso si inizia una battaglia di questo tipo, gli argomenti che possono essere utilizzati a suo sostegno dovrebbero essere commisurati al "merito" delle proditorie e inerziali obiezioni provenienti dalla controparte UE.
Se si accettano i caposaldi ideologici-morali (altamente zoppicanti), prima che economici, di queste obiezioni moscoviciane, e se ne fa una questione esclusivamente politica, imprudentemente prospettata come la soggettiva di convenienza di un certo Stato-membro, piuttosto che sulla illogicità e insostenibilità socio-economica delle norme €uropee, si è destinati a perdere in base alla (ben diversa) logica dei rapporti di forza consolidati che governa i trattati: di più, non sapendo criticare nel merito, queste risibili obiezioni, si ottiene l'effetto boomerang di consolidare ancor più questi rapporti di forza.
E si è costretti, come infatti avvenuto, a fare retromarcia e a perdere in partenza di credibilità (negoziale, cioè politica nelle relazioni internazionali, esattamente come quando si fa retromarcia sulla questione "immigrazione" rinunciando a far valere persino l'esatto contenuto degli accordi a cui, in modo comunque improvvido, ci si è autovincolati).

4. Il debito pubblico "pesa" sulle generazioni future?
In termini economici, se e solo se sia adottato il gold standard o l'ancor più rigido strumento della privazione istituzionale della sovranità monetaria, cioè l'euro (moneta adespota, comunque non nazionale, cioè priva di uno Stato che abbia come riferimento l'interesse di una propria comunità sociale ai fini dell'emissione e delle politiche monetarie). L'effetto di presunta mancata crescita da deficit pubblico, cioè il suo non determinare effetti espansivi, e di conseguenza, l'effetto complessivo negativo dell'accumulo di debito pubblico, viene spiegato con l'ipotesi di Barro-Ricardo (pp. 4 e ss.): le azioni compensative (non consumo, non investo) degli "operatori razionali", in realtà, sono imposizioni normative, imposte da regole dettate da chi detiene il potere istituzionale e non hanno nulla di razionale e tantomeno "naturale", al di fuori di queste regole (che sono appunto l'imposizione di limiti al deficit annuale e di tetti al rapporto debito/PIL).
Ce lo spiegava Krugman (quando era interessato a confutare gli slogan delle maggioranze repubblicante, regnante Obama), riferendosi all'ipotesi intermedia, meno intrusiva del vincolo monetario €uropeo, di autolimitazione della sovranità monetaria, derivante da scelte politico-ideologiche prevalenti in modo contingente, laddove, comunque, il potere di emissione monetaria rimanga astrattamente intatto in un certo Stato sovrano (stiamo parlando degli USA).
E questa autoprivazione ce la si autoinfligge con l'idea che limitando il deficit pubblico, - negli USA secondo "cap" predefiniti per periodi annuali e/o pluriennali-, si limita di conseguente il debito pubblico e il relativo onere trasmesso a non identificabili "generazioni future" (per quante generazioni vanno registrati gli effetti del deficit fiscale e soprattutto come e quali effetti, correttamente e non arbitrariamente misurati, devono prendere in esame?):
“Ehi, forse stiamo solo perdendo 800 miliardi di dollari l'anno…”.
Ma ci sono prove schiaccianti che, non potendo rispondere efficacemente alla disoccupazione di massa tanto da non fare della disoccupazione nemmeno una priorità politica - abbiamo fatto a noi stessi danni immensi a lungo termine.
Ed è, come ho detto, una ironia amara, perché uno dei motivi principali per cui abbiamo fatto così poco per la disoccupazione, è la predicazione della “condanna morale” inflitta al deficit (pubblico) da parte di coloro che si sono avvolti nel manto della responsabilità di lungo periodo – “motivo” che sono riusciti a tenere fortemente impresso nella mente del pubblico comprimendo così il debito pubblico.


Questo non ha senso, anche nei termini propri dello stesso assunto. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, mentre può porre dei problemi, non rende la nazione più povera, perché è denaro che dobbiamo a noi stessi. Chiunque parla di come stiamo prendendo in prestito dai nostri figli proprio non ha fatto i conti.
È vero, il debito può indirettamente renderci più poveri, se il deficit fa salire i tassi di interesse e quindi scoraggi gli investimenti produttivi. Ma questo non è accaduto. Invece, l'investimento è basso a causa della debolezza dell'economia.
E una delle cose principali che mantiene l’economia debole è l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – in particolare, tra l’altro, i tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati in nome della tutela del futuro e della minaccia selvaggiamente esagerata del debito eccessivo.

