Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

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giovedì 1 febbraio 2018
UNITE I PUNTINI E RACCOGLIETE LA VERITA' DA OGNI SORGENTE: ORA O MAI PIU' [/paste:font]


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MEMENTO PRELIMINARE:
A- i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che:
“… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene[12].
B- "La governabilità: in Italia fu Amato, tanto per cambiare, ad annunciare che dopo il celebre rapporto della Trilaterale vi era stata "la scopertà della ingovernabilità come dramma epocale" (G. Amato, Una repubblica da riformare, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 26. Contiene saggi pubblicati fra il ’75 e il 1980).

In realtà bisogna leggerselo tutto il Rapporto: riserva sorprese.
Per esempio a pag. 206, riferendo dei commenti durante la discussione del Rapporto a Montréal, si legge:

Uno o due partecipanti suggerirono che l'intera discussione sulla governabilità avesse distorto i problemi reali e che fosse espressione della preoccupazione propria soltanto di un'elite, a disagio con il declino della propria posizione nella società! Questi sostennero che fattori quali un'inflazione crescente e la crescita della spesa pubblica in rapporto al GNP (PIL) (fattori visti da alcuni come cause od effetti dei problemi di governabilità) non avessero nulla a che fare con la governabilità e potessero, in effetti, aver prodotto in prevalenza benefici, inducendo una miglior distribuzione del reddito, attraverso il recupero del distacco (ndr: rispetto ai profitti) a favore dei salari e attraverso le erogazioni del social welfare.”. E allora in effetti che dramma, signora mia!"

1. Come facevo presente a Luca (e anche qui, p.1), - in attesa che si dipanino i movimenti dei "flussi elettorali", tra indecisi a vario titolo, moderatismo in cerca di se stesso, e percentuale degli astenuti (sempre ad adiuvandum della lunga marcia della rivoluzione liberale) -, il blog potrebbe pure chiudere.
E dovrebbe ragionevolmente farlo fino a che, al di là delle roboanti dichiarazioni propagandistiche (a prevalente senso unico) tese a indurre la rassegnazione livorosa dell'elettorato, non si ricominci a parlare di nuove norme da applicare e da creare, in attuazione o in "riforma" dei trattati che hanno devoluto la sovranità ai mercati: cioè, in sostanza, persino settimane, se non mesi, dopo il 4 marzo.

2. Nel frattempo, tuttavia, ci pare di poter dare un piccolo contributo fornendo dei riassunti significativi che rammentino e focalizzino l'assetto di potere cui siamo oggi assoggettati e che, proprio in esito a queste elezioni, si vorrebbe definitivamente completare.
Anche qui facciamo un preliminare memento di "fondamentali" della scienza sociale:
A- 2.1. Lo stesso Gramsci, nei quaderni dal carcere, descrive la situazione standard della legalità formale che mira a ridurre la democrazia all'esercizio del voto.

In questa descrizione possiamo ritrovare tutti i caratteri della situazione attuale, pur in presenza di (sempre più deboli) segnali di crisi del funzionamento dello schema.

Gramsci replicava alle obiezioni, già al tempo non nuove, mosse dal fascista Da Silva, al sistema del suffragio universale.

Obiezioni che sono esattamente le stesse agitate oggi dagli €uropeisti contro la Brexit, i "populismi" e l'esito del referendum sulla riforma costituzionale: secondo Mario da Silva il difetto era che "il numero sia in esso legge suprema", cosicché la "opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze". Da qui la risposta di Gramsci:

"Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell'opinione di ogni elettore sia "esattamente" uguale.

I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa si misura?

Si misura proprio l'efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale".
...
"La numerazione dei "voti" è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che "dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze" (quando lo sono).
Se questi presunti ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiedono, non hanno il consenso della maggioranze, saranno da giudicare inetti e non rappresentanti gli 'interessi "nazionali", che non possono non essere prevalenti nell'indurre la volontà in un senso piuttosto che nell'altro. "Disgraziatamente" ognuno è portato a confondere il proprio particolare con l'interesse nazionale e quindi a trovare orribile ecc. che sia la "legge del numero" a decidere.
Non si tratta quindi di chi "ha molto" che si sente ridotto al livello di uno qualsiasi, ma proprio di chi "ha molto" che vuole togliere a ogni qualsiasi anche quella frazione infinitesima di potere che questo possiede di decidere sul corso della vita dello Stato."
.

B- Schumpeter, più pragmaticamente sintetico:
"Mi pare un’ottima descrizione del tendenziale normale funzionamento di una “democrazia" liberale, in termini in pratica riconosciuti anche dai teorici elitisti. Scriveva ad esempio Schumpeter:
il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare, laddove “la volontà popolare è il prodotto, non la forza propulsiva, del processo politico” (citazioni riportate da G. Bedeschi, Storia del pensiero liberale, Laterza, Roma-Bari, 2005, pag. 307)".

3. Ora, al di là degli scopi politici (restaurativi e antidemocratici), a cui questo assetto di potere deve condurre, un cittadino-elettore, nella situazione odierna, deve capire, un fatto da cui dipenda la sua sopravvivenza finale: la considerazione che può ricevere dalle oligarchie che tirano le fila della campagna elettoral-mediatica attuale è, sempre più. solo quella che si attribuisce ad un prodotto allo stato grezzo, o al più "semilavorato", che va processato su scala industriale per renderlo un prodotto finito qualificabile come "livoroso-anti-Stato".
L'elettore si trova quindi nella condizione di una "unità di prodotto" - che è il risultato programmatico del controllo elettorale, come appunto diceva Schumpeter, (concordando con Gramsci!)- destinato a prestare un convinto consenso alla riduzione del perimetro dello Stato in nome dell'enorme-debito-pubblico-da-ripagare. Questo debito, poi, deve considerarsi come accumulato non in conseguenza delle vicende definite come "statuto della moneta" (cioè del vincolo esterno composto da peg sul marco all'interno dello SME e divorzio tesoro-Bankitalia), no: il debito è divenuto "enorme" a seguito della sua colpa di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità fruendo dello spreco della spesapubblicaimproduttiva.

4. Quest'ultima (spesapubblica-sempre-improduttiva), a sua volta, corrisponde sempre e comunque ad un fenomeno di corruzione indotta dall'esistere stesso del parlamento, non posto nelle sue scelte "al riparo dal processo elettorale" (qui, p.8), e, quindi, dedito alla corruzione legalizzata di cui, in tutta leggerezza, ci parla Hayek; e giustificando così, complementarmente, la sua preferenza per una dittatura "illuminata" dei mercati, auspicabilmente in stile cileno, rispetto alla democrazia.
Questa, si sappia, è (solo) fonte strutturale di corruzione e di sprechi a danno del benefico agire impersonale dei mercati liberi da costrizioni dettate dall'inesistente "interesse pubblico", e quindi liberati dall'ingombro di qualsiasi norma superiore alle sue regole naturali. In particolare, liberati dalla legalità incarnata dalla Costituzione, fatta oggetto di una totalitaria insofferenza mediatico-politica e pseudo-scientifica, che ne segna il superamento e la rimozione.

5. Sono argomenti che (come potrete constatare dai links) abbiamo illustrato e approfondito fino alla noia.
Nella presente ottica del reminder schematizzato, - cioè di un punto di appoggio cognitivo e critico-scientifico "di facile e pronta consultazione", ricorreremo allora a fonti ulteriori e diverse, di quanto abbondantemente detto, ma che, proprio per tale natura "esogena" (al discorso del blog), assumono un senso confermativo non trascurabile.
Cominciamo con una definizione scientifico-economica del ruolo della spesa pubblica fornitoci da Sergio Cesaratto:
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6. A cui, significativamente, può contrapporsi questa versione, peraltro di fonte mainstream, sulla sostenibilità (non la "insostenibilità") del debito pubblico italiano:
 
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7. Una verità che peraltro lascia del tutto indifferenti i responsabili della politica economico-industriale italiana:



8. Perché, si sa, sostenibile o meno che sia (finanziariamente: dal punto di vista sociale e demografico è un altro discorso), la traiettoria dei conti pubblici a regime vigente euroimposto, "rimaniamo comunque in debito" e ciò fa aggio su qualsiasi altro aspetto della legalità costituzionale.
Come, d'altra parte, implica la stessa Corte costituzionale con la nuova Grund-norm estratestuale e supercostituzionale della scarsità di risorse (qui, p.4-6) e del conflitto intergenerazionale (qui, p.11)...smentito da Milton Friedman, cioè dal più autorevole economista propugnatore del monetarismo che conforma il paradigma ordoliberista €uropeo!
(N.B.: si tratta della copertura dei "parchi minerali" dell'Ilva, considerati fonte di polveri tossiche altamente dannose per la salute umana):


