Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

martedì 11 luglio 2017
IL DEBITO PUBBLICO GRAVA SULLE GENERAZIONI FUTURE? MOLTO, MOLTO MENO DELL'EURO, MR. MOSCOVICI [/paste:font]


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1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
E tale punto è il seguente: questa affermazione è scientificamente vera dal punto di vista economico nonché legittima dal punto di vista costituzionale?

2. Nel corso degli anni ne abbiamo già trattato fino allo sfinimento:
"Tutto ciò (cioè il programma costituzionale di diritti fondamentali sociali, in funzione di prestazioni redistributive ex ante per realizzare la democrazia sostanziale) non ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull'idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.

Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanche del neo-liberismo che si "riprende il maltolto": essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio istituzionalizzati per favorire la "stabilità monetaria".

Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta essenzialmente all'effetto del regime di mercato del lavoro conforme all'obiettivo della stessa "stabilità monetaria".

3. Quello che si può più utilmente focalizzare oggi è che, se per ragioni di conservazione del consenso si inizia una battaglia di questo tipo, gli argomenti che possono essere utilizzati a suo sostegno dovrebbero essere commisurati al "merito" delle proditorie e inerziali obiezioni provenienti dalla controparte UE.
Se si accettano i caposaldi ideologici-morali (altamente zoppicanti), prima che economici, di queste obiezioni moscoviciane, e se ne fa una questione esclusivamente politica, imprudentemente prospettata come la soggettiva di convenienza di un certo Stato-membro, piuttosto che sulla illogicità e insostenibilità socio-economica delle norme €uropee, si è destinati a perdere in base alla (ben diversa) logica dei rapporti di forza consolidati che governa i trattati: di più, non sapendo criticare nel merito, queste risibili obiezioni, si ottiene l'effetto boomerang di consolidare ancor più questi rapporti di forza.
E si è costretti, come infatti avvenuto, a fare retromarcia e a perdere in partenza di credibilità (negoziale, cioè politica nelle relazioni internazionali, esattamente come quando si fa retromarcia sulla questione "immigrazione" rinunciando a far valere persino l'esatto contenuto degli accordi a cui, in modo comunque improvvido, ci si è autovincolati).

4. Il debito pubblico "pesa" sulle generazioni future?
In termini economici, se e solo se sia adottato il gold standard o l'ancor più rigido strumento della privazione istituzionale della sovranità monetaria, cioè l'euro (moneta adespota, comunque non nazionale, cioè priva di uno Stato che abbia come riferimento l'interesse di una propria comunità sociale ai fini dell'emissione e delle politiche monetarie). L'effetto di presunta mancata crescita da deficit pubblico, cioè il suo non determinare effetti espansivi, e di conseguenza, l'effetto complessivo negativo dell'accumulo di debito pubblico, viene spiegato con l'ipotesi di Barro-Ricardo (pp. 4 e ss.): le azioni compensative (non consumo, non investo) degli "operatori razionali", in realtà, sono imposizioni normative, imposte da regole dettate da chi detiene il potere istituzionale e non hanno nulla di razionale e tantomeno "naturale", al di fuori di queste regole (che sono appunto l'imposizione di limiti al deficit annuale e di tetti al rapporto debito/PIL).
Ce lo spiegava Krugman (quando era interessato a confutare gli slogan delle maggioranze repubblicante, regnante Obama), riferendosi all'ipotesi intermedia, meno intrusiva del vincolo monetario €uropeo, di autolimitazione della sovranità monetaria, derivante da scelte politico-ideologiche prevalenti in modo contingente, laddove, comunque, il potere di emissione monetaria rimanga astrattamente intatto in un certo Stato sovrano (stiamo parlando degli USA).
E questa autoprivazione ce la si autoinfligge con l'idea che limitando il deficit pubblico, - negli USA secondo "cap" predefiniti per periodi annuali e/o pluriennali-, si limita di conseguente il debito pubblico e il relativo onere trasmesso a non identificabili "generazioni future" (per quante generazioni vanno registrati gli effetti del deficit fiscale e soprattutto come e quali effetti, correttamente e non arbitrariamente misurati, devono prendere in esame?):
“Ehi, forse stiamo solo perdendo 800 miliardi di dollari l'anno…”.
Ma ci sono prove schiaccianti che, non potendo rispondere efficacemente alla disoccupazione di massa tanto da non fare della disoccupazione nemmeno una priorità politica - abbiamo fatto a noi stessi danni immensi a lungo termine.
Ed è, come ho detto, una ironia amara, perché uno dei motivi principali per cui abbiamo fatto così poco per la disoccupazione, è la predicazione della “condanna morale” inflitta al deficit (pubblico) da parte di coloro che si sono avvolti nel manto della responsabilità di lungo periodo – “motivo” che sono riusciti a tenere fortemente impresso nella mente del pubblico comprimendo così il debito pubblico.


Questo non ha senso, anche nei termini propri dello stesso assunto. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, mentre può porre dei problemi, non rende la nazione più povera, perché è denaro che dobbiamo a noi stessi. Chiunque parla di come stiamo prendendo in prestito dai nostri figli proprio non ha fatto i conti.
È vero, il debito può indirettamente renderci più poveri, se il deficit fa salire i tassi di interesse e quindi scoraggi gli investimenti produttivi. Ma questo non è accaduto. Invece, l'investimento è basso a causa della debolezza dell'economia.
E una delle cose principali che mantiene l’economia debole è l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – in particolare, tra l’altro, i tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati in nome della tutela del futuro e della minaccia selvaggiamente esagerata del debito eccessivo.