C'è qualche possibilità di invertire questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti, e, ancora una volta, temo che probabilmente hanno ragione. L'America probabilmente trascorrerà decenni pagando per le priorità sbagliate degli ultimi anni.
E' davvero una storia terribile: un racconto di autolesionismo, reso ancora peggiore perché è stato fatto in nome della responsabilità. E il danno continua mentre parliamo
".

5. A certe condizioni "fisiologiche" di sovranità, persino all'interno della moneta unica, quando ancora non si era "svelata" la sua intera portata intenzionale di ridisegno sociale dell'intera eurozona, la cosa poteva anche essere detta in questi termini:
"Ma è davvero così? Uno studio di Roberto Ciccone, professore di economia all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'e-book "Oltre l'Austerità", mette in discussione dalle fondamenta questa analogia tra il debito di una famiglia – dove è vero che il padre caricherà sui figli i suoi debiti non pagati – e il debito pubblico.
L'analogia non regge, perché al massimo il debito pubblico può essere paragonato con un indebitamento all'interno di una stessa famiglia, in cui il figlio, ad esempio, contrae un debito con i suoi stessi genitori, dai quali erediterà la stessa ricchezza con cui ripagare il debito.
Nel caso che vi sia l'esigenza di abbattere il livello di un debito pubblico troppo elevato1 , il maggior carico fiscale che graverà sulle future generazioni che vogliano ridurre il debito pubblico , argomenta Ciccone, sarà compensato dalla ricchezza rappresentata dagli stessi titoli del debito pubblico che verranno loro trasmessi in eredità dalle generazioni precedenti.
La situazione patrimoniale delle generazioni successive non sarà dunque né migliorata, né peggiorata, perché al valore attuale delle future maggiori imposte da pagare per finanziare il servizio del debito pubblico (interessi + rimborso alla scadenza) corrisponde il valore attuale dei titoli (interessi attivi e capitale) da essi ricevuti in eredità.
Quindi, dal punto di vista della collettività nel suo complesso, non esisite alcun conflitto intergenerazionale, e l'analogia col buon padre di famiglia che non vuole caricare di debiti i suoi figli non ha ragion d'essere".

6. Certo può essere che lo Stato non benefici i suoi figli dell'emissione del debito annuale corrispondente al deficit, e che questo sia sottoscritto da soggetti esteri (per lo più finanziari, cioè del tutto interessati a massimizzare il loro rendimento, scontando gli spread che permangono, nell'eurozona, anche in costanza di QE).
 
IL DEBITO PUBBLICO GRAVA SULLE GENERAZIONI FUTURE? MOLTO, MOLTO

Titoli di Stato prima e dopo il Quantitative Easing per settore detentore (composizione percentuale)

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L'ipotesi, come si vede dal grafico soprastante, è peraltro divenuta abbastanza marginale; ma non di meno, L€uropa si preoccupa di renderla lo stesso disastrosa per l'Italia, e anzitutto per il suo sistema bancario, grazie alla ventilata introduzione di un rating e di una quota massima di detenzione dei titoli (qui, p.14), comunque graduati secondo il rischio: una condizione di rischio (altrimenti inesistente) programmaticamente amplificata dal sistema voluto da Maastricht, appunto coi suoi limiti al deficit, fino al pareggio di bilancio, e col conseguente impedimento della crescita istituzionalizzato con la banca centrale indipendente "pura", cioè col divieto di bail-out sugli Stati e il parallelo divieto di acquisto dei titoli dei singoli Stati da parte della BCE.

7. Ora, è del tutto evidente che "il denaro lo dobbiamo a noi stessi" (con tutto quello che ne consegue), come ci dice Krugman, in quanto si mantenga il potere di emissione monetaria.
Ma anche qualora di tale potere si sia deprivati in via istituzionale, - perché si ritiene che la lotta all'inflazione, secondo il mito supremo della "stabilità monetaria", (direttamente tratto dal gold-standard)-, l'idea che il debito si trasmetta alla generazioni future risulta lo stesso contraddittoria nelle stesse premesse economico-istituzionali de L€uropa: il problema del debito rifluisce, in tal caso, sulla sua sostenibilità, non sul mero fatto che esso cresca. L'importante, infatti, è che il PIL con cui il debito è messo in rapporto, negli stessi indicatori della moneta unica e del Fiscal compact, cresca nominalmente in misura superiore al fabbisogno (deficit) nominale.

