Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

econda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.






























venerdì 22 dicembre 2017
LA DESTALINIZZAZIONE COME RIFERIMENTO ANALOGICO DEL RECUPERO DELLA DEMOCRAZIA IN EUROPA (IL "SIMBOLO" POLONIA) [/paste:font]




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The protest was organised by the infamous (!) trade union group 'Solidarity'

1. Se, per i suoi presupposti cognitivi e per la sua finalità essenziale (procedere, in base ad un assunto bio-ideologico, proposto come "scienza naturale", alla definitiva istituzionalizzazione un normo-tipo di essere umano, "adatto" a stabilizzare l'equilibrio "allocativo" di un dominio elitario "malthusiano") il federalismo €uropeo "dei mercati" e, nello scenario più globale, il "mondialismo", non sono assimilabili alla complessiva esperienza dell'URSS, è però possibile trovare una parziale analogia fenomenologica con alcuni aspetti di tale esperienza.
Lo spunto in tal senso, ce lo fornisce Lelio Basso, in uno scritto della fine del 1963, intitolato "Stalinismo e destalinizzazione".
Quello che mi pare interessante, come ipotesi operativa, non è tanto una paradossale e grottesca definizione dell'Ue come processo di collettivizzazione forzata (dato che essa è semmai consistita in una imposizione forzata dell'individualismo metodologico, attuata su "basi scientifiche e sistematiche" creative di un meccanismo di coordinamento volto in essenza a «spezzare, in tutto il mondo, gli schemi dottrinari di pensiero» che forniscono una base intellettuale a «dottrine ostili agli *obiettivi americani*»), quanto la possibile analogia (come vedremo "previsionale") con quella fase storica del regime rivoluzionario sovietico denominata destalinizzazione.
D'altra parte, nei termini "selettivi" dell'interpretazione che si tenterà di dare, è la stessa "regia" della strategia di conquista del potere neo-liberale che consente di indagare su questa analogia: infatti, assumendo come adottate, in termini simmetrici e oppositivi, certe metodologie - in particolare, ed espressamente, proprio "leniniste"-, gli effetti poi determinatisi possono ragionevolmente trovare una correzione (eventuale) guardando ad esperienze storiche egualmente connesse alle conseguenze socio-culturali di tali stesse metodologie. Come abbiamo visto, infatti: "la c.d. "Rivoluzione liberale"...più semplicemente, e meno pomposamente, si potrebbe chiamare "antisocialista ispirandosi ai metodi di Lenin". In tal senso, ricordiamo l'altra fonte indicata nel post (e fornita da Arturo), relativa al "lavoro" svolto da Buchanan, laddove si rammenta che "Murray Rothbard, al Cato Instituto fondato da Koch, aveva esortato il miliardario a studiare le tecniche di Lenin per applicarle alla causa libertaria"."

2. L'elemento analogico lo si ritrova nel proporre, o intravedere, rispetto alla irriformabilità, e quindi alla crisi per insostenibilità dell'Ue (sempre più manifesta e maldestramente celata), la conseguente opzione di un recupero della democrazia - in luogo del dogma dell'ordine (elitario) del mercato- anticipando che ciò possa eventualmente realizzarsi solo scontando il "fatto compiuto" di generazioni (di subalterni) deresponsabilizzati e incapaci di uscire da un "culto" ideale.
Un culto, in questo caso, non della personalità (dittatoriale ed estrema di Stalin) ma, si potrebbe dire, della "organizzazione irenica", che con le sue inevitabili scorie e l'inerzia del suo poderoso radicamento "conformista", ostacolerebbe un rinnovamento della democrazia.

3. Andiamo con ordine scomponendo fenomenologicamente il discorso svolto da Basso su quella che è l'essenza del problema che si pone (costantemente) quando debba essere ripristinata la democrazia (sostanziale e "necessitata", ovviamente, non quella "liberale" dell'oligarchia mercatista).
Preliminarmente, precisiamo, in modo concettualmente ordinato, la differenza tra neo-liberismo, inteso, come abbiamo visto, come fenomeno programmaticamente e geneticamente totalitario, e stalinismo, come deviazione dell'esperienza rivoluzionaria marxista che si incardina sull'influenza di una personalità, qual è stata quella di Stalin, che accelera in senso degenerativo, alcune caratteristiche "russe" dello stesso processo rivoluzionario.

4. Basso su quest'ultimo punto è piuttosto chiaro (seleziono dei passaggi, sperando di rendere le parti essenziali dell'articolata analisi):
"Vediamo innanzi tutto di distinguere, nel fenomeno che comunemente si chiama “stalinismo”, quello che ne costituisce il substrato obiettivo e quelle che ne sono le specifiche connotazioni personali, essendo tuttavia chiaro che i due aspetti non possono essere interamente separati, perché quei caratteri personali non avrebbero avuto modo di affermarsi senza l’aiuto delle circostanze obiettive e queste, d’altra parte, avrebbero potuto dare luogo ad uno sbocco diverso se alla testa dell’URSS non si fosse trovata la forte personalità di STALIN.
Il substrato obiettivo dello stalinismo è evidentemente il fatto rivoluzionario: una rivoluzione che tende a distruggere un vecchio equilibrio, a spossessare dal potere forze tradizionali, a infrangere vecchi istituti e a modificare vecchi rapporti, che perciò richiede una forte tensione di volontà, una notevole concentrazione di sforzi, una grande rapidità di decisioni, richiede perciò stesso che il potere sia affidato ad una cerchia ristretta: la diffusione democratica del potere mal si addice ad un periodo rivoluzionario.
Questo insegna l’esperienza di tutte le rivoluzioni: solo si può aggiungere che...se...la nuova società è già contenuta nel grembo della precedente, il passaggio sarà più facile ed esigerà quindi un minore intervento dall’alto, una minore concentrazione di poteri.

Questo non fu però il caso della rivoluzione russa in quanto rivoluzione socialista: se l’abbattimento dello zarismo e l’appropriazione delle terre da parte dei contadini potevano considerarsi maturi, certo erano ben lungi dall’essere mature nella Russia del 1917, le premesse del socialismo che esigono sia già avvenuta la totale distruzione dei rapporti pre-capitalistici, una forte concentrazione industriale, un alto sviluppo della produttività, ecc.
Ne consegue che quando LENIN e i bolscevichi s’impadronirono del potere nell’ottobre 1917, e proclamarono la repubblica socialista, essi fecero una scelta che traeva le sue origini non dalle condizioni oggettive del loro Paese ma dalla esperienza del movimento operaio occidentale, dove il socialismo era nato come aspirazione politica e dove si era elaborata la dottrina marxista della rivoluzione.
...alla sperata dittatura del proletariato fu necessario sostituire la dittatura del partito bolscevico, il solo che credeva nella rivoluzione socialista e manifestava la decisa volontà di farla trionfare.
In pari tempo la gestione del potere si rivelava sempre più complessa e difficile e sempre più richiedeva competenze specializzate: il peso dei tecnici e soprattutto della burocrazia doveva necessariamente accrescersi e consolidarsi. Tutti questi fenomeni erano in atto già prima della morte di LENIN e la necessità di difendere una rivoluzione che non aveva solide basi nella struttura economico-sociale del paese e che perciò era in permanente pericolo, anche indipendentemente dagli attacchi esterni, aveva come necessaria conseguenza di spingere ulteriormente avanti il processo di concentrazione del potere in mani sempre più ristrette e sempre più fermamente decise a percorrere fino in fondo il difficile cammino della costruzione del socialismo in una società ancora prevalentemente precapitalistica.
...
Si suole a questo punto far intervenire, per spiegare la degenerazione del potere, il carattere di STALIN e si cita a questo riguardo il testamento di LENIN che metteva in guardia il partito contro la brutalità e la slealtà di STALIN.
Ma a mio giudizio questo richiamo al carattere di STALIN è anch’esso insufficiente, anche se certamente queste qualità personali del dittatore hanno avuto il loro peso.
Quel che mi sembra necessario sottolineare è soprattutto la formazione culturale di STALIN e dei suoi collaboratori, così diversa da quella di LENIN e dei suoi principali collaboratori. Costoro erano dei marxisti, nutriti anche di cultura occidentale e conoscevano la distanza che separava la realtà russa dalla civiltà socialista che vi volevano introdurre; avevano l’esperienza di proletariati più evoluti e di società tecnicamente più sviluppate e probabilmente avrebbero meglio capito, dall’interno, le difficoltà della esperienza, unica nella storia, che si preparavano ad affrontare. Ma questo gruppo di dirigenti scomparve presto dalla scena, o per morte naturale o perché eliminato dalle lotte interne di partito: STALIN e le nuove leve bolsceviche che lo seguirono avevano scarsa esperienza del mondo e della cultura occidentali, ed erano molto più legati alla cultura tradizionale di un popolo fondamentalmente contadino. Perciò anche il loro marxismo era rozzo, meccanico, deterministico; i problemi erano visti in termini semplicistici di bene e di male; il dogma sostituiva la ricerca e l’autorità tendeva a rivestirsi di forme culturali.
...
Come “i contadini - secondo la testimonianza di EHRENBURG - guardavano le macchine sospettosi e, quando una leva rifiutava di funzionare, si arrabbiavano come se avessero a che fare con un cavallo testardo e spesso rovinavano quella macchina”, allo stesso modo, con un analogo processo mentale, quando le difficoltà obiettive di questo difficile trapasso opponevano resistenza ai piani di STALIN, egli guardava sospettoso quelle difficoltà obiettive e scorgeva ovunque sabotaggio e tradimento.
E come il contadino si accaniva contro la macchina, trattandola come tradizionalmente si trattava l’animale da lavoro, così STALIN si accaniva contro le resistenze che la società inevitabilmente opponeva alle trasformazioni troppo affrettate e si comportava come tradizionalmente si erano comportati i detentori del potere: il regime poliziesco, le deportazioni, le torture, i processi, le confessioni, la stessa sospettosità e capricciosità che lo caratterizzava come il culto di cui volentieri si circondava, non sono un’invenzione di STALIN ma la reazione tradizionale del potere che non riesce a dominare interamente gli avvenimenti e non riesce neppure a comprenderne interamente le difficoltà, la complessità e le contraddizioni
".