9. Ma non vorremmo proseguire all'infinito sulle conferme relative al "paradigma" che queste elezioni saranno tese a consolidare definitivamente in base alla cooperazione attiva degli elettori rassegnati all'€uropa e alla scarsità di risorse.
Ci limitiamo, piuttosto, a fornire anzitutto una fonte particolarmente illuminante suggeritaci da Francesco e che ci fa capire molte cose sul perché l'Italia debba, ora più che mai, essere assoggettata all'incubo del contabile in nome di regole e interessi che si impongono dall'estero:
Brutta Amministrazione che si mette a tutelare gli interessi collettivi e si intromette negli affari del capitalismo sfrenato!
…4.4 La dipendenza totale dell’impresa dalla discrezionalità dell’amministrazione statale
Ogni uomo d’affari che abbia avuto l’opportunità di osservare le condizioni economiche nell’Europa del Sud e dell’Est sintetizza le sue considerazioni in due punti: “gli imprenditori di questi Paesi non si preoccupano del rendimento della produzione; i governi sono nelle mani di cricche corrotte. Il quadro è sostanzialmente esatto. Ma in esso non si fa cenno al fatto che sia l’inefficienza nella produzione sia la corruzione sono le conseguenze dei metodi…DI INGERENZA STATALE NELLA CONDUZIONE DELLE IMPRESE.

In un sistema del genere il Governo ha il potere illimitato di rovinare un’impresa o di accordare ad essa i propri favori. “Il successo o l’insuccesso di qualsiasi impresa dipende interamente dalla pura e semplice discrezionalità di chi detiene il potere. Se all’uomo d’affari non capita di essere cittadino di una potente nazione straniera, i cui agenti consolari e diplomatici gli garantiscono la loro protezione, egli è in balia dell’amministrazione pubblica e del partito al potere, che possono sequestrargli la sua intera proprietà e metterlo in prigione…Il Parlamento è una marionetta nelle mani dei governanti; i giudici vengono comprati .
In un ambiente del genere, L’IMPRENDITORE DEVE RICORRERE… ALLA CORRUZIONE…“
” [L. VON MISES, Burocrazia, Rubettino, 2009, versione ebook].
Certo, se si riuscisse a privatizzare tutta l’amministrazione, espressione della statolatria burocratizzata, magari anche i tribunali (nella versione spinta anarcocapitalista), tutto sarebbe certamente più semplice. I capitalisti potrebbero agire indisturbati, spiegando la loro naturale propensione all’efficienza finalizzata al profitto nell'ordine spontaneo. E, soprattuto, non sarebbero costretti a corrompere!"

10. Noterete che von Mises, a noi ben noto, tra l'altro, per il "sano pragmatismo" con cui ammetteva ed elogiava la natura strumentale del nazifascimo (qui, pp.1 e 3), confessi la prerogativa più peculiare dell'investitore estero, stranamente appartenente a una "potente nazione straniera" (e come potrebbe essere diversamente se il subire&invocare gli investimenti esteri è già, in sè, il segno della propria desovranizzazione e collocazione al fondo della gerarchia della comunità economico-politica internazionale?): quella di poter pretendere, incondizionatamente, di essere al di sopra delle leggi nazionali, siano esse espressione o meno di fondamentali interessi della comunità sociale un tempo sovrana.
E noterete, anche, che qualsiasi ostacolo al rendimento della produzione frapposto dal settore pubblico sia sempre e comunque l'espressione di "cricche corrotte" (concetto su cui Chang ci dà alcune non trascurabili...precisazioni).

11. Ecco: senza aver la pretesa di aver esaurito il poderoso argomento, - che pure si incentra sempre e solo sulla restaurazione dell'ordine internazionale del mercato, a favore delle elites cosmopolite, e contro la democrazia costituzionale-, siete sicuri di poter formare la vostra opinione e di poter esprimere il vostro voto evitando di prendere coscienza di questi aspetti?
Ne va della vostra stessa libertà, in quanto siate non appartenenti al circuito dei fruitori dei profitti e delle rendite della struttura oligopolistica, concentrata, dei mercati in liberoscambio istituzionalizzato.
Ne va del futuro dei vostri figli; semmai vi permetteranno di averne...

Pubblicato da Quarantotto a 12:41 24 commenti: Link a questo post
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Cari amici

Oggi è stato pubblicato un interessantissimo report Eurostat che prende in esame le passività potenziali dei singoli paesi dell’Unione derivanti dagli impegni di garanzie date dagli stati a banche, enti privati ed enti statali.

Si tratta di valori ancora potenziali, ma il cui avveramento è solo questione di tempo, soprattutto quando si tratta di garanzie date al sistema bancario su NPL; not performing loans. Ora vi presentiamo le tabell Eurostat che contengono questi debiti potenziali e , cosa che non ha fatto l’ente statistico, vi forniremo un valore assoluto, affinchè possiate averne un dato di riferimento reale. Al termine trarremo alcune conclusioni.

GARANZIE CONCESSE DAL GOVERNO.


Debito Implicito per Garanzia:

  1. Finlandia 69,7 miliardi di euro
  2. Austria 72,42 miliardi di euro
  3. Germania 532,5 miliardi di euro
L’Italia ha 40,1 miliardi di debito implicito, meno di un decimo della Germania



Debiti derivanti da partnership pubblico-privato.


In questo caso si tratta di cifre piccole. Il Portogallo ha impegni in questo settore per 6,7 miliardi di euro.



Debiti di società statali non conteggiati come debiti del governo


In questo caso sono conteggiati i debiti di società statali i cui debiti non sono stati fatti rientrare nel debito pubblico. Notiamo che gli stati con banche pubbliche presentano un livello molto elevato in questa voce, e per la precisione :

GRECIA 288,4 miliardi di euro

PAESI BASSI : 834 miliardi di euro.

GERMANIA: 3683 miliardi di euro

ITALIA : 875 miliardi di euro.



DEBITI PER NPL DI PROPRIETA’ DEL GOVERNO


In questo caso la parte del leone la fa la Slovenai, ma in termini assoluti sono solo 2,77 miliardi di euro.

Conclusioni
Se considerassimo il debito implicito e lo sommassimo a quello esplicito avremmo questi risultati, rispetto al PIL:

ITALIA: 180 % del PIL

GERMANIA: 185% del PIL

FRANCIA: 162 % del PIL

FINLANDIA: 125% del PIL

GRECIA : 319% del PIL

PORTOGALLO: 204% del PIL

Vista in questa prospettiva l’Italia non si trova assolutamente mal messa nei confronti della Germania, e ad un livello leggermente superiore alla Francia. La Grecia sarebbe comunque perduta, anzi la sua situazione appare perfino peggiorata, ma l’esempio Mediterraneo, il Portogallo, sarebbe molto meno esemplare. Poi se pensate che i debiti bancari tedeschi siano sicuri in modo assoluto, pensate che dall’altra parte ci sono dei bei mutui fatti su un mercato che ha visto i prezzi nominali crescere del 7,4% nel 2017, dopo una crescita del 10% nel 2016.



Però state tranquilli non è una bolla. Tutta roba sana.
 
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domenica 7 gennaio 2018
LIVORE & ELITISMO: LIVORE E' ELITISMO PER F€SSI (SPESAPUBBLICAIMPRODUTTIVA = NO-POPULISMO) [/paste:font]

ANTEFATTO:
1. Tagliare la spesa pubblica, si sa, è segno di virile credibilità di fronte ai mercati e a l'€uropa. D'altra parte, invece, gli investimenti effettuati con spesa pubblica, spesso unificati nella categoria (sempre di spesa pubblica) "misure supply side", risultano virtuosi. E quando c'è la virtù, come ben sanno gli innamorati, "le dimensioni non contano".
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E questo è l'ultimo aggiornamento ufficiale, tenuto conto della nota al Def, dell'andamento dei "mitici" investimenti pubblici:

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1. E niente: non si fa in tempo a scrivere una serie di post in cui si cerca di offrire il quadro fenomenologico entro cui comprendere (e non pre-comprendere) il ruolo residuo del processo elettorale all'interno di una democrazia divenuta liberale, - cioè monoclasse-timocratica a forza di vincolo esterno e diritto internazionale da trattato "privatizzato", e quindi in economia aperta liberoscambista e che desovranizza a colpi di gerarchie mercatiste indotte dai vantaggi comparati- che l'offerta politico-elettorale italiana "che conta" si scatena a dare conferme che vanno al di là delle più "rosee" previsioni (in termini di esattezza millimetrica delle analisi proposte).

