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Forumer storico
martedì 11 luglio 2017
IL DEBITO PUBBLICO GRAVA SULLE GENERAZIONI FUTURE? MOLTO, MOLTO MENO DELL'EURO, MR. MOSCOVICI [/paste:font]
1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
E tale punto è il seguente: questa affermazione è scientificamente vera dal punto di vista economico nonché legittima dal punto di vista costituzionale?
2. Nel corso degli anni ne abbiamo già trattato fino allo sfinimento:
"Tutto ciò (cioè il programma costituzionale di diritti fondamentali sociali, in funzione di prestazioni redistributive ex ante per realizzare la democrazia sostanziale) non ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull'idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.
Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanche del neo-liberismo che si "riprende il maltolto": essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio istituzionalizzati per favorire la "stabilità monetaria".
Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta essenzialmente all'effetto del regime di mercato del lavoro conforme all'obiettivo della stessa "stabilità monetaria".
3. Quello che si può più utilmente focalizzare oggi è che, se per ragioni di conservazione del consenso si inizia una battaglia di questo tipo, gli argomenti che possono essere utilizzati a suo sostegno dovrebbero essere commisurati al "merito" delle proditorie e inerziali obiezioni provenienti dalla controparte UE.
Se si accettano i caposaldi ideologici-morali (altamente zoppicanti), prima che economici, di queste obiezioni moscoviciane, e se ne fa una questione esclusivamente politica, imprudentemente prospettata come la soggettiva di convenienza di un certo Stato-membro, piuttosto che sulla illogicità e insostenibilità socio-economica delle norme €uropee, si è destinati a perdere in base alla (ben diversa) logica dei rapporti di forza consolidati che governa i trattati: di più, non sapendo criticare nel merito, queste risibili obiezioni, si ottiene l'effetto boomerang di consolidare ancor più questi rapporti di forza.
E si è costretti, come infatti avvenuto, a fare retromarcia e a perdere in partenza di credibilità (negoziale, cioè politica nelle relazioni internazionali, esattamente come quando si fa retromarcia sulla questione "immigrazione" rinunciando a far valere persino l'esatto contenuto degli accordi a cui, in modo comunque improvvido, ci si è autovincolati).
4. Il debito pubblico "pesa" sulle generazioni future?
In termini economici, se e solo se sia adottato il gold standard o l'ancor più rigido strumento della privazione istituzionale della sovranità monetaria, cioè l'euro (moneta adespota, comunque non nazionale, cioè priva di uno Stato che abbia come riferimento l'interesse di una propria comunità sociale ai fini dell'emissione e delle politiche monetarie). L'effetto di presunta mancata crescita da deficit pubblico, cioè il suo non determinare effetti espansivi, e di conseguenza, l'effetto complessivo negativo dell'accumulo di debito pubblico, viene spiegato con l'ipotesi di Barro-Ricardo (pp. 4 e ss.): le azioni compensative (non consumo, non investo) degli "operatori razionali", in realtà, sono imposizioni normative, imposte da regole dettate da chi detiene il potere istituzionale e non hanno nulla di razionale e tantomeno "naturale", al di fuori di queste regole (che sono appunto l'imposizione di limiti al deficit annuale e di tetti al rapporto debito/PIL).
Ce lo spiegava Krugman (quando era interessato a confutare gli slogan delle maggioranze repubblicante, regnante Obama), riferendosi all'ipotesi intermedia, meno intrusiva del vincolo monetario €uropeo, di autolimitazione della sovranità monetaria, derivante da scelte politico-ideologiche prevalenti in modo contingente, laddove, comunque, il potere di emissione monetaria rimanga astrattamente intatto in un certo Stato sovrano (stiamo parlando degli USA).
E questa autoprivazione ce la si autoinfligge con l'idea che limitando il deficit pubblico, - negli USA secondo "cap" predefiniti per periodi annuali e/o pluriennali-, si limita di conseguente il debito pubblico e il relativo onere trasmesso a non identificabili "generazioni future" (per quante generazioni vanno registrati gli effetti del deficit fiscale e soprattutto come e quali effetti, correttamente e non arbitrariamente misurati, devono prendere in esame?):
“Ehi, forse stiamo solo perdendo 800 miliardi di dollari l'anno…”.
Ma ci sono prove schiaccianti che, non potendo rispondere efficacemente alla disoccupazione di massa – tanto da non fare della disoccupazione nemmeno una priorità politica - abbiamo fatto a noi stessi danni immensi a lungo termine.
Ed è, come ho detto, una ironia amara, perché uno dei motivi principali per cui abbiamo fatto così poco per la disoccupazione, è la predicazione della “condanna morale” inflitta al deficit (pubblico) da parte di coloro che si sono avvolti nel manto della responsabilità di lungo periodo – “motivo” che sono riusciti a tenere fortemente impresso nella mente del pubblico comprimendo così il debito pubblico.
Questo non ha senso, anche nei termini propri dello stesso assunto. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, mentre può porre dei problemi, non rende la nazione più povera, perché è denaro che dobbiamo a noi stessi. Chiunque parla di come stiamo prendendo in prestito dai nostri figli proprio non ha fatto i conti.
È vero, il debito può indirettamente renderci più poveri, se il deficit fa salire i tassi di interesse e quindi scoraggi gli investimenti produttivi. Ma questo non è accaduto. Invece, l'investimento è basso a causa della debolezza dell'economia.
E una delle cose principali che mantiene l’economia debole è l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – in particolare, tra l’altro, i tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati in nome della tutela del futuro e della minaccia selvaggiamente esagerata del debito eccessivo.
C'è qualche possibilità di invertire questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti, e, ancora una volta, temo che probabilmente hanno ragione. L'America probabilmente trascorrerà decenni pagando per le priorità sbagliate degli ultimi anni.
E' davvero una storia terribile: un racconto di autolesionismo, reso ancora peggiore perché è stato fatto in nome della responsabilità. E il danno continua mentre parliamo".
5. A certe condizioni "fisiologiche" di sovranità, persino all'interno della moneta unica, quando ancora non si era "svelata" la sua intera portata intenzionale di ridisegno sociale dell'intera eurozona, la cosa poteva anche essere detta in questi termini:
"Ma è davvero così? Uno studio di Roberto Ciccone, professore di economia all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'e-book "Oltre l'Austerità", mette in discussione dalle fondamenta questa analogia tra il debito di una famiglia – dove è vero che il padre caricherà sui figli i suoi debiti non pagati – e il debito pubblico.
L'analogia non regge, perché al massimo il debito pubblico può essere paragonato con un indebitamento all'interno di una stessa famiglia, in cui il figlio, ad esempio, contrae un debito con i suoi stessi genitori, dai quali erediterà la stessa ricchezza con cui ripagare il debito.
Nel caso che vi sia l'esigenza di abbattere il livello di un debito pubblico troppo elevato1 , il maggior carico fiscale che graverà sulle future generazioni che vogliano ridurre il debito pubblico , argomenta Ciccone, sarà compensato dalla ricchezza rappresentata dagli stessi titoli del debito pubblico che verranno loro trasmessi in eredità dalle generazioni precedenti.
La situazione patrimoniale delle generazioni successive non sarà dunque né migliorata, né peggiorata, perché al valore attuale delle future maggiori imposte da pagare per finanziare il servizio del debito pubblico (interessi + rimborso alla scadenza) corrisponde il valore attuale dei titoli (interessi attivi e capitale) da essi ricevuti in eredità.
Quindi, dal punto di vista della collettività nel suo complesso, non esisite alcun conflitto intergenerazionale, e l'analogia col buon padre di famiglia che non vuole caricare di debiti i suoi figli non ha ragion d'essere".
IL DEBITO PUBBLICO GRAVA SULLE GENERAZIONI FUTURE? MOLTO, MOLTO MENO DELL'EURO, MR. MOSCOVICI [/paste:font]

1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
E tale punto è il seguente: questa affermazione è scientificamente vera dal punto di vista economico nonché legittima dal punto di vista costituzionale?
2. Nel corso degli anni ne abbiamo già trattato fino allo sfinimento:
"Tutto ciò (cioè il programma costituzionale di diritti fondamentali sociali, in funzione di prestazioni redistributive ex ante per realizzare la democrazia sostanziale) non ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull'idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.
Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanche del neo-liberismo che si "riprende il maltolto": essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio istituzionalizzati per favorire la "stabilità monetaria".
Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta essenzialmente all'effetto del regime di mercato del lavoro conforme all'obiettivo della stessa "stabilità monetaria".
3. Quello che si può più utilmente focalizzare oggi è che, se per ragioni di conservazione del consenso si inizia una battaglia di questo tipo, gli argomenti che possono essere utilizzati a suo sostegno dovrebbero essere commisurati al "merito" delle proditorie e inerziali obiezioni provenienti dalla controparte UE.
Se si accettano i caposaldi ideologici-morali (altamente zoppicanti), prima che economici, di queste obiezioni moscoviciane, e se ne fa una questione esclusivamente politica, imprudentemente prospettata come la soggettiva di convenienza di un certo Stato-membro, piuttosto che sulla illogicità e insostenibilità socio-economica delle norme €uropee, si è destinati a perdere in base alla (ben diversa) logica dei rapporti di forza consolidati che governa i trattati: di più, non sapendo criticare nel merito, queste risibili obiezioni, si ottiene l'effetto boomerang di consolidare ancor più questi rapporti di forza.
E si è costretti, come infatti avvenuto, a fare retromarcia e a perdere in partenza di credibilità (negoziale, cioè politica nelle relazioni internazionali, esattamente come quando si fa retromarcia sulla questione "immigrazione" rinunciando a far valere persino l'esatto contenuto degli accordi a cui, in modo comunque improvvido, ci si è autovincolati).
4. Il debito pubblico "pesa" sulle generazioni future?
In termini economici, se e solo se sia adottato il gold standard o l'ancor più rigido strumento della privazione istituzionale della sovranità monetaria, cioè l'euro (moneta adespota, comunque non nazionale, cioè priva di uno Stato che abbia come riferimento l'interesse di una propria comunità sociale ai fini dell'emissione e delle politiche monetarie). L'effetto di presunta mancata crescita da deficit pubblico, cioè il suo non determinare effetti espansivi, e di conseguenza, l'effetto complessivo negativo dell'accumulo di debito pubblico, viene spiegato con l'ipotesi di Barro-Ricardo (pp. 4 e ss.): le azioni compensative (non consumo, non investo) degli "operatori razionali", in realtà, sono imposizioni normative, imposte da regole dettate da chi detiene il potere istituzionale e non hanno nulla di razionale e tantomeno "naturale", al di fuori di queste regole (che sono appunto l'imposizione di limiti al deficit annuale e di tetti al rapporto debito/PIL).
Ce lo spiegava Krugman (quando era interessato a confutare gli slogan delle maggioranze repubblicante, regnante Obama), riferendosi all'ipotesi intermedia, meno intrusiva del vincolo monetario €uropeo, di autolimitazione della sovranità monetaria, derivante da scelte politico-ideologiche prevalenti in modo contingente, laddove, comunque, il potere di emissione monetaria rimanga astrattamente intatto in un certo Stato sovrano (stiamo parlando degli USA).
