Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

OCCHIONERO, OCCHIO-PIRAMIDE, OCCHIO A RAVASI. MA E’ ANCORA PRESTO.
Maurizio Blondet 11 gennaio 2017 1




Mi hanno telefonato in cento: il mio parere sui fratelli spioni Occhionero, che hanno infiltrato le mail di Mario Draghi, Ravasi, Monti, massoni sciolti e a pacchetti. Cosa ne penso. Cosa volete ne pensi. E’ troppo presto per capire i media riempiono il vuoto con fuffa e polvere negli occhi, interviste a Genchi e altri depassés, il consueto rumore di fondo utilissimo.

Io dico: aspettiamo. La sola cosa che sembra certa è che i due Occhionero sono: amici dell’ambasciatore Usa a Roma. Residenti a Londra. Interni a potenti ditte finanziarie della City. Con aiuti tecnici e politici in Usa per la loro impresa di hackeraggio. La moglie, cittadina americana. Il fratello Occhionero, oltre che gran maestro della loggia romana, è anche introdotto nella gran







loggia dell’illinois.







“E’ stato beccato grazie alla collaborazione dell’Fbi con la polizia italiana, ma NON delle altre agenzie americane”, mi dice il noto amico di Washington: “il repulisti dell’intelligence Usa”! (voluto da Trump e dal suo quartier generale) “ha raggiunto l’Italia?”. Si noti il punto di domanda. E’ troppo presto per farne a meno.

Ricordiamo solo che una parte dell’Fbi ha forzato il suo direttore, Comey, ad aprire controvoglia le indagini sulla Clinton in piena campagna elettorale (Comey poi le ha subito chiuse: lì si arrivava al Pizzagate attraverso il computer del marito sessuomane di Huma Abedin). E’ quell’ FBI che oggi apre agli inquirenti italiani i servi dell’occhio della piramide? Sembra ragionevole.

A me personalmente interesserebbe molto vedere le liste che ing. Occhionero ha stilato, in ordine alle caratteristiche dei personaggi: “politici”, “cardinali”,”massoni”… Per esempio monsignor Ravasi è catalogato come massone? E Monti? E Draghi?

Ma soprattutto Ravasi. Forse si ricorderà che pubblicò su 24 Ore, il 14 febbraio 2016, un inatteso invito ai “cari fratelli massoni” a cui la nuova Chiesa di Begoglio, dopo 500 condanne in due secoli, allarga le braccia tutte misericordia. Il papa che è stato salutato ufficialmente dal Grande Oriente a poche ore dalla sua elezione, come quello sotto il quale “la Chiesa non sarebbe più stata come prima”. Il papa che, quando atterra in qualche paese estero, la massoneria locale gli fa trovare manifesti di benvenuto. Il Papa che pochi giorni fa ha di nuovo invocato (come l’ha già fatto in Laudato Si) “una autorità politica mondiale” nuova, “per ridurre l’inquinamento”, munita di una banca centrale globale emettitrice di una moneta unica, “per la salvezza dell’umanità” e “lo sviluppo”. Il Papa che ha compassione per l’ambiente e nessuna per i Francescani dell’immacolata…

Secondo una vocina interna al Vaticano, sarebbe Ravasi, in realtà, il grande promotore degli eventi che portarono alle dimissioni di Benedetto XVI. La sua appartenenza alla lista Massoneria sarebbe di notevole significato.

Lo sapremo presto? Lo sapremo
 
Mitt Dolcino
E possibile che l’AD di Unicredit abbia il mandato di vendere la nostra prima banca ai Francesi?



Non so se avete letto il CV di Monsieur Mustier, AD di Unicredit: formazione alla Ecole Polytechnique ossia con ranghi militari scolastici ottenuti con la laurea alla facoltà napoleonica/militare di Francia ma soprattutto X-Mines [elites delle elites, a capo della solidarietà Grandes Ecoles – Mines più importante di Francia, a cui per definizione appartengono di norma i vertici delle istituzioni francesi, una forma di ancienne regime, da dove spesso attingono i servizi segreti francesi, ndr*], secondo molte fonti ex ufficiale della legione straniera e poi capo in SocGen di quel Kerviel a cui furono date (impropriamente) tutte le colpe per l’affossamento della banca francese con un supposto buco di circa 5 mld di euro nel pieno della crisi subprime post Lehman. Tra l’altro va detto che gli stessi avvocati e forse giudici che indagavano sul caso Kerviel – che fu denunciato proprio da Mustier – sembra furono segretamente spiati dai servizi segreti d’oltralpe, oltre ad aver costretto il capo della Brigade Financiere a dimettersi in quanto aveva scoperto che lo “scandalo” del traderino che perdeva soldi era invece a conoscenza dei vertici di SG (e quindi anche dal capo di Kerviel ossia di Mustier?). (Mustier per altro multato dalla Consob francese per insider trading, ndr**)



Dunque, l’attuale AD di Unicredit è certamente un personaggio ambiguo, a dir poco.

Aggiungiamoci il fatto che l’On. Boccia (PD, incredibile), non più tardi di qualche ora fa a Radio24 ha detto chiaramente – facendo “evolvere” la nostra tesi di alcune settimane fa ***- che sembrerebbe esistere un piano per far far “fluire” Unicredit ai francesi. Questo fa scopa con il tentativo di scalata di Bollorè a Mediaset, il quale secondo indiscrezioni di stampa di qualche mese fa voleva inizialmente solo far paura a Berlusconi per ottenere in cambio il suo supporto ad impossessarsi di Generali e forse di Mediobanca, avviando un risiko bancario nazionale dagli esiti imprevedibili ma certamente contrario agli interessi italici****; il Cavaliere rifiutò e dunque si arrivò all’attacco a Mediaset di qualche settimane fa (attacco che verrà respinto, ndr). Ma la parte più succulenta è la chiosa di Boccia nella sua intervista alla radio di Confindustria quando ha invocato la reintroduzione generalizzata della golden share [cancellata dal solito Monti per le aziende europee che ci vogliono depredare!!!] in difesa delle aziende strategiche nazionali.



Siamo felici di questa svolta politica, stigmatizziamo da tempo la sistematica asimmetria riservata all’Italia quando cerca di comprare aziende in Francia e Germania, mentre secondo alcuni (del PD) noi dovremmo permettere che gli stranieri acquisiscano i nostri campioni nazionali solo per scoprire dopo qualche anno che profitti ed impiego se ne sono andati all’estero (chiedere a Parigi cosa è successo dopo lo smembramento di Montedison). Ricordo solo che dopo l’avvento dell’euro l’Italia ha perso circa il 25% di produzione industriale ossia, vuoto per pieno, inclusa Montedison passata ai francesi il 25% di aziende manifatturiere (occupazione inclusa).

Ritornando al titolo, non possiamo escludere che Mustier possa essere/essere stato anche solo “inconsciamente” asservito ad interessi francesi per finalmente far vendere asset strategici del gruppo italiano – o la stessa Unicredit – ai nostri sempre invidiosi vicini d’oltralpe (…, …). Che poi Mustier possa anche solo ipoteticamente essere in odore di servizi segreti francesi (ad es. DRM magari appoggiati al DGSE) è nei fatti irrilevante, potendo invece affermare che è esistita una sua contiguità all’ “apparato sistemico se non istituzionale” transalpino, almeno a guardare il CV.



La cosa che più inquieta è che la vendita dei fondi Pioneer da parte di Mustier ossia di Unicredit sia avvenuta un attimo prima dell’attacco di Bollorè a Mediaset ed all’acquisizione del 5,1% di Terna da parte sempre di una compagine francese. Sarebbe interessante sapere quante azioni Mediaset fossero nel portafoglio di Pioneer nelle settimane precedenti alla vendita ad Amundi e quante ne siano postate trasferite a Credit Agricole/Natixis. Molti infatti sospettano che gran parte delle azioni acquisite da Bollorè per il tentativo di scalata alla galassia berlusconiana provengano proprio dai portafogli dei fondi Pioneer ceduti da Mustier ad Credit Agricole, anche per il tramite di equity swaps con Natixis (notasi: tutte istituzioni francesi quelle coinvolte).

Ricordiamo anche che nel bel mezzo della battaglia per l’acquisto di Mediaset è balenata anche l’ipotesi di vendita della rete francese di Generali ad AXA (azienda francese), della serie i francesi vogliono il risparmio degli italiani e rivogliono anche indietro quello francese oggi in mano a Generali.



Sta di fatto che – si noti che si tratta di una ipotesi esemplificativa assolutamente scolastica e certamente surreale, solo per fare un esempio “scolastico” sulle conseguenze di un simile ipotetico e teorico evento – se emergesse che il Mustier della situazione fosse davvero o anche fosse solo stato in forza ai servizi segreti francesi le conseguenze sarebbero pesantissime, sarebbe uno scandalo enorme, anche con risvolti diplomatici. Chiaramente tutti siamo certi che questo non è il caso (…), per il bene delle relazioni bilaterali tra i due paesi. Tanto per dare l’idea della gravità di un tale ipotetico evento – proprio per tale ragione di estrema gravità siamo tenuti ad escluderlo a priori – si potrebbe anche arrivare ad annullare la vendita di Pioneer ad Amundi (…) ed anche a mettere in discussione la reciproca permanenza dei due paesi nella moneta unica. Siamo invece ragionevolmente confidenti che per ragioni totalmente differenti (…), tempo fine mese o giù di lì le azioni di Bollorè in Mediaset verranno congelate nei diritti di voto sine die, in attesa dei danni multi miliardari che dovranno essere pagati ai soci Mediaset.