2. La palma d'oro va indubbiamente a Prodi che nella sua conflittuale comprensione dello Stato di diritto costituzionale (una vera sofferta ma, purtroppo per lui, e più per noi, irrisolta elaborazione teorica la sua, considerato il numero di volte che deve aver compiuto il giuramento di osservanza della Costituzione) ci sforna un editoriale tutto post-ideologie, economie di mercato aperte e, dunque, facciamocome, e governabilità come supremo bene tecnocraticamente "consegnato" alle masse inerti e ottusamente arroccate sulla idea balzana di dover essere rappresentate (cliccando sull'immagine del tweet l'intero trionfale excursus polititologico e di teoria dello Stato dovrebbe risultare pienamente godibile)..


Una ostentata certezza istituzional-costituzionalistico-materiale in piena consonanza con l'elaborazione del suo successore Barroso. E successore sia alla Commissione Ue che nei rapporti di consulenza-collaborazione con Goldman Sachs:
2A) Barroso a Goldman Sachs, il contratto dell’ex presidente Ue con la banca d’affari sotto la lente di un comitato etico
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Il politico portoghese è stato nominato a luglio presidente non esecutivo della filiale europea. Ora Bruxelles verificherà se c'è conflitto di interessi e se ha rispettato il requisito di tenere "un comportamento integro e discreto" dopo la fine dell’incarico [Ndr: notammo già, a suo tempo, che il conflitto di interessi andrebbe principalmente commisurato all'integrità del suo comportamento istituzionale DURANTE IL MANDATO. Ma tant'è...]. Il successore Jean Claude Juncker al mediatore europeo: "Quando viene alla Commissione sarà trattato come un normale lobbista".

2B) OGGI GOLDMAN SACHS NON HA PIÙ BISOGNO DEI PRODI, MONTI, LETTA CHE LA INTRODUCANO AI TAVOLI CHE CONTANO. LA PARTITA SI È FATTA PIÙ EUROPEA
"Certo, Goldman Sachs è sempre stata molto abile nel fenomeno cosiddetto delle revolving doors, porte girevoli: il passaggio di un professionista dal ruolo di legislatore o regolatore a quello di membro dell'industria che prima regolava e viceversa. Il caso più celebre è quello di Hank Paulson, ex amministratore delegato di GS diventato nel 2006 ministro del Tesoro nel governo di George W. Bush. In Italia il percorso di solito è opposto: dalla politica alla banca. Gianni Letta, Mario Draghi, Romano Prodi, Mario Monti. Sono stati tutti advisor, ovvero consulenti, di Goldman Sachs. Un lavoro che consisteva nell'aiutare la società sfruttando la loro rete di relazioni. Il core business di Goldman Sachs sono i grandi clienti come Eni, Fiat, Enel e anche il governo italiano. O aziende più piccole ma globali, come Prada.
...
Quando Letta tornò a Palazzo Chigi nel 2008, poi, come consulente venne scelto il commercialista Enrico Vitali, partner dello studio di Giulio Tremonti. Il primo fu Prodi, che entrò nella banca Usa nel 1990, dopo sette anni da presidente dell'Iri.
I "complottisti" sostengono che Goldman Sachs abbia organizzato il colpo di Stato nei governi in Europa e avrebbe piazzato i suoi uomini di fiducia, come Mario Monti o Mario Draghi alla Banca centrale europea. Claudio Costamagna, ex Montedison, ex Citibank e oggi presidente-fondatore della società di consulenza on-line Advise Only, è stato anche capo dell'investment banking in Europa di Goldman Sachs.
In un intervista al Corriere della Sera del 2011 contestava le tesi del grande complotto: "Monti è un esperto di Antitrust, Prodi è stato per noi di Goldman, e stiamo parlando del 1991, una sorta di pioniere e biglietto da visita: in Italia non ci conosceva nessuno, o quasi, e la banca d' affari conosceva poco il nostro Paese
".
E quindi, lucidamente, pacatamente:
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3. Ma la versione più semplificata, e come tale suggestiva, dello stesso paradigma, si ritrova nel prepotente uso elettorale della formula della spesapubblicaimproduttiva che va estirpata per ridurre il debitopubblicobrutto come soluzione di tutti i mali (e quindi a qualunque costo, fosse anche la democrazia costituzionale)).


4. Naturalmente, il concetto di spesapubblicaimproduttiva deve rimanere un mistero, non indicandosi chiaramente in cosa consista (gli...sprechi e le consulenze e le pensioni d'oro non giustificate da corrispondente contribuzione, ammontano a quaranta punti di PIL, se ne deve dedurre): basta contrapporlo alla formula magica degli "investimenti pubblici", che è altrettanto bene non indicare in cosa possano consistere, sebbene nei lavori della nostra assemblea costituente in realtà il problema fu ampiamente affrontato e persino risolto.
Ma fu risolto in modo del tutto diverso dall'idea che lo stock di capitale necessariamente finalizzato all'erogazione delle utilità pubbliche verso i cittadini (bazzeccole come ospedali, sale operatorie, edifici scolastici e loro minime pertinenze, infrastrutture fondamentali di trasporto, viabilità e energia), - utilità corrispondenti a una serie di diritti sociali che parevano, agli ingenui costituenti, dei diritti fondamentali per garantire l'effettività della democrazia e che così scrissero in Costituzione- possa essere costituito separandolo dal flusso della spesa corrente che ne è, in definitiva, la conseguenza operativa (ad es; pagare medici e insegnanti, manutenere strade e patrimonio immobiliare pubblico e farlo sul serio, senza far degradare il territorio in condizioni di disastro permanente da paese post-bellico) e quindi separandolo dal momento pratico e concreto di erogazione del servizio e della funzione pubblica che rende effettivo il diritto fondamentale sancito in Costituzione.
Ovviamente, il concetto stesso di spesapubblicaimproduttiva è il frutto dell'acritica ideologia "dell'incubo del contabile" che veniva, anche in Costituente, a reclamare i "sospesi", come il garzone del colonnello Kurtz, e a predicare che "occorresse scendere dal livello di civiltà in cui si era" (qui, pp. 2-3).

5. Ma va anche aggiunto, che persino dentro l'€uropa dell'ordoliberismo e del lavoro-merce, cioè dello Stato super-regolatore al servizio esclusivo dell'instaurazione del magico ordine sovranazionale dei mercati (in struttura oligopolistica, perché efficiente e competitiva: mica perché assicura una rendita, cfr; p.19, che viene poi scambiata con la rendita politica di chi la promuove!) ci sarebbe stata una qualche definizione normativizzata ed attualizzabile degli investimenti che l'Italia, per esigenze strutturali e territoriali (in realtà andatesi drammaticamente a peggiorare, specialmente durante i 30 e più anni di vincolo esterno), avrebbe potuto legittimamente effettuare in applicazione della golden rule. E infatti ci stava: e, teoricamente, sul piano delle astrattissime capacità politico-negoziali dei nostri governi, avrebbe potuto anche essere fatta valere. Oppure, no: a chi importa?

6. Ma anche trascurando il fatto che l'€uropa - cosa di cui Prodi è certamente a esplicitissima conoscenza- ci impone di tagliare da decenni l'investimento pubblico e la spesa in conto capitale, come attestano le tabelle di tutti i Def, (anche quando mercanteggiano sulla flessibilità una tantum concessa dal fiscal compact recepito col pareggio di bilancio in Costituzione), e come attestava per serie storiche pluricedennali l'accurato Studio-Giarda, rimane il fatto che la spesapubblicaimproduttiva dovrebbe essere quella che non si converte in prodotto nazionale interno e cioè in reddito-spesa dei residenti.
E quindi, a rigore di finanza pubblica e di saldi settoriali della contabilità nazionale, essa consiste unicamente nel trasferimento di interessi passivi sul debito pubblico a favore di creditori-sottoscrittori esteri (cioè un sottoprodotto della liberalizzazione dei capitali voluta con l'Atto unico e, prima ancora, della finanziarizzazione privata dello Stato voluta col divorzio tesoro-Bankitalia e, dunque, in completamento dello Statuto della moneta imposto già con l'adesione allo Sme).