C'è qualche possibilità di invertire questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti, e, ancora una volta, temo che probabilmente hanno ragione. L'America probabilmente trascorrerà decenni pagando per le priorità sbagliate degli ultimi anni.
E' davvero una storia terribile: un racconto di autolesionismo, reso ancora peggiore perché è stato fatto in nome della responsabilità. E il danno continua mentre parliamo
".

5. A certe condizioni "fisiologiche" di sovranità, persino all'interno della moneta unica, quando ancora non si era "svelata" la sua intera portata intenzionale di ridisegno sociale dell'intera eurozona, la cosa poteva anche essere detta in questi termini:
"Ma è davvero così? Uno studio di Roberto Ciccone, professore di economia all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'e-book "Oltre l'Austerità", mette in discussione dalle fondamenta questa analogia tra il debito di una famiglia – dove è vero che il padre caricherà sui figli i suoi debiti non pagati – e il debito pubblico.
L'analogia non regge, perché al massimo il debito pubblico può essere paragonato con un indebitamento all'interno di una stessa famiglia, in cui il figlio, ad esempio, contrae un debito con i suoi stessi genitori, dai quali erediterà la stessa ricchezza con cui ripagare il debito.
Nel caso che vi sia l'esigenza di abbattere il livello di un debito pubblico troppo elevato1 , il maggior carico fiscale che graverà sulle future generazioni che vogliano ridurre il debito pubblico , argomenta Ciccone, sarà compensato dalla ricchezza rappresentata dagli stessi titoli del debito pubblico che verranno loro trasmessi in eredità dalle generazioni precedenti.
La situazione patrimoniale delle generazioni successive non sarà dunque né migliorata, né peggiorata, perché al valore attuale delle future maggiori imposte da pagare per finanziare il servizio del debito pubblico (interessi + rimborso alla scadenza) corrisponde il valore attuale dei titoli (interessi attivi e capitale) da essi ricevuti in eredità.
Quindi, dal punto di vista della collettività nel suo complesso, non esisite alcun conflitto intergenerazionale, e l'analogia col buon padre di famiglia che non vuole caricare di debiti i suoi figli non ha ragion d'essere".
 
6. Certo può essere che lo Stato non benefici i suoi figli dell'emissione del debito annuale corrispondente al deficit, e che questo sia sottoscritto da soggetti esteri (per lo più finanziari, cioè del tutto interessati a massimizzare il loro rendimento, scontando gli spread che permangono, nell'eurozona, anche in costanza di QE).

Titoli di Stato prima e dopo il Quantitative Easing per settore detentore (composizione percentuale)

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L'ipotesi, come si vede dal grafico soprastante, è peraltro divenuta abbastanza marginale; ma non di meno, L€uropa si preoccupa di renderla lo stesso disastrosa per l'Italia, e anzitutto per il suo sistema bancario, grazie alla ventilata introduzione di un rating e di una quota massima di detenzione dei titoli (qui, p.14), comunque graduati secondo il rischio: una condizione di rischio (altrimenti inesistente) programmaticamente amplificata dal sistema voluto da Maastricht, appunto coi suoi limiti al deficit, fino al pareggio di bilancio, e col conseguente impedimento della crescita istituzionalizzato con la banca centrale indipendente "pura", cioè col divieto di bail-out sugli Stati e il parallelo divieto di acquisto dei titoli dei singoli Stati da parte della BCE.

7. Ora, è del tutto evidente che "il denaro lo dobbiamo a noi stessi" (con tutto quello che ne consegue), come ci dice Krugman, in quanto si mantenga il potere di emissione monetaria.
Ma anche qualora di tale potere si sia deprivati in via istituzionale, - perché si ritiene che la lotta all'inflazione, secondo il mito supremo della "stabilità monetaria", (direttamente tratto dal gold-standard)-, l'idea che il debito si trasmetta alla generazioni future risulta lo stesso contraddittoria nelle stesse premesse economico-istituzionali de L€uropa: il problema del debito rifluisce, in tal caso, sulla sua sostenibilità, non sul mero fatto che esso cresca. L'importante, infatti, è che il PIL con cui il debito è messo in rapporto, negli stessi indicatori della moneta unica e del Fiscal compact, cresca nominalmente in misura superiore al fabbisogno (deficit) nominale.