Lato italiano, resta da indagare quali consulenti milanesi ipoteticamente molto vicini alla giustizia meneghina abbiano supportato con i propri servigi l’acquisizione di Pioneer e/o partecipazioni in Mediaset da parte dei francesi. Magari scoprirem(m)o che è lo stesso che seguì la scalata di EDF su Montedison e/o l’acquisizione di BNL da parte di Credit Agricole.

Fantomas per Mitt Dolcino
 
euro gennaio 12, 2017 posted by Ingegner Caustico
SE USCISSIMO DALL’EURO LA NUOVA LIRA SAREBBE CARTA STRACCIA?

Continuamente ci viene detto che, se uscissimo dall’euro, la nuova lira diventerebbe carta straccia in quanto il ritorno alla sovranità monetaria e la possibilità di stampare moneta porterebbe ad una drastica svalutazione della nuova lira ed un’inflazione preoccupante, quantificata dall’”economista” Giorgio Lunghini in almeno il 20% annuo, il che porterebbe ad una caduta del Pil, sempre secondo il sopra citato “economista”, stimata nell’ordine del 40% nel primo anno e del 15% negli anni successivi per almeno un triennio (cioè i nostri stipendi, salari, profitti verrebbero più che dimezzati nel giro di pochissimi anni!!!).
Ma da cosa trae origine questa asserzione così catastrofica? Dalla teoria in base alla quale la banca centrale, essendo in grado di governare la base monetaria (la moneta emessa direttamente dalla banca centrale), può decidere l’offerta aggregata di moneta (circolante e depositi bancari) e di conseguenza il tasso di inflazione.

I passaggi sono quindi 2: la base monetaria determina l’offerta aggregata di moneta e quest’ultima determina l’inflazione. Avere una banca centrale indipendente sarebbe quindi una garanzia per avere la “giusta” inflazione, mentre una banca centrale sotto il controllo pubblico emetterebbe verosimilmente troppa moneta per compensare il deficit e ciò comporterebbe un’offerta aggregata di moneta molto alta e quindi alta inflazione (da cui deriva che la moneta diventerebbe carta straccia). Ma verifichiamo questi due passaggi.

PRIMO: l’offerta aggregata di moneta dipende dalla base monetaria (detta anche moneta ad alto potenziale).
Per controllare la veridicità di questa asserzione, mettiamo a confronto l’aggregato monetario M3 con la base monetaria. Dovremmo aspettarci due curve dall’andamento perfettamente sincrono (quando scende una, scende anche l’altra; quando sale una, sale anche l’altra).



Anche ad occhio si vede che le curve vanno ognuna per i fatti suoi. Per analizzare in termini più corretti il legame tra queste due curve, esaminiamo l’indice di correlazione tra le variazioni di queste due quantità. Si ottiene la seguente figura:



L’indice di correlazione è pari a 0,0078, cioè meno dell’uno per cento delle variazioni della massa monetaria M3 sono collegabili alle variazioni della base monetaria. Le due curve sono totalmente indipendenti l’una dall’altra, quindi la base monetaria non ha effetti sull’emissione della “moneta bancaria”, non a caso la BCE le sta inventando tutte pur di fare ripartire i prestiti bancari, ma il sistema non risponde.

SECONDO: l’inflazione dipende dall’offerta aggregata di moneta. Controlliamo anche questa asserzione confrontando i grafici che, anche in questo caso, dovrebbero essere perfettamente in sincrono, quasi sovrapponibili.



Anche in questa caso viene il sospetto che le due quantità siano tra loro prive di legami. Esaminiamo l’indice di correlazione:



Qui le cose vanno leggermente meglio in quanto l’indice di correlazione vale 0,135 cioè poco più del 13% delle variazioni dei prezzi (inflazione) sono collegabili alla variazione della massa monetaria M3. Si può tranquillamente dire che le quantità sono molto debolmente legate tra loro. Quale può essere la relazione? Se il sistema bancario riduce il credito erogato, magari per il timore che non venga rimborsato, gli imprenditori sarebbero costretti a ridurre gli investimenti e i cittadini a contrarre i consumi causando la chiusura di alcune aziende e l’aumento della disoccupazione. Ciò farebbe calare l’inflazione. In effetti quando la linea blu scende (riduzione dei crediti bancari) si ha anche un calo della linea rossa (inflazione), negli altri casi ognuna va per conto suo.

Entrambi gli assunti che legano l’uscita dall’euro (e la conseguente monetizzazione del deficit) con la carta straccia sono clamorosamente sconfessati dai fatti!!! C’è poco da fare, la teoria mainstream si basa su ipotesi assurde e chi parla di carta straccia in relazione alla nuova lira non merita maggiore credibilità di un astrologo in mezzo ad un consesso di astrofisici.

A proposito di ipotesi assurde, avete sentito parlare di quella “strana teoria” in base la quale la spesa pubblica sarebbe il volano dell’economia, specialmente in momenti di crisi quale quello attuale? Cioè che per fare ripartire l’economia bisognerebbe INCREMENTARE la spesa pubblica e NON DIMINUIRLA?
Vediamo se esiste un legame tra la spesa pubblica e il Pil confrontando gli andamenti dal 1970 ad oggi:



Pare che in questo caso ci sia un legame, ma per apprezzarlo meglio facciamo come al solito riferimento all’indice di correlazione:



Bene, quella “idea pazzoide” di aumentare la spesa pubblica per fare ripartire l’economia vale “solo” nel 99,52% dei casi, cioè vale praticamente sempre, mentre l’idea universalmente accettata dal “mondo che conta”, cioè quella che asserisce che la base monetaria determina l’inflazione (pertanto ci vuole una banca centrale governata da un organismo esterno indipendente), vale “ben” nell’1% dei casi.

Keynes batte mainstream 100 a 1.

Claudio Barnabè
 
Stato profondo contro Donald Trump, la traccia ucraina
gennaio 12, 2017 Lascia un commento