6.1. Nota bene: SOLTANTO la voce interessi passivi contiene spesapubblicaIMPRODUTTIVA che non si converte in reddito e capacità di spesa di residenti, cioè in PIL (e saranno, scontando la poca chiarezza sulla effettiva titolarità - tra BCE e Bankitalia: quest'ultima in quanto responsabile delle perdite relative, eventuali- dei titoli acquistati col QE, forse un paio di punti di PIL. Ma sempre contenuti in quella percentuale complessiva sottoindicata ed evidenziata.
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7. Ma ci aiutano a capire voci illustrissime, che ci spiegano con chiarissima ed autorevole indicazione istituzionale, privatizzata e dei mercati, cosa sia il populismo e cosa no e perché.
Anzitutto Soros, che ridisegna abilmente anche il clash che c'è tra le istanze della impresentabile gente e i contrapposti (!) (secondo lui) diritti costituzionali che intende, sempre lui, come quelli che sono indicati dalle elites, - sicché, indubitabilmente, la corruzione non appartiene, come in fondo ci ha spiegato Prodi, alle elites, ma alla classe politica: ma solo, per l'appunto, in quanto inefficientemente rappresentantiva di interessi...non dei mercati, cioè non delle elites.
Non fa una grinza e la sinistra-sinistra italiana apprezza, come sempre, in nome dei diritti cosmetici che sono visti come la definitiva affermazione delle nuove costituzioni materiali contro quelle populiste e della sovranità democratica pluriclasse dei lavoratori.
Non ci credete? Open Society non lascia molti dubbi:



8. Perciò il suggello di tutto questo, che è in fondo "governabilità" e efficienza benevola dei mercati in salsa diritto internazionale privatizzato dei trattati, cioè globalizzazione istituzionale, non poteva che venire nella concezione dell'esito elettorale come processo subordinato di ratifica delle decisioni impersonali dell'ordine internazionale dei mercati.
Con soluzioni obbligate che convertono il futuro in una minaccia; per voi che ve lo meritate perché è così è basta (tanto non lo capite che, in effetti, è inutile spiegarvelo).
Lo dicono molto bene due voci che, appunto, finiscono per disegnare un futuro post-elettorale che è tutto un disegnino per dirvelo prima, bene e perché vi ci abituiate senza fare storie (tanto alle brutte c'è sempre la clausola omnibus della spesapubblicaimproduttiva come passe-partout di default delle soluzioni di governabilità più direttamente rassicuranti).

8.1. Si comincia con Tajani:


8.2. Si prosegue con Padoan:


E poi c'è ancora chi mi chiede "se", come, quando, e soprattutto "perché", si manifesterà il "male minore"...

Pubblicato da Quarantotto a 17:40
 
Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Scritto il 13/2/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».
Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».
La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».
Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».
Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte il massone Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».

Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, aveva a suo tempo dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».

La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge addirittura per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: pensando di non aver di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», senza che nessuna commissione parlamentare se ne occupi. La Bindi ha preferito prendere di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».

Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, quelli della Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».

Che c’entra, la massoneria, con la gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dall’ambiente a cui appartiene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al cielo. «Quindi restiamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: perché serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (del resto, era massone lo stesso Keynes). «Se erano massoni molti padri della patria e della Costituzione del ‘48, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». Peccato che i giornali come “L’Espresso” abbiano evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori.

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" h!!p://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/italia/982226/voodoo-su-minorenne-straniera-per-farla-prostituire.html "

bene , bravi , una spelonca di ladroni state ospitando , violenti con le donne e con le ragazze innocenti !
volete apparire bravi e non siete in grado di gestire la nazione , e le botte ricevute segnano indelebilmente il percorso di quelle povere fanciulle ! Che moralità avete ? Che persone siete ?
Perchè volete ad ogni costo ospitare tutti quando il paese è allo sfascio ?

" h!!ps://www.fanpage.it/rimborsopoli-m5s-di-maio-diffonde-i-nomi-dei-morosi-sono-8-ammanchi-per-800-000-euro/ "

vedete quanto sono bravi ? In viso dovete guardarli , tutti quanti , perchè c'è scritto tutto , tutto , basta saper leggere ..
sapete quale è l'assurdo ? Che queste persone hanno da ricevere doppia misura e poi , bravi , perchè vogliono apparire bravi loro , restituiscono le quote in eccesso !
Intanto i soldi gli vengono accreditati , quindi sono al soldo dei dirigenti della baracca orchestrata , poi .. vedetevela voi se volete restituire o meno .. perchè il ricevuto è corretto oppure è troppo , siete venduti , tutti , avete imparato bene dalla specolca di ladroni siti in roma ..
anche se molti , tanti hanno restituito le quoti eccedenti , c'è sempre questo problema di natura etica , e che problema !
Sono tutti alla pari , pensionati compresi che hanno piantato le basi su cui voi vi nutrite ogni giorno e una persona conta uno ? i 1.500 euro per tutti ? oppure i 2.000 euro per tutti ? oppuranche i 2.500 euro per tutti così come quanto voi ricevete ? in riferimento ai salari del movimento penta stellato ? Le paghe devono essere automaticamente accreditate corrette , per tutti . Non rischia la vita forse ogni giorno il muratore ? Il poliziotto che vi e ci difende col suo operato ?
Il guidatore di bus che guida 8 ore al giorno , rischiando la propria vita istante per istante mettendosi al servizio dei cittadini ?
Il postino guidando così tante ore per le consegne nelle vostre città ?
Ed ora la domanda : perchè voi politici penta stella guadagnate sproloqui = 2.000 / 2.500 euro al mese e coloro i quali realmente rischiano la vita ogni giorno .. anche per colpa vostra , e non solo , ricevono un importo indegno alla vita ? Ora , potreste rispondere che , tra tutta la feccia che c'è in giro , voi siete il male minore , che i problemi sono ben altri .. come darvi torto . Il fatto è che ogni azione , ogni pensiero , ogni situazione , genera dislivello sociale e se voi guardate il ladrone politicante romano base , quello da 7.000 - 15.000 eurastri mensiliati , non potete comprendere la reale situazione , ve lo ripeto per l'ennesima volta : o tutti o nessuno .. date il vostro ( salario ) pane in eccesso in modo che le pene di molti , troppi non siano così amare .
Cosa ci vuole per essere chiari , limpidi , recoari ? Avete bisogno voi di questi giochi di prestigio numerico , di incassarne 5.000 o più e poi restituire ? E quelli che non restituiscono fuori perchè sono disonesti ? E chi ha deciso e dato il loro salario accreditandoglielo ? Sono alcuni di loro ( i penta stella ) disonesti perchè questi hanno deciso di non restituire niente in quanto il ricevuto lo reputano adeguato e affascinante ?
Ragazzi , o voi cambiate realmente modo di vedere le cose , e discernete , e discernete bene secondo cuore , e fate le cose secondo giustizia , oppure la ruota in cui siete vi farà come lei vorrà , vi farà correre come dei topolini , vi comprerà , e vi venderà , vi tratterà come delle false , finte , azioni di borsa .. non serve cambiare la mente , voi avete da cambiare i vostri cuori !
 
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QUELLI CHE… L’ITALIA DELLA LIRETTA. Smontata la bufala degli economisti disinformatori di Carlo Botta






In vista delle prossime elezioni del 4 Marzo, a liste e candidati ormai ufficializzati, possiamo dire che la campagna elettorale entra nel clou. Come in ogni campagna aspettiamoci ogni sorta di dichiarazione e promessa. Ma questa campagna ha sicuramente una prerogativa particolare rispetto a molte tornate del passato, questa volta ci dividono dal voto poche settimane, pertanto gli slogan e le promesse saranno ad affetto ancor più roboanti.

Pur senza entrare nel merito dei “programmi di governo” che le varie fazioni stanno sbandierando, ritengo che debba essere doveroso da parte dei Tg e dei conduttori dei talk show evidenziare alcune differenze, mi riferisco ai distinguo che dovrebbero responsabilmente essere rimarcati, in primis quella distinzione tra l’informazione e la propaganda e soprattutto tra le verità e le bugie. Da semplice cittadino riscontro in modo palese l’abilità del mainstream con cui è riuscito a “politicizzare” alcuni fattori che invece dovrebbero essere considerati come l’abc della logica e della scienza; intendo quei concetti che fanno parte delle regole basilari, come ad esempio accade nella matematica: uno più uno è uguale a due, quindi converrete con me che sarebbe paradossale affermare che le addizioni sono di destra o di sinistra, peggio ancora insistere che tale addizione (1+1=2) è una frase da populisti o da eurofanatici. Eppure tutto questo sta avvenendo da anni con nonchalance e senza che nessuno si degni ad alzare almeno il ditino obiettore.
Una volta mi invitarono a parlare con dei giovani in una scuola in merito al Made in Italy e, appena iniziai a spiegare i fattori critici che scaturiscono dalla valuta comunitaria col cambio bloccato all’interno dell’eurozona (parlavo dei malfunzionamenti dell’euro), gli organizzatori mi invitarono all’istante a saltare il punto giustificandosi che: parlare dell’euro era un argomento politico e quello non era il contesto giusto per farlo! Quindi secondo il mainstream la fluttuazione valutaria è diventata una questione di destra o di sinistra? Assurdo!