7.1. "Saccheggio" da Goofynomics spiegazioni più dettagliate (aggiungo qualche "enfasi"...to Alberto's dismay...):
"Quando ero giovane mi sono divertito a calcolare una simile soglia [ndQ: mirata a rendere sostenibile il debito mediante la sua stabilizzazione - in "stato stazionario"- in rapporto al PIL] usando il modello keynesiano dinamico di Tobin e Buiter [1978], e l’ho pubblicata sul Giornale degli economisti nel 1995.
L’evidenza indicava che in Italia, nel decennio post-divorzio, si sarebbe incorsi in un rischio di “esplosione” del debito solo se il rapporto debito/Pil avesse superato il 200%. La soglia però era molto sensibile a certi parametri: ad esempio, l’aumento di un punto del tasso di interesse reale la faceva scendere al 125%, mentre l’aumento di un punto della pressione fiscale la portava al 244%. Di fatto, scorrendo gli anni fino al 1994 si vedeva che in nessun anno questo indicatore “keynesiano” rilevava una situazione di insostenibilità del debito italiano.
In Bagnai (2005) ho rifatto i calcoli, e la situazione era cambiata: la soglia keynesiana era più bassa e si situava attorno al 138%. Ad altri paesi andava molto peggio: la soglia assumeva valori pesantemente negativi (a indicare che ogni valore positivo del debito era comunque insostenibile). Si trattava, guarda un po’, di Spagna e Irlanda, due paesi dei quali tutti dicevano mirabilia perché allora il loro rapporto debito/Pil era così basso. Ma per l’indicatore keynesiano non c’era da stare allegri. Che coincidenze!

Al di là di queste coincidenze, rimane il fatto che la definizione di un valore “sostenibile” del debito, di un “livello di guardia”, è e rimane un’operazione estremamente arbitraria: finché non esisterà un unico modello accettato dell’economia (cioè mai), non esisterà un unico modo accettabile di definire questo livello. Punto.
Quindi sì, i numeri di Maastricht non sono fondati su una particolare teoria economica. Questo lo riconoscono più o meno tutti, aggiungendo che la Francia e la Germania hanno scelto una soglia del debito al 60% del Pil perché questa rifletteva la loro esperienza storica.
Ma quale? Francia e Germania arrivano alla firma del Trattato di Maastricht con rapporti debito/Pil inferiori al 40%. Quindi le cose non stanno così: nel fissare la soglia del 60%, quella che ora è incorporata nel Fiscal compact, Francia e Germania non hanno guardato al loro debito pubblico. L’esperienza storica, però, c’entra ugualmente, e se siete sopravvissuti fino a qui siete anche in grado di capire perché (non è una grande scoperta, vi assicuro).

Negli anni ’80 Germania e Francia avevano avuto rapporto fabbisogno/Pil vicini al 3%, con tassi di crescita nominale superiori al 6%. Nel decennio 83-92 il fabbisogno in Francia era stato di 2.8 punti di Pil, e la crescita nominale del 6.8%. Con valori come questi, il valore di stato stazionario del debito sarebbe stato:

Diciamo che dentro una soglia di 0.6 potevano pensare di starci comodi. La Germania non aveva numeri particolarmente diversi. È molto probabile quindi che i due numeri di Maastricht siano scaturiti da un ragionamento di questo tipo. L’esperienza storica suggeriva valori di f=3. La disinflazione ancora in atto (almeno in Francia) suggeriva che la crescita nominale si sarebbe potuta attestare attorno al 5% (diciamo: un 3% di crescita reale con un 2% di inflazione). Quindi:

che, arrotondando, fornisce il fatidico 60%.

Nel Trattato di crescita non si parla, ma solo di f e d. Resta però il fatto che se di queste tre grandezze (crescita nominale, rapporto fabbisogno/Pil e rapporto debito/Pil) ne fissi due, la formula (5) automaticamente ti determina l’altra. Detto in altre parole, nel momento in cui il Trattato di Maastricht fissa d=0.6 e f=0.03, lo stesso Trattato matematicamente impone che la crescita nominale sia

(il 5.26%). E infatti, se volete verificarlo, vedrete, utilizzando la solita (5), che:


Ecco. I numeri di Maastricht nascono dalla (5), dalla formula che indica qual è il valore di stato stazionario del debito pubblico, una volta che ci si mettano dentro i valori di fabbisogno e crescita che i paesi leader pensavano di poter sostenere.
Un ragionamento anche corretto, se vogliamo, per la sua attenzione al lungo periodo, ma che non teneva conto di due cose: la prima è che al momento della stipula del trattato altri paesi europei avevano valori di fabbisogno e crescita incompatibili con un debito al 60% del Pil; la seconda è che anche nella stessa esperienza dei paesi leader i valori di fabbisogno e crescita che si verificarono dopo la stipula del Trattato erano incompatibili con una soglia del 60%, che infatti venne sforata dalla Germania nel 1999 e dalla Francia nel 2003.
Anche i ricchi piangono?

Diciamo così. Ma il percorso che ci ha condotto fin qui dovrebbe averci fatto capire qual è l’idiozia di Maastricht: dettare implicitamente un valore del tasso di crescita, inchiodato al 5.26% per decreto, come se la crescita fosse un dato esogeno. Ma la crescita esogena non lo è, e si si discosta dal valore implicitamente decretato da Maastricht sono dolori, perché matematica vuole che ci siano solo due alternative: o si accetta che il rapporto debito/Pil sfori il 60% (e questa è stata la strada scelta all’inizio), o si impone che il rapporto fabbisogno/Pil sia inferiore al 3% (e questa è stata la strada scelta dal Fiscal compact in poi)."