5. Sperando di non eccedere in lunghezza, la conseguenza del "fenomeno stalinista" sulle prospettive che si aprirono dopo la sua scomparsa, vanno assunte, ancora una volta, estraendo, dalla ricostruzione di Basso, un elemento di comparabilità analogica.
L'analogia, dunque, può essere istituita, (ferma l'incomparabilità di due traiettorie che sono disomogenee, per origini e finalità), nel tratto comune di un rigido autoritarismo che risulta, come tale, de-responsabilizzante i vari soggetti coinvolti nella struttura gerarchizzata (multilivello) che concretizza i rispettivi regimi, assorbendo, per sua funzione programmatica, ogni traccia residua di democrazia sostanziale (cioè effettivamente partecipata dall'inclusione nei processi decisionali dell'intera base sociale).

5.1. L'altro elemento comune - ed è importante sottolinearlo- è quello da cui parte l'ipotesi di analogia circoscritta qui formulata: quello della prospettiva (imminente?), nel caso dell'Ue, e della avvenuta registrazione, nel caso della scomparsa fisica di Stalin, della fine del dominio di un regime autoritario, (sia esso geneticamente totalitario, o, invece, degenerativamente dittatoriale personalistico e, perciò, portato al punto da voler forzare la "natura umana" in un processo di cui si perdono le originarie ed esatte coordinate cognitive e di prassi realizzativa); è appunto questa "fine" che attualizza la potenzialità di una riespansione della democrazia.

6. Su quest'ultimo punto (riespansione democratica), Basso precisa dei pre-requisiti socio-economici che chiariscono l'analogia proposta nei termini che abbiamo tentato di precisare:
"Nessun regime democratico può nascere o vivere se non sussistono due condizioni fondamentali: una società in relativo equilibrio, senza gravi tensioni interne, anzi fondamentalmente unita sugli obiettivi di fondo da perseguire, e un alto grado di maturità democratica nei cittadini, che significa innanzi tutto coscienza delle proprie responsabilità verso la collettività e capacità di assolverle attraverso la partecipazione e l’iniziativa".
L'analogia si completa con il già segnalato fenomeno di radicazione inerziale di una struttura sociale, e ovviamente politico-burocratica, che, durante la vigenza del (rispettivo) "regime", ha subito il potente e prolungato condizionamento della macchina propagandistica.

7. Anche su questo punto lo scritto di Basso ci offre dei riferimenti essenziali che evidenzio e che vanno assunti nella loro attitudine analogica:
"I compiti più urgenti della destalinizzazione dovevano quindi essere da un lato quello di ristabilire l’equilibrio interno della società e dall’altro quello di sostituire questa burocrazia dogmatica e caporalesca con quadri nuovi capaci di propria responsabilità e soprattutto con una partecipazione più attiva delle masse.
Compiti tuttavia di enorme difficoltà perché in contrasto con tutto il passato, in contrasto con le idee comunemente ricevute, con l’abitudine al dogmatismo, con la mentalità, con le tradizioni, con il costume dell’immensa maggioranza del popolo. E sarebbe stato stupefacente che il processo di destalinizzazione avesse potuto procedere speditamente, senza incertezze e senza contrasti, senza ripensamenti e senza battute d’arresto.
In primo luogo era certamente necessario abbattere il mito staliniano che era la base granitica su cui poggiava tutto l’edificio del dogmatismo: solo distruggendo questo mito e il culto da cui era circondato, si poteva far cadere la leggenda dell’infallibilità, e attaccare uno a uno i dogmi, e insieme i metodi di lavoro.
Ma far cadere la base dell’autorità senza potervene sostituire prontamente un’altra è sempre pericoloso, sicché, nonostante il loro sforzo di fondare la propria opera di rinnovamento sul culto di LENIN, i dirigenti sovietici non poterono impedire che, se non in URSS dove la struttura sociale era ormai sufficientemente consolidata, nelle democrazie popolari, dove perduravano tensioni assai più forti, il crollo del dogmatismo dopo il XX congresso fosse seguito nel 1956 da gravi sconvolgimenti, suscitando anche in URSS delle ondate di ritorno che si manifestarono nell’offensiva della maggioranza del Presidium contro KRUSCIOV nel 1956-57.
...
Ma la complessità di una società altamente industrializzata come quella sovietica e l’originalità assoluta dell’esperienza socialista pongono dei problemi sempre più difficili da risolvere, che urtano contro la resistenza passiva offerta dall’incapacità della generazione staliniana, almeno al suo livello medio, di dar loro un’adeguata risposta che richiede non solo la rottura con i dogmi del passato ma soprattutto una capacità e un’iniziativa creatrici che non si possono improvvisare né nella massa contadina né nel quadro medio. D’altra parte crescono nuove generazioni più libere e più coscienti dell’urgenza dei problemi mentre i più aperti orizzonti verso l’esterno permettono una visione più larga dei problemi.
...L’arma sottile di questa lotta dei giovani era la denuncia delle complicità con il regime staliniano: chiunque aveva collaborato a quel tempo - ed è chiaro che tutti coloro che hanno oggi più di 35-40 anni avevano in qualche modo collaborato - era presunto complice dei delitti perché doveva aver saputo e aveva taciuto.
Non sono in grado di valutare l’ampiezza di questo fenomeno, che certamente non investiva tutta la gioventù sovietica ma che deve aver comunque assunto proporzioni preoccupanti: pur tenendo conto infatti delle esigenze di rinnovamento non è pensabile che si possa rompere ogni legame di continuità con un passato che pur presenta un bilancio molto ricco all’attivo, non è pensabile che si possa di colpo rinnovare tutti i quadri della burocrazia, della tecnica e della politica, che si possa affidare ad una generazione nuova, e mancante di esperienza, tutti i compiti di direzione del Paese.
"
 
econda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno,
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Ma la complessità di una società altamente industrializzata come quella sovietica e l’originalità assoluta dell’esperienza socialista pongono dei problemi sempre più difficili da risolvere, che urtano contro la resistenza passiva offerta dall’incapacità della generazione staliniana, almeno al suo livello medio, di dar loro un’adeguata risposta che richiede non solo la rottura con i dogmi del passato ma soprattutto una capacità e un’iniziativa creatrici che non si possono improvvisare né nella massa contadina né nel quadro medio. D’altra parte crescono nuove generazioni più libere e più coscienti dell’urgenza dei problemi mentre i più aperti orizzonti verso l’esterno permettono una visione più larga dei problemi.
...L’arma sottile di questa lotta dei giovani era la denuncia delle complicità con il regime staliniano: chiunque aveva collaborato a quel tempo - ed è chiaro che tutti coloro che hanno oggi più di 35-40 anni avevano in qualche modo collaborato - era presunto complice dei delitti perché doveva aver saputo e aveva taciuto.
Non sono in grado di valutare l’ampiezza di questo fenomeno, che certamente non investiva tutta la gioventù sovietica ma che deve aver comunque assunto proporzioni preoccupanti: pur tenendo conto infatti delle esigenze di rinnovamento non è pensabile che si possa rompere ogni legame di continuità con un passato che pur presenta un bilancio molto ricco all’attivo, non è pensabile che si possa di colpo rinnovare tutti i quadri della burocrazia, della tecnica e della politica, che si possa affidare ad una generazione nuova, e mancante di esperienza, tutti i compiti di direzione del Paese.
"

8. Astraendo, logicamente, dal filo conduttore "contingente" del discorso di Basso, riguardante la correzione (per così dire, "ideale", pienamente marxiana) verso un'effettiva realizzazione della "società socialista" (auspicata come finalmente democratico-partecipativa e progressivamente liberata dal monopolio istituzionale del partito), la situazione futura delle democrazie europee proiettate oltre l'Ue mercatista e utopico-liberista, preannuncia di far emergere problemi del genere sopra evidenziato (ovviamente mutatis mutandis rispetto ai contenuti delle rispettive forme propagandistico-autoritarie e delle loro scorie inerziali):
"Il problema principale rimane quello del riequilibramento di una società che ha subito una serie di spinte forzate e che ha conquistato di slancio delle posizioni di primo piano senza aver assicurato tutte le basi necessarie: bisogna perciò colmare i ritardi nell’agricoltura, rivedere completamente i sistemi di pianificazione e di gestione economica delle imprese, liberare tutta l’economia e tutta la vita sovietica dalle pastoie burocratiche, ristabilire uno sviluppo armonico dei vari settori, ridare spazio all’iniziativa e alla responsabilità, assicurare una base di partecipazione democratica alla vita sovietica. Tutto ciò richiede al tempo stesso molto coraggio e molta prudenza e poiché si tratta di un cammino inesplorato richiede altresì una forte dose di empirismo, pur nel rispetto di alcuni principi fondamentali. Soprattutto difficile e necessariamente lenta la trasformazione dell’uomo, della sua coscienza e della sua mentalità, e purtuttavia essa è il fondamento di tutta la costruzione: finche l’uomo nuovo non sarà formato la società socialista non avrà una base sicura".

