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Forumer storico
Quarantotto a 09:55 13 commenti: Link a questo post
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giovedì 1 febbraio 2018
UNITE I PUNTINI E RACCOGLIETE LA VERITA' DA OGNI SORGENTE: ORA O MAI PIU' [/paste:font]
MEMENTO PRELIMINARE:
A- i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla “governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che:
“… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene …” [12].
B- "La governabilità: in Italia fu Amato, tanto per cambiare, ad annunciare che dopo il celebre rapporto della Trilaterale vi era stata "la scopertà della ingovernabilità come dramma epocale" (G. Amato, Una repubblica da riformare, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 26. Contiene saggi pubblicati fra il ’75 e il 1980).
In realtà bisogna leggerselo tutto il Rapporto: riserva sorprese.
Per esempio a pag. 206, riferendo dei commenti durante la discussione del Rapporto a Montréal, si legge:
“Uno o due partecipanti suggerirono che l'intera discussione sulla governabilità avesse distorto i problemi reali e che fosse espressione della preoccupazione propria soltanto di un'elite, a disagio con il declino della propria posizione nella società! Questi sostennero che fattori quali un'inflazione crescente e la crescita della spesa pubblica in rapporto al GNP (PIL) (fattori visti da alcuni come cause od effetti dei problemi di governabilità) non avessero nulla a che fare con la governabilità e potessero, in effetti, aver prodotto in prevalenza benefici, inducendo una miglior distribuzione del reddito, attraverso il recupero del distacco (ndr: rispetto ai profitti) a favore dei salari e attraverso le erogazioni del social welfare.”. E allora in effetti che dramma, signora mia!"
1. Come facevo presente a Luca (e anche qui, p.1), - in attesa che si dipanino i movimenti dei "flussi elettorali", tra indecisi a vario titolo, moderatismo in cerca di se stesso, e percentuale degli astenuti (sempre ad adiuvandum della lunga marcia della rivoluzione liberale) -, il blog potrebbe pure chiudere.
E dovrebbe ragionevolmente farlo fino a che, al di là delle roboanti dichiarazioni propagandistiche (a prevalente senso unico) tese a indurre la rassegnazione livorosa dell'elettorato, non si ricominci a parlare di nuove norme da applicare e da creare, in attuazione o in "riforma" dei trattati che hanno devoluto la sovranità ai mercati: cioè, in sostanza, persino settimane, se non mesi, dopo il 4 marzo.
2. Nel frattempo, tuttavia, ci pare di poter dare un piccolo contributo fornendo dei riassunti significativi che rammentino e focalizzino l'assetto di potere cui siamo oggi assoggettati e che, proprio in esito a queste elezioni, si vorrebbe definitivamente completare.
Anche qui facciamo un preliminare memento di "fondamentali" della scienza sociale:
A- 2.1. Lo stesso Gramsci, nei quaderni dal carcere, descrive la situazione standard della legalità formale che mira a ridurre la democrazia all'esercizio del voto.
In questa descrizione possiamo ritrovare tutti i caratteri della situazione attuale, pur in presenza di (sempre più deboli) segnali di crisi del funzionamento dello schema.
Gramsci replicava alle obiezioni, già al tempo non nuove, mosse dal fascista Da Silva, al sistema del suffragio universale.
Obiezioni che sono esattamente le stesse agitate oggi dagli €uropeisti contro la Brexit, i "populismi" e l'esito del referendum sulla riforma costituzionale: secondo Mario da Silva il difetto era che "il numero sia in esso legge suprema", cosicché la "opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze". Da qui la risposta di Gramsci:
"Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell'opinione di ogni elettore sia "esattamente" uguale.
I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa si misura?
Si misura proprio l'efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale".
...
"La numerazione dei "voti" è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che "dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze" (quando lo sono).
Se questi presunti ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiedono, non hanno il consenso della maggioranze, saranno da giudicare inetti e non rappresentanti gli 'interessi "nazionali", che non possono non essere prevalenti nell'indurre la volontà in un senso piuttosto che nell'altro. "Disgraziatamente" ognuno è portato a confondere il proprio particolare con l'interesse nazionale e quindi a trovare orribile ecc. che sia la "legge del numero" a decidere.