8. Potremmo allora dire, di fronte al fatto che nessuno, da un certo punto in poi, aveva più ratei di crescita tali da rendere sostenibile l'impianto fiscale di Maastricht, che il tutto si può riassumere in un problema di ideologia ed etica: cioè se si crede o meno nella teologia della deflazione essendo l'inflazione "la più ingiusta delle imposte". Appunto, come predicava Einaudi, (v. addendum), e come, - ben prima di questa sua frase lapidaria, tanto amata dalla "sinistra" dei mercati liberalizzati-, si era già detto nelle Conferenze "mitiche" dei banchieri centrali che (v. p.7), nel dopo prima guerra mondiale, avevano deciso che il gold standard fosse l'unica virtù possibile e al diavolo il mercato del lavoro.
Con l'inflazione "vera", cioè generata da fisiologici movimenti della domanda interna, degli investimenti e dell'aumento di occupazione effettiva, siamo oggi a questo punto:

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euro-area-core-inflation-rate.png

9. Se dunque si crescesse in compresenza di una simultanea moderata inflazione, - che non sia una deflazione o comunque una situazione in cui nemmeno più si riesce a raggiungere, con l'inflazione "core", (v. grafici sopra: quella effettiva, e non importata dai prezzi di commodities estere e dal cambio del dollaro con cui le pago), il giugulatorio tetto del 2%-, vorrebbe dire che le future generazioni non si troverebbero in situazione di perpetua disoccupazione strutturale.
Queste generazioni potrebbero aspirare a redditi dignitosi e, quindi, a risparmiare e persino a sottoscrivere il debito pubblico (avendo magari acquistato una casa di abitazione e estinto un mutuo), senza doversi solo preoccupare che l'imposizione fiscale sia un crescente peso insostenibile: e ciò perché, prima di tutto, famiglie e imprese, cioè cittadini di questa e delle future generazioni, divengono soggetti insolventi al credito bancario, cioè accumulatori di risparmio privato negativo.

9.1. Se invece l'inflazione core indica chiaramente che sto comprimendo la crescita, proprio per mantenere la stabilità monetaria, minacciata dalle asimmetrie generate dalla intenzionale disfunzionalità dell'unione monetaria, che si pone al servizio della crescita export-led only, perseguendo una conseguente forsennata deflazione salariale (che si ottiene amplificando una (già) alta disoccupazione strutturale), le generazioni future non avranno il problema del debito pubblico ma quello della mancanza di lavoro e di redditi tali da consentirgli di sopravvivere dignitosamente.
Il resto sono chiacchiere da bar: è del tutto chiaro che la bufala del debito pubblico che grava sulle generazioni future non sia altro che un effetto provocato deliberatamente da condizioni istituzionali che valgono dentro l'euro e solo nell'euro.
E valgono perché i parametri di Maastricht, e a fortiori, quelli del fiscal compact sono un non-senso che impedisce la crescita, mentre, contemporaneamente, si ritiene indispensabile impedire l'intervento fiscale a sostegno della crescita, dovendosi, prima di tutto, rendere sostenibile la moneta unica, (e la sua disoccupazione "competitiva")...rendendosi insostenibile il debito pubblico.
E quindi vincolando gli Stati, anzitutto, a correggere l'indebitamento privato, commerciale e finanziario, con l'estero, tramite la leva fiscale, anche a costo di distruggere il futuro delle prossime generazioni; in pratica, stabilizzando un livello di disoccupazione che, nel suo protrarsi strutturale, erode la base produttiva, cioè il capitale fisso delle imprese, che vedono costantemente contrarsi la domanda interna a livelli che le pongono fuori mercato, in modo definitivo.

10. Dare una risposta a Moscovici è dunque relativamente facile, ove si volesse veramente essere credibili e non semplicemente negoziare un ritorno a Maastricht: una facezia sconclusionata, come mostra l'analisi di Alberto sui relativi parametri fiscali, che impongono di arrivare al fiscal compact, una volta che ci si renda conto che NESSUNO è in grado di ottenere la crescita implicata da tali parametri dentro l'eurozona.
La risposta, l'unica che abbia una logica e una legittimità costituzionale, è quella di un superamento obbligato della moneta unica.
Il conflitto generazionale non esiste, e lo abbiamo detto tante volte: esiste l'impoverimento generale di interi popoli.
E quindi esso impatta oggi sulle generazioni già in vita, sottoposte a una "sottrazione" progressiva di risorse, rese appositamente "scarse": una sottrazione (esclusivamente conservativa dell'euro) che non ha mai fine, se non con l'eliminazione fisica dovuta alla morte (la più prematura possibile nei calcoli fiscali degli €uristi come Attali e non solo, v. p.4).

10.1. Tutti i cittadini italiani, senza distinzioni generazionali, sono coinvolti, solo con una maggior o minore durata nell'arco delle loro vite (per mere ragioni casuali di nascita), negli effetti delle politiche dettate dal "vincolo esterno": cioè nell'intensificazione della mancata crescita e della disoccupazione strutturale, aggravata dall'immigrazione in funzione di calmiere acceelerato del costo del lavoro.
E da tutto ciò nasce una nuova struttura economico-sociale, asservita alla competizione, sui mercati esteri, di tutti contro tutti: compresi, anzi prima di tutto, i paesi dell'eurozona nei reciproci confronti.
Un "nuovo ordine" (internazionale dei mercati) che rende sempre più disperata la condizione di chi dovesse nascere in questi anni. Ma proprio perché nascerebbe, o già oggi crescerebbe, dentro questa orribile imitazione del gold standard, più rigido!, voluta da L€uropa. Cioè da Moscovici, che ne è solo l'ennesimo guardiano semiringhiante che mente sapendo di mentire.
Ma tutti ci credono lo stesso; e il sistema mediatico, come abbiamo visto, non è in grado di organizzare alcuna risposta perché si nutre di spesapubblicasprechievasionefiscalebrutte, condizionando l'agenda politica di una classe dirigente che, semplicemente, non ha le risorse culturali per reagire efficacemente.