Moon of Alabama – 11 gennaio 2017
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Come osservato il 6 gennaio: Quando Hillary Clinton fu sconfitta nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti i relativi poteri lanciarono la campagna per delegittimare il Presidente eletto Donald Trump. L’obiettivo finale della cabala è scacciarlo dalla carica e assegnarla a un sostituto affidabile, come il vicepresidente eletto Pence. Se non fosse possibile, si sperava che la delegittimazione rendesse impossibile a Trump cambiare i principali indirizzi politici, soprattutto in politica estera. Un grosso problema è il nuovo orientamento del complesso militare degli Stati Uniti e dei suoi agenti della NATO dalla guerra al terrore al confronto diretto con le grandi potenzi, come Russia e Cina. La campagna dello Stato profondo contro Trump ha aperto nuovi fronti oggi, con la pubblicazione di affermazioni anonime completamente false e quindi non verificabili, come la faccenda di Trump che faceva baldoria in un albergo di Mosca, che i servizi segreti russi usano per manipolarlo. Come molte storie contro Trump diffuse dagli agenti della campagna presidenziale di Clinton, queste ultime sembrano originare da fonti correlate ai putschisti “nazionalisti” ucraini (fascisti). Le nuove affermazioni su Trump sono disponibili in 35 pagine di “relazioni” di un anonimo ex-agente dei servizi segreti inglesi che lavorava per una società privata statunitense dal 20 giugno al 13 dicembre 2016, affermando che la Russia ha alcuni video di Trump che guardava giochi sessuali nel 2013, sostenendo che funzionari della campagna di Trump coordinarono le fughe su Clinton con la Russia e che il Presidente Putin era coinvolto in tutto questo. Ecco come il presunto ex-agente dell’intelligence descrive le sue fonti in questi “rapporti”: “Parlando ad un connazionale fidato nel giugno 2016, secondo le fonti A e B, un ex-funzionario del Ministero degli Esteri russo ed un ex-ufficiale dei servizi segreti russi ancora attivo al Cremlino, le autorità russe coltivavano e sostenevano il candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump da almeno cinque anni. La fonte B affermava che l’operazione su Trump era sostenuta e diretta dal Presidente Vladimir Putin”. L’ex-agente inglese sentì da un anonimo presunto compatriota che due fonti anonime affermarono di avere accesso ai circoli russi affermando di aver sentito da qualche parte che era successo qualcosa al Cremlino. Affermavano che Trump era sostenuto e diretto da Putin da cinque anni, mentre un anno prima nessuno avrebbe scommesso un centesimo su Trump che otteneva una qualche posizione di rilievo politico e addirittura la presidenza. C’è molta più insulsaggine in questi nuovi diari di Hitler, fasulli dalla A alla Z.
Il senatore neocon John McCain, amico dei fascisti ucraini e nemico di Trump, passò il “rapporto” all’FBI e, quindi, divenne un documento ufficiale. Anche se sono evidenti falsi, l’FBI cercò di utilizzare tali “rapporti” per avere il mandato dal Foreign Intelligence Surveillance Court (FISA) per spiare i funzionari della campagna di Trump. La corte lo negò, per fortuna o per lo meno respinse la richiesta. I primi “rapporti” furono creati nell’ambito della ricerca dell’opposizione pagata da un candidato repubblicano alle primarie contro Trump. In seguito furono prodotti e pagati dalla campagna democratica. Vennero comprati a Washington per diversi mesi. NYT, WSJ, CNN e FBI ne studiarono le affermazioni. Nonostante le loro notevoli risorse non ne verificarono neanche una. Tutti si astennero dal pubblicarli durante la campagna, perché non vi era alcuna prova a sostegno. Buzzfeed ora l’avanza nonostante dica che non vi abbia trovato nulla di verificabile. Ancora peggio il direttore della National Intelligence Clapper (che un tempo sostenne che le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam furono spedite in Siria), li presentò al Congresso e al presidente eletto Trump come “allegato” al rapporto infondato dell’intelligence degli USA sulla “pirateria russa”. Un’anteprima torbida delle affermazioni fu data da David Corn su Mother Jones, ad ottobre. Parlò con il cosiddetto autore dei “rapporti”: “Iniziò come richiesta abbastanza generale”, dice l’ex-spia che chiese di non essere identificato. Ma quando cercò su Trump, osservò, trovò informazioni preoccupanti che indicavano connessioni tra Trump e il governo russo. Secondo le sue fonti, “ci fu uno scambio di informazioni tra la campagna di Trump e il Cremlino, con reciproco vantaggio“.
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La pubblicazione di tal cumulo di stronzate si ha il giorno dopo che i membri del gabinetto Trump furono confermati dal Congresso ed ore prima della prevista conferenza stampa. Era quindi destinata a far passare in secondo piano il buon inizio della presidenza Trump. Vi sono segnali che i “rapporti” furono scritti da qualche nazionalista ucraino antisemita. Basta considerare questo passaggio del “rapporto” del 26 luglio: “Nell’assunzione dell’FSB di operatori informatici capaci, idealmente, di svolgere in segreto operazioni cibernetiche offensive, uno specialista russo con diretta conoscenza riportò, nel giugno 2016, che ciò fu fatto spesso usando coercizione e ricatto. Per gli agenti stranieri, l’FSB avvicinava cittadini statunitensi di origine russa (ebraica) in viaggio d’affari in Russia”. Tali tropi sono tipici della narrazione antisemita “nazionalista” (nazista) ucraina. (“Tutti gli ideologi comunisti/funzionari sovietici sono ebrei“). I servizi russi, a differenza del Mossad, non recluterebbero hacker secondo relazioni etniche o credenze “ebraiche”. Assumerebbero qualcuno competente di cui pensano di potersi fidare. Abbiamo visto vari “nazionalisti” ucraini coinvolti nelle affermazioni propagandistiche sugli “hacker russi”. Nel luglio 2016 Michael Isikoff scrisse per Yahoo (megafono della campagna di Clinton): “Poche settimane dopo aver iniziato la preparazione dei dossier di ricerca dell’opposizione sul presidente della campagna presidenziale di Donald Trump, Paul Manafort, la scorsa primavera, la consulente Alexandra Chalupa del Democratic National Committee ricevette un’allerta quando entrò sul suo account di posta elettronica personale su Yahoo. …Chalupa, redasse appunti e scrisse e-mail sul collegamento di Manafort coi leader politici filo-russi in Ucraina, allertò rapidamente gli alti funzionari della DNC… “Ero fuori di me”, Chalupa, direttrice dell'”impegno etnico” della DNC, dice a Yahoo News in un’intervista, notando che era in stretto contatto con le fonti a Kiev, in Ucraina, tra cui numerosi giornalisti investigativi, che l’informavano sui rapporti politici e affaristici di Manafort in quel Paese e in Russia”. Chalupa è anche presente nella lista ProPornOT promossa dal Washington Post, dei presunti siti di propaganda filo-russi. Questo sito, MoonofAlabama, è presente su tale lista . (Purtroppo però non ho mai ricevuto un centesimo, o qualsiasi altra cosa, da fonti russe, critico le politiche economiche neoliberiste di Putin e fui plagiato da Russia Today finanziato dal governo russo, senza alcun compenso.) L’account Twitter di ProPornOT dice che è “ucraino-statunitense” e fa il saluto fascista ucraino delle bande assassine dell’OUN-Bandera, “Slava Heroiam!” quando gli hacker ucraini attaccano la Russia. L’elenco ProPornOT si basa sul modello ucraino usato per aggredire media e giornalisti ucraini antifascisti. Chalupa è una grossa promotrice dell’accusa “la Russia ha hackerato i democratici” senza alcuna prova. Fu definita dallo stesso Isikoff di Yahoo una delle 16 persone che modellarono le elezioni del 2016. Chalupa è anche: “fondatrice e presidente del gruppo lobbistico ucraino “coalizione USA con l’Ucraina”, che fece pressioni dure per far passare un disegno di legge nel 2014 per aumentare prestiti e aiuti militari all’Ucraina, imporre sanzioni alla Russia e allineare gli interessi geostrategici di Stati Uniti e Ucraina”. Inoltre Chalupa coordinò la sua campagna anti-Trump/anti-russa con l’ambasciata ucraina a Washington DC: “Funzionari del governo ucraino hanno cercato di aiutare Hillary Clinton e di minare Trump mettendo in discussione pubblicamente la sua idoneità alla carica. Inoltre diffusero documenti che accusavano un aiutante di Trump di corruzione, suggerendo che stavano indagando, solo per far marcia indietro dopo le elezioni. Aiutarono gli alleati di Clinton nel cercare informazioni dannose su Trump e i suoi consiglieri, un’indagine che Politico scovò. Un’agente ucraino-statunitense (Alexandra Chalupa), consulente del Comitato Nazionale Democratico, incontrò alti funzionari dell’ambasciata ucraina a Washington nel tentativo di svelare i legami tra Trump, il suo assistente Paul Manafort e la Russia, secondo le persone con conoscenza diretta della situazione”. Chalupa va classificata agente ucraina o almeno fantoccio manipolato dal governo ucraino e vederla così di conseguenza. L’influenza straniera sulla corsa presidenziale attraverso la connessione ucraina (fascista) alla campagna di Clinton è quindi molto più ancorata alla realtà dei presunti, ma completamente non provati collegamenti russi alla campagna di Trump. C’è un’operatrice nazionalista ucraino-statunitense della campagna democratica che promuove pretese anti-russe e anti-Trump in collaborazione con il governo ucraino, la lista nera ucraino-statunitense di ProPornOT per infangare i siti accusati “di propaganda russa” e i tropi fascio-ucraini utilizzati nei “rapporti” vacui volti a denigrare Trump come burattino dei russi. Soprattutto c’è la comunità d’intelligence degli Stati Uniti che combatte la presidenza Trump che rischia di tagliarne varie escrescenze ed eccessi.
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CIA, MI-6 e BND tedesco (controllato dalla CIA) hanno coccolato e promosso gli ancora molto attivi circoli fascisti ucraini anti-russi (almeno) dalla fine degli anni ’40. Un libro dell’US National Archive, Le ombre di Hitler, criminali di guerra nazisti, US Intelligence e guerra fredda (PDF) nota: “Le operazioni inglesi con i banderisti si ampliarono. Ai primi del 1954 la sintesi dell’MI6 osservò che, “l’aspetto operativo di tale collaborazione (inglese coi banderisti) si sviluppa in modo soddisfacente. A poco a poco il controllo completo fu ottenuto sulle operazioni d’infiltrazione e anche se il dividendo dell’intelligence è basso si è ritenuto opportuno procedere…. Nel giugno 1985 il General Accounting Office menzionò Lebed in un rapporto pubblico sui nazisti e collaborazionisti stabilitisi negli Stati Uniti con l’aiuto delle agenzie d’intelligence degli Stati Uniti. L’Ufficio delle indagini speciali (OSI) e il dipartimento della Giustizia iniziarono a studiare Lebed lo stesso anno. La CIA preoccupata che il controllo pubblico su Lebed compromettesse QRPLUMB e che la sua mancata protezione innescasse l’indignazione nella comunità degli immigrati ucraini. Quindi Lebed fu protetto negando qualsiasi collegamento con i nazisti e sostenendo che fosse un combattente per la libertà ucraino. La verità, naturalmente, era più complicata. Ancora nel 1991 la CIA cercò di dissuadere l’OSI dall’avvicinare i governi tedesco, polacco e sovietico per avere i registri di guerra dell’OUN. L’OSI infine abbandonò il caso, non potendo avere documenti definitivi su Lebed. Mykola Lebed, capo dei banderisti in Ucraina durante la guerra, morì nel 1998. È sepolto nel New Jersey, e le sue carte si trovano presso l’Istituto di Ricerca ucraino dell’Harvard University”. C’è ancora un collegamento diretto tra i tre elementi anti-russi/anti-Trump, il movimento ucro-fascista e lo Stato profondo della CIA di John Brennan. Consiste nei toni e nel messaggio comune di certe storie tra il putsch in Ucraina del 2014 e il collegamento con personale ucraino-statunitense della campagna di Clinton. Ma anche questo va oltre le asserzioni infondate della “pirateria russa” nei rapporti d’intelligence del DNI e le ormai note denigrazioni dell’MI-6. Vista da lontano, la “Comunità d’Intelligence” è più compromessa da tali “fughe di notizie” che non il Presidente eletto Trump. Non è prevedibile chi vinca questa battaglia, la cabala dello “Stato profondo”, che vuole mantenere gli Stati Uniti su una rotta anti-russa, o il tendenzialmente isolazionista Trump. La mia scommessa è sull’artista delle stronzate Trump. Nel quadro internazionale c’è la stessa lotta, e per come appare, sembrano che gli Stati Uniti siano destinati a diventare una repubblica delle banane.
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Aggiornamenti:
Il reporter della BBC da Washington Paul Wood, su BBC Radio oggi:
– vide il “rapporto” ad ottobre
– gli fu detto ad agosto che servizi segreti di Stati Uniti e capi dell’intelligence dell’Europa dell’Est (!) affermavano che la Russia avesse un kompromat su Trump
– Vi sarebbero audio e video a Mosca e San Pietroburgo che nessuno ha visto.
S’indovini di quale servizio d'”intelligence est-europeo” parlava…
C’è chi sostiene che la storia di sesso su Trump nelle 35 pagine proviene dai circoli 4chan dell’alt-destra. Ma non si adatta alla tempistica. I “rapporti” circolarono da agosto. L’affermazione sul sesso fa parte del rapporto di luglio. La storia di 4chan è apparsa a novembre (per quanto possa dire) e fu avanzata su 4chan da un politico vicino al partito democratico. Ma erano vecchie notizie e ciò di rilevante era già noto. E’ molto probabile che la storia di 4chan sia solo un rimaneggiamento della già nota storia del “rapporto” e non abbia alcuna validità.
Paul Wood della BBC ne ha ancora: Le ‘compromettenti’ affermazioni di Trump: Come e perché siamo arrivati qui?
– Nulla delle pagine 35 s’è dimostrato vero
– Vi sono indicazioni su pagamenti di (una banca) russa a qualcuno (non Trump direttamente, ma probabilmente correlato) negli Stati Uniti
– Le domande di pagamento furono usate per delle domande di mandato dal FISA, respinte per due volte(!), ma ad ottobre furono firmate da un nuovo giudice.
– Le domande di pagamento provengono dal servizio segreto di “uno Stato Baltico”.
Altri media mescolano tali domande di pagamento alle 35 pagine. Ma sono questioni diverse. Ieri sera Clapper del DNI aveva un colloquio con Trump, non è chiaro dalla dichiarazione di Clapper di quali problemi abbiano esattamente parlato. Sembrava alludere alle richieste di pagamento, non alle 35 pagine.