Ma andiamo nello specifico, quante volte abbiamo sentito dai protagonisti dei talk show la parola “Liretta”? Magari accompagnata da un irriverente risolino e qualche castroneria tale da far ridere anche gli studenti più svogliati di prima ragioneria? Tante, troppe volte. In questo articolo vorrei appunto chiarire questa che ritengo sia una delle tante scemenze clamorose della manipolazione di massa post-euro e che merita d’essere smontata una volta per tutte.

Per capire bene di cosa parliamo dobbiamo innanzitutto chiarire alcune regole di base e come avvengono certe dinamiche, mi riferisco a ciò che deve esser considerata la normalità, l’ovvio, proprio come “uno più uno è uguale a due”.

L’ITALIA E L’ITALIETTA
1- Partiamo col dire che la valuta in genere esprime le potenzialità di un “sistema paese” e finché tale Stato conserva le sue peculiarità e competitività la valuta che esprime potrà vantare la sua stabilità, al di là del nome con cui viene chiamata, non ha importanze se sono Fiorini, Grivna o uno Yen.

2- In un quadro generale e di sintesi i paesi possono esser suddivisi in due macro-categorie: paesi “materie-primisti” (che vivono vendendo all’estero le loro materie prime) e paesi a vocazione del manifatturiero “trasformatori” (trasformano le materie prime conferendo valore aggiunto). Nella cerchia dei paesi trasformatori esiste inoltre la suddivisione relativa al quoziente della tecnologia, più o meno evoluta ed automatizzata, e al livello qualitativo, che varia dal prodotto di scarsa qualità (di massa) fino alla eccellenza (di nicchie con alta capacità di spesa). L’Italia è sempre stato un paese: trasformatore con altissimo valore aggiunto e leader nelle eccellenze in quasi tutti i settori: agroalimentare, enologo, fashion, automotive, meccanica di precisione, navale, nautica da diporto, fino alla meccanica pesante come l’acciaio, mezzi di trasposto su rotaie, aeronautica e tanto altro, senza trascurare l’altissima tecnologia al servizio dei settori militari e dell’aerospaziale.
Da non dimenticare che l’Italia ha anche una rilevante tradizione nel settore energetico, abbiamo costruito centrali nucleari ed idroelettriche in tutto il mondo e lavoriamo ai messimi livelli nel segmento degli idrocarburi, dalla ricerca alla estrazione, fino alla raffinazione. Vantiamo anche importanti risorse e giacimenti sul territorio nazionale (materie prime).
A tutto questo dobbiamo aggiungere che l’Italia detiene inoltre il più alto patrimonio storico-artistico-monumentale al mondo (circa due terzi dell’intero pianeta) ed è unico in termini di appeal turistico per dodici mesi all’anno, offrendo la più esaustiva offerta, dalla cultura al balneare, dal termale all’invernale, collinare, naturalistico, artistico, enogastronomico ecc.

L’Italia pertanto è un “sistema” indistruttibile (molti asset non sono delocalizzabili, ad esempio nel turistico-monumentale o nell’enogastronomico), basta liberare le proprie potenzialità e può recuperare le proprie posizioni nello scacchiere mondiale con una velocità ineguagliabile, molto più rapida rispetto anche alle potenze come: Germania, Giappone, Usa ecc. Pertanto qualsiasi moneta viene dotata l’Italia, essa esprimerà le competitività e i valori qui appena sintetizzati. E’ anche per questo che la Lira (quindi il sistema Italy) fu premiata come valuta più affidabile e solida dell’occidente nella metà degli anni ’60 (giuria internazionale istituita dal Finalcial Times).

COSA CONFERISCE APPETIBILITÀ A UNA MONETA?
Dobbiamo chiarire una volta per tutte che i paesi non vendono monete ma prodotti!
Pertanto è veramente da sciocchi parlare di monete prestigiose, di “MON€TONI” o di cartastraccia. La moneta ha valore nella misura in cui il paese che la esprime vanti “cose /prodotti” che il mercato può richiedere e comprare. Facciamo qualche esempio pratico uscendo dalle solite e astruse technicalities. Come funziona allora la moneta nello scenario degli scambi? Perchè è indifferente il suo nome e la sua quotazione di scambio iniziale verse le valute di riferimento? Ecco, se la gente comune assimilasse le risposte a queste due domande, sparirebbe dai dibattiti la sciocca parola “Liretta” e coloro i quali incautamente ci hanno speculato facendo “terrorismo mediatico” inizierebbero a fare ammenda.

COME FUNZIONA LA VALUTA NEGLI SCAMBI
Facciamo uno dei classici esempi, Germania – Italia. Prima del 1997 (attuazione del cambio fisso) se volevi comprare una Golf VW l’importatore vendeva le Lire e comprava i Marchi tedeschi (DM) per la transazione. Se le vendite delle Golf salivano, saliva di conseguenza la domanda di Marchi, ciò comportava per la legge di domanda-offerta la penalizzazione del Made in Germany. In che modo si penalizzava? Semplice, il DM veniva quotato più caro e meno conveniente e di conseguenza tutto ciò che veniva prezzato in DM diveniva meno conveniente; di riflesso il Made in Italy si mostrava “magicamente” più competitivo, in quanto, prezzato in Lire veniva quotato con prezzi più appetibili; quindi molte Alfa Romeo Giulietta (segmento di riferimento della Golf VW) partivano per la Germania e si salvaguardava occupazione e fatturati. In effetti non era la Lira a svalutarsi ma era il Marco a rincararsi.

Ma anche tutto questo veniva rallentato in Germania laddove le Alfa Romeo iniziavano ad essere vendute in gran numero e di conseguenza la Lira, recuperando sul DM, faceva alzare i prezzi di tutti i prodotti italiani. Il pingpong degli scambi si auto-regolava e garantiva la longevità sia alle imprese che agli investimenti in ricerca, sviluppo e marketing, questo sia in Germania che in Italia. Con l’Euro invece tali asimmetrie si possono “aggiustare” non più col cambio ma attraverso il dumping dei salari e di una strutturale disoccupazione in grado di comprimere anche i diritti del lavoro. Ecco uno dei motivi che ha creato il disastro in Euro-Zona, ecco perchè la Germania ha smesso di comprare yogurt dalla Grecia e oggi è lei addirittura a vendere yogurt ai greci e pure con la scritta “alla greca”! Questa è pura follia. L’euro è l’unica moneta che viene gestita in modo diverso rispetto a tutte le altre ca. 200 valute del mondo, l’unica che non risponde a nessuna esigenza di Stato e ancor meno quella di un popolo. I target della BCE come noto a tutti non sono quelli di gestire (che gli altri sistemi monetari) la massa monetaria in base agli indici da “sfrizionare” tra occupazione /disoccupazione e inflazione /recessione, niente affatto, la BCE ha come obbiettivo quello di evitare l’inflazione (necessaria tra l’altro per erodere il debito), quindi il sistema monetario dell’euro-zona si basa sulla stabilità dei prezzi agevolando ovviamente i creditori. Ma il rientro alla normalità della gestione monetaria lo rimando a un prossimo articolo.

La valuta di un paese non si svaluta in termini assoluti (come un’auto usata) e nemmeno si rivaluta, essa fluttua a percentuali differenziate con ogni singolo paese a seconda se a quello Stato vende più di quanto compri o viceversa, pertanto potremmo constatare che la stessa valuta stamani si rincara su un mercato e allo stesso tempo diviene più competitiva su un altro. Spero fin qui sia tutto chiaro.
Ora, se i prodotti che fino o ieri sono stati ritenuti appetibili dai cittadini stranieri, anziché essere prezzati in Euro, Lira, Fiorino o altro, venissero prezzati in una moneta che si chiami Leonardo, secondo voi la Ferrari perderebbe potenza in cavalli? Il design e il fashion italiano diventerebbero magicamente pacchiani? Le Beretta da poligono si incepperebbero ad ogni tentativo di sparo? O è una cretinata (se preferite furbata o fake news) sostituire il prodotto con la moneta che lo prezza? Secondo me è una cosa che probabilmente oltre che scorretta è forse anche illegale, in quanto si diffondono cose false mirate a terrorizzare o comunque ad influenzare le masse con bufale ormai inaccettabili.
In fine consentitemi di fare un esempio anche per ciò che riguardano le aree fuori dall’eurozona. Sia in USA che in Svezia i prodotti italiani vengono prezzati in Dollari (usa) e in Corone (Svezia) al di là se in Italia è in vigore l’euro o le conchiglie di madreperla. Una massaia che compra il Parmigiano in Svezia lo vede in vetrina prezzato in Corone, mentre la signora americana lo compra in Dollari. L’unica differenza che potrebbero le due massaie riscontrare nei rispettivi paesi in caso l’Italia tornasse alla sua moneta nazionale è che probabilmente (sicuramente) il prezzo sarà più conveniente rispetto all’attuale e sopravvalutato euro. Quindi traduco: con gli stessi Dollari o Corone le signore potranno comprare il 15, o forse il 25% di Parmigiano in più; secondo voi questo sarebbe un bene o un male per la nostra occupazione? Ora che vi siete dati la risposta continuiamo con l’ultimo chiarimento.