11. Abbiamo visto come la moneta unica sia alla base di tutto questo impoverimento e di questa distruzione della struttura produttiva italiana. Ne abbiamo segnalato (v. i links finora inseriti) i legami istituzionali dettati dalla trasformazione in norme dell'ideologia degli anni '20 del secolo scorso.
Ma sul piano logico-giuridico, il concetto stesso di solidarietà generazionale, per quanto improvvidamente e acriticamente accolto dalla nostra Corte costituzionale, piegandosi alle formulazioni nate dai trattati €uropei, - e da null'altro, perché la nostra Costituzione non prevede il concetto-, non ha alcun senso, come aveva dimostrato Luciani già nel 2008 ("GENERAZIONI FUTURE, DISTRIBUZIONE TEMPORALE DELLA SPESA PUBBLICA E VINCOLI COSTITUZIONALI", in Diritto e società, n.2/2008).
Da allora la situazione è solo peggiorata: per tutti gli italiani, impoveriti da un sogno senza alcun senso e da un'ideologia penetrata in modo devastante ad ogni livello istituzionale.

Pubblicato da Quarantotto a 16:08 23 commenti: Link a questo post
 
.. ti risponderei che il calcolo è irrilevante perchè le mani che gestiscono l'inps corrispondono alle mani che indebitano i lavoratori italiani con la proprietà privata della banconota e moneta , e solo quel'ultima risulta in qualche modo , non debitale .. ricordi quando scrissi di cambiare 500 euro in monetine da 10 centesimi ? fosse anche che ne aveste cambiati 1000 oppure 2000 di euro , oppure anche di più ... la monetina che ti ritroveresti tra le mani sarebbe senza debito , mentre , qualsiasi banconota cartacea , è pieno debito con valore nullo ... o pensi veramente che draghi , o la merkel , oppure il signor prendilo a calci nel sedere di nome " lo vuole l'europa " ti controcambino a 5 euro l'ora la cartastraccia debitale , cui come contropartita , ha titoli di stato cui ti ci puoi pulire il ... .... viso ? Chi copre quei titoli di stato se i popoli rifiutano tutt'un tratto di riconoscere la validità delle banconote emesse a debito perchè fraudolenti ?
te la faccio io una domanda ora : la differenza tra 10 centesimi ape vittorio emanuele 3° e 10 centesimi di euro .. pensaci bene e prenditi il tempo che ti serve per rispondere !
Non scrivo con funzione di sfida , bensì nella funzione di riflessione ..
 
Ultima modifica:
caro,, un saluto cordiale,,,,nn sono io che nn so,, in famiglia abbiamo fatto una banca.....io so come funziona......evidenzierei, che va fatto riflettere ad altri 3d d forum......se hai piacere, ,sopra il tuo post.. c e' il video del presidente della 6 sezione del consiglio di stato , con affetto....ma nn ti bacio
 
AGGIORNAMENTO FRATTALICO: IL CEDIMENTO STRUTTURALE [/paste:font]


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1. In attesa di ulteriori sviluppi (su Fincantieri "fuori" controllo, Libia improvvisamente divenuta sede praticabile di centri per profughi, Telecom ex-Italia, forse con rete ri-nazionalizzabile ecc.), - sviluppi che, vedrete, non mancheranno- provo a buttare giù alcuni punti implicati dal repentino "ritorno all'interesse nazionale" da parte dei giornaloni, con articoli e editoriali schierati a fianco della bandiera tricolore (in senso metaforico, naturalmente, dato che siamo l'unico Stato-membro UE che ha approvato una legge che rende obbligatorio affiancare la bandiera nazionale esposta in ogni possibile e immaginabile edificio pubblico).
Per l'illustrazione dello scenario attuale nei suoi antecedenti storici, di tipo ideologico-politico-economico (proprio in quest'ordine), mi limito a rinviare all'apposito post di Goofynomics, senza stare a ritirar fuori i passaggi di qualche centinaio di post in cui è stata analizzata, sotto molti profili possibili, tale ideologia politico-economica abbracciata dalla grancassa mediatica al servizio dell'oligarchia.
Volendo fare un riassunto del riassunto, potremmo dire che gli interessi della timocrazia nazionale si sono ormai trasformati in quelli di un oligarchia estera controllante. E i topi adesso temono che la nave affondi sul serio (prima non ci credevano: si sdraiavano a Capalbio e pontificavano sul debito pubblico che si trasmette alle generazioni future...); e dunque si agitano.

2. La seconda chiave di lettura riguarda un aspetto strettamente connesso: questa crisi de L€uropeismo come dogma supremo della restaurazione neo-liberista e timocratica (Quarto Partito-led), dogma ancora oggi ritenuto dai giornaloni degno di rimpiazzare la Costituzione nei suoi stessi principi fondamentali e inderogabili, non pare il frutto di alcuna progressiva consapevolezza dei rapporti causa/effetto.
Almeno per la schiacciante maggioranza della ital-classe dirigente impegnata, fino a ieri (incluso), nel provocare e propagare l'autorazzismo espertologico e orwelliano.
No: si tratta più di un cedimento strutturale, improvviso e sorprendente (per il Quarto Partito e il suo battage mediatico-culturale). Un evento terrificante ma assolutamente imprevisto ove, come in effetti non può che accadere, si prosegua ad utilizzare i parametri di interpretazione della realtà che si ritenevano non solo dominanti ma anche consolidabili.