E questa autoprivazione ce la si autoinfligge con l'idea che limitando il deficit pubblico, - negli USA secondo "cap" predefiniti per periodi annuali e/o pluriennali-, si limita di conseguente il debito pubblico e il relativo onere trasmesso a non identificabili "generazioni future" (per quante generazioni vanno registrati gli effetti del deficit fiscale e soprattutto come e quali effetti, correttamente e non arbitrariamente misurati, devono prendere in esame?):
“Ehi, forse stiamo solo perdendo 800 miliardi di dollari l'anno…”.
Ma ci sono prove schiaccianti che, non potendo rispondere efficacemente alla disoccupazione di massa – tanto da non fare della disoccupazione nemmeno una priorità politica - abbiamo fatto a noi stessi danni immensi a lungo termine.
Ed è, come ho detto, una ironia amara, perché uno dei motivi principali per cui abbiamo fatto così poco per la disoccupazione, è la predicazione della “condanna morale” inflitta al deficit (pubblico) da parte di coloro che si sono avvolti nel manto della responsabilità di lungo periodo – “motivo” che sono riusciti a tenere fortemente impresso nella mente del pubblico comprimendo così il debito pubblico.
Questo non ha senso, anche nei termini propri dello stesso assunto. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, mentre può porre dei problemi, non rende la nazione più povera, perché è denaro che dobbiamo a noi stessi. Chiunque parla di come stiamo prendendo in prestito dai nostri figli proprio non ha fatto i conti.
È vero, il debito può indirettamente renderci più poveri, se il deficit fa salire i tassi di interesse e quindi scoraggi gli investimenti produttivi. Ma questo non è accaduto. Invece, l'investimento è basso a causa della debolezza dell'economia.
E una delle cose principali che mantiene l’economia debole è l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – in particolare, tra l’altro, i tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati in nome della tutela del futuro e della minaccia selvaggiamente esagerata del debito eccessivo.
C'è qualche possibilità di invertire questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti, e, ancora una volta, temo che probabilmente hanno ragione. L'America probabilmente trascorrerà decenni pagando per le priorità sbagliate degli ultimi anni.
E' davvero una storia terribile: un racconto di autolesionismo, reso ancora peggiore perché è stato fatto in nome della responsabilità. E il danno continua mentre parliamo".
5. A certe condizioni "fisiologiche" di sovranità, persino all'interno della moneta unica, quando ancora non si era "svelata" la sua intera portata intenzionale di ridisegno sociale dell'intera eurozona, la cosa poteva anche essere detta in questi termini:
"Ma è davvero così? Uno studio di Roberto Ciccone, professore di economia all'Università di Roma Tre, pubblicato sull'e-book "Oltre l'Austerità", mette in discussione dalle fondamenta questa analogia tra il debito di una famiglia – dove è vero che il padre caricherà sui figli i suoi debiti non pagati – e il debito pubblico.
L'analogia non regge, perché al massimo il debito pubblico può essere paragonato con un indebitamento all'interno di una stessa famiglia, in cui il figlio, ad esempio, contrae un debito con i suoi stessi genitori, dai quali erediterà la stessa ricchezza con cui ripagare il debito.
Nel caso che vi sia l'esigenza di abbattere il livello di un debito pubblico troppo elevato1 , il maggior carico fiscale che graverà sulle future generazioni che vogliano ridurre il debito pubblico , argomenta Ciccone, sarà compensato dalla ricchezza rappresentata dagli stessi titoli del debito pubblico che verranno loro trasmessi in eredità dalle generazioni precedenti.
La situazione patrimoniale delle generazioni successive non sarà dunque né migliorata, né peggiorata, perché al valore attuale delle future maggiori imposte da pagare per finanziare il servizio del debito pubblico (interessi + rimborso alla scadenza) corrisponde il valore attuale dei titoli (interessi attivi e capitale) da essi ricevuti in eredità.
Quindi, dal punto di vista della collettività nel suo complesso, non esisite alcun conflitto intergenerazionale, e l'analogia col buon padre di famiglia che non vuole caricare di debiti i suoi figli non ha ragion d'essere".