Non si tratta quindi di chi "ha molto" che si sente ridotto al livello di uno qualsiasi, ma proprio di chi "ha molto" che vuole togliere a ogni qualsiasi anche quella frazione infinitesima di potere che questo possiede di decidere sul corso della vita dello Stato.".
B- Schumpeter, più pragmaticamente sintetico:
"Mi pare un’ottima descrizione del tendenziale normale funzionamento di una “democrazia" liberale, in termini in pratica riconosciuti anche dai teorici elitisti. Scriveva ad esempio Schumpeter:
“il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”, laddove “la volontà popolare è il prodotto, non la forza propulsiva, del processo politico” (citazioni riportate da G. Bedeschi, Storia del pensiero liberale, Laterza, Roma-Bari, 2005, pag. 307)".
3. Ora, al di là degli scopi politici (restaurativi e antidemocratici), a cui questo assetto di potere deve condurre, un cittadino-elettore, nella situazione odierna, deve capire, un fatto da cui dipenda la sua sopravvivenza finale: la considerazione che può ricevere dalle oligarchie che tirano le fila della campagna elettoral-mediatica attuale è, sempre più. solo quella che si attribuisce ad un prodotto allo stato grezzo, o al più "semilavorato", che va processato su scala industriale per renderlo un prodotto finito qualificabile come "livoroso-anti-Stato".
L'elettore si trova quindi nella condizione di una "unità di prodotto" - che è il risultato programmatico del controllo elettorale, come appunto diceva Schumpeter, (concordando con Gramsci!)- destinato a prestare un convinto consenso alla riduzione del perimetro dello Stato in nome dell'enorme-debito-pubblico-da-ripagare. Questo debito, poi, deve considerarsi come accumulato non in conseguenza delle vicende definite come "statuto della moneta" (cioè del vincolo esterno composto da peg sul marco all'interno dello SME e divorzio tesoro-Bankitalia), no: il debito è divenuto "enorme" a seguito della sua colpa di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità fruendo dello spreco della spesapubblicaimproduttiva.
4. Quest'ultima (spesapubblica-sempre-improduttiva), a sua volta, corrisponde sempre e comunque ad un fenomeno di corruzione indotta dall'esistere stesso del parlamento, non posto nelle sue scelte "al riparo dal processo elettorale" (qui, p.8), e, quindi, dedito alla corruzione legalizzata di cui, in tutta leggerezza, ci parla Hayek; e giustificando così, complementarmente, la sua preferenza per una dittatura "illuminata" dei mercati, auspicabilmente in stile cileno, rispetto alla democrazia.
Questa, si sappia, è (solo) fonte strutturale di corruzione e di sprechi a danno del benefico agire impersonale dei mercati liberi da costrizioni dettate dall'inesistente "interesse pubblico", e quindi liberati dall'ingombro di qualsiasi norma superiore alle sue regole naturali. In particolare, liberati dalla legalità incarnata dalla Costituzione, fatta oggetto di una totalitaria insofferenza mediatico-politica e pseudo-scientifica, che ne segna il superamento e la rimozione.
5. Sono argomenti che (come potrete constatare dai links) abbiamo illustrato e approfondito fino alla noia.
Nella presente ottica del reminder schematizzato, - cioè di un punto di appoggio cognitivo e critico-scientifico "di facile e pronta consultazione", ricorreremo allora a fonti ulteriori e diverse, di quanto abbondantemente detto, ma che, proprio per tale natura "esogena" (al discorso del blog), assumono un senso confermativo non trascurabile.
Cominciamo con una definizione scientifico-economica del ruolo della spesa pubblica fornitoci da Sergio Cesaratto:
6. A cui, significativamente, può contrapporsi questa versione, peraltro di fonte mainstream, sulla sostenibilità (non la "insostenibilità") del debito pubblico italiano:
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giovedì 1 febbraio 2018
UNITE I PUNTINI E RACCOGLIETE LA VERITA' DA OGNI SORGENTE: ORA O MAI PIU' [/paste:font]
![Male-minore-1030x769.jpg](/proxy.php?image=http%3A%2F%2Fwww.leggidamoretti.com%2Ftestaruba%2Fwp-content%2Fuploads%2F2016%2F02%2FMale-minore-1030x769.jpg&hash=209c041c1997ce1a1ffcc859d8d7c6f1)
MEMENTO PRELIMINARE:
A- i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla “governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che:
“… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene …” [12].