9. Dobbiamo tenere presente, in proposito, che alle burocrazie di Bruxelles, e alla loro governance lobbistica (privatizzata), corrispondono le "generazioni Erasmus" che, a loro volta, sono cresciute entro la cornice dei governi del TINA europeista, orientati a dissolvere gradualmente, prima ancora che le sovranità, - e senza che gli Stati-comunità (cioè gli stessi popoli nel loro insieme sociologico), dovessero percepire questo processo-, la stessa memoria storica e culturale della sovranità democratica.
Sarà possibile abbattere del tutto e in modo sufficientemente rapido e ordinato, evitando cesure traumatiche, quel "muro delle coscienze", in cui eccelle la costruzione €uropea, secondo la teorizzazione durevole e costante dei suoi maggiori fautori?

9.1. Rammentiamo la "versione" di Amato:

"Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace - che solleva gli Stati nazionali dall'ansia mentre vengono privati del potere- con grandi balzi istituzionali...Perciò preferisco andare lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questo è il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni europee...".

E, prima ancora, quella di Monnet (direttamente discendente dalle esigenze di "programmazione" ordinamentale evidenziate dalle teorizzazioni neo-liberiste di Robbins e del colloquio Lippmann; qui, pp.2-3):
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9.2. Così come pare ovvio rammentare il "metodo Juncker" (qui, ex multis, p.11), per la sua vocazione a plasmare classi politiche nazionali abituate a "ricevere" dall'alto soluzioni poi offerte mediaticamente come incontestabili, dal punto di vista tecnocratico, e dunque non classi politiche solo sistematicamente deresponsabilizzate sulle conseguenze delle scelte che dovrebbero assumere nel sempre più astratto interesse dei rispettivi corpi elettorali (la vicenda dell'Unione bancaria e della conseguente crisi sistemica del settore in Italia è l'esempio più recente ed eclatante di ciò, ma certamente non il solo e non il primo), ma anche costantemente abituate a contare sulla preordinazione ingannevole di ogni soluzione, legittimata esclusivamente da un incessante manipolazione mediatica:

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10. Dunque, i tormentati prossimi anni di irrreversibile crisi "da insostenibilità" della costruzione europea, cioè del liberoscambismo "assoluto" da trattato di diritto internazionale "privatizzato" (qui, p.9), ci pongono il problema se la desertificazione delle risorse culturali per uscire dalla crisi, indotta da questo paradigma, sarà un problema insormontabile. Ovvero se, pur con le prevedibili contraddizioni e incertezze, il fatto stesso della inevitabilità della crisi produrrà la reazione istintuale di sopravvivenza dei popoli europei nel recuperare le risorse culturali stesse, in una dialettica emergenziale imposta dall'aggressività crepuscolare del dominio dei mercati e degli "investitori esteri" che minacciano il benessere dei popoli oltre il livello di tollerabilità di una residua sensibilità democratica.

11. La vicenda polacca, ad esempio, pare preannunziare una reazione che già assume un valore simbolico, e (sul piano storico) quasi beffardo, circa questa esigenza di ritrovare il linguaggio e la sostanza della sovranità democratica (contrapposta ad un'idea evanescente e strumentale di concetti come "Stato di diritto" e "rispetto dei diritti umani" che può facilmente portare all'arbitrio del forte sul debole; v. artt. 2 e 7 del trattato europeo) risvegliando dal condizionamento aggressivo del bis-linguaggio orwelliano che aspira sempre più alla sua realizzazione totalitaria.

Pubblicato da Quarantotto a 13:33 Nessun commento: Link
 

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PASSAGGIO LIRA-EURO, CONSULTA ACCERTA CHE SIAMO STATI RAPINATI FIN DALL’INIZIO
stopeuro 2 mesi fa Commento
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LA CORTE COSTITUZIONALE IL 5 NOVEMBRE SCORSO – ACCOGLIENDO IL RICORSO DI UN GRUPPO DI RISPARMIATORI – HA BOCCIATO LA NORMA DEL SALVA ITALIA DEL GOVERNO CHE ANTICIPAVA AL 6 DICEMBRE 2011 IL TERMINE ULTIMO PER POTER CONVERTIRE LE VECCHIE LIRE IN EURO

Di lucascialo.blogspot.it

Ogni qualvolta ci capita di rivedere una banconota o una moneta della vecchia Lira, proviamo un sussulto nostalgico, un tuffo al cuore, un senso di vuoto nelle tasche. La mia generazione è stata l’ultima a beneficiare della lira in età adolescente. Quando con mille lire in tasca ci sembrava di poter acquistare tante cose; quando con diecimila lire potevamo andare in pizzeria e ci rimaneva pure il resto. Oggi con cinquanta centesimi possiamo fare al massimo un’offerta a uno dei tanti mendicanti in strada, mentre con cinque euro al massimo possiamo comprare una pizza e una bibita ma da un take away.

GLI ERRORI, VOLUTI, INIZIALI – La sensazione, col passaggio dalla Lira all’Euro, di essere stati rapinati è stata immediata. I commercianti (quelli che da qualche anno piangono per la crisi) ne hanno subito approfittato per raddoppiare i prezzi. Col beneplacito dello Stato, il quale, oltre a non obbligarli per almeno un paio di anni di esporre il doppio prezzo Lira-Euro, ha raddoppiato esso stesso bollette e tariffe. Sarebbe bastato anche immettere monete di carta per 1 e 2 euro, per dare maggiore peso ai soldi e una maggiore consapevolezza per i consumatori nello spenderli.

Ma oltre a ciò, ha compiuto un’altra rapina, tramite il Governo più filo-europeista avuto in questi anni: il Governo Monti.

Come? Tramite la norma Salva Italia (legge 201/2011 art. 26), la quale ha anticipato al 6 dicembre 2011 il termine ultimo per poter convertire le vecchie lire in euro. Un anticipo di ben tre mesi, dato che la legge del 2002 (introdotta per gestire l’introduzione dell’euro) fissava invece al 28 febbraio 2012 la fine del diritto di cambio.

Un anticipo che ha beneficiato allo Stato tra 1,2 e 1,6 miliardi di euro che, invece di finire nelle tasche degli italiani in possesso delle lire, furono versate da Bankitalia in tre rate nella casse statali per concorrere alla riduzione del debito pubblico. Quel debito pubblico che ci divora da decenni e che nessun governo riesce a ridurre.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE- Per fortuna, a riparare le nefandezze dei nostri governanti ci ha pensato ancora una volta la Corte Costituzionale. La quale ha bocciato la norma con questa motivazione: ”il fatto che al momento di entrata in vigore del decreto Salva Italia fossero già trascorsi 9 anni e 9 mesi dalla cessazione del corso legale della lira non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione”.


BISOGNA ANCORA CAPIRE COME E QUANDO SI POTRANNO CAMBIARE LE LIRE RIMASTE – Ora però bisogna capire quando e come si potrà beneficiare dei tre mesi scippati agli italiani per cambiare le proprie lire. Al momento tutte le opzioni sono aperte: dalla riapertura di una finestra, alla limitazione del cambio solo per coloro che possano dimostrare di aver cercato di cambiare i titoli durante il periodo in cui questo era ancora consentito dalle norme iniziali.

La risposta si trova, quindi, in un mix di problematiche che vanno dalla solita lungaggine burocratica all’impatto sui conti pubblici con la mancanza di soldi cash per finanziare questa restituzione.

Del resto che la coperta sia troppo corta è evidente facendo due conti: nel 2012 Bankitalia spiegava che tra le banconote non ancora restituite mancavano all’appello 196 milioni di pezzi da mille lire, 12 milioni da 100mila lire, 300mila da 500mila lire, 40,6 milioni da diecimila lire, 30,9 milioni da cinquemila e 21,6 milioni per il taglio da duemila.

C’è, infine, un altro punto da chiarire: quando far partire i tre mesi messi a disposizione dalla Consulta per presentarsi agli sportelli bancari per cambiare le lire? Se venisse confermato che il countdown parte dal giorno di pubblicazione della sentenza, giovedì 5 novembre 2015, le possibilità dello Stato di tenersi il tesoretto aumenterebbero a dismisura.

Una notizia che renderà l’Euro agli occhi degli italiani ancora più ostica, una fregatura impostaci dall’alto.

DA lucascialo.blogspot.it

Tratto da: lastella
 
dicembre 21, 2017 posted by Mitt Dolcino
Cosa succederebbe se il dollaro si svalutasse nel 2018 fino a 1.50 e oltre contro euro? La recente aggressività dell’EU va infatti compresa, prima che sia troppo tardi




Back to basics, la cosa che mi piace di più. Dunque, domanda, cosa succederebbe se a fine 2018 il dollaro arrivasse a 1.50 su euro? Chi ne soffrirebbe maggiormente in seno all’EU? Ricordiamo infatti che dal febbraio prossimo l’Amministrazione Trump avrà il pieno controllo anche della Fed, con l’ultima nomina presidenziale di Marvin Goodfriend in grado di spostare il governatorato monetario USA verso l’extra dovish stance.

Soprattutto dopo le follie deficitarie dell’epoca Obama. Ben inteso, non sono nelle condizioni di fare previsioni, voglio solo ipotizzare cosa succederebbe se tale evento si concretizzasse in modo da poter meglio interpretare gli accadimenti esterni (…). Chiaro, la realtà sarà molto più complessa dell’ipotesi di un semplice macro evento, ho in testa un quadro assai preciso ma preferisco tenerlo per me (…). Posso solo anticiparvi che nel 2018 le crypto valute avranno un ruolo importante oltre a presentare un andamento non proprio atteso, certamente imbarazzante (…).



Vi risparmio i conti e le bugie dei media mainstream per nascondervi la potenziale gravità della situazione – bugie che vedrete a breve sui giornaloni, gli stessi troppo spesso propinatori di fake news per intenderci -, vado dritto alle conclusioni. Il paese EU che subirebbe maggiormente le conseguenze di una rivalutazione dell’euro avrebbe il seguente identikit:

1. grande esportatore,

2. con relativamente poco pricing power (ovvero che vende in maggior parte prodotti intermedi e non prodotti finali ad alto valore aggiunto, un terzista per intenderci),

3. con un sistema bancario oberato dai prestiti inesigibili e quindi incapace di assorbire lo shock della riduzione degli attivi,

4. con bassa solidità sistemica statale ed elevata instabilità sociale.

Appunto, l’identikit calza a pennello con l’Italia. I tedeschi, certo, subirebbero anche loro conseguenze negative dal crollo del dollaro ma molto meno serie. Infatti cosa fa una grande azienda, ovvero un grande Stato ben gestito, quando i costi diventano eccessivi a livello congiunturale? Semplice, tende a tagliarli. Ovvero in primis a scaricare i costi sui terzisti. E visto che la manifattura italiana in gran parte è terzista dei colossi tedeschi, vedasi su tutti l’automotive, le PMI italiane e la metalmeccanica fine italiana in particolare rischiano davvero grosso….

Il crollo del dollaro (se avverrà), con innegabile riduzione dei consumi da import americani – riduzione per altro espressamente desiderata da Trump, America First significa proprio questo -, causerebbe deflazione mondiale a vantaggio degli USA. A subire sarebbero i paesi esportatori, a partire dalla Germania ed in misura minore la Cina. Dunque, nel caso tale crollo del dollaro sarebbe l’occasione per mettere le mani sull’Italia da parte di Francia e Germania: il Belpaese sarà certamente quello che inevitabilmente subirebbe più di tutti la batosta dei maggiori costi dati da un euro troppo alto rispetto a quanto l’EU si possa permettere. E dunque sarà/sarebbe congiunturalmente debolissimo, restando nell’euro. Guardate ad esempio quale era il debito dei paesi EUrodeboli all’inizio della grande crisi, prima delle modifiche statistiche EU che hanno cambiato il computo del debito nazionale introducendo l’incomprensibile “economia sommersa” (il 118% di debito/PIL dell’Italia agli albori della crisi – in figura – si compara oggi con un numero prossimo al 155%, più o meno 8 anni dopo).



Infatti se è vero che la moneta unica è attualmente almeno il 30/35% più svalutata rispetto a quello che sarebbe il marco tedesco, ciò è avvenuto a spese – ossia grazie – ai periferici come l’Italia ammessi nella compagine eurica proprio con il fine di indebolirla a livello valutario. In ogni caso oggi l’euro resta sufficientemente sottovalutato rispetto al dollaro per garantire generale competitività a tutti i paesi dell’Unione, sebbene necessitando/avendo necessitato di deflazione salariale in alcuni specifici paesi come l’Italia per ridurre i costi locali.

Nel momento in cui l’euro dovesse decollare – … – tale deflazione salariale dovrebbe necessariamente accentuarsi per mantenere la competitività dell’area. Fino a diventare insostenibile nei Paesi che la praticano da anni (Italia, Grecia, Spagna ecc.), comportando per altro la necessità di una riduzione dei costi applicata anche ai sistemi più solidi, come quello tedesco. Il problema che più drammaticamente ci riguarda è che a tale punto l’Italia, oggi già al limite del collasso in termini di consumi interni, si troverebbe:

– (i) da un lato a dover imporre una ulteriore deflazione salariale – socialmente ed economicamente insostenibile -,

– (ii) dall’altro si troverebbe con un incremento della disoccupazione unitamente ad una riduzione delle entrate statali causa minore attività economica.

Il primo risultato sarebbe fare saltare i conti dell’INPS, soprattutto per la parte assistenziale (guarda casa quella attaccata da Federico Fubini recentemente, uno pagato da coloro che dall’euro traggono enormi profitti a danno della popolazione locale, ndr). Ovvero Roma si troverebbe nella necessità di misure straordinarie, a maggior ragione in perseveranza dell’austerità euroimposta. All’uopo ho scritto articoli ancora un anno e mezzo fa che appaiono tremendamente attuali, dove si trovano i dettagli tecnici (vedasi LINK).



Dunque si arriverebbe o al crack italiano o ad una imposta patrimoniale shock pari al 15-20% o anche 25% degli attivi finanziari delle famiglie (più svendite di Stato imposte all’Italia come fu per la Grecia, che a termine peggiorerebbero ulteriormente il quadro occupazionale nazionale), elemento che comporterebbe inevitabilmente un’ulteriore riduzione dell’attività economica e via dicendo… Un cane che si morde la coda, spirale mortale che potrebbe portare anche alla fine dell’Italia come entità statale, gli avvoltoi sono pronti al confine sulla falsa riga di quanto ha tentato di fare l’Austria ipotizzando il passaporto italiano per i sudtirolesi (ma implicando magari anche la lingua francese, …).



Tradotto, nel 2018 e poi nell’anno seguente nel caso di un crollo del dollaro, l’EUropa rischiererebbe davvero di terminare la sua breve e travagliata esistenza. Guarda caso l’EU, a sua autodifesa, sta diventando sempre più fascista ed aggressiva, solo questione di tempo prima che si trasformi in un sistema autoritario da manuale. Infatti oggi l’EU sta capendo che la fine può davvero essere ad un passo e dunque, a difesa degli interessi dei paesi che se ne avvantaggiano, cerca di difendersi. Attaccando. Oggi è la volta della Polonia (vedasi LINK), anche lei come l’Italia troppo filo-USA. Infatti gli USA, se non vogliono vedere mortalmente ridimensionato il loro ruolo globale, devono ridurre il deficit commerciale con l’estero, a tutti i costi, trade deficit che da troppi anni sta arricchendo gli esportatori mondiali ma indebitando alla morte la prima potenza economica e militare mondiale (Donald J. Trump è stato il primo presidente USA a dichiaratamente voler ridurre il deficit commerciale dai tempi di Nixon). Viceversa la BCE farà di tutto per evitarlo, vedremo chi vincerà.



Temo che i politici italiani eletti il prossimo anno dovranno scegliere: restare nell’euro facendo fare crack alle famiglie o uscirne per far ripartire l’economia? La storia ci insegna che la violenza in tale contesto sembra assicurata, da entrambe le parti.

Un colpo di stato in Italia, di quelli cruenti in quanto tutti gli aventi causa saranno certamente ben finanziati/supportati, non sembra più un’utopia.

Chi scrive tifa per l’Italexit. E tutto sommato dovendo tragicamente scegliere, anche per un governo di dura rottura, vista l’inettitudine ed il collaborazionismo dimostrato dagli ultimi quattro governi non eletti.

Mitt Dolcino

da Taboolada Taboola
PromossoPromosso
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Dal Web
 
Il problema del debito pubblico in Italia? E’ la cupola nel Ministero dell’Economia
di Stefano Porcari

Nell’autunno del 2011 (era l’inizio del governo Monti), l’apertura di un contenzioso con la banca d’affari Morgan Stanley per la chiusura anticipata di un derivato finanziario, costò al governo un esborso di 3,1 miliardi di euro. L’ex ministro dell’economia e finanza, Vittorio Grilli, ha affermato ieri in Commissione parlamentare che il governo fece bene a pagare – invece che a riscuotere – perchè “avrebbe voluto dire che l’Italia non paga e che il paese era in default o pre-default”. Vittorio Grilli, ministro dell’Economia tra il novembre del 2011 e il luglio 2012, in precedenza direttore generale del Tesoro e Ragioniere generale dello stato, oggi è un manager della banca d’affari JP Morgan, insomma una classica volpe che il governo Monti mise a guardia del pollaio. E i risultati si vedono.

Grilli, ascoltato in commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario in crisi ha dovuto rispondere ad una domanda del vicepresidente Renato Brunetta sulla clausola di derivato che ha consentito a Morgan Stanley la chiusura anticipata del contratto definita dal politico “spaventosamente onerosa per Repubblica italiana”, ovvero ben 3,1 miliardi di euro pubblici finiti nelle casse della banca d’affari. Un contenzioso con Morgan Stanley “non era assolutamente nelle carte”, ha ribadito Grilli. “Aprire un contenzioso su un derivato voleva dire che l’Italia non paga” e che non sarebbe stata in grado di pagare il debito. Per questo, “ritengo che l’amministrazione abbia preso la decisione giusta in quell’anno” di pagare 3,1 mld per la chiusura anticipata del derivato stipulato dal Mef con Morgan Stanley perché qualsiasi altra decisione “in quel momento avrebbe avuto conseguenze devastanti”. Grilli ha poi riferito di aver saputo dell’esistenza della clausola “soltanto a fine 2011, a novembre”. Dopo aver lasciato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2014 Grilli è entrato nella squadra della banca d’affari, Jp Morgan.

Non si sono ancora spenti i riflettori sulle talpe dei comitati d’affari dentro il Mef che un ex ministro – oggi manager di una banca d’affari – conferma come i soldi pubblici finiscano alle banche, anche straniere, sulla base di valutazioni del tutto opinabili.

Solo qualche settimana fa è stato scoperto che Susanna Masi, consigliera del Mef, per mesi avrebbe percepito un “doppio stipendio” per aver rivelato particolari riservati sulle normative fiscali allo studio del governo italiano e della Ue, in particolare sulla Robin Tax, alla società di consulenza internazionale Ernst & Young, per la quale aveva lavorato prima di iniziare la sua attività di consigliere del ministro dell’Economia. La donna, dopo aver assunto l’incarico al Mef nell’agosto del 2013, aveva dichiarato di non aver alcun conflitto d’interesse. Da quanto è emerso da un’inchiesta condotta dai pm di Milano Giovanni Polizzi e Paolo Filippini, in realtà, continuava a percepire bonifici dalla società di consulenza. Per gli inquirenti la Masi, grazie al suo ruolo negli staff dei ministri Fabrizio Saccomanni e Pier Carlo Padoan, avrebbe fornito informazioni riservate su leggi in materia fiscale ancora allo studio a livello europeo di cui veniva a conoscenza partecipando per conto del Mef a tavoli tecnici con colleghi degli altri Paesi europei.

Con un ministero strategico come il Mef in mano a personaggi come Grilli o la Masi con quale faccia vengono a chiederci tagli, sacrifici, austerità su pensioni, sanità, lavoro, scuole in nome della riduzione del debito pubblico? Il ricatto dello spread, l’insostenibilità del debito pubblico (passato dal 102% del 1992 al 134% del 2016 nonostante le terapie “lacrime e sangue”), i giudizi “dei mercati”, sono delle sanguinose menzogne dei governi, degli uomini e delle donne legati alle banche e messi ai posti di comando strategico, menzogne che vanno sbaraccate via. Prima lo si fa meglio è per il paese. Come si dice? Potere al popolo!!
 
posted by Maurizio Gustinicchi
IL FUTURO DELLA NOSTRA ECONOMIA È GIÀ SCRITTO NEL PASSATO

Ecco a voi, da Wikipedia (ma è così descritta anche in ogni libro o in ogni tesina di storia), una sintesi dei principali avvenimenti durante la GRANDE DEPRESSIONE del 1873

1) CROLLO PRODUZIONE INDUSTRIALE
….. Nel giro di pochi mesi la produzione industriale degli Stati Uniti cadde di un terzo per la mancanza di acquirenti mentre aumentava a dismisura la disoccupazione. Presto la crisi si diffuse anche in Gran Bretagna, Francia e Germania.

2) CARENZA LATO DOMANDA AGGREGATA
La carenza sul lato della domanda provocò un improvviso e rovinoso calo del saggio dei prezzi (deflazione che interessò l’intero ventennio di crisi), con una quantità sempre crescente di scorte di magazzino invendute che indussero i produttori ad avviare massicci licenziamenti nel settore industriale.

3) SCARSITÀ DI MONETA IN CIRCOLAZIONE
La crisi ebbe avvio anche da una scarsa circolazione monetaria (in generale declinante, tranne casi isolati come quello dell’Austria-Ungheria e della Russia, dove la circolazione monetaria aumentò)[1] in una fase caratterizzata dall’entrata in vigore della convertibilità della moneta in oro (gold standard) in numerosi paesi industrializzati.

4) MERCI AGRICOLE USA SOTTOPREZZO EUROPEO
Nel settore agricolo l’ingresso ingente di merci statunitensi in Europa (favorito dai miglioramenti nel settore dei trasporti, col passaggio dalla vela al vapore), a seguito di annate agricole negative, provocò una caduta dei prezzi che mandò in rovina moltissimi piccoli produttori (vissuti fino ad allora all’interno di un mercato regionale caratterizzato da bassi profitti e tecnologicamente arretrato rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti) e…..

5) MOVIMENTI MIGRATORI
…… innescò vasti movimenti migratori tra paesi (secondo direttrici che procedevano dall’Europa agli USA o ai paesi dell’America Meridionale, dall’Europa meridionale al nord Europa), soprattutto in partenza dalle aree economicamente più deboli (paesi periferici europei, tra cui Italia, Irlanda, Spagna, Europa orientale), e dalla campagna verso la città, determinando un forte aumento dell’inurbamento e della disponibilità, in tempi successivi, di manodopera da impiegare nel settore industriale. Nel contempo la crisi del settore agricolo avviò esperimenti di specializzazione delle colture e in alcuni casi l’evoluzione in senso capitalistico delle aziende agricole soprattutto in Germania (barbabietola), Francia (vitivinicoltura) e in Italia Settentrionale (Pianura padana).

6) CRISI DA SOVRAPPRODUZIONE
La crisi di sovrapproduzione si manifestò anche come conseguenza dell’ascesa degli Stati Uniti e dell’Impero tedesco come nuove potenze mondiali.

NOTATE BENE:

a)SCARSITÀ DI MONETA PER INTRODUZIONE GOLD STANDARD IN ECONOMIE INDUSTRIALIZZATE +b) MIGLIORAMENTI TECNOLOGICI

Questo porterà al neocolonialismo e alla prima guerra mondiale.

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TUTTO COME DA PIANI
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Ad maiora.
 
novembre 2017
il sistema mediatico-culturale di controllo possono apparire contrastanti.
Se l'obiettivo finale, o meglio lo step prossimo venturo, sarebbe quello di diffondere e rendere operativo il paradigma della self-sovereign identity, rendendo progressivamente e irreversibilmente "inutili" gli Stati, occorre comprendere, tuttavia, che, per poter avviare questa mega start-up politico-tecnologica hanno bisogno dell'attuale cooperazione degli stessi Stati, affinchè, mediante la forza normativa formale, ed ancora decisiva, di cui dispongono, apprestino il quadro regolatorio fondamentale in cui il paradigma sia inizialmente validato e reso cogente.
Insomma, l'innesco ha bisogno della sovranità statale, a condizione che essa già risulti pre-orientata e fondamentalmente condizionata, dal diritto internazionale privatizzato.

2. Di questo fenomeno, di cooperazione attiva degli Stati nella loro stessa de-sovranizzazione, ne abbiamo vasti esempi già operativi: il primo, il più eclatante, è la stessa moneta unica, con il processo a cascata della soft law realizzativa dell'Unione bancaria; ma certamente non è da meno il sistema dell'accoglienza no-limits, fondato sul recepimento statale di fonti €uropee forzate fino all'alterazione sistematica delle stesse previsioni dei trattati, che pure, già di per sè, assolvono allo scopo di prefigurare il mercato del lavoro deflazionista-salariale globale (in particolare, e correlato allo "ius soli", p.12), condito di africanizzazione e islamizzazione per consolidare meglio l'accettazione della destrutturazione istituzionale, sociale e identitaria che il sistema comporta.

2.1. E al riguardo, rinviando ai post già linkati (e ai links in essi segnalati), ci pare eloquente richiamare questo sunto del pensiero di Kalergy (qui, p.3): “Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa... ...Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile. Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le proteggano, si riuscirà a reprimere la massa."

2.2. Anche se poi questo passo può essere inteso, senza equivoci e vistose defaillances giuridiche e culturali, soltanto richiamando il vero contenuto del principio di autodeterminazione:
Il principio di autodeterminazione NON IMPLICA IL DIRITTO DI SECESSIONE DA PARTE DI MINORANZE DESIDEROSE… di ergesi a STATO INDIPENDENTE [in nota: Anzi, il diritto di secessione delle minoranze fu espressamente escluso, secondo quanto risulta dai lavori preparatori della Carta delle Nazioni Unite, dalla nozione di autodeterminazione: United Nations Conference (on International Organization, Documents, VI), cit., 298. E la prassi internazionale in alcuni casi di tentata secessione (per es. Katanga, Biafra) è stata del tutto conforme a tale scelta].
I diritti delle minoranze possono essere garantiti in uno Stato retto da un regime democratico rispettoso dei diritti dell'uomo in generale e dei diritti specifici delle minoranze in particolare e disposto, a tal fine, a concedere ampie autonomie di governo a determinati gruppi etnici stanziati su una parte del territorio nazionale [in nota: il rispetto dell'autodeterminazione può essere garantito anche con la concessione di ampie autonomie: (per questa soluzione si veda Tran van Minh, op. cit., 107 a proposito della questione kurda e di quella del Sud Sudan) o semplicemente attraverso il rispetto dei diritti delle minoranze così come specificati in numerosi accordi internazionali (si veda in proposito Capotorti, Etude des droits des personnes appartenant aux minorités ethniques, religieuses et linguistiques, Nations Unies, New York, 1979). Le minoranze, infatti, nella misura in cui sia loro garantita un'identità storico-culturale, non sono altro che articolazioni del popolo complessivamente considerato al quale, nella sua totalità, spetta il diritto all'autodeterminazione.
[F. LATTANZI, Digesto, IV edizione,Torino, 1987, Autodeterminazione dei popoli, 4 ss].
Si potrebbe continuare con analoga dottrina...