3. Da questo complessivo scenario nasce, più che la constatazione di una Caporetto, un progressivo stato di agitazione autodifensiva del sistema, che tenta ogni possibile disperata misura per conservare se stesso, non avendo però alcuno strumento cognitivo e culturale adeguato per fronteggiare un'evoluzione degli eventi che lo travolgerà comunque.
Dunque, ci troviamo di fronte a un fenomeno del tutto simile al 25 luglio 1943, allorché si coltivò l'illusione che, di fronte al precipitare degli eventi e alla scelta di minimizzarli ufficialmente, pure quando non potevano più essere ignorati dall'opinione di massa, si potesse cercare una "presa di distanza" verso responsabilità individuali, sperando che ciò potesse funzionare per preservare una qualche continuità.
Ed in effetti, (sebbene su questo argomento faremo un approfondimento ulteriore), il riassestamento che ne conseguì, nel complessivo arco di tempo in cui si svolse, risultò in una qualche forma di continuità: cioè, si verificò un cambio dei vertici istituzionali della classe dirigente (peraltro neppure integrale), ma non una rivoluzione. Almeno, se intesa come mutamento della classe sociale che sostituisce quella che, in precedenza, aveva il controllo istituzionale: questo avvicendamento di classi sociali, nonostante la natura rivoluzionaria del programma costituzionale poi adottato, fu in sostanza impedito dalla sconfitta militare e dalla conseguente condizione di protettorato di una potenza estera che ne derivò l'Italia.

4. Svolte queste necessarie premesse, rammentiamo la cronologia precisata nell'ultimo aggiornamento frattalico (p.8-9):
"La "Marcia" ebbe luogo com'è noto il 28 ottobre 1922 ma fu lungamente preparata, con una prova generale ad Ancona (2 agosto) e la famosa riunione della camicie nere di Napoli (24 ottobre).
L'8 (!) ottobre 1996, la Repubblica fa trapelare che

"Pronti a rientrare nello Sme. Secondo informazioni non ufficiali Prodi avrebbe deciso di passare ai fatti. Avrebbe cioè dato incarico ai funzionari del Tesoro di avviare le consultazioni e, soprattutto, gli studi sul livello che deve avere la lira per rientrare nell' accordo di cambio europeo, abbandonato quattro anni fa..."
L'ufficializzazione del rientro nello SME, è del 30 novembre 1996.
Berlusconi dichiara di averne già sentito parlare e di considerarla una buona notizia: solo che, per lui, il problema è "restarci in €uropa". L'identificazione UE= euro ha già preso il sopravvento nello spin mediatico che viene propinato agli italiani. Nell'opinione pubblica, nessuno si rende conto delle conseguenze a cui si possa realmente andare incontro, ma la cosa viene accettata come un meritorio atto di governo.
Inizia il "balletto" del cambio di parità sul marco: "L'Unità" lo ipotizza a 1010 £, Confindustria punta a 1050 £ (giustamente), la City a quota 1000, la Francia "stranamente" a 950 (per quelli che non avessero capito 'sta faccenda, a tutt'oggi, credo non ci sia più nulla da fare). Ma Ciampi chiude ogni discussione:


Basta con i sospetti, i dubbi, le in-terpretazioni capziose, le guerre guerreggiate à la Bundesbank. L’Ita-lia, ha detto Ciampi, intende essere tra i fondatori della moneta unica europea rispettando i parametri di Maastricht «senza vie traverse, senza aggirarne le condizioni.
Da notare che una timida resistenza, totalmente al di fuori del richiamo a principi costituzionali, anzi basata sul suo opposto teorico-economico, nella precedente discussione del 27 novembre (su una mera interrogazione parlamentare), la imbastisce l'on Marzano: lamenta che il cambio fissato a £ 990 risultasse penalizzante e che il governo si era impegnato a concordare 1020. Ma, al tempo stesso, ritiene comunque l'adesione (ndr; allo Sme e quindi all'euro) non mantenibile perché non abbiamo proceduto al previo taglio "strutturale" della spesa pubblica e saremmo stati "in ritardo" nel "processo delle privatizzazioni"...

Anche il 25 novembre 1922, allorché Mussolini ricevette i pieni poteri con voto della Camera (!), la classe politica e la stessa base popolare italiana non realizzano la piena portata dell'evento: cioè, nessuno si preoccupa veramente di prevedere gli ulteriori esiti della situazione politica, nel momento in cui viene ufficializzato il passaggio ad una forma di governo che non si cura più di rispettare la sostanza (elettivo-parlamentare dell'investitura del presidente del consiglio) dell'ordinamento "costituzionale" albertino, lasciandone in piedi solo le forme (l'incarico del Re e la compartecipazione di altri partiti al primo governo Mussolini), con qualche aggiunta; ad es; il "formale" Gran Consiglio, che non fu destinato, poi, ad assumere effettive decisioni, tranne che, beffardamente, l'ordine del giorno Grandi nella fatidica conclusione del 25 luglio 1943.
..."

5. Riassumendo in termini frattalici (rammentando che è pur sempre un divertimento che, peraltro, più di uno trova estremamente "liberatorio"): il "dies a quo" della versione tragica è il 28 ottobre 1922; nella versione farsesca è, grosso modo, il 30 novembre 1996.
Dunque queste prime avvisaglie di cedimento strutturale tenderebbero a portare a una formalizzazione (autoconservativa) della "presa di distanza" (da se stessi), in questo 2017, ma con circa 33 giorni di spostamento in avanti rispetto al 25 luglio (magari con l'inevitabile intensificarsi della "accoglienza" nonostante il dispiegamento della flotta).
Dal che l'8 settembre si ri-colloca anch'esso con un equivalente ritardo nel corso dell'anno, circa alla metà di ottobre, per capirsi: proprio, cioè, nella fase più calda dell'approvazione L€uropea della manovrona o manovretta di "stabilità" che precederà, guarda caso, la fase elettorale più accesa (e la prova generale siciliana).
Nel frattempo, dovendosi tarare su questo delay cronologico gli altri eventi intervenuti dalla metà del 1943, si può anticipare che il "divertimento" (frattalicamente parlando), non mancherà (potete sbizzarirvi: è chiaro che il punto realisticamente più confuso riguarda il ruolo degli USA in tutta la vicenda: ma non si può avere tutto dalla vita...frattalica).

Pubblicato da Quarantotto a 09:26 3
 
luglio 30, 2017 posted by Mitt Dolcino
I negoziatori italiani anti STX-Fincantieri possono sfidare Parigi se un quinto del parlamento italiano è ricattato dai dati fiscali di Schauble?



Per ipotesi, se quanto nel titolo fosse vero… sarebbe un attacco alla stregua di un’aggressione militare!

Prima di tutto, come il caso greco insegna, come rilevato dai report (stranieri, principalmente svizzeri ed anglosassoni) sui dati fiscali (leggasi conti all’estero non dichiarati) di cittadini EU NON TEDESCHI ricettati dai servizi segreti tedeschi fin dai tempi in cui Schauble era a capo del BND/servizi segreti tedeschi, la Germania compra – chiamasi ricettazione – da una decina di anni i dati fiscali di cittadini NON tedeschi ossia di cittadini EUropei, a maggior ragione se in vista e/o politicamente influenti di paesi da sottomettere.

Il motivo? Semplice, come Atene ha insegnato (vedasi la pubblicazione da parte di HOTDOC – il cui redattore fu imprigionato nottetempo per non farlo parlare – della lista integrale Lagarde da cui furono epurati da parte delle istituzioni internazionali i nomi di alcuni politici ellenici poi costretti a far approvare le assurde misure lacrime e sangue contro gli interessi della popolazione ellenica), o anche il caso Civati, bruciato pre-primarie contro Renzi con la pubblicazione puntuale di segreti fiscali dissacranti, avere in mano dati fiscali scottanti di persone influenti – sebbene si tratti di dati deliberatamente cercati e poi rubati – è un’arma micidiale per chi vuole affamare un paese avversario.

Scolpitevelo nella mente: lista Falciani e Panama Papers sono tutte operazioni del BND, i servizi segreti tedeschi sotto Schauble. Non a caso tali dati tengono sotto scacco mezza alta borghesia mondiale – le elites, verrebbe da dire, usino invece altri strumenti molto più sicuri per le operazioni “indicibili”, ad es. conti aziendali segreti occultati in SWIFT, CEDEL/CEDEX/EUROCLEAR o relazioni private presso banche centrali, …) -.

Ora, domandiamoci, alla luce dei proclami bellicosi di alcuni politici italiani oggi in veste di negoziatori anti STX-Fincantieri-Francia, cosa succederebbe se per mera “ipotesi accademica” alcuni di loro fossero sotto ricatto da simili rilevanze, usate espressamente dalla Germania per piegare le resistenze di selezionati politici “critici” di paesi in avversari? Cosa succederebbe ad esempio se alcuni di loro in passato avessero percepito provvigioni o “consulenze” non dichiarate magari transitate presso filiali off-shore di banche francesi? Semplice, tali negoziatori italici non otterrebbero nulla di rilevante nell’interesse del Paese, anzi ne uscirebbero con un bel fico secco nelle mutande.

Forse una meditazione su tale gravissima criticità – non a caso mai citata dai media mainstream – sarebbe necessaria. Siamo veramente sicuri che i dati relativi a soggetti italiani potenzialmente implicati in reati fiscali in mano dei servizi tedeschi (dati che sebbene ricettati sono stati poi condivisi con gli altri paesi sotto austerità) non siano in realtà uno strumento per “tenere per le palle” rilevanti politici nazionali con il fine di costringerli a mettere in atto qualcosa di simile allo scempio Greco, leggasi abbattere l’economia di un paese facendo svendere i pezzi pregiati dello stato assediato tramite il ricatto, ossia rendendo i negoziatori/governanti avversari incapacitati a negoziare? Sempre lo stesso mantra: prima li affami e poi li compri… e per fare questo Berlino non esita – come la storia insegna – ad usare l’arma del ricatto.