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Il direttore della National Intelligence James Clapper

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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attualita' gennaio 13, 2017 posted by Fabio Lugano
UK, NIENTE LOCUSTE, BOOM INDUSTRIALE A NOVEMBRE, INFLAZIONE MENO DELLA GERMANIA.



Cari amici

i dati della produzione industriale inglese sono estremamente positivi:



La crescita della produzione industriale inglese è stata del 2,1%. a novembre ,più che il valore assoluto è interessante notare che 1,3% è dovuto al manifatturiero. Il restante 0,8 % è legato alla ripresa della produzione petrolifera in alcuni campi estrattivi del Mare del Nord , che erano andati in manutenzione (e che spiegano le fluttuazioni dei mesi precedenti..)

Questa ripresa manifatturiera , se confermata,è in parte dovuta alla svalutazione della sterlina verso il dollaro, che è stata potente, come possiamo vedere qui



Con una svalutazione dell’ordine del 15% ci sarebbe da aspettarci un’inflazione galoppante………che non c’è.



opssss non c’è quasi inflazione, considerando che il CPI inglese è del 1,2% mentre quello della Germania è del…1,7%. Svalutazione senza inflazione

Naturalmente potremmo parlare di disoccupazione ai minimi (4,8%) , ma non vorrei infierire con un confronto con il nostro 11,9%.

Insomma niente locuste, una manifattura che , pur non essendo a livelli impressionanti, cresce, e rapporti in sviluppo coi paesi extraeuropei. Ma non è che la UE è una grande fregautura ?

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Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.






























venerdì 13 gennaio 2017
€-UROBORO, MUNCHAUSEN, LEGGE DI SAY E MITOLOGIA SUPPLY SIDE CONTRO LA LEGALITA' COSTITUZIONALE [/paste:font]

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Premessa: Meuccio Ruini, Presidente della "Commissione dei 75", di redazione della Costituzione, preparatoria dei lavori dell'Assemblea Costituente, nella sede di discussione generale, seduta del 12 marzo 1947
("La Costituzione nella palude", pag.99):
"Gli economisti — i migliori — riconoscono che il loro edificio teorico, la scienza creata dall'Ottocento, non regge più sul presupposto di una economia di mercato e di libera concorrenza, che è venuto meno, non soltanto per gli interventi dello Stato, ma in maggior scala per lo sviluppo di tendenze e di monopoli delle imprese private.
Quando vedo i neo liberisti, come l'amico Einaudi, proporre tale serie di interventi per assicurare la concorrenza, che qualche volta possono equivalere agli interventi di pianificazione, debbo pur ammettere che molto è mutato.
Non pochi vanno affannosamente alla ricerca della terza strada.
La troveranno? Non lo so. Questo so: che si avanza la forza storica del lavoro".
1. L'attualità, che risalta per casi concreti, cioè empiricamente, nei temi trattati negli ultimi due post, consiglia di approfondire il discorso portandolo su un livello più ampio, storico-economico.
Abbiamo visto che l'affermazione del "diritto al profitto" come posizione "incondizionata" dell'imprenditore, anche all'interno del rapporto di lavoro (di cui, appunto si perde di vista la sostanziale centralità come elemento determinativo della stessa crescita, economica e culturale del Paese), venga giustificata con una "nuova" lettura dell'art.41 Cost.
Questa "revisione" interpretativa determina che quest'ultimo, inevitabilmente, venga fatto prevalere sugli artt. 1 (fondamento "lavoristico" della Repubblica), 4 (dovere della Repubblica di rendere "effettivo" il diritto al lavoro) e 3, comma 2, Cost. (obbligo di governo e parlamento di intervenire attivamente per rimuovere gli ostacoli "di fatto" che impediscono la "piena partecipazione" di tutti alla vita democratica del paese). E abbiamo mostrato come, sul piano del metodo ermeneutico, questa lettura finisca per reinterpretare l'art.41, norma costituzionale, non solo scindendolo dalle più importanti e inderogabili previsioni degli artt.1, 3 e 4 (che ne sarebbero, almeno fino a ieri, il presupposto operativo sul piano costituzionale), ma, anche, attribuendogli questo "nuovo" senso alla luce delle stesse norme di legge, di rango inferiore, che l'art.41 stesso dovrebbe giustificare (!).

2. Il discorso si concretizza, dunque, in una sorta di ragionamento euristico, in cui una norma di legge modifica il senso di una norma costituzionale al fine specifico di trovare in quest'ultima la sua giustificazione.
E' evidente che la struttura simbolica cui si dà vita con un simile ragionamento, è quella del mitologico UROBORO. Che non a caso, in una precedente occasione, abbiamo ribattezzato €-uroboro
neo-liberista.
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2.1. Per meglio comprendere il senso di queste sempre più frequenti riletture della Costituzione, in base a principi legislativi, normalmente derivanti dall'influenza istituzionale €uropea, si può anche ricorrere, come abbiamo altrettanto ipotizzato, al...Barone di Münchhausen, che evitava di affondare nella palude tirandosi per i capelli.
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3. Venendo ad un approccio più storico ed economico-scientifico, ci soffermiamo, per illustrarne ulteriormente le implicazioni, sulle affermazioni della Corte di Cassazione e sull'analisi giuridica compiuta:
"Secondo la Cassazione, infatti, in termini microeconomici, nel lungo periodo e in un regime di concorrenza, l'impresa che ha il maggior costo unitario di produzione è destinata ad essere espulsa dal mercato" (Cass. n. 13516 del 2016; Cass. n. 15082 del 2016). Da qui l’opportunità di licenziare anche un singolo dipendente soprattutto se tale mancato licenziamento potrebbe compromettere la stabilità del posto di lavoro di tutti gli altri dipendenti. Senza indagare, peraltro, il perché tale costo unitario dell'unità produttiva possa essersi innalzato, coinvolgendo l'intero sistema economico nazionale, magari per ragioni fiscali, valutarie e monetarie e, quindi, in un quadro macroeconomico - e di cedimento della domanda interna- che non può essere percepito e compreso a livello "micro".
...
Risolvendo il problema dell'efficienza e del CLUP (e quindi della "produttività), in termini microeconomici, - senza porsi il problema se questa situazione possa essere "sistemica" e, dunque, applicabile ad ogni settore produttivo e giustificare in ogni caso qualsiasi licenziamento individuale, la Cassazione afferma che sarebbe addirittura incompatibile con l'art. 41 co. 1° Cost. l'assunto secondo cui il datore di lavoro dovrebbe provare la necessità della contrazione dei costi e, quindi, l'esistenza di sfavorevoli contingenze di mercato: dovrebbe essere sufficiente una sua autonoma scelta in tal senso.
Per l'appunto, da un lato, non sarebbe possibile distinguere, quanto alle ragioni economiche a sostegno della decisione imprenditoriale "tra quelle determinate da fattori esterni all'impresa, o di mercato, e quelle inerenti alla gestione dell'impresa, o volte ad una organizzazione più conveniente per un incremento del profitto" (Cass. n. 5777 del 2003) e, dall’altro, anche ove fosse possibile, non spetta al giudice entrare nel merito delle decisioni assunte dall’imprenditore (Cass. n. 23620 del 2015)".