2.3. A questo passaggio esplicativo, aggiungerei questo passo citato da Arturo, sul quale dovrebbe essere agevole fare la connessione col quadro che stiamo descrivendo in relazione al paradigma costituzionale...keynesiano (per chi abbia abbastanza pazienza e interesse a studiare):
"Lato economico: europeismo “antirestrizionista”= neoliberismo (Caffè, 1945).
Lato politico: scaricare la colpa del conflitto sulla comunità sotto attacco, perché resiste o potrebbe resistere, è un espediente vecchio quanto l’imperialismo: diciamo dal dialogo dei Meli e degli Ateniesi in poi.
In ogni caso, commentando lo scritto di Keynes riportato nel post, Skidelsky osserva (Keynes. The Return of the Master, Penguin, Londra, 2010, s.p.) che “the idea that ‘globalization’ can lead to war, national self-sufficiency to peace, was of course a complete reversal of the traditional teaching.”; tuttavia, aggiungendo la citazione di questo passo, conclude che “Keynes endorsed a qualified internationalism”. Dico, qualcuno avesse avuto il sospetto che si debba “scegliere” fra artt. 4 e 11…"

3. Svolte queste premesse chiarificatrici, che ci sono parse importanti per interpretare correttamente il linguaggio giuridico e la sostanza economica dei fenomeni che analizziamo, mi soffermerei su un articolo in cui mi sono imbattuto leggendo la prima pagina de "Il Messaggero" odierno e che conferma come l'innesco della desovranizzazione statale necessiti di un'attiva cooperazione preparatoria degli Stati stessi.
Si tratta di un'intervista a Franco Bernabè (esperienze professionali global-mercatiste e memberships cultural-associative "internazional-mondialiste" di assoluto rilievo), in questo caso nelle vesti di "presidente di Unesco Italia", il cui titolo è
"A Roma il meglio c'è, lo Stato torni forte".

4. Si potrebbe sobbalzare, quindi, nel sentire un membro dello steering committee del Gruppo Bilderberg, formatosi come ricercatore di economia presso la Fondazione Einaudi, membro dell'European Roundtable of Industrialists e dell'International Council di JP Morgan, già transitato per l'OCSE, che invoca il ritorno di uno Stato "forte".
E che comunque fa una ricostruzione storico-istituzionale ed economica quasi-interventista e condivisibile:
"C'è anzitutto una questione di fondo. Quella del grande mutamento di ruolo che Roma ha avuto negli ultimi venti anni.
La riforma del titolo V della Costituzione ha ridotto le funzioni dello Stato centrale. E ha sacrificato una burocrazia ministeriale che, pur con molti difetti, aveva notevoli competenze e professionalità. L'apparato dello Stato si è impoverito drammaticamente.
Sono venti anni che nella pubblica amministrazione non si assume.
Per una città in cui l'apparato statale ha avuto una funzione cruciale, questo ha rappresentato una forte regressione. Con un impoverimento anche economico del ceto impiegatizio che costituisce l'ossatura sociale di Roma. E questo impoverimento sta producendo una sfiducia profonda nella politica tradizionale".

4.1. Alla successiva domanda, frutto del consueto automatismo categorial-concettuale incorporato nell'approccio giornalistico ("la sburocratizzazione non può essere un fatto positivo?"), risponde in modo "spiazzante":
"Il fatto, molto negativo, è che abbiamo assistito allo smantellamento delle partecipazioni statali. Avevano dei difetti. Ma forse non tanti di più rispetto alle imprese private. Le partecipazioni statali potevano contare su personale tecnico di altissimo livello."

5. Sul fatto che l'impresa pubblica contenesse competenze e livelli di efficienza industriale e, in realtà difetti non maggiori bensì minori delle imprese private, - se non altro per la ricaduta dei settori di ricerca e innovazione sull'intera economia italiana- in realtà basterebbe rammentare quanto ci ha detto il prof. De Cecco (p.5) (scomparso nel 2016, dopo aver insegnato a lungo alla Normale di Pisa e alla Luiss), che risulta frutto di studi scientifici meno dubitativi delle parole di Bernabé (studi che coinvolgono proprio gli aspetti monetari e la connessa eliminazione del ruolo economico-sociale dello Stato):
"Perché le privatizzazioni degli anni Novanta sono state un fallimento?
Sono state le più grandi dopo quelle inglesi e hanno cambiato la faccia dell’industria italiana senza fare un graffio al deficit pubblico.
Se si voleva distruggere l’industria italiana ci sono riusciti
.
Ma non credo che Prodi volesse distruggere quello che aveva contribuito a creare. Questo risultato non è stato voluto, ma è sicuro che sia stato assolutamente deleterio.
Gli studi della Banca d’Italia dimostrano che al tempo l’industria di Stato faceva ricerca per tutto il sistema economico italiano. Dopo le privatizzazioni, chi ha preso il posto dell’Iri, ad esempio, non l’ha voluta fare.
Siamo rimasti senza un altro pilastro importante della politica industriale, mentre si continuano a fare solenni discorsi sull’istruzione, sulla ricerca o la cultura. In questi anni è stato distrutto tutto. Su questo non ci piove.
Le prime privatizzazioni sono state fatte per imposizione della City di Londra. Siamo stati ricattati. Credo che era molto difficile per le autorità politiche riuscire a sottrarsi, dati i precari assetti politici che anche allora ci affligevano
".

6. Ma il (parziale) revirement di Bernabè è occasionato da un'analisi portata proprio sulla realtà economica di Roma.
Non "città aperta" ma "città globale", o meglio obbligata ad essere tale nella realtà delle economie aperte.
E dunque, rammentando come e perché, all'interno del paradigma finale di cui abbiamo parlato all'inizio, si possa collocare l'idea di un rafforzamento dello Stato, che possa servire da innesco di un mondo (senza frontiere politiche) dominato appunto dalle città globali, ci sovviene il pensiero della Sassen che recentemente abbiamo contestualizzato, che paiono perfettamente coerenti a spiegare il ritorno allo Stato forte, rispetto a cui infatti Bernabé precisa, di fronte alla domanda: "Ma allora bisognerebbe tornare indietro?" "Non dico questo. Perché nel frattempo le cose si sono evolute e Roma ha cambiato pelle". Già, chissà perché.

7. Ecco dunque la parte interessante del pensiero della Sassen (ulteriormente condensato) che probabilmente può spiegarci l'apparente (semi)contraddizione (qui, p.1.d):
"La Sassen, famosa teorizzatrice della "città globale", in un'illuminante intervista, ci dice alcune cose interessanti sui punti a) e b) sopra riassunti, che ci consentono di capire meglio quello c). Proviamo a esaminarle e a commentarle:

1) "...non esiste nessuna persona giuridica che rappresenti le marche globali; quello che esiste invece è uno spazio istituzionale, legale, formalizzato, che è stato prodotto passo dopo passo affinché le aziende globali potessero operarvi.
E questi nuovi regimi giuridici, indispensabili alla geografia globale dei processi economici, sono stati creati e legittimati dallo Stato, attra verso processi di denazionalizzazione. Gli spazi globalizzati non nascono dal nulla, ma sono stati creati attraverso un importantissimo lavoro altamente specializzato compiuto dallo stato. Questo significa che all’interno dello stato nazionale ci sono alcuni settori che risultano essenziali per edificare uno spazio internazionalizzato. In questo senso sostengo che il globale si afferma anche all’interno e per mezzo del nazionale, attraverso un processo di denazionalizzazione portato avanti da alcune componenti dello stato nazionale
...
...
"Perché se riconosciamo i processi di denazionalizzazione, se in altri termini comprendiamo che la globalizzazione è un processo parzialmente endogeno al nazionale piuttosto che a esso esterno, possiamo capire che è proprio all’interno del nazionale che si stanno aprendo nuovi spazi politici potenzialmente globali per tutta una serie di attori confinati nel nazionale. Attori che possono prendere parte alla politica globale non solo attraverso strumenti globali, di cui possono anche non disporre, ma attraverso gli strumenti formali dello stato nazionale...".
Questo passaggio può apparire un po' criptico e, addirittura, (nella tentazione di andare oltre), può indurre a soprassedere. Mal ve ne incoglierebbe! Quello che la Sassen ci sta dicendo nel suo metalinguaggio (che l'ha ormai resa celebre) è, tradotto in corretti e concreti termini giuridico-economici:
"I politici che assumono il ruolo di promuovere, concludere e, successivamente, attuare i trattati internazionali che tutelano gli interessi delle "marche globali"(="multinazionali") acquistano un maggiore e crescente spazio istituzionale, funzionalmente giustificato dallo sviluppo dell'azione agevolatrice già svolta".
8. Poi sono certamente possibili diverse e concorrenti spiegazioni perché, oggi, si faccia un richiamo ad uno "Stato forte", ben al di là della questione di Roma e del suo declino negli ultimi venti anni. Magari più strettamente politiche e legate all'attualità, per così dire, "elettorale".
Ma anche ad un elemento fiscale (chiamiamolo così...) che, in realtà, ha sostanzialmente travolto tutto il territorio italiano: chiamiamolo €uropa, così ci capiamo meglio, anche se non viene mai menzionato.