La magistratura italiana dovrebbe porsi dei dubbi in riguardo, ne va del loro stesso interesse. Oggi i giudici italiani servono per tenere “allineata” agli interessi EUropei la classe politica italiana, ma cosa succederà fra qualche anno quando i danni catastrofici saranno irreversibili?

Ricordo che gli scaltri giudici siciliani, da sempre più allenati di tutti a sentire in anticipo puzza di bruciato, sono stati gli unici ad evidenziare il potenziale enorme problema delle ONG conniventi con i poteri centrali EUropei a danno dell’Italia… con il risultato di essere stati prontamente zittiti!

Infatti nel caso si fosse in presenza di un sistematica negazione degli interessi italiani a vantaggio euro-stranieri, la magistratura è veramente sicura che quando i suoi rappresentanti andranno in quiescienza riceveranno veramente le pensioni più alte del mondo occidentale?

Io non ne sarei molto certo…

Jetlag

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PER L’ENNESIMA VOLTA IL FMI CERTIFICA L’INCONGRUENZA ED IL SOSTANZIALE FALLIMENTO DELL’EURO. QUELLO CHE NON LEGGERETE IN NESSUN MAINSTREAM ITALIANO




Oggi vi parliamo del report sugli equilibri esterni di bilancia delle partite correnti predisposto, come ogni anno , dal FMI. Si tratta di un report molto interessante che analizza la situazione dei singoli paesi anche in rapporto al valore relativo della propria valuta rispetto alla bilancia delle partite correnti ed all’indice dei prezzi comparato.

Premettiamo che lo stesso FMI ritiene un indicatore più corretto la bilancia delle partite correnti, in quanto dato oggettivo e non estrapolazione su valori che possono essere anche influenzati da fattori esterni. Il flusso monetario generato da import , export e da movimenti di capitale per prestiti , finanziamenti ed investimenti rappresenta un valore di certezza quasi assoluta.

Bene, vediamo cosa dice questo report sul cambio di alcuni paesi della’era euro.

Prima di tutto una tabella riassuntiva con gli squilibri dei cambi di tutti i principali paesi industrializzati, e le rispettive bilance delle partite correnti. I valori relativi alle discrepanze fra cambio attuale e cambio effettivo (cioè quello che dovrebbe essere secondo il calcolo del REER) lo trovate fra le due righe rosse. Se il valore è negativo il cambio attuale è SOTTOVALUTATO , se è positivo è SOPRAVVALUTATO.



Salta subito all’occhio che, secondo il calcolo del REER, l’euro sia sopravvalutato per l’Italia del 9%, e sottovalutato per la Germania del 15%. Cioè la Germania dovrebbe rivalutare del 15% e noi dovremmo svalutare del 9%, cioè del 24% rispetto alla Germania.

Vediamo ora i report per i singoli paesi.

FRANCIA



Secondo il modello REER il cambio francese è sopravvalutato del 6,8%, ma secondo una valutazione basata sulle partite correnti la sopravvalutazione è dal 8 al 14%-



GERMANIA



Rispetto al cambio teorico REER abbiamo che il cambio attuale della Germania, cioè l’euro, è svalutato del 10-20% secondo il modello REER, mentre lo è fra l’11 ed il 16% secondo il calcolo delle partite correnti.

ITALIA



Qui il discorso è un po’ più complesso perchè viene ad esservi un contrasto fra i valori del REER , che indicherebbe una leggera sottovalutazione, e quello delle partite correnti, che indicherebbe una forte sopravvalutazione dell’euro. Data la prevalenza del metodo delle Partite correnti, e per altri motivi di cui parlerò più avanti, la valutazione dei tecnici del FMI è di una sopravvalutazione del 6-12 %, cioè dovremmo svalutare la nostra valuta del 6%12% (ma ricordiamo che la Germania dovrebbe rivalutarla molto di più).

Perchè il team del FMI per l’Italia viene a consigliare una svalutazione così forte (siamo al limite massimo al 30% rispetto alla Germania). Il motivo è molto semplice: noi abbiamo un suplus di partite correnti del 2,5%, che però si riduce al 1,5% se togliamo l’effetto congiunturale. Inoltre abbiamo investimenti molto bassi ed un’alta disoccupazione anche lungo termine, oltre ad un alto debito . L’unico modo per superare questi problemi è far crescere ancora di più il surplus di partite correnti , e per farlo l’unico modo è SVALUTARE. La svalutazione porterà anche ad una crescita della produttività del lavoro che non può esserci senza investimenti, crescita della domanda interna e della domanda esterna. Mi dispiace per Giannino e company, ma non c’è altra strada.

Tra l’altro il fatto che vi sia un’alta incidenza dei fattori congiunturali fa si che la crescita attuale , di cui tutti parlano, sia solo un fattore di beve periodo, che si esaurirà, se veramente c’è nel 2017. Dopo, cosa faremo ?

Terminiamo facendo notare che la recente rivalutazione dell’euro nei confronti del dollaro, molto gradita a Berlino perchè permette di diminuire le pressioni sulla Germania per una riduzione dell’enorme suplus commerciale tedesco verso gli USA, non verrà che ad accentuare gli squilibri all’interno dell’area euro, mettendo ancora più pressione sulle economie francese e , soprattutto, italiana. Noi pagheremo il conto per il surplus degli altri.



Grazie
 

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