4. Cerchiamo allora di connotare, sul piano economico, il perché queste asserzioni, essendo esclusivamente incentrate sull'equilibrio aziendale, cioè micro-economico, risultino fuorvianti nel definire la portata dell'art.41 Cost., laddove questo, alla lettera, limita la "libertà di iniziativa economica privata" in funzione della "utilità sociale" (a prescindere dalla "dimenticata" dipendenza di tale articolo dai precedenti art.1, 4 e 3, comma 2: anche se tale dimenticanza è, già in sé, una scelta interpretativa non da poco).
Il punto è che la stessa "utilità sociale", diversamente da quello che implica il modello neo-liberista implicitamente affermato dalla Cassazione, non vede l'estraneità dell'imprenditore ai suoi vantaggi.

5. Solo che, per comprendere come tale positivo coinvolgimento dispieghi i suoi effetti (anche e proprio nell'ottica dei lavori della Costituente), occorre considerare l'imprenditore non come soggetto isolato socialmente e giuridicamente (e in particolare: costituzionalmente), cioè posto solo in relazione al bilancio e ai "conti" della sua impresa, ma in senso categoriale: cioè come esponente di una serie tipica di soggetti che vengono in considerazione per il loro ruolo, nel determinare, secondo la volontà del Legislatore Costituente, l'equilibrio c.d. della "piena occupazione" (qui, nella parole di Federico Caffè, pp.6-7).
Questo equilibrio vede, in effetti, verificarsi le condizioni di massimizzazione sia dei profitti che, a monte, della convenienza ad investire (soddisfacendo quell'elemento solo in apparenza elusivo che è l'aspettativa di profitto che, inevitabilmente, come comprova l'attuale congiuntura economica italiana, dipende, eccome, dal livello della domanda e, quindi, dalla previsione che questa sia in grado di assorbire quanto "prodotto", cioè di dare senso alla crescita dell'offerta, strutturata mediante investimenti, lordi e netti, aggiuntivi).

6. Questi principi, ovviamente keynesiani, - e che furono alla base dell'abbandono delle teorie neo-classiche (marshalliane) per risolvere la crisi del 1929, nonché del superamento della "stagnazione secolare" e del c.d. "equilibrio della sottoccupazione"-, possono trovare una loro anticipazione empirica, ma ben identificabile, sul piano non strettamente macroeconomico, sebbene proprio dell'economia industriale: il modello fordiano (v.qui, p.1, laddove si parla di modello produttivo e salariale).

6.1. Sul piano delle dottrine economiche, nel fare riferimento a tale modello, non si enfatizza l'aspetto della iper-specializzazione e segmentazione dei compiti all'interno della produzione industriale "di serie", quanto piuttosto, il ben più importante risultato per cui, stabilito un livello di occupazione massimizzato già all'interno del settore, o della "unità", industriale considerato/a, il modello perseguito da Ford implica livelli retributivi in partenza più elevati, - ed economicamente incompatibili con il "rimedio" della programmatica flessibilità totale in uscita della forza lavoro- al fine di trasformare gli stessi lavoratori in clienti e utenti del prodotto (v. pure qui, al par.I, sempre in termini di modello che l'arrembare dell'ideologia economica neoliberista €uropea ha condotto a sacrificare).

7. Per contro, un modello neo-liberista, fondato sull'idea centrale, della perfetta flessibilità del mercato del lavoro, come condizione principale di riequilibrio delle crisi "accidentali" (di cui si nega la determinabilità autonoma se non come "malfunzionamento" determinato da condizioni imperfette di "libero mercato", v.p1), si fonda sulla persistente validità della Legge di Say: è l'offerta, ottimizzata da condizioni di costo marginale pareggiato al ricavo marginale, e registrabile simultaneamente in ciascuna "unità aziendale", che crea naturalmente le condizioni di assorbimento della domanda.
Quindi, anche sul piano delle politiche legislative, abbracciare (fosse anche per implicito), questa teoria, implica che "qualunque" livello dell'occupazione, purché soddisfi il nuovo equilibrio dei costi reso necessario da "qualunque" livello di riaggiustamento dei salari, sarebbe promotore di un ritorno alla crescita, nell'efficienza allocativa (ottimo-paretiana).
E se anche non si registrasse una crescita significativa, - com'è in effetti avvenuto in ogni epoca in cui s'è applicato questo paradigma (qui, pp.4-7)- quello che conta è solo l'efficienza allocativa stessa e l'utile del settore delle imprese (cioè della c.d. "offerta", ovvero, in inglese, "supply side").

8. Questa esclusiva e intransigente visione "supply side" è, in effetti, quella propugnata nei trattati €uropei (pp. 1-2), - come comprova, oltretutto, l'insieme delle continue indicazioni di "misure" e riforme strutturali che la Commissione consiglia ai vari stati dell'eurozona in sede di (sempre più intensa) sorveglianza sui bilanci fiscali. Ma il privilegiare esclusivamente il lato dell'offerta (o, nel rapporto di lavoro, i poteri "datoriali"), non riesce, in effetti, così come non è riuscito in passato, nè a far ripartire gli investimenti (e quindi, neppure ad ampliare la struttura dell'offerta dei Paesi che si sottopongono a tale modello), né a ripristinare, neppure lontanamente, i livelli di occupazione (e di crescita) antecedenti ad una fase di recessione.
Diviene, piuttosto, una questione esclusivamente "politica": il credere in un certo assetto della società considerandolo eticamente superiore, ostinandosi nell'aspettativa fideistica che, prima o poi, il modello che privilegia il magico ruolo-guida dell'offerta produca i suoi frutti.
Ma ciò non dovrebbe avvenire a scapito della legalità costituzionale e, segnatamente, delle sue norme più essenziali e inderogabili.

9. Poiché invece il jobs act si fonda su questa teoria (supply-side, microaziendale e imperniata sulla Legge di Say e sull'efficienza allocativa, accentuata in economie "aperte" dal principio ricardiano dei "vantaggi comparati"), esso va, per coerenza tecnico-economica, collegato ai risultati complessivi delle politiche in cui esso si inserisce.
Cioè l'assetto "iperflessibile" del mercato del lavoro è una conseguenza VINCOLATA dell'adozione di questo paradigma; ma questo paradigma non mantiene e non sta mantenendo, come sempre, le sue "induttive", e mai riscontrate, promesse di crescita e benessere.
Piuttosto, scarica sulla parte più debole della società i costi delle crisi e promuove una redistribuzione verso l'alto - in forma di profitti e di risparmio accumulati soltanto dagli operatori economici esportatori-, e quindi "oligarchica", della ricchezza e del reddito.

10. Un risultato ormai evidente a chiunque voglia prendere atto dei dati e degli indicatori economici reali, e non si accontenti degli slogan e delle indimostrate aspirazioni politico-mediatiche.
Questo è il frutto del paradigma euro sulla produzione industriale italiana e sugli investimenti ("lavoro", sempre di meno; la disoccupazione cresce; i salari diminuiscono in termini reali e la propensione ad investire...va a picco):
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Per non parlare del versante degli investimenti pubblici che, pure, come pretesa soluzione alla interminabile crisi dell'eurozona, si invocano da anni: senza però mettere in discussione la moneta unica e i vincoli fiscali che servono unicamente a tenerla in vita. Questi sono i dati AMECO sugli investimenti pubblici netti italiani, complessivamente in costanza di vincolo esterno, cioè di adozione forzosa del marco come valuta:

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11. La Costituzione non consentirebbe il perseguimento di questo paradigma (marginalista e fortemente liberista per il solo mercato del lavoro), proprio perché, già nel 1946-47, lo considerava il frutto della "scienza economica dell'800" (sic, Ruini, nella celebre replica a Einaudi), nonché il meccanismo di innesco di crisi economiche che andavano a detrimento (strutturale) della "classe" dei lavoratori: non solo dipendenti, ma di tutti coloro che non fossero coinvolti nel supply side e nelle posizioni di forza oligopolistiche che prosperano alla sua ombra; vale a dire, comprese le piccole e medie imprese, la cui sopravvivenza dipende principalmente dalla domanda "interna", cioè dal potere di acquisto delle famiglie e dal livello di occupazione e di (strettamente connessa) retribuzione "dignitosa" che ha di mira la nostra Costituzione.
E chi è chiamato a decidere su questi problemi dovrebbe essere attento ai presupposti teorici ed agli effetti pratici delle teorie che provengono dall'€uropa...


Pubblicato da Quarantotto a 18:35 Nessun commento: Link a questo post
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Perchè questa vigliacca situazione economica ? Nei migranti , negli immigrati clandestini ? L'italia , nei poteri decisionali dei politici schifosi che abbiamo , è complice assieme agli altri governanti politici schifosi degli altri paesi del bombardamento in libia .. ora , aprendo questa situazione di ospitalità , oltre alla speculazione dei 35 euro giornalieri per clandestino , di cui solo 3 - 5 euro vengono dati e o usufruiti dai clandestini nel cibo e nei 2 euro dati , c'è la speculazione sulle persone ! Questa è palese destabilizzazione sociale del popolo italiano .. dicono che molti migranti e o clandestini lavorano qui .. il problema del lavoro dato a queste persone è che esse si adattano a ricevere salari di 400-500 euro mensili , e anche meno , destabilizzando la costruzione lavorativa degli italiani .. come conseguenza licenziamenti di persone italiane e prese in carico di lavoratori di altre nazionalità .. di quali diritti si parla ?
Provare ad andare ed entrare in australia .. col cavolo che si entra se non si è in grado di mantenersi e senza capitali sufficienti , e dopo pochi mesi , se non si lavora si esce forzatamente dal paese ! i politici italiani stanno scaricando i loro vili gesti , avvallati dagli stati uniti , le loro colpe dei bombardamenti in libia sulle popolazioni italiane ed europee , quale colpa hanno i popoli di avere simili umani che governano ? .. che massa di vigliacchi che dirigono i paesi nei loro immensi privilegi e ancora non accade nulla di niente , si discute animatamente senza capire le reali cause che hanno e stanno provocando questi disagi , questi disastri sociali ! che razza di mondo , se solo si volesse , non esisterebbe la fame , la superbia , la differenza tra le persone nel sociale .. che tristezza vedere tutto ciò !