B- "La governabilità: in Italia fu Amato, tanto per cambiare, ad annunciare che dopo il celebre rapporto della Trilaterale vi era stata "la scopertà della ingovernabilità come dramma epocale" (G. Amato, Una repubblica da riformare, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 26. Contiene saggi pubblicati fra il ’75 e il 1980).
In realtà bisogna leggerselo tutto il Rapporto: riserva sorprese.
Per esempio a pag. 206, riferendo dei commenti durante la discussione del Rapporto a Montréal, si legge:
“Uno o due partecipanti suggerirono che l'intera discussione sulla governabilità avesse distorto i problemi reali e che fosse espressione della preoccupazione propria soltanto di un'elite, a disagio con il declino della propria posizione nella società! Questi sostennero che fattori quali un'inflazione crescente e la crescita della spesa pubblica in rapporto al GNP (PIL) (fattori visti da alcuni come cause od effetti dei problemi di governabilità) non avessero nulla a che fare con la governabilità e potessero, in effetti, aver prodotto in prevalenza benefici, inducendo una miglior distribuzione del reddito, attraverso il recupero del distacco (ndr: rispetto ai profitti) a favore dei salari e attraverso le erogazioni del social welfare.”. E allora in effetti che dramma, signora mia!"
1. Come facevo presente a Luca (e anche qui, p.1), - in attesa che si dipanino i movimenti dei "flussi elettorali", tra indecisi a vario titolo, moderatismo in cerca di se stesso, e percentuale degli astenuti (sempre ad adiuvandum della lunga marcia della rivoluzione liberale) -, il blog potrebbe pure chiudere.
E dovrebbe ragionevolmente farlo fino a che, al di là delle roboanti dichiarazioni propagandistiche (a prevalente senso unico) tese a indurre la rassegnazione livorosa dell'elettorato, non si ricominci a parlare di nuove norme da applicare e da creare, in attuazione o in "riforma" dei trattati che hanno devoluto la sovranità ai mercati: cioè, in sostanza, persino settimane, se non mesi, dopo il 4 marzo.
2. Nel frattempo, tuttavia, ci pare di poter dare un piccolo contributo fornendo dei riassunti significativi che rammentino e focalizzino l'assetto di potere cui siamo oggi assoggettati e che, proprio in esito a queste elezioni, si vorrebbe definitivamente completare.
Anche qui facciamo un preliminare memento di "fondamentali" della scienza sociale:
A- 2.1. Lo stesso Gramsci, nei quaderni dal carcere, descrive la situazione standard della legalità formale che mira a ridurre la democrazia all'esercizio del voto.
In questa descrizione possiamo ritrovare tutti i caratteri della situazione attuale, pur in presenza di (sempre più deboli) segnali di crisi del funzionamento dello schema.
Gramsci replicava alle obiezioni, già al tempo non nuove, mosse dal fascista Da Silva, al sistema del suffragio universale.
Obiezioni che sono esattamente le stesse agitate oggi dagli €uropeisti contro la Brexit, i "populismi" e l'esito del referendum sulla riforma costituzionale: secondo Mario da Silva il difetto era che "il numero sia in esso legge suprema", cosicché la "opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze". Da qui la risposta di Gramsci:
"Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell'opinione di ogni elettore sia "esattamente" uguale.
I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa si misura?
Si misura proprio l'efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale".
...
"La numerazione dei "voti" è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che "dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze" (quando lo sono).
Se questi presunti ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiedono, non hanno il consenso della maggioranze, saranno da giudicare inetti e non rappresentanti gli 'interessi "nazionali", che non possono non essere prevalenti nell'indurre la volontà in un senso piuttosto che nell'altro. "Disgraziatamente" ognuno è portato a confondere il proprio particolare con l'interesse nazionale e quindi a trovare orribile ecc. che sia la "legge del numero" a decidere.