Pubblicato da Quarantotto a 14:16
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17 commenti
 
Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
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VACCINI E LE LINEE CELLULARI DI FETI ABORTITI.
ATTACCO ALLA GENETICA UMANA?
Marcello Pamio - 20 luglio 2017

Sugli effetti collaterali dei «farmaci pediatrici» chiamati vaccini non ci sono dubbi se non nei cervelli di quelle persone profondamente analfabete e ignoranti che si informano tramite la televisione e i giornali, e da parte di quel mondo scientifico e corrotto collegato a doppia mandata con le lobbies della chimica e farmaceutica.
Moltissimi autori, ricercatori e medici onesti intellettualmente descrivono che la causa degli effetti avversi starebbe non tanto nella parte antigenica (virale o batterica che sia), quanto negli adiuvanti e conservanti usati dalle industrie: sostanze neurotossiche (sali di alluminio e mercurio, ecc.), cancerogene (formaldeide, ecc.), antibiotici, ecc.

Tutto estremamente corretto. Ma forse c’è dell’altro…
I vaccini contengono sostanze molto meno note - perché coperte dall’inviolabile segreto industriale - che si nascondono dietro sigle e/o acronimi e che potrebbero giocare invece un ruolo prioritario nell’eziologia di gravissime e incurabili patologie, per non parlare dell’inquietante modifica della genetica umana…
Le sostanze in questione sono: MRC-5, WI-38 e Vero.

Ecco le informazioni riportate dai bugiardini delle rispettive società produttrici.

VACCINO INFANRIX HEXA
Nel vaccino esavalente prodotto dalla Glaxo contro difterite, tetano, epatite-B, poliomielite, pertosse e haemophilus influenzae tipo B:
«prodotto da cellule di lievito (S. cerevisiae) tramite tecnologia del DNA ricombinante»;
«propagato in cellule VERO».

VACCINO M-M-R VAXPRO
Nel vaccino trivalente prodotto dalla Sanofi Pasteur contro morbillo, parotite, rosolia:
«prodotto su cellule embrionali di pollo»;
«prodotto su fibroblasti di polmone diploidi umani WI-38».

VACCINO PRIORIX
Nel vaccino quadrivalente prodotto dalla Glaxo contro morbillo, parotite, rosolia, varicella:
«coltivato in colture di cellule embrionali di pollo»;
«coltivato in cellule diploidi umani MRC-5».

VACCINO PROQUAD
Nel vaccino quadrivalente della Sanofi Pasteur contro morbillo, parotite, rosolia, varicella:
«prodotto su cellule embrionali di pollo»;
«prodotto su fibroblasti di polmone diploidi umani WI-38»;
«prodotto su cellule diploidi umani MRC-5».

VACCINO PENTAVAC
Nel vaccino pentavalente prodotto dalla Sanofi Pasteur contro difterite, tetano, pertosse, polio, haemophilus influenzae tipo B:
«adsorbito su alluminio idrossido»;
«prodotto su cellule VERO».

Per far crescere i ceppi virali usati poi nei vaccini, le corporation necessitano di un terreno di coltura rappresentato da cellule umane o animali o entrambe assieme (pollo e uomo).
Vediamo adesso nel dettaglio cosa rappresentano e soprattutto cosa nascondono le sigle:
VERO, WI-38, MRC-5.

Innanzitutto è interessante sapere che tutti e tre i brevetti di queste linee cellulari sono nelle mani della ATCC®, la più importante e sconosciuta organizzazione mondiale che si occupa di risorse e materiali biologici.
Lavora fin dal 1925 sulla produzione, conservazione e vendita di microrganismi (tra cui fermenti e probiotici) e linee cellulari.
La sede nei primi anni di attività dell’azienda era presso l’Istituto McCormick a Chicago, poi si trasferì all’università di Georgetown a Washington e ora si trova a Manassas in Virginia vicino all’Istituto nazionale di salute americano.

WI-38 (Winstar Institute 38, numero ATCC®, CCL-75)
La sigla WI-38 indica cellule diploidi umane.
Cellule fibroblastiche polmonari di un feto femmina svedese abortito dopo 3 mesi di gestazione perché la famiglia riteneva di avere già troppi figli.
La linea cellulare isolata la prima volta da Leonard Hayflick e Paul Moorhead nel 1964 è stata ampiamente utilizzata nella ricerca scientifica, con applicazioni che vanno dalla creazione di importanti teorie nella biologia molecolare alla produzione di molti tipi di vaccini anti-morbillo+parotite+rosolia, anti-varicella e anti-herpes zooster.
Dagli anni Sessanta ad oggi continuano ad utilizzare questa linea cellulare. Com’è possibile? A spiegarlo è la stessa ditta produttrice: la crescita di queste cellule è stata fatta aumentare grazie all’aggiunta di un fattore di necrosi tumorale (TNF alfa).

MRC-5 (Medical Research Council 5, numero ATCC®, CCL-171)
Ancora più inquietante è il brevetto della linea cellulare MRC-5 sempre prodotto dalla ATCC.
Si tratta di cellule polmonari prelevate da un feto maschio abortito di 14 settimane da una mamma di razza caucasica, ma in questo caso ci sono anche altre informazioni aggiuntive.
Questa linea è stata preparata e sviluppata da J. Jacobs nel 1966 partendo dalle cellule espiantate di feto di una donna di 27 anni inglese ricoverata in manicomio.
Lo specifica il report pubblicato su «Nature»: «non cellule oncogene, non malattie familiari, feto espiantato da una donna per cause psichiatriche»!
«Taken from a 14-week male foetus removed for psychiatric reasons from a 27 years old woman».

VERO (numero ATCC®, CCL-81)
Le cellule VERO non sono di origine umana ma animale: derivano dai reni di una scimmia verde africana (Chlorocebus).
Scoperte per la prima volta il 27 marzo 1962 dalla Chiba University in Giappone.
La linea cellulare che ancora oggi si usa è quella ottenuta dopo il 93° passaggio di crescita cellulare al Laboratorio di Virologia Tropicale dell’Istituto nazionale malattie infettive della medesima università il 15 giugno 1964.
Il problema anche in questo caso è molto serio perché la rivista scientifica americana «Cancer Research» ha fornito evidenze sulla presenza di un virus della scimmia, denominato SV40, nei tumori cerebrali umani (gliomi) e nei campioni di sangue e sperma di individui sani.
Questo virus presente nelle scimmie, dove sembra essere innocuo, come può aver saltato la specie e infettato l’uomo? Sono state inventate le teorie più bizzarre che ovviamente si commentano da sole: dal consumo alimentare di carne di scimmia, ai rapporti sessuali tra africani e la povera bestia.
La risposta necessita di uno sforzo mentale e una fantasia meno eccessivi: vaccinazioni!
Molti ricercatori e scienziati ne sono convinti, come il professor Mauro Tognon, biologo e genetista dell’Università di Ferrara: «È noto dal 1960 che SV40 fu trasferito all’uomo mediante le vaccinazioni anti-polio eseguite su scala planetaria durante il periodo 1955-63. Durante quel periodo nei soli Stati Uniti d'America 98 milioni di individui, vaccinati con le antipolio, furono infettati con SV40».
Nel sito ufficiale della ATCC che produce le cellule VERO, è riportato che tra le varie suscettibilità ai virus, c’è anche il SV40…
HIGH FIVE CELLS™ (Numero catalogo B85502)
Queste linea cellulare fu sviluppata dall’Istituto Boyce Thompson per la ricerca di piante di Ithaca, NY.

Le High Five™ sono cellule di origine animale estrapolate dall’ovaio di un insetto: la falena Trichoplusian ni.
Le cellule High Five™ sono la scelta migliore per via dell’alto numero di espressione proteica, e in questo substrato vengono coltivati i virus vaccinali come quelli dell’HPV, il Papilloma Virus umano.
Nel sito della società Thermo Fisher Scientific viene anche riportato il costo di queste cellule.
Il costo di 3x106 (3 milioni) di cellule è di 1122 euro.
Nel sito ufficiale viene specificato che questa linea cellulare va manipolata con molta attenzione. «Maneggiare come materiale al alto rischio, contenimento di Livello 2 di Biosicurezza. Questo prodotto contiene Dimethyl Sulfoxide (DMSO), un materiale pericoloso» …

Altri vaccini che usano le due linee umane sono:
- MERUVAX: vaccino monovalente contro la rosolia della Merck;
- RUDIVAX della Sanofi Pasteur;
- ERVEVAX della Glaxo;
- M-R-VAX della Merck;
- RUDI-ROUVAX della AVP;
- BIAVAX della Merck;
- MMR della Merck;
- TRIMOVAX della Sanofi Pasteur;
- PRIORIX della Glaxo;
- VAQTA della Merck;
- HAVRIX della Glaxo;
- VARIVAX della Merck;
- POLIOVAX della Aventis;
- IMOVAX della Aventis
- ACAM 1000 della Acambis.

COSA SUCCEDE INOCULANDO DNA UMANO?
Alcuni dei virus citati sono ospite-specifici e per sopravvivere creano stretti legami con le cellule in cui penetrano. Quando un virus matura e si divide, acquisisce alcuni frammenti del DNA delle cellule che lo ospitano e se viene utilizzato per preparare un vaccino porta con sé frammenti del DNA delle cellule su cui è stato coltivato (in questo caso DNA fetale umano).