7.1. "Saccheggio" da Goofynomics spiegazioni più dettagliate (aggiungo qualche "enfasi"...to Alberto's dismay...):
"Quando ero giovane mi sono divertito a calcolare una simile soglia [ndQ: mirata a rendere sostenibile il debito mediante la sua stabilizzazione - in "stato stazionario"- in rapporto al PIL] usando il modello keynesiano dinamico di Tobin e Buiter [1978], e l’ho pubblicata sul Giornale degli economisti nel 1995.
L’evidenza indicava che in Italia, nel decennio post-divorzio, si sarebbe incorsi in un rischio di “esplosione” del debito solo se il rapporto debito/Pil avesse superato il 200%. La soglia però era molto sensibile a certi parametri: ad esempio, l’aumento di un punto del tasso di interesse reale la faceva scendere al 125%, mentre l’aumento di un punto della pressione fiscale la portava al 244%. Di fatto, scorrendo gli anni fino al 1994 si vedeva che in nessun anno questo indicatore “keynesiano” rilevava una situazione di insostenibilità del debito italiano.
In Bagnai (2005) ho rifatto i calcoli, e la situazione era cambiata: la soglia keynesiana era più bassa e si situava attorno al 138%. Ad altri paesi andava molto peggio: la soglia assumeva valori pesantemente negativi (a indicare che ogni valore positivo del debito era comunque insostenibile). Si trattava, guarda un po’, di Spagna e Irlanda, due paesi dei quali tutti dicevano mirabilia perché allora il loro rapporto debito/Pil era così basso. Ma per l’indicatore keynesiano non c’era da stare allegri. Che coincidenze!

Al di là di queste coincidenze, rimane il fatto che la definizione di un valore “sostenibile” del debito, di un “livello di guardia”, è e rimane un’operazione estremamente arbitraria: finché non esisterà un unico modello accettato dell’economia (cioè mai), non esisterà un unico modo accettabile di definire questo livello. Punto.
Quindi sì, i numeri di Maastricht non sono fondati su una particolare teoria economica. Questo lo riconoscono più o meno tutti, aggiungendo che la Francia e la Germania hanno scelto una soglia del debito al 60% del Pil perché questa rifletteva la loro esperienza storica.
Ma quale? Francia e Germania arrivano alla firma del Trattato di Maastricht con rapporti debito/Pil inferiori al 40%. Quindi le cose non stanno così: nel fissare la soglia del 60%, quella che ora è incorporata nel Fiscal compact, Francia e Germania non hanno guardato al loro debito pubblico. L’esperienza storica, però, c’entra ugualmente, e se siete sopravvissuti fino a qui siete anche in grado di capire perché (non è una grande scoperta, vi assicuro).

Negli anni ’80 Germania e Francia avevano avuto rapporto fabbisogno/Pil vicini al 3%, con tassi di crescita nominale superiori al 6%. Nel decennio 83-92 il fabbisogno in Francia era stato di 2.8 punti di Pil, e la crescita nominale del 6.8%. Con valori come questi, il valore di stato stazionario del debito sarebbe stato:

Diciamo che dentro una soglia di 0.6 potevano pensare di starci comodi. La Germania non aveva numeri particolarmente diversi. È molto probabile quindi che i due numeri di Maastricht siano scaturiti da un ragionamento di questo tipo. L’esperienza storica suggeriva valori di f=3. La disinflazione ancora in atto (almeno in Francia) suggeriva che la crescita nominale si sarebbe potuta attestare attorno al 5% (diciamo: un 3% di crescita reale con un 2% di inflazione). Quindi:

che, arrotondando, fornisce il fatidico 60%.