Non si tratta quindi di chi "ha molto" che si sente ridotto al livello di uno qualsiasi, ma proprio di chi "ha molto" che vuole togliere a ogni qualsiasi anche quella frazione infinitesima di potere che questo possiede di decidere sul corso della vita dello Stato.".
B- Schumpeter, più pragmaticamente sintetico:
"Mi pare un’ottima descrizione del tendenziale normale funzionamento di una “democrazia" liberale, in termini in pratica riconosciuti anche dai teorici elitisti. Scriveva ad esempio Schumpeter:
“il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”, laddove “la volontà popolare è il prodotto, non la forza propulsiva, del processo politico” (citazioni riportate da G. Bedeschi, Storia del pensiero liberale, Laterza, Roma-Bari, 2005, pag. 307)".
3. Ora, al di là degli scopi politici (restaurativi e antidemocratici), a cui questo assetto di potere deve condurre, un cittadino-elettore, nella situazione odierna, deve capire, un fatto da cui dipenda la sua sopravvivenza finale: la considerazione che può ricevere dalle oligarchie che tirano le fila della campagna elettoral-mediatica attuale è, sempre più. solo quella che si attribuisce ad un prodotto allo stato grezzo, o al più "semilavorato", che va processato su scala industriale per renderlo un prodotto finito qualificabile come "livoroso-anti-Stato".
L'elettore si trova quindi nella condizione di una "unità di prodotto" - che è il risultato programmatico del controllo elettorale, come appunto diceva Schumpeter, (concordando con Gramsci!)- destinato a prestare un convinto consenso alla riduzione del perimetro dello Stato in nome dell'enorme-debito-pubblico-da-ripagare. Questo debito, poi, deve considerarsi come accumulato non in conseguenza delle vicende definite come "statuto della moneta" (cioè del vincolo esterno composto da peg sul marco all'interno dello SME e divorzio tesoro-Bankitalia), no: il debito è divenuto "enorme" a seguito della sua colpa di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità fruendo dello spreco della spesapubblicaimproduttiva.
4. Quest'ultima (spesapubblica-sempre-improduttiva), a sua volta, corrisponde sempre e comunque ad un fenomeno di corruzione indotta dall'esistere stesso del parlamento, non posto nelle sue scelte "al riparo dal processo elettorale" (qui, p.8), e, quindi, dedito alla corruzione legalizzata di cui, in tutta leggerezza, ci parla Hayek; e giustificando così, complementarmente, la sua preferenza per una dittatura "illuminata" dei mercati, auspicabilmente in stile cileno, rispetto alla democrazia.
Questa, si sappia, è (solo) fonte strutturale di corruzione e di sprechi a danno del benefico agire impersonale dei mercati liberi da costrizioni dettate dall'inesistente "interesse pubblico", e quindi liberati dall'ingombro di qualsiasi norma superiore alle sue regole naturali. In particolare, liberati dalla legalità incarnata dalla Costituzione, fatta oggetto di una totalitaria insofferenza mediatico-politica e pseudo-scientifica, che ne segna il superamento e la rimozione.
5. Sono argomenti che (come potrete constatare dai links) abbiamo illustrato e approfondito fino alla noia.
Nella presente ottica del reminder schematizzato, - cioè di un punto di appoggio cognitivo e critico-scientifico "di facile e pronta consultazione", ricorreremo allora a fonti ulteriori e diverse, di quanto abbondantemente detto, ma che, proprio per tale natura "esogena" (al discorso del blog), assumono un senso confermativo non trascurabile.
Cominciamo con una definizione scientifico-economica del ruolo della spesa pubblica fornitoci da Sergio Cesaratto:
![DU1NFxXWsAEWfat.jpg](/proxy.php?image=https%3A%2F%2Fpbs.twimg.com%2Fmedia%2FDU1NFxXWsAEWfat.jpg&hash=f58ce6fee42595d02552fc788f96a4a3)
6. A cui, significativamente, può contrapporsi questa versione, peraltro di fonte mainstream, sulla sostenibilità (non la "insostenibilità") del debito pubblico italiano: