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econda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
venerdì 22 dicembre 2017
LA DESTALINIZZAZIONE COME RIFERIMENTO ANALOGICO DEL RECUPERO DELLA DEMOCRAZIA IN EUROPA (IL "SIMBOLO" POLONIA) [/paste:font]
The protest was organised by the infamous (!) trade union group 'Solidarity'
1. Se, per i suoi presupposti cognitivi e per la sua finalità essenziale (procedere, in base ad un assunto bio-ideologico, proposto come "scienza naturale", alla definitiva istituzionalizzazione un normo-tipo di essere umano, "adatto" a stabilizzare l'equilibrio "allocativo" di un dominio elitario "malthusiano") il federalismo €uropeo "dei mercati" e, nello scenario più globale, il "mondialismo", non sono assimilabili alla complessiva esperienza dell'URSS, è però possibile trovare una parziale analogia fenomenologica con alcuni aspetti di tale esperienza.
Lo spunto in tal senso, ce lo fornisce Lelio Basso, in uno scritto della fine del 1963, intitolato "Stalinismo e destalinizzazione".
Quello che mi pare interessante, come ipotesi operativa, non è tanto una paradossale e grottesca definizione dell'Ue come processo di collettivizzazione forzata (dato che essa è semmai consistita in una imposizione forzata dell'individualismo metodologico, attuata su "basi scientifiche e sistematiche" creative di un meccanismo di coordinamento volto in essenza a «spezzare, in tutto il mondo, gli schemi dottrinari di pensiero» che forniscono una base intellettuale a «dottrine ostili agli *obiettivi americani*»), quanto la possibile analogia (come vedremo "previsionale") con quella fase storica del regime rivoluzionario sovietico denominata destalinizzazione.
D'altra parte, nei termini "selettivi" dell'interpretazione che si tenterà di dare, è la stessa "regia" della strategia di conquista del potere neo-liberale che consente di indagare su questa analogia: infatti, assumendo come adottate, in termini simmetrici e oppositivi, certe metodologie - in particolare, ed espressamente, proprio "leniniste"-, gli effetti poi determinatisi possono ragionevolmente trovare una correzione (eventuale) guardando ad esperienze storiche egualmente connesse alle conseguenze socio-culturali di tali stesse metodologie. Come abbiamo visto, infatti: "la c.d. "Rivoluzione liberale"...più semplicemente, e meno pomposamente, si potrebbe chiamare "antisocialista ispirandosi ai metodi di Lenin". In tal senso, ricordiamo l'altra fonte indicata nel post (e fornita da Arturo), relativa al "lavoro" svolto da Buchanan, laddove si rammenta che "Murray Rothbard, al Cato Instituto fondato da Koch, aveva esortato il miliardario a studiare le tecniche di Lenin per applicarle alla causa libertaria"."
2. L'elemento analogico lo si ritrova nel proporre, o intravedere, rispetto alla irriformabilità, e quindi alla crisi per insostenibilità dell'Ue (sempre più manifesta e maldestramente celata), la conseguente opzione di un recupero della democrazia - in luogo del dogma dell'ordine (elitario) del mercato- anticipando che ciò possa eventualmente realizzarsi solo scontando il "fatto compiuto" di generazioni (di subalterni) deresponsabilizzati e incapaci di uscire da un "culto" ideale.
Un culto, in questo caso, non della personalità (dittatoriale ed estrema di Stalin) ma, si potrebbe dire, della "organizzazione irenica", che con le sue inevitabili scorie e l'inerzia del suo poderoso radicamento "conformista", ostacolerebbe un rinnovamento della democrazia.
3. Andiamo con ordine scomponendo fenomenologicamente il discorso svolto da Basso su quella che è l'essenza del problema che si pone (costantemente) quando debba essere ripristinata la democrazia (sostanziale e "necessitata", ovviamente, non quella "liberale" dell'oligarchia mercatista).
Preliminarmente, precisiamo, in modo concettualmente ordinato, la differenza tra neo-liberismo, inteso, come abbiamo visto, come fenomeno programmaticamente e geneticamente totalitario, e stalinismo, come deviazione dell'esperienza rivoluzionaria marxista che si incardina sull'influenza di una personalità, qual è stata quella di Stalin, che accelera in senso degenerativo, alcune caratteristiche "russe" dello stesso processo rivoluzionario.
4. Basso su quest'ultimo punto è piuttosto chiaro (seleziono dei passaggi, sperando di rendere le parti essenziali dell'articolata analisi):
"Vediamo innanzi tutto di distinguere, nel fenomeno che comunemente si chiama “stalinismo”, quello che ne costituisce il substrato obiettivo e quelle che ne sono le specifiche connotazioni personali, essendo tuttavia chiaro che i due aspetti non possono essere interamente separati, perché quei caratteri personali non avrebbero avuto modo di affermarsi senza l’aiuto delle circostanze obiettive e queste, d’altra parte, avrebbero potuto dare luogo ad uno sbocco diverso se alla testa dell’URSS non si fosse trovata la forte personalità di STALIN.
Il substrato obiettivo dello stalinismo è evidentemente il fatto rivoluzionario: una rivoluzione che tende a distruggere un vecchio equilibrio, a spossessare dal potere forze tradizionali, a infrangere vecchi istituti e a modificare vecchi rapporti, che perciò richiede una forte tensione di volontà, una notevole concentrazione di sforzi, una grande rapidità di decisioni, richiede perciò stesso che il potere sia affidato ad una cerchia ristretta: la diffusione democratica del potere mal si addice ad un periodo rivoluzionario.
Questo insegna l’esperienza di tutte le rivoluzioni: solo si può aggiungere che...se...la nuova società è già contenuta nel grembo della precedente, il passaggio sarà più facile ed esigerà quindi un minore intervento dall’alto, una minore concentrazione di poteri.
Questo non fu però il caso della rivoluzione russa in quanto rivoluzione socialista: se l’abbattimento dello zarismo e l’appropriazione delle terre da parte dei contadini potevano considerarsi maturi, certo erano ben lungi dall’essere mature nella Russia del 1917, le premesse del socialismo che esigono sia già avvenuta la totale distruzione dei rapporti pre-capitalistici, una forte concentrazione industriale, un alto sviluppo della produttività, ecc.
Ne consegue che quando LENIN e i bolscevichi s’impadronirono del potere nell’ottobre 1917, e proclamarono la repubblica socialista, essi fecero una scelta che traeva le sue origini non dalle condizioni oggettive del loro Paese ma dalla esperienza del movimento operaio occidentale, dove il socialismo era nato come aspirazione politica e dove si era elaborata la dottrina marxista della rivoluzione.
...alla sperata dittatura del proletariato fu necessario sostituire la dittatura del partito bolscevico, il solo che credeva nella rivoluzione socialista e manifestava la decisa volontà di farla trionfare.
In pari tempo la gestione del potere si rivelava sempre più complessa e difficile e sempre più richiedeva competenze specializzate: il peso dei tecnici e soprattutto della burocrazia doveva necessariamente accrescersi e consolidarsi. Tutti questi fenomeni erano in atto già prima della morte di LENIN e la necessità di difendere una rivoluzione che non aveva solide basi nella struttura economico-sociale del paese e che perciò era in permanente pericolo, anche indipendentemente dagli attacchi esterni, aveva come necessaria conseguenza di spingere ulteriormente avanti il processo di concentrazione del potere in mani sempre più ristrette e sempre più fermamente decise a percorrere fino in fondo il difficile cammino della costruzione del socialismo in una società ancora prevalentemente precapitalistica.
...
Si suole a questo punto far intervenire, per spiegare la degenerazione del potere, il carattere di STALIN e si cita a questo riguardo il testamento di LENIN che metteva in guardia il partito contro la brutalità e la slealtà di STALIN.
Ma a mio giudizio questo richiamo al carattere di STALIN è anch’esso insufficiente, anche se certamente queste qualità personali del dittatore hanno avuto il loro peso.
Quel che mi sembra necessario sottolineare è soprattutto la formazione culturale di STALIN e dei suoi collaboratori, così diversa da quella di LENIN e dei suoi principali collaboratori. Costoro erano dei marxisti, nutriti anche di cultura occidentale e conoscevano la distanza che separava la realtà russa dalla civiltà socialista che vi volevano introdurre; avevano l’esperienza di proletariati più evoluti e di società tecnicamente più sviluppate e probabilmente avrebbero meglio capito, dall’interno, le difficoltà della esperienza, unica nella storia, che si preparavano ad affrontare. Ma questo gruppo di dirigenti scomparve presto dalla scena, o per morte naturale o perché eliminato dalle lotte interne di partito: STALIN e le nuove leve bolsceviche che lo seguirono avevano scarsa esperienza del mondo e della cultura occidentali, ed erano molto più legati alla cultura tradizionale di un popolo fondamentalmente contadino. Perciò anche il loro marxismo era rozzo, meccanico, deterministico; i problemi erano visti in termini semplicistici di bene e di male; il dogma sostituiva la ricerca e l’autorità tendeva a rivestirsi di forme culturali.
...
Come “i contadini - secondo la testimonianza di EHRENBURG - guardavano le macchine sospettosi e, quando una leva rifiutava di funzionare, si arrabbiavano come se avessero a che fare con un cavallo testardo e spesso rovinavano quella macchina”, allo stesso modo, con un analogo processo mentale, quando le difficoltà obiettive di questo difficile trapasso opponevano resistenza ai piani di STALIN, egli guardava sospettoso quelle difficoltà obiettive e scorgeva ovunque sabotaggio e tradimento.
E come il contadino si accaniva contro la macchina, trattandola come tradizionalmente si trattava l’animale da lavoro, così STALIN si accaniva contro le resistenze che la società inevitabilmente opponeva alle trasformazioni troppo affrettate e si comportava come tradizionalmente si erano comportati i detentori del potere: il regime poliziesco, le deportazioni, le torture, i processi, le confessioni, la stessa sospettosità e capricciosità che lo caratterizzava come il culto di cui volentieri si circondava, non sono un’invenzione di STALIN ma la reazione tradizionale del potere che non riesce a dominare interamente gli avvenimenti e non riesce neppure a comprenderne interamente le difficoltà, la complessità e le contraddizioni".
5. Sperando di non eccedere in lunghezza, la conseguenza del "fenomeno stalinista" sulle prospettive che si aprirono dopo la sua scomparsa, vanno assunte, ancora una volta, estraendo, dalla ricostruzione di Basso, un elemento di comparabilità analogica.
L'analogia, dunque, può essere istituita, (ferma l'incomparabilità di due traiettorie che sono disomogenee, per origini e finalità), nel tratto comune di un rigido autoritarismo che risulta, come tale, de-responsabilizzante i vari soggetti coinvolti nella struttura gerarchizzata (multilivello) che concretizza i rispettivi regimi, assorbendo, per sua funzione programmatica, ogni traccia residua di democrazia sostanziale (cioè effettivamente partecipata dall'inclusione nei processi decisionali dell'intera base sociale).
5.1. L'altro elemento comune - ed è importante sottolinearlo- è quello da cui parte l'ipotesi di analogia circoscritta qui formulata: quello della prospettiva (imminente?), nel caso dell'Ue, e della avvenuta registrazione, nel caso della scomparsa fisica di Stalin, della fine del dominio di un regime autoritario, (sia esso geneticamente totalitario, o, invece, degenerativamente dittatoriale personalistico e, perciò, portato al punto da voler forzare la "natura umana" in un processo di cui si perdono le originarie ed esatte coordinate cognitive e di prassi realizzativa); è appunto questa "fine" che attualizza la potenzialità di una riespansione della democrazia.
6. Su quest'ultimo punto (riespansione democratica), Basso precisa dei pre-requisiti socio-economici che chiariscono l'analogia proposta nei termini che abbiamo tentato di precisare:
"Nessun regime democratico può nascere o vivere se non sussistono due condizioni fondamentali: una società in relativo equilibrio, senza gravi tensioni interne, anzi fondamentalmente unita sugli obiettivi di fondo da perseguire, e un alto grado di maturità democratica nei cittadini, che significa innanzi tutto coscienza delle proprie responsabilità verso la collettività e capacità di assolverle attraverso la partecipazione e l’iniziativa".
L'analogia si completa con il già segnalato fenomeno di radicazione inerziale di una struttura sociale, e ovviamente politico-burocratica, che, durante la vigenza del (rispettivo) "regime", ha subito il potente e prolungato condizionamento della macchina propagandistica.
7. Anche su questo punto lo scritto di Basso ci offre dei riferimenti essenziali che evidenzio e che vanno assunti nella loro attitudine analogica:
"I compiti più urgenti della destalinizzazione dovevano quindi essere da un lato quello di ristabilire l’equilibrio interno della società e dall’altro quello di sostituire questa burocrazia dogmatica e caporalesca con quadri nuovi capaci di propria responsabilità e soprattutto con una partecipazione più attiva delle masse.
Compiti tuttavia di enorme difficoltà perché in contrasto con tutto il passato, in contrasto con le idee comunemente ricevute, con l’abitudine al dogmatismo, con la mentalità, con le tradizioni, con il costume dell’immensa maggioranza del popolo. E sarebbe stato stupefacente che il processo di destalinizzazione avesse potuto procedere speditamente, senza incertezze e senza contrasti, senza ripensamenti e senza battute d’arresto.
In primo luogo era certamente necessario abbattere il mito staliniano che era la base granitica su cui poggiava tutto l’edificio del dogmatismo: solo distruggendo questo mito e il culto da cui era circondato, si poteva far cadere la leggenda dell’infallibilità, e attaccare uno a uno i dogmi, e insieme i metodi di lavoro.
Ma far cadere la base dell’autorità senza potervene sostituire prontamente un’altra è sempre pericoloso, sicché, nonostante il loro sforzo di fondare la propria opera di rinnovamento sul culto di LENIN, i dirigenti sovietici non poterono impedire che, se non in URSS dove la struttura sociale era ormai sufficientemente consolidata, nelle democrazie popolari, dove perduravano tensioni assai più forti, il crollo del dogmatismo dopo il XX congresso fosse seguito nel 1956 da gravi sconvolgimenti, suscitando anche in URSS delle ondate di ritorno che si manifestarono nell’offensiva della maggioranza del Presidium contro KRUSCIOV nel 1956-57.
...
Ma la complessità di una società altamente industrializzata come quella sovietica e l’originalità assoluta dell’esperienza socialista pongono dei problemi sempre più difficili da risolvere, che urtano contro la resistenza passiva offerta dall’incapacità della generazione staliniana, almeno al suo livello medio, di dar loro un’adeguata risposta che richiede non solo la rottura con i dogmi del passato ma soprattutto una capacità e un’iniziativa creatrici che non si possono improvvisare né nella massa contadina né nel quadro medio. D’altra parte crescono nuove generazioni più libere e più coscienti dell’urgenza dei problemi mentre i più aperti orizzonti verso l’esterno permettono una visione più larga dei problemi.
...L’arma sottile di questa lotta dei giovani era la denuncia delle complicità con il regime staliniano: chiunque aveva collaborato a quel tempo - ed è chiaro che tutti coloro che hanno oggi più di 35-40 anni avevano in qualche modo collaborato - era presunto complice dei delitti perché doveva aver saputo e aveva taciuto.
Non sono in grado di valutare l’ampiezza di questo fenomeno, che certamente non investiva tutta la gioventù sovietica ma che deve aver comunque assunto proporzioni preoccupanti: pur tenendo conto infatti delle esigenze di rinnovamento non è pensabile che si possa rompere ogni legame di continuità con un passato che pur presenta un bilancio molto ricco all’attivo, non è pensabile che si possa di colpo rinnovare tutti i quadri della burocrazia, della tecnica e della politica, che si possa affidare ad una generazione nuova, e mancante di esperienza, tutti i compiti di direzione del Paese."
venerdì 22 dicembre 2017
LA DESTALINIZZAZIONE COME RIFERIMENTO ANALOGICO DEL RECUPERO DELLA DEMOCRAZIA IN EUROPA (IL "SIMBOLO" POLONIA) [/paste:font]
The protest was organised by the infamous (!) trade union group 'Solidarity'
1. Se, per i suoi presupposti cognitivi e per la sua finalità essenziale (procedere, in base ad un assunto bio-ideologico, proposto come "scienza naturale", alla definitiva istituzionalizzazione un normo-tipo di essere umano, "adatto" a stabilizzare l'equilibrio "allocativo" di un dominio elitario "malthusiano") il federalismo €uropeo "dei mercati" e, nello scenario più globale, il "mondialismo", non sono assimilabili alla complessiva esperienza dell'URSS, è però possibile trovare una parziale analogia fenomenologica con alcuni aspetti di tale esperienza.
Lo spunto in tal senso, ce lo fornisce Lelio Basso, in uno scritto della fine del 1963, intitolato "Stalinismo e destalinizzazione".
Quello che mi pare interessante, come ipotesi operativa, non è tanto una paradossale e grottesca definizione dell'Ue come processo di collettivizzazione forzata (dato che essa è semmai consistita in una imposizione forzata dell'individualismo metodologico, attuata su "basi scientifiche e sistematiche" creative di un meccanismo di coordinamento volto in essenza a «spezzare, in tutto il mondo, gli schemi dottrinari di pensiero» che forniscono una base intellettuale a «dottrine ostili agli *obiettivi americani*»), quanto la possibile analogia (come vedremo "previsionale") con quella fase storica del regime rivoluzionario sovietico denominata destalinizzazione.
D'altra parte, nei termini "selettivi" dell'interpretazione che si tenterà di dare, è la stessa "regia" della strategia di conquista del potere neo-liberale che consente di indagare su questa analogia: infatti, assumendo come adottate, in termini simmetrici e oppositivi, certe metodologie - in particolare, ed espressamente, proprio "leniniste"-, gli effetti poi determinatisi possono ragionevolmente trovare una correzione (eventuale) guardando ad esperienze storiche egualmente connesse alle conseguenze socio-culturali di tali stesse metodologie. Come abbiamo visto, infatti: "la c.d. "Rivoluzione liberale"...più semplicemente, e meno pomposamente, si potrebbe chiamare "antisocialista ispirandosi ai metodi di Lenin". In tal senso, ricordiamo l'altra fonte indicata nel post (e fornita da Arturo), relativa al "lavoro" svolto da Buchanan, laddove si rammenta che "Murray Rothbard, al Cato Instituto fondato da Koch, aveva esortato il miliardario a studiare le tecniche di Lenin per applicarle alla causa libertaria"."
2. L'elemento analogico lo si ritrova nel proporre, o intravedere, rispetto alla irriformabilità, e quindi alla crisi per insostenibilità dell'Ue (sempre più manifesta e maldestramente celata), la conseguente opzione di un recupero della democrazia - in luogo del dogma dell'ordine (elitario) del mercato- anticipando che ciò possa eventualmente realizzarsi solo scontando il "fatto compiuto" di generazioni (di subalterni) deresponsabilizzati e incapaci di uscire da un "culto" ideale.
Un culto, in questo caso, non della personalità (dittatoriale ed estrema di Stalin) ma, si potrebbe dire, della "organizzazione irenica", che con le sue inevitabili scorie e l'inerzia del suo poderoso radicamento "conformista", ostacolerebbe un rinnovamento della democrazia.
3. Andiamo con ordine scomponendo fenomenologicamente il discorso svolto da Basso su quella che è l'essenza del problema che si pone (costantemente) quando debba essere ripristinata la democrazia (sostanziale e "necessitata", ovviamente, non quella "liberale" dell'oligarchia mercatista).
Preliminarmente, precisiamo, in modo concettualmente ordinato, la differenza tra neo-liberismo, inteso, come abbiamo visto, come fenomeno programmaticamente e geneticamente totalitario, e stalinismo, come deviazione dell'esperienza rivoluzionaria marxista che si incardina sull'influenza di una personalità, qual è stata quella di Stalin, che accelera in senso degenerativo, alcune caratteristiche "russe" dello stesso processo rivoluzionario.
4. Basso su quest'ultimo punto è piuttosto chiaro (seleziono dei passaggi, sperando di rendere le parti essenziali dell'articolata analisi):
"Vediamo innanzi tutto di distinguere, nel fenomeno che comunemente si chiama “stalinismo”, quello che ne costituisce il substrato obiettivo e quelle che ne sono le specifiche connotazioni personali, essendo tuttavia chiaro che i due aspetti non possono essere interamente separati, perché quei caratteri personali non avrebbero avuto modo di affermarsi senza l’aiuto delle circostanze obiettive e queste, d’altra parte, avrebbero potuto dare luogo ad uno sbocco diverso se alla testa dell’URSS non si fosse trovata la forte personalità di STALIN.
Il substrato obiettivo dello stalinismo è evidentemente il fatto rivoluzionario: una rivoluzione che tende a distruggere un vecchio equilibrio, a spossessare dal potere forze tradizionali, a infrangere vecchi istituti e a modificare vecchi rapporti, che perciò richiede una forte tensione di volontà, una notevole concentrazione di sforzi, una grande rapidità di decisioni, richiede perciò stesso che il potere sia affidato ad una cerchia ristretta: la diffusione democratica del potere mal si addice ad un periodo rivoluzionario.
Questo insegna l’esperienza di tutte le rivoluzioni: solo si può aggiungere che...se...la nuova società è già contenuta nel grembo della precedente, il passaggio sarà più facile ed esigerà quindi un minore intervento dall’alto, una minore concentrazione di poteri.
Questo non fu però il caso della rivoluzione russa in quanto rivoluzione socialista: se l’abbattimento dello zarismo e l’appropriazione delle terre da parte dei contadini potevano considerarsi maturi, certo erano ben lungi dall’essere mature nella Russia del 1917, le premesse del socialismo che esigono sia già avvenuta la totale distruzione dei rapporti pre-capitalistici, una forte concentrazione industriale, un alto sviluppo della produttività, ecc.
Ne consegue che quando LENIN e i bolscevichi s’impadronirono del potere nell’ottobre 1917, e proclamarono la repubblica socialista, essi fecero una scelta che traeva le sue origini non dalle condizioni oggettive del loro Paese ma dalla esperienza del movimento operaio occidentale, dove il socialismo era nato come aspirazione politica e dove si era elaborata la dottrina marxista della rivoluzione.
...alla sperata dittatura del proletariato fu necessario sostituire la dittatura del partito bolscevico, il solo che credeva nella rivoluzione socialista e manifestava la decisa volontà di farla trionfare.
In pari tempo la gestione del potere si rivelava sempre più complessa e difficile e sempre più richiedeva competenze specializzate: il peso dei tecnici e soprattutto della burocrazia doveva necessariamente accrescersi e consolidarsi. Tutti questi fenomeni erano in atto già prima della morte di LENIN e la necessità di difendere una rivoluzione che non aveva solide basi nella struttura economico-sociale del paese e che perciò era in permanente pericolo, anche indipendentemente dagli attacchi esterni, aveva come necessaria conseguenza di spingere ulteriormente avanti il processo di concentrazione del potere in mani sempre più ristrette e sempre più fermamente decise a percorrere fino in fondo il difficile cammino della costruzione del socialismo in una società ancora prevalentemente precapitalistica.
...
Si suole a questo punto far intervenire, per spiegare la degenerazione del potere, il carattere di STALIN e si cita a questo riguardo il testamento di LENIN che metteva in guardia il partito contro la brutalità e la slealtà di STALIN.
Ma a mio giudizio questo richiamo al carattere di STALIN è anch’esso insufficiente, anche se certamente queste qualità personali del dittatore hanno avuto il loro peso.
Quel che mi sembra necessario sottolineare è soprattutto la formazione culturale di STALIN e dei suoi collaboratori, così diversa da quella di LENIN e dei suoi principali collaboratori. Costoro erano dei marxisti, nutriti anche di cultura occidentale e conoscevano la distanza che separava la realtà russa dalla civiltà socialista che vi volevano introdurre; avevano l’esperienza di proletariati più evoluti e di società tecnicamente più sviluppate e probabilmente avrebbero meglio capito, dall’interno, le difficoltà della esperienza, unica nella storia, che si preparavano ad affrontare. Ma questo gruppo di dirigenti scomparve presto dalla scena, o per morte naturale o perché eliminato dalle lotte interne di partito: STALIN e le nuove leve bolsceviche che lo seguirono avevano scarsa esperienza del mondo e della cultura occidentali, ed erano molto più legati alla cultura tradizionale di un popolo fondamentalmente contadino. Perciò anche il loro marxismo era rozzo, meccanico, deterministico; i problemi erano visti in termini semplicistici di bene e di male; il dogma sostituiva la ricerca e l’autorità tendeva a rivestirsi di forme culturali.
...
Come “i contadini - secondo la testimonianza di EHRENBURG - guardavano le macchine sospettosi e, quando una leva rifiutava di funzionare, si arrabbiavano come se avessero a che fare con un cavallo testardo e spesso rovinavano quella macchina”, allo stesso modo, con un analogo processo mentale, quando le difficoltà obiettive di questo difficile trapasso opponevano resistenza ai piani di STALIN, egli guardava sospettoso quelle difficoltà obiettive e scorgeva ovunque sabotaggio e tradimento.
E come il contadino si accaniva contro la macchina, trattandola come tradizionalmente si trattava l’animale da lavoro, così STALIN si accaniva contro le resistenze che la società inevitabilmente opponeva alle trasformazioni troppo affrettate e si comportava come tradizionalmente si erano comportati i detentori del potere: il regime poliziesco, le deportazioni, le torture, i processi, le confessioni, la stessa sospettosità e capricciosità che lo caratterizzava come il culto di cui volentieri si circondava, non sono un’invenzione di STALIN ma la reazione tradizionale del potere che non riesce a dominare interamente gli avvenimenti e non riesce neppure a comprenderne interamente le difficoltà, la complessità e le contraddizioni".
5. Sperando di non eccedere in lunghezza, la conseguenza del "fenomeno stalinista" sulle prospettive che si aprirono dopo la sua scomparsa, vanno assunte, ancora una volta, estraendo, dalla ricostruzione di Basso, un elemento di comparabilità analogica.
L'analogia, dunque, può essere istituita, (ferma l'incomparabilità di due traiettorie che sono disomogenee, per origini e finalità), nel tratto comune di un rigido autoritarismo che risulta, come tale, de-responsabilizzante i vari soggetti coinvolti nella struttura gerarchizzata (multilivello) che concretizza i rispettivi regimi, assorbendo, per sua funzione programmatica, ogni traccia residua di democrazia sostanziale (cioè effettivamente partecipata dall'inclusione nei processi decisionali dell'intera base sociale).
5.1. L'altro elemento comune - ed è importante sottolinearlo- è quello da cui parte l'ipotesi di analogia circoscritta qui formulata: quello della prospettiva (imminente?), nel caso dell'Ue, e della avvenuta registrazione, nel caso della scomparsa fisica di Stalin, della fine del dominio di un regime autoritario, (sia esso geneticamente totalitario, o, invece, degenerativamente dittatoriale personalistico e, perciò, portato al punto da voler forzare la "natura umana" in un processo di cui si perdono le originarie ed esatte coordinate cognitive e di prassi realizzativa); è appunto questa "fine" che attualizza la potenzialità di una riespansione della democrazia.
6. Su quest'ultimo punto (riespansione democratica), Basso precisa dei pre-requisiti socio-economici che chiariscono l'analogia proposta nei termini che abbiamo tentato di precisare:
"Nessun regime democratico può nascere o vivere se non sussistono due condizioni fondamentali: una società in relativo equilibrio, senza gravi tensioni interne, anzi fondamentalmente unita sugli obiettivi di fondo da perseguire, e un alto grado di maturità democratica nei cittadini, che significa innanzi tutto coscienza delle proprie responsabilità verso la collettività e capacità di assolverle attraverso la partecipazione e l’iniziativa".
L'analogia si completa con il già segnalato fenomeno di radicazione inerziale di una struttura sociale, e ovviamente politico-burocratica, che, durante la vigenza del (rispettivo) "regime", ha subito il potente e prolungato condizionamento della macchina propagandistica.
7. Anche su questo punto lo scritto di Basso ci offre dei riferimenti essenziali che evidenzio e che vanno assunti nella loro attitudine analogica:
"I compiti più urgenti della destalinizzazione dovevano quindi essere da un lato quello di ristabilire l’equilibrio interno della società e dall’altro quello di sostituire questa burocrazia dogmatica e caporalesca con quadri nuovi capaci di propria responsabilità e soprattutto con una partecipazione più attiva delle masse.
Compiti tuttavia di enorme difficoltà perché in contrasto con tutto il passato, in contrasto con le idee comunemente ricevute, con l’abitudine al dogmatismo, con la mentalità, con le tradizioni, con il costume dell’immensa maggioranza del popolo. E sarebbe stato stupefacente che il processo di destalinizzazione avesse potuto procedere speditamente, senza incertezze e senza contrasti, senza ripensamenti e senza battute d’arresto.
In primo luogo era certamente necessario abbattere il mito staliniano che era la base granitica su cui poggiava tutto l’edificio del dogmatismo: solo distruggendo questo mito e il culto da cui era circondato, si poteva far cadere la leggenda dell’infallibilità, e attaccare uno a uno i dogmi, e insieme i metodi di lavoro.
Ma far cadere la base dell’autorità senza potervene sostituire prontamente un’altra è sempre pericoloso, sicché, nonostante il loro sforzo di fondare la propria opera di rinnovamento sul culto di LENIN, i dirigenti sovietici non poterono impedire che, se non in URSS dove la struttura sociale era ormai sufficientemente consolidata, nelle democrazie popolari, dove perduravano tensioni assai più forti, il crollo del dogmatismo dopo il XX congresso fosse seguito nel 1956 da gravi sconvolgimenti, suscitando anche in URSS delle ondate di ritorno che si manifestarono nell’offensiva della maggioranza del Presidium contro KRUSCIOV nel 1956-57.
...
Ma la complessità di una società altamente industrializzata come quella sovietica e l’originalità assoluta dell’esperienza socialista pongono dei problemi sempre più difficili da risolvere, che urtano contro la resistenza passiva offerta dall’incapacità della generazione staliniana, almeno al suo livello medio, di dar loro un’adeguata risposta che richiede non solo la rottura con i dogmi del passato ma soprattutto una capacità e un’iniziativa creatrici che non si possono improvvisare né nella massa contadina né nel quadro medio. D’altra parte crescono nuove generazioni più libere e più coscienti dell’urgenza dei problemi mentre i più aperti orizzonti verso l’esterno permettono una visione più larga dei problemi.
...L’arma sottile di questa lotta dei giovani era la denuncia delle complicità con il regime staliniano: chiunque aveva collaborato a quel tempo - ed è chiaro che tutti coloro che hanno oggi più di 35-40 anni avevano in qualche modo collaborato - era presunto complice dei delitti perché doveva aver saputo e aveva taciuto.
Non sono in grado di valutare l’ampiezza di questo fenomeno, che certamente non investiva tutta la gioventù sovietica ma che deve aver comunque assunto proporzioni preoccupanti: pur tenendo conto infatti delle esigenze di rinnovamento non è pensabile che si possa rompere ogni legame di continuità con un passato che pur presenta un bilancio molto ricco all’attivo, non è pensabile che si possa di colpo rinnovare tutti i quadri della burocrazia, della tecnica e della politica, che si possa affidare ad una generazione nuova, e mancante di esperienza, tutti i compiti di direzione del Paese."