Nel Trattato di crescita non si parla, ma solo di f e d. Resta però il fatto che se di queste tre grandezze (crescita nominale, rapporto fabbisogno/Pil e rapporto debito/Pil) ne fissi due, la formula (5) automaticamente ti determina l’altra. Detto in altre parole, nel momento in cui il Trattato di Maastricht fissa d=0.6 e f=0.03, lo stesso Trattato matematicamente impone che la crescita nominale sia

(il 5.26%). E infatti, se volete verificarlo, vedrete, utilizzando la solita (5), che:


Ecco. I numeri di Maastricht nascono dalla (5), dalla formula che indica qual è il valore di stato stazionario del debito pubblico, una volta che ci si mettano dentro i valori di fabbisogno e crescita che i paesi leader pensavano di poter sostenere.
Un ragionamento anche corretto, se vogliamo, per la sua attenzione al lungo periodo, ma che non teneva conto di due cose: la prima è che al momento della stipula del trattato altri paesi europei avevano valori di fabbisogno e crescita incompatibili con un debito al 60% del Pil; la seconda è che anche nella stessa esperienza dei paesi leader i valori di fabbisogno e crescita che si verificarono dopo la stipula del Trattato erano incompatibili con una soglia del 60%, che infatti venne sforata dalla Germania nel 1999 e dalla Francia nel 2003.
Anche i ricchi piangono?

Diciamo così. Ma il percorso che ci ha condotto fin qui dovrebbe averci fatto capire qual è l’idiozia di Maastricht: dettare implicitamente un valore del tasso di crescita, inchiodato al 5.26% per decreto, come se la crescita fosse un dato esogeno. Ma la crescita esogena non lo è, e si si discosta dal valore implicitamente decretato da Maastricht sono dolori, perché matematica vuole che ci siano solo due alternative: o si accetta che il rapporto debito/Pil sfori il 60% (e questa è stata la strada scelta all’inizio), o si impone che il rapporto fabbisogno/Pil sia inferiore al 3% (e questa è stata la strada scelta dal Fiscal compact in poi)."



8. Potremmo allora dire, di fronte al fatto che nessuno, da un certo punto in poi, aveva più ratei di crescita tali da rendere sostenibile l'impianto fiscale di Maastricht, che il tutto si può riassumere in un problema di ideologia ed etica: cioè se si crede o meno nella teologia della deflazione essendo l'inflazione "la più ingiusta delle imposte". Appunto, come predicava Einaudi, (v. addendum), e come, - ben prima di questa sua frase lapidaria, tanto amata dalla "sinistra" dei mercati liberalizzati-, si era già detto nelle Conferenze "mitiche" dei banchieri centrali che (v. p.7), nel dopo prima guerra mondiale, avevano deciso che il gold standard fosse l'unica virtù possibile e al diavolo il mercato del lavoro.
Con l'inflazione "vera", cioè generata da fisiologici movimenti della domanda interna, degli investimenti e dell'aumento di occupazione effettiva, siamo oggi a questo punto:

italy-core-inflation-rate.png
euro-area-core-inflation-rate.png

9. Se dunque si crescesse in compresenza di una simultanea moderata inflazione, - che non sia una deflazione o comunque una situazione in cui nemmeno più si riesce a raggiungere, con l'inflazione "core", (v. grafici sopra: quella effettiva, e non importata dai prezzi di commodities estere e dal cambio del dollaro con cui le pago), il giugulatorio tetto del 2%-, vorrebbe dire che le future generazioni non si troverebbero in situazione di perpetua disoccupazione strutturale.
Queste generazioni potrebbero aspirare a redditi dignitosi e, quindi, a risparmiare e persino a sottoscrivere il debito pubblico (avendo magari acquistato una casa di abitazione e estinto un mutuo), senza doversi solo preoccupare che l'imposizione fiscale sia un crescente peso insostenibile: e ciò perché, prima di tutto, famiglie e imprese, cioè cittadini di questa e delle future generazioni, divengono soggetti insolventi al credito bancario, cioè accumulatrici di risparmio privato negativo.