" h!!ps://www.youtube.com/watch?v=Gf1WT8VEZxk "

vanno completamente azzerati i rotschild e chiunque ad essi associati.. è tempo che i popoli ritornino liberi , ne hanno la qualifica

" h!!p://www.agerecontra.it/public/press40/?p=8962 "
 
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INDIA: LA “MANINA” USA DIETRO LA GUERRA AL CONTANTE
Maurizio Blondet 14 gennaio 2017 5


Esiste un segretariato dell’ONU, United Nations Capital Development Fund (UNCPD) di cui pochissimi conoscono l’esistenza. Ma lo conoscono bene Master Card Foundation e la Bill and Belinda Gates Foundation, perché ne sono divenuti i più generosi donatori. Il motivo: l’UNCPD è la centrale ideologica occulta del progetto di abolizione mondiale del contante. E’ l’ente – con Bill Gates e le finanziarie che emettono carte di credito, come Master Card – del crudele esperimento sociale che ha luogo in India, la prima cashless society a spese di un miliardo di poveri, che non hanno, ne possono avere, un conto in banca. Ricostruire chi e come ha indotto quell’esperimento in corpore vili, è un istruttivo compendio dei metodi con cui gli interessi americani si impongono dietro le quinte.


Master Card in versione indù
Presso la sede a New York dell’ UNCPD (“Fondo per lo Sviluppo del Capitale”: piuttosto esplicito) ha sede il segretariato della Better Than Cash Alliance (Alleanza Meglio-del-contante: molto esplicito) , nata nel 2012, un’associazione di puri idealisti che promuovono la scomparsa del liquido. Mastercard, Visa, Dell Foundaton, Omidyar Network (eBay), Citi, insomma le IT, e-commerce e finanziarie che si aspettano di fare miliardi dal passaggio totalitario ai pagamenti elettronici. Ma non si deve tralasciare che della Better than Cash Alliance sono soci anche il noto fondo filantropico e umanitario che è la Gates Foundation (Microsoft) e l’USAID, l’ente americano volto a fare il bene dei popoli sottosviluppati – come dice il nome: Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale” – che l’agenzia del Dipartimento di Stato e una delle principali coperture della CIA nelle operazioni estere.

E’ dunque ovvio che l’USAID abbia sede aperta a Nuova Delhi, e dia consigli per migliorare lo sviluppo ai governanti. L’USAID finanzia (le cifre segrete) un’associazione di cui il pubblico ha avuto notizia solo l’ottobre scorso, ossia un mese prima che il premier Modi annunciasse l’ abolizione delle banconote più usate dagli indiani: la “Catalyst – Inclusive Cashless Payment Partnership”, che nel suo primo comunicato stampa del 14 ottobre, si definisce “la fase ulteriore della collaborazione fra USAID e Ministro delle Finanze [indiano] per facilitare l’inclusione finanziaria universale”.

Infatti nella lingue di legno orwelliana, l’abolizione del denaro fisico viene gabellata come “inclusione” dei poveri, di cui va facilitata l’entrata nei gioiosi benefici del sistema bancario, da cui sono finora esclusi. Nonostante che in India, come ha appurato uno studio della stesso USAID, 97% delle transazioni avvengano in banconote, e solo il 55% degli indiani ha un conto in banca ma – attenzione! – “solo il 29 per cento di questi conti sono stai usati negli ultimi tre mesi”. I poveri dell’India sono stati “esclusi” dall’economia con l’abolizione del contante, e le conseguenze si vedranno nei prossimi mesi.

Ma importa poco a lorsignori. L’ambasciatore Usa Jonathan Addleton, che è anche il capo-missione USAID in India, è stato chiaro: “L’India è all’avanguardia degli sforzi globali di digitalizzare le economie e creare nuove opportunità per la parte di popolazione difficile da raggiungere. Catalyst sosterrà questi sforzi concentrandosi sul compiti di rendere senza contanti gli acquisti quotidiani”.

Catalyst, partecipazione di USAID e Ministero delle Finanze indiano, dove ha sede a Delhi? Nello IFMR, un istituto di ricerca di cui è membro il capo della Gates Foundation in India, il banchiere Nachiket Mor, e che è finanziato da donatori Usa e da molti degli interessi partecipanti alla “Better Than Cash Alliance”. “Oltre 35 importanti organizzazioni indiane, americane e internazionali si sono unite al ministro delle finanze e all’USAID in questa iniziativa”, si legge in un euforico annuncio dello stesso USAID.

Ci si può chiedere come mai al grande esperimento non si sia opposto, o non abbia almeno obiettato, l’autorità di emissione. Risposta facile: a capo della Reserve Bank of India è stato, dal 2013 fino al settembre scorso, Raghuram Rajan; terminato il suo incarico a settembre 2016, è tornato a fare quel che faceva prima: il docente di economia alla Università di Chicago. Dal 2003 al 2006, il personaggio è stato capo economista al Fondo Monetario a Washington . Questo “indiano” è stato anche presidente della American Finance Association, per le sue teorie è sta (riccamente) premiato da Deutsche Bank e da Infosys; ha ricevuto il “Premio Financial Times –Goldman Sachs per il miglior libro di economia”; è stato decretato “Indiano dell’anno” dalla rivista Euromoney. Potrebbe succedere alla Lagarde a capo del Fondo Monetario. E’ dunque uno di quei tecnocrati transnazionali (e “apatridi”, li diceva De Gaulle) selezionato e coccolato dai poteri sovrannazionali per completare le loro strategie secondo l’ortodossia monetaria, un po’ come (in piccolo) Padoa Schioppa, Mario Draghi, Padoan..

Difatti Rajan è anche membro di un club molto esclusivo, che si riunisce a porte chiuse e senza fare verbali delle sedute: il Gruppo dei Trenta, “un corpo privato internazionale” dove colludono grandi banchieri privati e i governatori delle banche centrali (ovviamente, c’è Draghi)

http://group30.org/members

E’ chiaro che il Group of Thirty sia la centrale strategica di coordinamento della guerra al contante; in esso il peso degli americani o americanizzati come Rajan, è del tutto preponderante.


Il Gruppo dei Trenta
Il 2013, quando Rajan passa dagli uffici direttivi del Fondo Monetario a Washington alla massima poltrona della banca centrale indiana, è anche l’anno in cui viene fondata la “Better Than Cash Alliance”. Appena insediatosi, il nuovo governatore si china sui problemi dei poveri: crea nella Reserve Bank of India un “ “Committee on Comprehensive Financial Services for Small Businesses and Low Income Households”, per le famiglie a basso reddito e i piccolissimo commercio. Una impresa umanitaria, come sempre fanno i globalismi. E chi mette a capo di questo committee? Nachiket Mor, banchiere, quello che abbiamo visto diverrà capo della Gates Foundation per l’India. Naturalmente lo scopo è di “promuovere l’inclusione dei poveri e delle aree rurali” attraverso…. l’abolizione del contante. Nel Committee figurano, di conseguenza, filantropi come un ex amministratore delegato di Citigroup, l’agenzia indiana di rating CRISIL posseduta da Standard & Poor’s, la National Payment Corporation of India, ossia l’organizzazione di tutti i servizi di pagamento digitale, eccetera.

Si noti: nel triennio in cui Rajan, prestato da Washington, è stato governatore della banca centrale, è stata amatissimo dal settore finanziario, per il quale ha scatenato la deregulation, ma detestato dagli imprenditori dell’economia reale, gli industriali, per la sua politica monetaria estremamente restrittiva. A giugno, è stato attaccato da un ex ministro del commercio e membro del partito al potere, Subranian Swamy: “Il suo pubblico favorito era l’Occidente, e in India, la società occidentalizzata e trapiantata”. Disse Swamy. Allora Rajan ha annunciato che non avrebbe più cercato un secondo mandato. Il suo compito era finito: già nel maggio la sua banca centrale aveva annunciato la stampa delle nuove banconote da 2000 rupie, che avrebbero sostituito quelle da 500 e 1000, che sarebbero state tolte dalla circolazione entro dicembre. Erano i tagli usati dal brulichio della micro-economia indiana, l’86% del circolante.

L’improvvisa sparizione di tali banconote ha prodotto un vero e proprio infarto dell’economia informale, quella di cui campa quasi un miliardo di indiani. C’è il sospetto che questo fosse uno degli scopi del banchiere centrale; nei giorni della crisi, in cui non si trovavano banconote da 100 e 500 e si allungavano le file di disperati che andavano nelle banche a depositarle per avere i tagli da 2000, i supermercati “moderni” erano benissimo forniti nei loro bancomat interni – praticamente distruggendo la concorrenza della piccola economia in nero.