LA LIRETTA VALE MENO DELL’EURO E QUINDI DIVENTERAI PIU’ POVERO.
Ma sarà vero? O è la bufala del secolo?
A quelli della Liretta ricordo che in Giappone hanno lo Yen che vale circa 130 volte meno un Euro, secondo voi sono 130 volte più poveri di noi Italiani? O meglio, i Greci sono 130 volte più benestanti dei Giapponesi? Oppure quando si parla di Liretta si dice semplicemente una delle scemenze più indelebili della storia? Come già detto, i consumatori comprano prodotti e non valute. Le valute servono solo a “misurarne il prezzo”. Ma la follia la si comprende ancora meglio con questo esempio: andare da Roma a Grosseto bisogna percorrere 200 Km, quindi secondo qualche genio dell’economia della Liretta, se misuri la tratta in metri (200 mila) anziché in Km, le due città si dovrebbero allontanare! Ma vi rendete conto della assurdità? Eppure ancora oggi continuiamo a sentire queste baggianate (sempre dai soliti) indisturbatamente e a reti unificate.
In conclusione vale la pena ricordare ancora che qualsiasi valuta viene accettata dal mercato nella misura in cui il Paese che la esprime abbia “cose” che il mercato estero è disposto a comprare (e l’Italia ne ha di cose da offrire credetemi), non ha importanza il suo nome o se all’interno del nostro Stato la moneta nazionale viene espressa in decimali rispetto alle valute di riferimento. L’Italia, come ho detto all’inizio di questo articolo è un “sistema” altamente competitivo e molti asset non sono delocalizzabili, nonostante i tentativi di speculazione e di spoliazione come la Bolkestein ed altre direttive UE, attraverso le quali si cerca di aggirare la “non delocalizzazione” prendendone possesso o controllo dall’estero. L’Italia non divenne la IV° potenza economica del mondo per caso e questo lo sanno in Europa, specie in Germania e in Francia. Sapete qual è il peggiore incubo di Francia e Germania? Vedere sul mercato un Made in Italy prezzato in Grivna ucraine! Forse un giorno sarà chiaro a tutti che il vero scopo di questa pseudo unione comunitaria non è altro che una festa “del Ringraziamento” permanente in cui si vuole che l’Italia rivesta il ruolo del tacchino.

Carlo Botta


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Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.































mercoledì 14 febbraio 2018
KALECKY E LA (VERA) PIENA OCCUPAZIONE IMPOSSIBILE...SENZA (VERA) SOVRANITA' [/paste:font]


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1. Ci siamo imbattuti in un'interessante questione storico-politica e, naturalmente, economica, sollevata in questo scambio di tweet:



2. Anzitutto per poter porre complessivamente la questione in questi termini (cioè estesi all'ipotesi formulata nella risposta), occorrerebbe che fossero attualmente riconoscibili una serie di presupposti di fatto, politico-economici, di non secondaria importanza, considerata l'attuale situazione italiana (di accentuata e irrinunciabile de-sovranizzazione, persino caldeggiata nella sua ulteriore accentuazione), e cioè:
a) che esistano delle classi dominanti ancora italiane, o, quantomeno, tali per cui l'italianità delle stesse rivesta tutt'ora un ruolo decisionale autonomo nella formazione di un indirizzo politico sostanzialmente predeterminato, da decenni, nell'alveo delle istituzioni Ue e, più precisamente, dell'eurozona (essendo l'appartenenza a quest'ultima, un aspetto preponderante rispetto alla determinazione dell'indirizzo politico, come abbiamo visto più volte e, funditus, in questo post):
b) che sussistano elementi manifestati, dinnanzi all'opinione pubblica - e quindi tracciabili in sede mediatica - di una tale volontà, da parte di una classe dirigente nazionale (effettivamente titolare del potere decisionale);
c) che, data una (difficile) risposta positiva ai primi due quesiti, il concetto di piena occupazione inteso (da tale classe dirigente) sia quello, - suggerito nel tweet di risposta mediante un link esplicativo-, definito nel ben noto scritto di Kalecky, anch'esso qui molte volte citato.

3. Tale scritto espone una tesi che, - sotto il profilo qui rilevante (l'articolo di Kalecky tratta in effetti di una molteplicità di problemi politico-economici relativi al modo ed alla "misura" in cui l'intervento statale possa determinare il pieno impiego, evitando effetti inflazionistici)-, può riassumersi, a sua volta, in due proposizioni:
i) pieno impiego, secondo Kalecky, è quella situazione in cui il licenziamento cessa di essere una misura disciplinare (onde l'offerta di lavoro trova un'immediata "domanda", anche in caso di pregressa cessazione del rapporto determinata dall'esercizio di qualsivoglia tipologia di potere negoziale di recesso da parte del datore; id est; una situazione di assenza anche della c.d. disoccupazione "frizionale");
ii) che la situazione del mercato del lavoro di "pieno impiego" sia tale da condurre i capitalisti ("gli uomini d'affari"), alla seguente, ed apparentemente paradossale, preferenza.

3.1. Ecco come questa preferenza ci viene descritta da Kalecky:
"E’ vero che i profitti sarebbero più elevati in un regime di pieno impiego di quanto sono in media in una condizione di laisser-faire; e anche l’incremento dei salari risultante da un più forte potere contrattuale dei lavoratori è più probabile che incrementi i prezzi anziché ridurre i profitti, e danneggi così solo gli interessi dei rentier.
Ma la “disciplina nelle fabbriche” e la “stabilità politica” sono più apprezzate dagli uomini d’affari dei profitti
(
ndQ.; poco prima K. precisa: "Abbiamo considerato le ragioni politiche dell’opposizione contro la politica di creare occupazione con la spesa del Governo. Ma anche se questa opposizione fosse superata - come potrebbe benissimo essere superata sotto la pressione delle masse - il mantenimento del pieno impiego causerebbe cambiamenti sociali e politici che darebbero un nuovo impulso all’opposizione degli uomini d’affari").
Il loro istinto di classe gli dice che un durevole pieno impiego non è sano dal loro punto di vista e che la disoccupazione è una parte integrante di un normale sistema capitalista".

Ne discende, che, data questa preferenza, - che secondo Kalecky corrisponde ad un un principio “morale” della massima importanza-, laddove appunto sia garantita la predominanza politico-istituzionale dell'etica capitalista, come in effetti accade oggi in Italia in virtù dell'azione pluridecennale del vincolo esterno €-monetario, per rentiers e uomini d'affari, è il concetto di "piena occupazione" ad essere diverso da quello descritto da Kalecky.

4. In particolare, tra il concetto keynesian-kaleckiano di "pieno impiego" e quello neo-liberista attualmente recepito dai trattati €uropei, nell'ormai noto art.3, par. 3 del TUE (qui, p.1, ex multis), esiste una differenza fondamentale (che pone capo a due diverse concezioni della società e del welfare), tale che essi possono essere accomunati solo nel "nomen" ma nella sostanza risultano essere "due concetti diversi e incompatibili di "piena occupazione".
Ed infatti, per la visione propria del monetarismo e della neo-macroeconomia classica, (recepita appunto nei trattati), la piena occupazione è solo quel livello di occupazione compatibile con il prioritario mantenimento del tasso di inflazione preordinato alla stabilità dei prezzi (cioè assenza di variazioni significative dell'inflazione stessa), e strumentale al mantenimento della stabilità finanziaria, e quindi monetaria, cioè alla preservazione della moneta unica. Questa stabilità finanziaria come condizione di mantenimento della moneta unica, a sua volta giustificativo del sistema dell'aggiustamento per via fiscale, è perfettamente descritto da Draghi; qui, p.1.
Da cui, nel quadro €uropeo di "piena occupazione", si manifesta il concetto precettivo di NAIRU, cioè di alta disoccupazione strutturale, considerata tuttavia "piena" in quanto...non inflattiva; concetto di per sè in contrasto con gli artt. 1, 4 e 36 della nostra Costituzione; cioè col diverso modello keynesian-kaleckiano, e kaldoriano, in essa normativamente recepito.