9.1. Se invece l'inflazione core indica chiaramente che sto comprimendo la crescita, proprio per mantenere la stabilità monetaria, minacciata dalle asimmetrie generate dalla intenzionale disfunzionalità dell'unione monetaria, che si pone al servizio della crescita export-led only, perseguendo una conseguente forsennata deflazione salariale (che si ottiene amplificando una (già) alta disoccupazione strutturale), le generazioni future non avranno il problema del debito pubblico ma quello della mancanza di lavoro e di redditi tali da consentirgli di sopravvivere dignitosamente.
Il resto sono chiacchiere da bar: è del tutto chiaro che la bufala del debito pubblico che grava sulle generazioni future non sia altro che un effetto provocato deliberatamente da condizioni istituzionali che valgono dentro l'euro e solo nell'euro.
E valgono perché i parametri di Maastricht, e a fortiori, quelli del fiscal compact sono un non-senso che impedisce la crescita, mentre, contemporaneamente, si ritiene indispensabile impedire l'intervento fiscale a sostegno della crescita, dovendosi, prima di tutto, rendere sostenibile la moneta unica, (e la sua disoccupazione "competitiva")...rendendosi insostenibile il debito pubblico.
E quindi vincolando gli Stati, anzitutto, a correggere l'indebitamento privato, commerciale e finanziario, con l'estero, tramite la leva fiscale, anche a costo di distruggere il futuro delle prossime generazioni; in pratica, stabilizzando un livello di disoccupazione che, nel suo protrarsi strutturale, erode la base produttiva, cioè il capitale fisso delle imprese, che vedono costantemente contrarsi la domanda interna a livelli che le pongono fuori mercato, in modo definitivo.

10. Dare una risposta a Moscovici è dunque relativamente facile, ove si volesse veramente essere credibili e non semplicemente negoziare un ritorno a Maastricht: una facezia sconclusionata, come mostra l'analisi di Alberto sui relativi parametri fiscali, che impongono di arrivare al fiscal compact, una volta che ci si renda conto che NESSUNO è in grado di ottenere la crescita implicata da tali parametri dentro l'eurozona.
La risposta, l'unica che abbia una logica e una legittimità costituzionale, è quella di un superamento obbligato della moneta unica.
Il conflitto generazionale non esiste, e lo abbiamo detto tante volte: esiste l'impoverimento generale di interi popoli.
E quindi esso impatta oggi sulle generazioni già in vita, sottoposte a una "sottrazione" progressiva di risorse, rese appositamente "scarse": una sottrazione (esclusivamente conservativa dell'euro) che non ha mai fine, se non con l'eliminazione fisica dovuta alla morte (la più prematura possibile nei calcoli fiscali degli €uristi come Attali e non solo, v. p.4).

10.1. Tutti i cittadini italiani, senza distinzioni generazionali, sono coinvolti, solo con una maggior o minore durata nell'arco delle loro vite (per mere ragioni casuali di nascita), negli effetti delle politiche dettate dal "vincolo esterno": cioè nell'intensificazione della mancata crescita e della disoccupazione strutturale, aggravata dall'immigrazione in funzione di calmiere acceelerato del costo del lavoro.
E da tutto ciò nasce una nuova struttura economico-sociale, asservita alla competizione, sui mercati esteri, di tutti contro tutti: compresi, anzi prima di tutto, i paesi dell'eurozona nei reciproci confronti.
Un "nuovo ordine" (internazionale dei mercati) che rende sempre più disperata la condizione di chi dovesse nascere in questi anni. Ma proprio perché nascerebbe, o già oggi crescerebbe, dentro questa orribile imitazione del gold standard, più rigido!, voluta da L€uropa. Cioè da Moscovici, che ne è solo l'ennesimo guardiano semiringhiante che mente sapendo di mentire.
Ma tutti ci credono lo stesso; e il sistema mediatico, come abbiamo visto, non è in grado di organizzare alcuna risposta perché si nutre di spesapubblicasprechievasionefiscalebrutte, condizionando l'agenda politica di una classe dirigente che, semplicemente, non ha le risorse culturali per reagire efficacemente.

11. Abbiamo visto come la moneta unica sia alla base di tutto questo impoverimento e di questa distruzione della struttura produttiva italiana. Ne abbiamo segnalato (v. i links finora inseriti) i legami istituzionali dettati dalla trasformazione in norme dell'ideologia degli anni '20 del secolo scorso.
Ma sul piano logico-giuridico, il concetto stesso di solidarietà generazionale, per quanto improvvidamente e acriticamente accolto dalla nostra Corte costituzionale, piegandosi alle formulazioni nate dai trattati €uropei, - e da null'altro, perché la nostra Costituzione non prevede il concetto-, non ha alcun senso, come aveva dimostrato Luciani già nel 2008. Da allora la situazione è solo peggiorata: per tutti gli italiani, impoveriti da un sogno senza alcun senso e da un'ideologia penetrata in modo devastante ad ogni livello istituzionale.