Ma per Visa, Mastercard, i fornitori di servizi digitali, Microsoft, DELL, Citi eccetera l’operazione invece è stata un successo se l’imposizione del no-contanti è riuscita in India (il costo umano per costoro non conta, è noto) riuscirà ancor meglio in Europa, dove la classe dirigente è guadagnata al progetto e la cittadinanza è passiva. In india, il traumatico passaggio alla società senza contanti per tutti gli operatori economici che si possono permettere un POS, e che prima anch’essi operavano in contanti, è stata una dura lezione che non dimenticheranno. Forse il governo Modi cadrà, travolto dal malcontento popolare; ma che importa agli strateghi? Sono tornati alle loro cattedre di Washington, alle loro poltrone transnazionali. Rafforzati da quest’esperimento, accelereranno la espansione totalitaria della cashless society a tutti noi.

Il racconto di cui sopra ci ha consentito di intravvedere che la spinta all’abolizione del contante, la sua promozione globale, viene appunto da Washington. I motivi sono palesi e numerosi. Sono le grandi compagnie Usa a dominare il business del pagamenti digitali e dell’IT su scala mondiale. Il potere politico-economico che iene dalla possibilità di sorvegliare tutti i pagamenti nazionali e internazionali, che avvengono tramite banca, offre un bel campo d’azione alla Cia e alle altre agenzie americane di spionaggio (anche industriale). Essendo il dollaro la moneta di riferimento mondiale, di fatto chiunque – individuo, impresa o paese – che partecipa all’economia senza contanti si trova soggetto alle leggi americane e non a quelle del diritto internazionale; ancor più di quanto lo siamo adesso – e come si vede dalle multe che gli Usa impongono su Volkswagen, Deutsche Bank, Fiat Chrysler o qualunque banca estera che faccia – poniamo – transazioni con un paese a cui l’America ha imposto sanzioni. Ditte europee che hanno commerciato con l’Iran sono state escluse dal sistema finanziario internazionale, basato su trasferimenti cashless: non possono più pagare nemmeno le compagnie di autotrasporti e logistiche che possano portare le loro merci ad altri clienti. Ad altre banche viene tolta la licenza per operare in Usa, il che significa la morte.

Ovviamente, il progetto di dominio totale ha volonterosi complici nel sistema creditizio e finanziario. Ingolosito dalle commissioni che potrà estrarre da ogni minima transazione – quelle che sfuggivano al tributo bancario – per miliardi. Ma ancor più attratto dal fatto che, nella società senza contanti, diventa invisibile l’insolvenza delle banche: l’insolvenza fondamentale della banca che crea denaro dal nulla indebitando, l’insolvenza delle banche schiacciate dai cattivi crediti concessi ai compari, amici e complici (come ha mostrato la MontePaschi). Non saranno più possibili corse agli sportelli; le più criminose operazioni saranno impunite. Le banche centrali inietteranno cifre spettralmente illimitate – tutti i poteri si saranno sottratti al giudizio degli esseri umani.
 
orizzonte 48


























domenica 15 gennaio 2017
POVERTA' ASSOLUTA E POVERTA'...DI RISCHIO (molto attuale): LA FINE DELLA DISCIPLINA DELLA "MOBILITA" E IL REDDITO DEFLATTIVO DI INCLUSIONE [/paste:font]

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Questo nuovo contributo di Sofia mette in connessione i due aspetti salienti del fallimento, inevitabile e purtroppo inarrestabile, del paradigma economico neo-liberista, dettato dalla moneta unica: la distruzione di reddito e ricchezza trova il suo pendant simmetrico nella povertà conseguente alla mutata condizione del lavoro.
Fatti e dati economici confermano sempre più questo degenerare della situazione economica e sociale: i provvedimenti che si prendono risultano, in ossequio a un fideismo per cui la cura non può altro che consistere in "ulteriori dosi dello stesso veleno", aggravare la situazione.
Senza che nessuno dei "decidenti" paia in grado di comprendere e di trovare un modo per uscire da questa situazione: ormai divenuta insostenibile...

1. All’inizio del 2015 (in contrasto con i dati che erano appena stati pubblicati dalla banca d’Italia) il Premier Renzi sosteneva: "In un tempo di crisi le famiglie italiane hanno visto crescere i propri risparmi, passati da 3,5 a 3,9 triliardi di euro dal 2012 al 2014". Senza neppure comprendere il significato di questi dati.
In realtà si era trattato, come evidenziava lo studio di Bankitalia (sui dati disponibili al quel tempo più recenti) di una transitoria preferenza della liquidità resa necessaria dal costante calo della ricchezza patrimoniale delle famiglie, generato dall'intensa austerità fiscale imposta dall'UEM per salvare l'euro, e che vedeva un saldo netto complessivo negativo; questo era, anzitutto, imputabile al drastico calo dei prezzi immobiliari, e al sudden stop degli acquisti relativi, che ha determinato l'attesa nella spesa del risparmio monetario in attesa dell'assestamento verso il basso del prezzo degli immobili.
Ma tale risparmio "difensivo" era anche dovuto alla previsione del dover ricorrere ai propri (residui) risparmi per fronteggiare sia l'attesa dell'aumento costante della pressione fiscale, sia l'aspettativa di insolvenza dei propri debitori, sia la diminuita capacità di pagamento legata alla propria stessa situazione reddituale (ad es; clienti di micro e piccole imprese e liberi professionisti, ovvero, imprese fornitrici, e invano creditrici, sia dello Stato che delle PMI che, però, dovevano fronteggiare aumenti della tassazione, potenziali insolvenze fiscali, o il pagamento, a loro volta, dei rispettivi fornitori).
1.1. D'altra parte, al di là di questa congiunturale preferenza per la liquidità, non si vede come l'effettivo risparmio, cioè il reddito non consumato, potesse essere aumentato, in termini quantomeno "reali" (cioè al netto dell'inflazione) con questi dati relativi al reddito e all'aumento delle passività delle stesse famiglie (un dato, tutto dovuto all'assetto della moneta unica, senza precedenti nella storia italiana):
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Dati che trovano appunto riscontro nell'andamento della ricchezza complessiva delle famiglie, indipendentemente dalla considerazione come "risparmio" del solo contante posteggiato nei depositi bancari:
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2. In ogni caso i dati ISTAT più recenti mettono in evidenza la riprova sociale dell'altra faccia di questa drastica diminuzione di reddito e ricchezza-patrimonio: un aumento del livello di povertà della popolazione e non certo un arricchimento (almeno nel senso implicato da Renzi).
Gli ultimi dati ISTAT 2015 su condizioni di vita e reddito stimano che il 28,7% delle persone residenti in Italia sia "a rischio di povertà o esclusione sociale" ossia 17 milioni 469 mila persone; coloro che vivono in famiglie gravemente deprivate sono l’11,5%.
La condizione di diversità tra persone "a rischio povertà", cioè che vivono di espedienti e "non arrivano alla fine del mese" (senza ricorrere ad altro indebitamento o alla carità, pubblica o privata: figuriamoci se sono in grado di risparmiare), e "povertà conclamata" (ascrivibile a circa 4.6 milioni di persone), risiede essenzialmente, nella quantità di fame e di malattia irrisolvibili, che nel secondo caso, devono affidarsi esclusivamente, e senza alternative, all'assistenza pubblica e privata. E quest'ultima, comunque, com'è ben noto, non è certamente in grado di apprestare una via d'uscita dalla condizione di indigenza (irreversibile).

3. Come del resto anticipato anche nel libro Finanziamenti Comunitari – Condizionalità senza frontiere, gli obiettivi prefissati dalla Strategia Europea 2020 (entro il 2020 l'Italia dovrebbe ridurre gli individui a rischio sotto la soglia dei 12 milioni 882 mila) non saranno raggiunti proprio perché la popolazione esposta a tale "rischio" (per la verità piuttosto concreto e attualizzato, almeno rispetto agli standards di un paese appartenente alle c.d. "nazioni civili") è ancora «superiore di 4 milioni 587 mila unità rispetto al target previsto».
I dati settoriali, poi sono a dir poco inquietanti perché al Sud quasi quasi la metà dei residenti (!!!) risulta a rischio povertà o esclusione sociale, con una percentuale del 46,4%.
Inoltre nella graduatoria dei Paesi dell'Ue «l’Italia occupa la sedicesima posizione assieme al Regno Unito».
In questa situazione il 20% più ricco delle famiglie percepisce il 37,3% del reddito equivalente totale; il 20% più povero solo il 7,7% e se questa diseguaglianza è andata aumentando negli anni il merito è proprio delle politiche europee che predicano pace e benessere per tutti.

3. Un modo per migliorare questi dati sarebbe stato quello di fare politiche del lavoro per l’aumento dell’occupazione (effettiva, cioè stabile e dignitosamente retribuita).
Il Governo Renzi aveva promesso miracoli con il jobs act.
Eppure anche su questo piano piovono smentite su ogni fronte, perché il jobs act non ha affatto aumentato l’occupazione ma, associato alla (ulteriore) modifica dell’art. 18, ha solo contribuito ad aumentare il precariato.
LʼOsservatorio sul precariato (INPS) segnala (ma i dati sono confermati anche dall’ISTAT) che i contratti a tempo indeterminato sono il 32,9% in meno rispetto al periodo corrispondente del 2015.
Scendono anche quelli le assunzioni da parte dei datori privati: -8%, mentre crescono i licenziamenti del 31%. Nei primi otto mesi del 2016 i c.d. voucher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, sono aumentati del 35,9%. Nell’identico periodo 2015 rispetto al 2014, erano aumentati del 71,3%.