5. Svolte queste premesse, nell'attuale assetto politico-istituzionale, determinato dalla prevalente volontà della classe dirigente italiana di permanere nella moneta unica, possiamo riassuntivamente rispondere alla sequenza di domande poste all'inizio di questa analisi (e aggiungere altre considerazioni coerenti con questo quadro).
Una classe dominante italiana, in senso economico, è probabilmente tutt'ora operante.
La sua identità affonda le sue radici nel c.d. Quarto Partito, quale "definito" da De Gasperi, nella sua azione politica costante (di sicura opposizione e boicottaggio della realizzazione del modello costituzionale).
L'assetto sostanziale dei rapporti di forza sociale risultante da tale azione, si può tendenzialmente assumere come "costituzione materiale"; almeno, come vedremo, nel senso inteso da Mortati. Dunque non in quello di una piena legittimità normativa sopravvenuta di tale assetto, cioè con la compiuta e definitiva riducibilità de facto della Costituzione formale a mera"costituzione programmatica", o addirittura "aperta" (cfr; Mortati, "Istituzioni.." vol.1, pagg. 36 e 37). Almeno stando a quanto chiarì Calamandrei: qui, p.3.
Certo, tale tendenziale "costituzione materiale" è nel senso di un controllo istituzionale da parte di questa classe di "timocrati" (la confessione di De Benedetti nei verbali Consob, ne costituisce probabilmente la forma più esplicita e avanzata di autoaffermazione pubblica, persino più forte della storica dichiarazione di De Gasperi).

6. Diverso discorso, invece, riguarda la "classe politica" (cioè quella preposta formalmente alle istituzioni di vertice costituzionalmente previste, ed individuata in apice dal processo elettorale): l'affermazione di una costituzione materiale neo-liberista, per prevalente e crescente azione del "vincolo esterno", esclude che si possa parlare di una classe politica ancora istituzionalmente dedita alla formazione di un indirizzo economico-politico indipendente e costruito sull'interesse nazionale, quantomeno nella sua definizione risultante dalla Costituzione del 1948.
Ma, a ben vedere, questa subordinazione all'€uropa, è il frutto della preventiva affermazione di quella stessa costituzione materiale (come in effetti suggeriscono le "memorie" di Carli, qui, p.6, e la ricostruzione di Graziani), cioè dei rapporti di forza socio-economici, che viene a consolidarsi istituzionalmente nei trattati europei, fin dalla loro origine: siamo indubbiamente di fronte a un processo circolare, per cui la forza interna della timocrazia finanziaria-capitalistica (qui, p.7), detta la crescente desovranizzazione alla classe politica nazionale, - proponendosi fin dall'inizio come strumento privilegiato di contrasto del "comunismo"- ma in realtà propugnando, sempre ab initio, la restaurazione dell'ordine internazionale del mercato.

7. Volendo sintetizzare una risposta proprio alla questione considerata all'inizio, è evidente che, dato l'assetto timocratico e "antisovrano" attuale, il concetto di piena occupazione in senso kaleckiano sia fuori questione, come possibile obiettivo contemplato dalla classe dirigente nonché dalla classe politica di gran lunga prevalente.
Persino la rivendicazione di sovranità compiuta al di fuori di una consapevole enunciazione di voler mutare l'assetto costituzional-materiale sopra descritto, non genera una traiettoria incompatibile con l'impulso primo del processo che vede nella costruzione €uropea e nella moneta unica uno strumento potente di riassetto sociale, ma pur sempre uno strumento (tra i vari disponibili).

8. In particolare, manca l'idea stessa, culturale e programmatico-politica, che la disciplina del mercato del lavoro debba essere funzionale al pieno impiego in senso kaleckiano (v. sopra), e non invece subordinata all'interesse supply side: cioè di una parte per definizione prevalente, e che viene considerata formalmente equiparata all'interesse del lavoro, in un'accezione di eguaglianza formale di tipo paracorporativo.
Dunque, si manifesta attualmente (in modo più o meno politicamente consapevole) un'ipotesi in cui, un certo tipo di "sovranismo", non risulta dissimile da quella impostazione neo-corporativa che ha contraddistinto autonomamente il modello tedesco (e austriaco, ad esempio), come ben evidenzia Eichengreen nella sua "Nascita dell'economia europea" (qui, pp.2-3); cioè un modello già capace di vita propria nell'ordoliberismo adottato a livello nazionale, e che venne successivamente trasposto come principio ispiratore della costruzione europea, passando per l'Atto Unico e Maastricht.
La posta in gioco, naturalmente, è la creazione di quella riaffermazione di potere, contrabbandata come "efficienza allocativa" che riproduce il lavoro-merce.

9. Dunque: la vicenda del fascismo non è analogicamente ricorrente, nei suoi elementi essenziali storicamente individuabili, nella situazione attuale.
Concordo con Massimo D'Antoni su questo punto fondamentale: non esiste una torsione "verso sinistra", cioè verso gli interessi del lavoro e verso la socializzazione del potere politico-economico, che possa indurre la classe dirigente "materiale", la timocrazia, a utilizzare un movimento politico in funzione di sedazione e neutralizzazione violenta di una tale evoluzione politica.
Neppure, abbiamo visto, i titolari degli interessi prevalenti all'interno dei stessi rapporti di forza strutturati nella nostra società hanno motivo, ed urgenza (almeno allo stato attuale), di rinunziare al concetto "neo-classico" di piena occupazione (e di stabilità dei prezzi, connessa al rigido controllo della dinamica salariale cui è funzionale l'attuale, e praticamente incontestato, assetto normativo del rapporto di lavoro).
E naturale corollario di ciò è che neppure hanno ragione, tali stakeholders dominanti, di rinunziare al complemento di tale assetto: cioè lo smantellamento progressivo del welfare, cioè di sanità (salario indiretto) e pensioni (salario differito) pubbliche, assunti come deprecabili elementi di "resistenza" dei lavoratori (sia pur disoccupati e precarizzati) alla flessibilità competitiva del mercato del lavoro.

10. E se, quindi, non ci sono i presupposti per un interesse conservatore analogo a quello che incarnò la promozione e l'appoggio all'instaurazione del regime fascista (proprio per l'assenza di una sinistra in senso "economico", cioè socialista e non cosmetico-globalista), non v'è, attualmente, neppure luogo per uno scambio tra "piena occupazione" e preservazione autoritaria dell'ordine sociale.
Quest'ultima prospettiva, in realtà, è più adatta a descrivere l'avvento del nazional-socialismo: cioè, come abbiamo visto in questo e quest'altro post, un "ribaltamento" della forma di Stato (da liberale a totalitario) conseguente ad una fase di applicazione delle politiche neo-classiche di austerità e pareggio di bilancio come reazione pro-ciclica (efficiente-allocativa) conseguenti ad una crisi economico-finanziaria.
La "piena occupazione" di Hitler era un obiettivo al quale proprio l'uso dello strumento militar-poliziesco, consentì di risultare pienamente compatibile con la prosecuzione di una politica di salari reali sostanzialmente inferiori alla crescita nominale della produttività, e anzi, improntata all'imperativo "popolo tedesco esporta o perirai!", unita alla mai avvenuta rinuncia al gold standard, accompagnata alla (sola) espansione della spesa pubblica in riarmo ed al simultaneo crescente uso di lavoro forzato schiavile in danno delle minoranze invise all'ideologia di facciata del regime.