Poiché il nuovo DNA virus/cellula-fetale è almeno in parte della stessa specie del destinatario del vaccino (razza umana), nel momento in cui il DNA virale modificato viene a contatto col DNA umano del soggetto che ha ricevuto il vaccino, si verifica la cosiddetta ricombinazione omologa del DNA (un processo che avviene spontaneamente solo all’interno di una stessa specie).
Si vengono così a formare cellule con un DNA virus/cellula-fetale/vaccinato che possono venire riconosciute come estranee scatenando una risposta immunitaria volta ad eliminare queste cellule anomale (infiammazione).

Dato che l’oggetto di questa battaglia sono le cellule del soggetto stesso, si può scatenare una «risposta autoimmune» nei soggetti che presentano una predisposizione.
Sarà un caso ma oggi le malattie autoimmuni (oltre una ottantina, tra cui: diabete tipo-1, artrite reumatoide, lupus, tiroidite, sclerosi, ecc.) sono in crescita esponenziale tra la popolazione infantile e adulta.

I geni che sono stati collegati all’autismo (AAGs: autism associated genes) hanno una sensibilità molto elevata verso gli insulti alla stabilità genomica in confronto al gruppo di tutti i geni contenuti nel genoma umano e in particolare la sensibilità maggiore è stata riscontrata nei AAGs del cromosoma X.
I virali prodotti da linee cellulari fetali contengono quantità inaccettabilmente elevate di frammenti contaminati di DNA fetale umano e questi vaccini potrebbero indurre l’autismo proprio perché il DNA fetale contaminato dal virus agisce su aree del nostro genoma che sono più sensibili a questo tipo di insulto e che sono proprio le aree che contengono i geni collegati all’autismo. Ecco il classico esempio di danno epigenetico.
Ma non è tutto…

CONCLUSIONE
Ricapitolando: nei vaccini pediatrici oltre ai pericolosissimi adiuvanti, metalli pesanti, formaldeide, antibiotici, ecc. si trovano cellule derivate da feti umani abortiti “tenute in vita” (passatemi il termine) da oltre cinquant’anni grazie a fattori tumorali di crescita e moltiplicazione.
Oltre a questo, che è sufficientemente grave per inquietarsi l’animo, alcuni vaccini contengono pure il virus SV-40 delle scimmie che potrebbe giocare un ruolo importante, come cofattore, nell’insorgenza di tumori nell’uomo.
Da oltre mezzo secolo ricercatori pazzi, al cui confronto Mengele è stato un pivellino, lavorano alacremente per tenere in vita cellule fetali che serviranno a Glaxo, Sanofi e Merck per la produzione di vaccini.

Solo chi è mentalmente ottuso o in totale malafede non vuole vedere la crescita esponenziale di patologie e disturbi vari nella nostra società, soprattutto in età pediatrica:

- 1 bambino su 6 ha disturbi specifici dell’apprendimento;
- 12-15% dei bambini hanno il disturbo da deficit di attenzione (ADHD);
- 1 bambino su 87 è all’interno dello spettro autistico, con un aumento del 1700% in 10 anni;
- 1% è la morte improvvisa del lattante (SIDS, morte in culla);
- 40 sono i morti e 15.000 le reazioni avverse al Gardasil (Vaccino della Glaxo contro il papilloma virus);
- 1 persona ogni 15, ultra 65enne, affetta da demenza, 1 su 8 oltre gli 85 anni;
- 1 persona ogni 450 manifesta il diabete infantile di tipo-1;
- 1 uomo ogni 2 ed 1 donna ogni 3 svilupperà il cancro nel corso della vita;
- L’Italia ha il triste primato in Europa per numero di tumori in età pediatrica.

Inoculando nel corpo di un neonato di due/tre mesi privo di un sistema immunitario maturo, batteri, virus, metalli pesanti (come alluminio e mercurio), antibiotici, formaldeide si corrono gravissimi rischi: disbiosi intestinali, infiammazioni, tra cui le pericolosissime encefaliti, malattie autoimmuni, allergie, ecc.
Ma cosa succede quando a finire nel sangue sono frammenti di DNA alieno? DNA con un corredo cromosomico femminile (XX) e/o maschile (XY)?
Può questo interferire e/o squilibrare la genetica maschile e quella femminile? Tale abominio potrebbe influenzare il normale sviluppo fisico, mentale e sessuale di un bambino maschio?
L’epigenetica insegna che è l’ambiente e le informazioni che da questo partono a far attivare o disattivare le varie espressioni geniche nel corpo umano.

La caratteristica forma a doppia elica allungata del DNA lo renderebbe un’ottima antenna per la ricetrasmissione di onde elettromagnetiche e dagli esperimenti compiuti dai russi il DNA, sottoposto a radiazioni elettromagnetiche, si comporta proprio come un “oscillatore”.
Il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier ne è convinto: «il DNA del genoma della maggior parte dei batteri patogeni contiene spezzoni che risultano capaci di generare onde elettromagnetiche a frequenza molto bassa, fino a 2 mila Hz». I ricercatori hanno rilevato «gli stessi segnali elettromagnetici di spezzoni di DNA batterico nel plasma sanguigno di pazienti colpiti da Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla e artrite reumatoide».
Questo significa che il DNA è in grado di emettere e trasmettere segnali elettromagnetici di bassa frequenza, i quali mantengono poi “memoria” delle caratteristiche del DNA stesso.
Quale messaggio e quale informazione potrà trasmettere il DNA di cellule di un feto abortito di tre mesi negli anni Sessanta da una donna psichiatrizzata?

Stiamo per caso assistendo al tentativo criminale di modifica e/o inquinamento della genetica umana? Trasformare per esempio il maschio (XY) in un caotico miscuglio ibrido, dove non sa bene a che genere appartiene. Questo potrebbe essere molto interessante per l’Industria della malattia e quella che specula sulla vita: utero in affitto, fertilità, impianti, cure ormonali, banche del seme, ecc. Un giro di affari incalcolabile perché di mezzo c’è il controllo totale sulla vita …

Le previsioni ufficiali non lasciano spazio a molti dubbi: la combinazione tra la persistente denatalità ed il progressivo aumento della longevità conducono a stimare che nel 2050, la popolazione inattiva sarà in misura pari all’84% rispetto a quella attiva. Inattiva significa non in grado di procreare!
Negli ultimi 50 anni il numero di spermatozoi maschili si è ridotto della metà...

Forse dovremo fare l’abitudine a titoli come questo: «Femminizzazione del maschio e infertilità maschile»? .
La fortuna vuole che ci siano società biotech e farmaceutiche che lavorano per risolvere questo serissimo problema «creando la vita» on demand e soprattutto on pay.
Un domani infatti solo chi avrà soldi potrà permettersi di «comperare» e «fabbricare» una creatura vivente su misura, a proprio piacimento, mediante per esempio la scelta di un utero in affitto (passaggio transitorio) per giungere al vero e proprio commercio di impianti, ovuli e sperma sintetici creati in laboratorio. Quando poi finiranno la costruzione dell’utero artificiale finalmente la donna sarà sganciata dal fardello assurdo e doloroso chiamato gravidanza!

AGGIORNAMENTO

Grazie ad un aggiornamento della dottoressa Antonietta Gatti si vengono a sapere alcune informazioni molto interessanti che completano il quadro.
In America la notizia è ufficiale, grazie alla testimonianza del Professor Alvin Moss, del Center for Health Ethics & Law department at West Virginia University.
Nel video del 18 Marzo scorso, testimonia di fronte al West Virginia Education Committee, dice:
"Ho qui con me un report interno della CDC che evidenzia in giallo tutti i vaccini, di largo impiego ed utilizzo che utilizzano cellule estratte da FETI ABORTITI per la loro composizione (e li enumera col nome commerciale, uno per uno). In tutto sono dieci vaccini in normale commercio al momento."

I consultori famigliari, come il Planned Parenthood Institute (https://www.guttmacher.org/tags/planned-parenthood ) aiutano la donna a interrompere la gravidanza, dopodiché, a porte semichiuse, inizia un altro percorso molto redditizio.
Sì perché quel feto a cui non verrà data una pietosa sepoltura, come ci si aspetterebbe, sarà sezionato in tante parti: fegato, rene, timo, pelle, ecc. (un rene può costare 350 dollari) e i singoli pezzi venduti a ditte che producono varie cose, ad esempio usano i tessuti umani per poi fare vaccini.

Non solo, ma da queste audizioni del Governo sono nate varie inchieste che coinvolgono anche l'FBI. Si sta scoprendo, grazie al Presidente dello Stato dell'Iowa e della Commissione Giustizia del Senato Americano, Sen. Grassley (https://www.grassley.senate.gov/…/grassley-refers-planned-p…) , che gli istituti:
- StemExpress, LLC;
- Advanced Bioscience Resources, Inc.;
- Novogenix Laboratories, LLC;
- Planned Parenthood Mar Monte;
- Planned Parenthood Los Angeles;
- Planned Parenthood Northern California; and
- Planned Parenthood of the Pacific Southwest

Vendono, pezzo per pezzo, i feti abortiti a ditte farmaceutiche, naturalmente contro la legge americana.
La domanda che sorge spontanea è: i nostri consultori famigliari fanno lo stesso?
Vendono anche loro più o meno sottobanco organi fetali alle ditte italiane che producono vaccini,e voglio risparmiare sulle cellule coltivate in vitro? Esiste anche da noi questo mercato?

Si ringrazia la d.ssa Valeria Gentili (https://www.popolounico.org) per le informazioni specifiche sui brevetti.



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