Pubblicato da Quarantotto a 16:08 1 commento: Link a questo post
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domenica 9 luglio 2017
 
  • fattp quotidiano
domenica 09/07/2017
Banche, dall’Etruria alle due popolari venete il conto per l’Italia arriva a 68 miliardi
E' questa la somma del valore di azioni e obbligazioni vaporizzate, aumenti di capitale di Mps bruciati, interventi dello Stato e contributo del sistema bancario, che comprende anche parti di denaro pubblico come i 500 milioni immolati dalla Cassa Depositi e Prestiti
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di Carlo Di Foggia e Giorgio Meletti | 9 luglio 2017
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Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sono molto contenti. Il crac della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, lasciate marcire per anni da una Vigilanza bancaria distratta se non complice, è stato risolto impegnando 17 miliardi dei contribuenti, ma era “l’unica soluzione, comunque la migliore”. E adesso, soprattutto, ci assicurano che la crisi bancaria è finita, che è tutto a posto, non ci sono altre minacce in vista. È vero, lo avevano già detto il 22 novembre 2015, dopo il come sempre frettoloso e sgarruppato bail-in all’italiana di Banca Marche, Etruria, Cassa Ferrara e Carichieti. Assicurarono che, in mezzo a tanti strepiti populisti su quattro banchette di infima dimensione, loro avevano, in silenzio, messo in sicurezza il Monte dei Paschi e le due banche venete. Non era vero, ma chi non fa non falla.

Quindi adesso ci fidiamo. La crisi bancaria è finita ed è tempo di bilanci. Quanto è costata al Paese? A oggi, primo provvisorio bilancio, 68 miliardi. Prese le sette banche “salvate”, è questa la somma del valore delle azioni e delle obbligazioni vaporizzate, degli aumenti di capitale di Mps bruciati, degli interventi dello Stato e del contributo del sistema bancario, che comprende anche parti di denaro pubblico come i 500 milioni immolati dalla Cassa Depositi e Prestiti o i 260 milioni offerti da Poste Vita. È doveroso chiarire che i 68 miliardi non sono stati “bruciati”, come amano dire gli analisti compiacenti che trattano queste vicende alla stregua di catastrofi naturali. Il denaro non si crea e non si distrugge, ma passa da una tasca all’altra. In questa storia c’è gente rovinata mentre qualcuno si è molto arricchito, per esempio alcuni furbacchioni che sono riusciti a farsi comprare da Popolare di Vicenza e Veneto Banca le azioni a prezzo pieno un attimo prima della catastrofe. Nella migliore delle ipotesi il denaro è passato in modo quasi indolore da quella destra a quella sinistra del medesimo soggetto.

Intesa Sanpaolo per esempio ha buttato 1,5 miliardi nel fondo Atlante che doveva salvare le due banche venete ma se li è ripresi con gli interessi grazie al generoso contributo statale per risalvare le due banche venete; e lo stesso fondo Atlante, dopo aver buttato 3,5 miliardi affidatigli dalle banche per ricapitalizzare le venete, adesso cercherà di rifarsi speculando sui crediti inesigibili (sofferenze) di Mps, comprati al 21 per cento contro il 27 per cento già pattuito un anno fa, cioè con uno sconto, tanto per cominciare bene, di 1,5 miliardi. Se rivende le sofferenze al 35 per cento il conto è pari.
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Il conto lasciato dal grande Mussari – Esattamente dieci anni fa il presidente di Mps Giuseppe Mussari ebbe l’idea meravigliosa di comprare per 9 miliardi la Banca Antonveneta che ne valeva forse 3, forse 5. Lo sapevano tutti, Bankitalia compresa, meno lui. L’obiettivo era di rendere Rocca Salimbeni non scalabile. Centrato in pieno: chi se la poteva comprare una schifezza del genere? Solo lo Stato, e infatti. Nel 2007 Mps valeva in Borsa oltre 6 miliardi: ai possessori di quelle azioni, in primo luogo la Fondazione Mps, non è rimasto niente. Ma per finanziare l’Antonveneta Mussari chiese 5 miliardi di aumento di capitale: visti e persi. Poi fece una montagna di debiti assurdi, con la Banca d’Italia che, a guardia della sana e prudente gestione, benediceva.