11. Un'ideologia che, realisticamente, si può definire sovrastrutturale, perché comunque ben attenta all'equilibrio dei costi del processo produttivo consentito da questo sfruttamento disumano, combinato con la stagnazione salariale, e dei consumi interni (cfr.; pp.3-5), instaurativi di un'economia mercantilisca funzionale ad una "di guerra" a carattere imperialista.
Insomma, il trade-off "piena occupazione" (a salari costanti) vs. "disciplina nelle fabbriche" (ottenuta tramite la...Gestapo), in uno sforzo commerciale e militare di espansione verso l'esterno, non risulta attualmente all'orizzonte del panorama culturale e politico italiano.
Ma ancor più certamente, non lo è neppure lo schema "neutralizzazione della piazza operaia" vs. "accettazione di un sacrificio del principio rappresentativo elettorale" pur di avere la "governabilità".
Oggi, la governabilità e il sacrificio della rappresentatività elettorale (delle classi lavoratrici), non hanno bisogno dell'autoritarismo poliziesco statalizzato e del "partito unico" per essere preservati. Basta la profonda interiorizzazione di massa (ovvero "proiezione identificativa degli oppressi") della propaganda pluridecennale in cui è consistita la "rivoluzione liberale".
Certo, fuori dalla moneta unica questo controllo propagandistico perderebbe molta della sua efficacia (fondata sul ricatto della paura): ma le conseguenze di una tale perdita sono ben lungi dall'essere potenzialmente in atto.
Cosa potrebbe accadere in questa futura evenienza, peraltro, è un futuro tutto ancora da scrivere. Ed in definitiva, dipende dalla potenziale riemersione della coscienza politica della classe lavoratrice nazionale...cioè della sovranità democratica
 
Fango, la “sovragestione” all’opera: è il turno dei 5 Stelle
Scritto il 15/2/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».
Gianfranco Carpeoro, autore di saggi su massoneria e terrorismo nonché sui legami tra Vaticano e logge all’origine del fascismo, è l’autore della “profezia” sui fatali travagli pre-elettorali dei 5 Stelle. Inevitabile: se sbandieri il monopolio politico dell’onestà, il sistema ti punirà severamente, con la classica legge del contrappasso. Trovare una “mela marcia” sarà l’ultimo dei problemi: dai parlamentari “infedeli” all’infido Borrelli, per anni seduto nel vertice-ombra del movimento che ha raccontano agli italiani che “uno vale uno” (purché non osi pensare in proprio, ad alta voce). Legge del taglione e contrappasso dantesco: puro dolore, per i pentastellati, vedere Renzi – Mister Etruria – pascolare da un telegiornale all’altro calpestando il mito grillino dell’onestà. «Ma in politica l’onestà non è nemmeno un valore», sostiene Carpeoro: «Al massimo è una conseguenza». Di cosa? «Della capacità, innanzitutto». Luoghi comuni? «Un politico ladro, ma capace, fa sicuramente meno danni, alla comunità, di un onestissimo cretino». Cosa ci siamo persi? «L’estetica», risponde Carpeoro. «E’ l’estetica a produrre l’etica: l’emozione contagiosa della bellezza. Il desiderio di giustizia, che poi è inevitabile, viene di conseguenza. E intendiamoci: la base dei grillini è diversissima da quella degli altri partiti. E’ fatta di gente che sogna un mondo migliore, per davvero».
Il problema? Forse, un mondo migliore non ha bisogno di rabbia, ma di idee coerenti. Per esempio: cos’è più importante, la (presunta) scarsa trasparenza di Borrelli o il suo ruolo, emerso alla luce del sole, quando – da leader del gruppo grillino a Strasburgo – cercò di traghettare i 5 Stelle verso l’Alde, cioè la roccaforte politica della peggior eurocrazia che, a parole, in Italia, i 5 Stelle avevano sempre giurato di combattere? Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Carpeoro formula il concetto di “sovragestione”: manipolazione perenne, da parte del potere, delle sue pedine. Un potere che fabbrica candidati e, all’occorrenza, persino movimenti e partiti. Il collante? «Sempre lo stesso: l’odio, per il nemico di turno». Ieri Andreotti e Craxi, poi Berlusconi, poi Renzi. «E’ crollata, la mafia, dopo l’arresto di Riina e Provenzano? Nemmeno per idea: in una notte Cosa Nostra li ha sostituiti». Narrazioni, date in pasto al popolo: Gelli, Sindona. «Sono caduti, uno dopo l’altro. Ma è cambiato qualcosa, per noi?». Macché: la “sovragestione” ci ha proprosto altri personaggi da detestare, e noi abbiamo obbedito. Siamo tutti parte del problema, insiste Carpeoro: «Abbiamo gettato nella spazzatura le ideologie, che invece sono il futuro: rappresentano il progetto, l’immagine di come vorremmo che fosse la società domani».
Inutile stupirsi, se oggi la “sovragestione” fa cadere qualcuno dal piedistallo. Solo ieri erano girate notizie sull’affare-Milan per “avvertire” Berlusconi, che infatti si è affrettato a rassicurare i boss europei: non toccherà il dogma del rigore Ue. Adesso tocca ai grillini? Logico: il Movimento 5 Stelle è anch’esso una creatura dei “sovragestori”, sostiene Carpeoro, che considera Di Maio «il peggior candidato possibile, non a caso (il meno preparato)» e gli imputa la vicinanza di un personaggio più che ingombrante: il politologo statunitense Michael Ledeen, espressione della supermassoneria più reazionaria nonché del B’nai B’rith, potentissima élite massonica ebraica, emanazione del Mossad. «Per mesi, Di Maio è entrato e uscito, quasi ogni settimana, dall’ambasciata americana di via Veneto», dice Carpeoro. «E i vari tour condotti nei santuari del potere atlantico, da Washington a Londra, glieli ha organizzati Ledeen». Oggi, guardacaso, Di Maio pesca dal cilindro un economista neoliberista, Lorenzo Fioramonti, per il quale il pericolo mortale per l’Italia non è l’austerity imposta dalla “sovragestione”, ma il debito pubblico. Siamo alle solite? Certo, ma con una differenza rispetto a ieri: i grillini sono una comunità organizzata, milioni di elettori. E se un giorno rompessero le righe, adottando idee utili per uscire dal tunnel in cui l’Italia è intrappolata?
L’importante è non lasciarsi ipnotizzare dalle risse da saloon con cui si sta tentando di riempire il vuoto cosmico delle elezioni più inutili della storia. Laura Boldrini, vero e proprio ectoplasma politico, è riuscita a sopravvivere – sui media – solo grazie al teppismo del web, inventandosi la crociata orwelliana sulle fake news, su cui vigilierà il Ministero della Verità, la polizia di Minniti. Giorni di isteria collettiva – nel derby tra “fascisti” e “antifascisti” – per speculare elettoralmente sul sangue sparso da un folle a Macerata. L’Italia è praticamente senza governo. Da 25 anni il paese è privo di leadership, in balia della concorrenza tedesca e francese. La crisi economica non ha precedenti, dal dopoguerra, ma la campagna elettorale non va oltre la farsa: tutti i partiti sanno che nessuno vincerà. E nessuno, in ogni caso, ha in programma di ribaltare il paradigma che vede l’Italia subire i diktat di Bruxelles. Per Demopolis, solo 6 cittadini andranno alle urne, 17 milioni di italiani diserteranno i seggi (tra i giovani, uno su due). Siamo prossimi alla paralisi, nell’illusione di combattere il “cattivo” di turno. «Non sono le persone a fare progetti di potere: è il potere a fare progetti sulle persone», sostiene Carpeoro. Il problema non è “chi”, ma “cosa”. Questo sistema è da buttare, da rifondare. La medicina è una sola: la sovranità della democrazia. Ma invece di reclamarla, ci siamo sfogati a sparare contro sagome di cartone. Mario Monti arrivò a Palazzo Chigi tra gli applausi. Finalmente uno onesto, dissero. Peccato fosse il boia.
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Inutile stupirsi, se oggi la “sovragestione” fa cadere qualcuno dal piedistallo. Solo ieri erano girate notizie sull’affare-Milan per “avvertire” Berlusconi, che infatti si è affrettato a rassicurare i boss europei: non toccherà il dogma del rigore Ue. Adesso tocca ai grillini? Logico: il Movimento 5 Stelle è anch’esso una creatura dei “sovragestori”, sostiene Carpeoro, che considera Di Maio «il peggior candidato possibile, non a caso (il meno preparato)» e gli imputa la vicinanza di un personaggio più che ingombrante: il politologo statunitense Michael Ledeen, espressione della supermassoneria più reazionaria nonché del B’nai B’rith, potentissima élite massonica ebraica, emanazione del Mossad. «Per mesi, Di Maio è entrato e uscito, quasi ogni settimana, dall’ambasciata americana di via Veneto», dice Carpeoro. «E i vari tour condotti nei santuari del potere atlantico, da Washington a Londra, glieli ha organizzati Ledeen». Oggi, guardacaso, Di Maio pesca dal cilindro un economista neoliberista, Lorenzo Fioramonti, per il quale il pericolo mortale per l’Italia non è l’austerity imposta dalla “sovragestione”, ma il debito pubblico. Siamo alle solite? Certo, ma con una differenza rispetto a ieri: i grillini sono una comunità organizzata, milioni di elettori. E se un giorno rompessero le righe, adottando idee utili per uscire dal tunnel in cui l’Italia è intrappolata?

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