Nel 2012 sono stati mandati Fabrizio Viola e Alessandro Profumo a cercare di metterci una pezza. Viola ha fatto due aumenti di capitale: 5 miliardi nel 2014, 3 miliardi nel 2015. Non sono bastati: visti e persi anche gli 8 miliardi. Mentre Matteo Renzi giurava che Mps era una banca fichissima su cui quelli furbi come lui avrebbero investito di corsa, la Bce un anno fa ha chiesto altri 5 miliardi di capitale. Renzi ha detto: “No problem, ci pensa il mio amico Jamie Dimon di Jp Morgan con il suo plenipotenziario per l’Italia Vittorio Grilli”. Non ci sono riusciti e allora la Bce ha detto: “Visto che il mitico mercato non vi dà 5 miliardi, adesso trovatene 9”. Ed è subito salvataggio statale, con azzeramento delle obbligazioni subordinate. L’impresa di Mussari e della Banca d’Italia che fingeva di vigilare è finita per costare 27 miliardi.

Il conto lasciato dal grande Zonin – Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono due storie parallele. Nel 2015 le azioni della prima valevano in tutto 6,2 miliardi, quelle della seconda 5 miliardi. Vaporizzate alla velocità della luce. Nel 2015 la Vigilanza Bce-Bankitalia stabilisce che Zonin ha lasciato un buchetto da 1,5 miliardi, da coprire con apposito aumento di capitale. Tutto questo con Zonin ancora sul trono, indiscusso e indiscutibile, affiancato dall’amministratore delegato Francesco Iorio, passato alla storia per essere stato cacciato dopo meno di un anno e mezzo avere incassando non solo la buonuscita milionaria ma anche la buonentrata. Unicredit si presta come garante dell’aumento, ma poi scopre che nessuno sottoscrive e il miliardo e mezzo ce lo deve mettere lei. Panico. Nasce il fondo Atlante che raccoglie 4,2 miliardi tra le banche e le Fondazioni per andare in soccorso delle due venete. Mette 1,5 miliardi su Vicenza e 1 miliardo su Veneto Banca a giugno 2016. Subito dopo scopre che il buco è ben maggiore e il presidente della Fondazioni Giuseppe Guzzetti denuncia che i prospetti dei due aumenti di capitale erano falsi. Bce e Bankitalia fischiettano. A fine 2016 Atlante deve mettere un altro miliardo per non far chiudere le due banche. Inizia la trattativa infinita con Bruxelles per l’intervento statale. Solo a giugno Padoan, dopo mesi di studio, scopre che le due banche non hanno i requisiti per la “ricapitalizzazione precauzionale”, ed è subito liquidazione coatta amministrativa, con Intesa Sanpaolo che si prende tutta la polpa con tanto di contributo miliardario e garanzie dello Stato. Il conto finale sfiora i 33 miliardi di euro.

Il conto lasciato da Etruria & C. – In confronto a Mps e alle venete il caso appare di modesta entità. Però anche qui, degli 8,4 miliardi di costo totale del disastro, 5,8 ce li ha messi il sistema bancario. Ma il denaro non si crea e non si distrugge. Le banche si stanno già rivalendo sui correntisti aumentando i costi di tenuta dei conti.
 
" h!!p://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/maxi-sequestro-marijuana-porte-roma/AEbT33vB "

quanta ipocrisia , oppure collusione di interessi , si vede nel mondo ! Non esiste la marijuana terapeutica , a scopo terapeutico , ciò che coltivava questa persona ha lo stesso valore di quella che coltivano le farmacie per " falso uso terapeutico " , quella vigliaccata puzzolente di detto " a norma di legge " . Sapete perchè l'hanno portata a controllare ? Per vedere se è adatta alla vendita , perchè sia stata ben coltivata o meno .. oppure pensate la buttino via ?
Basta leggere qualche semplice libro di botanica per sapere che se raccolta prima della fioritura , va bene , perchè non sviluppa le sostanze tossiche , nel mentre , se raccolta dopo , le sviluppa . Ricordiamoci bene che i pagliacci del governo che hanno decretato , assieme ai magistrati e alla legge la marijuana a norma di legge , hanno semplicemente decretato , che loro possono avere il monopolio della droga , cioè specularci un interesse sulla vendita , di una sostanza stupefacente , di un forte alteratore della personalità , ricordate la citazione del " sarete ridotti come larve " ? ecco , liberalizzare droghe leggere o pesanti a norma di legge , ci si sta incamminando .. come droga è pure il caffè , avete mai visto come si dilatano le pupille dopo aver ingerito un caffè ? Altra droga con modificatore dell'adrenalina e dello stato di attenzione che non permette il sonno .. chissà perchè , tutti quelli che bevono caffè , sono tutti così nervosi ?
 

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