4. Mentre si delinea in senso crescente questo stato di cose, che registra in modo oggettivo le tendenze reali innescate dal jobs act, è di qualche giorno fa la notizia che si vorrebbe risolvere il problema povertà con l’introduzione del “reddito di inclusione”.
Ed infatti il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina sostiene: "Noi dobbiamo rispondere all'appello lanciato giorni fa da "Alleanza contro la povertà".
A parte il fatto che Martina richiama i soli dati ISTAT in base ai quali i poveri "assoluti" sarebbero 4,5 milioni, - mentre invece abbiamo visto sopra che la condizione di "povertà relativa", (di per sè allarmante e non tollerabile in un paese democratica e a capitalismo "avanzato"), sono oltre 17 milioni-, egli smentisce che si tratti di una manovra di conquista elettorale. Ritiene invece che "Si tratterà di un sostegno finanziario non assistenziale, che dovrà rispettare determinati criteri e che coinvolgerà nella prima fase famiglie con minori” che ammonta a circa 400 euro mensili.
Dal che desumiamo che se si abbiano a disposizione più di 400 euro mensili, il problema povertà diviene tale che lo Stato non se ne prende cura o, il che è lo stesso, che, a causa dei "vincoli di bilancio assunto verso l'Unione europea", un intervento "non ce lo possiamo permettere" (come ironizzava Keynes, stigmatizzando una situazione passata del tutto analoga all'attuale e parlando dell'incubo del contabile).

5. Tuttavia, Martina omette qualunque riferimento alla copertura necessaria per una manovra del genere, che tenga conto dell’obbligo del pareggio di bilancio introdotto in Costituzione (art. 81) e delle sempre incombenti misure di correzione fiscale, dettate dalla Commissione UE, in senso "austero", che comunque questo stesso governo dovrà in qualche modo adempiere (con un ulteriore inasprimento fiscale che non potranno che aumentare il "rischio povertà" e la "povertà assoluta").
E comunque del reddito minimo e di cittadinanza, della inutilità di queste misure, di come esse siano - nella migliore delle ipotesi - solo un sedativo delle masse e uno strumento di deflazione salariale si è ampiamente parlato qui, qui, qui, qui e - con riferimento alla non conformità di tali misure alla Costituzione- qui e ancora qui.
Degli effetti che produce l’introduzione di un salario minimo o, in stretta connessione, un "reddito di inclusione" generalizzato (per modo di dire), con il già avvenuto simultaneo smantellamento di una misura, con finalità ben più logiche e mirate, come la c.d. mobilità pure, si è ampiamente detto; si era infatti chiarito che (riferendoci al salario minimo) “è un espediente per abbassare i salari di "entrata" allo stesso livello degli assegni di sostegno, per eliminare la cassa integrazione e, nello stesso tempo, per risolvere problemi legati alle procedure di mobilità”.

6. E non è un caso, quindi, che si parli di "reddito di inclusione" proprio in parallelo alla disattivazione, a partire dal primo gennaio, della procedura di mobilità. Scompare, infatti, così come previsto dalla legge 92/2012 (art. 2 comma 71), la mobilità introdotta dalla legge 223/1991, e, con essa, una qualche sicurezza per il futuro di 185mila impiegati nel settore manifatturiero che ne usufruivano. Ai quali si vanno ad aggiungere gli 86mila in cassa integrazione e le migliaia dell'indotto.
Dal primo gennaio non esiste più l’indennità di mobilità, l’ammortizzatore sociale che in caso di licenziamenti collettivi accompagnava nel modo meno traumatico possibile il passaggio alla disoccupazione vera e propria o, nelle storie più fortunate, era il ponte verso un nuovo posto di lavoro.
L’indennità di mobilità, dal 1° gennaio 2016 viene corrisposta per un massimo di dodici mesi per le due prime fasce di lavoratori fino a 40 e 50 anni per salire a diciotto mesi per gli over 50: questo avviene nelle aree del centro nord mentre nel meridione l’indennità di mobilità e’ pari a 12 mesi per i soggetti fino a quarant’anni, sale a 18 mesi per quelli fino a 50, mentre per coloro che superano tale età diviene di 24 mesi.
Questo striumento sarà sostituito, man mano che andranno ad esaurirsi i periodi di mobilità in essere, dal combinato disposto di altri e "nuovi" ammortizzatori sociali: la Naspi in primis, che rappresenta una copertura ridotta, correlata alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni e che prescinde dall’età e dal luogo di residenza dell’interessato (la modifica definitiva è intervenuta con il D.L.vo n. 148/2015).
E si tratta di misure che riguarderanno, solo per citare i casi più corposi, gli operai dell'Ilva, della Lucchini di Piombino, dell'Alcoa di Portovesme, ma anche dell'Hp, dell'Italtel, della Linka-Compel, della Nokia, della Whirpool-Indesit, dell'Electrolux e molti altri.

7. Occorre ricordare che la mobilità, dopo la riforma Fornero del 2012, aveva una durata massima di 48 mesi e prevedeva l’erogazione di un importo pari al 100% per il primo anno e all’80% dal tredicesimo mese in poi - entro i massimali previsti in ogni caso-, della retribuzione effettivamente in godimento.
La Naspi disciplinata dal decreto legislativo n.80/2015, invece, è corrisposta per un massimo di 24 mesi; e ne hanno diritto i lavoratori con almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni e almeno 30 giorni di lavoro effettivo nell’ultimo anno che precede l’evento di disoccupazione. L’ammontare dell’ammortizzatore in esame si ottiene sommando gli imponibili previdenziali degli ultimi 4 anni, dividendo il risultato per le settimane di contribuzione e infine moltiplicando il tutto per 4,33 entro un massimale di 1300 euro. L’importo, però, viene ridotto del 3% a partire dal quarto mese di fruizione, secondo i criteri messi in evidenza dalle circolari INPS n. 94 e n. 142 del 2015.
Sia l’accesso alla NASPI che all’indennità di mobilità, nel momento in cui sarà pienamente operativo il sistema ipotizzato, con l’ANPAL, dal d.lgs n. 150/2015, saranno condizionati dalla partecipazione a programmi di riqualificazione professionale susseguenti alla sottoscrizione di specifici programmi con i servizi per l’impiego.

8. In forza di tale meccanismo, e considerata la già vista situazione occupazionale italiana, e l'ormai consolidato prevalere della deflazione salariale connessa alla dilagante precarizzazione, si avrà la conseguente impossibilità di rifiutare proposte di lavoro pena la perdita del sostegno economico.
Ma a quale soglia di impoverimento reddituale si attualizzerebbe questa prospettiva di perdita del sussidio NASPI (entro i 24 mesi massimi di sua fruibilità)?

Laddove andasse in porto la proposta del reddito di inclusione, sarà praticamente automatica la fissazione del tetto di retribuzione "non rifiutabile" in misura almeno equivalente al reddito di inclusione di circa 400 euro. Con la conseguenza che coloro che non vogliono perdere la NASPI saranno costretti ad accettare posti di lavoro retribuiti come il reddito di inclusione ed anche meno: si è visto, infatti, che non è ammessa la facoltà di rifiutare lavori, soprattutto se sono qualificati socialmente utili.
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Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.




9. Tra l’altro la mobilità non era una misura utile ai soli lavoratori per tamponare le conseguenze reddituali e occupazionali di situazioni di difficoltà aziendale, ma anche per le aziende stesse.
Costituiva, infatti, uno strumento che consentiva di ripartire tra l’impresa e lo Stato gli oneri della disoccupazione momentanea, in linea con le tutele del lavoro previste in Costituzione.
Ma non solo.
La legge sulla mobilità conteneva delle misure, incentivanti all’assunzione, molto diffuse e questo, probabilmente, farebbe comprendere le ragioni per cui se ne è voluta l’abolizione.
Va, infatti, ricordato, che la legge 223/1991 agevolava sia le occasioni di impiego con contratto a termine, sia gli inserimenti più stabili nel mondo del lavoro, con assunzioni a tempo indeterminato.
In entrambe le fattispecie, la norma prevedeva che la contribuzione a carico dei datori di lavoro che assumessero i lavoratori in mobilità, fosse dovuta nella misura prevista per gli apprendisti.
Diverso era l’arco temporale di spettanza: 12 mesi per le assunzioni a tempo determinato, a cui si aggiungono altrettanti in caso di trasformazione a tempo indeterminato; 18 mesi nelle ipotesi di assunzione con un contratto a tempo indeterminato.
L’agevolazione competeva anche per le assunzioni part-time.
La medesima legge, inoltre, prevedeva, la concessione di un ulteriore “bonus” nel caso di assunzione/trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine (in entrambi i casi a tempo pieno). Ove, infatti, le "trasformazioni" stesse riguardassero lavoratori aventi diritto all’indennità di mobilità, al datore di lavoro era corrisposto un contributo mensile, consistente nel 50% della prestazione che sarebbe toccata al lavoratore se non fosse stato assunto.

10. Con le modifiche introdotte dal 2017, invece: fino al 30 dicembre 2016, per le aziende rientranti nel relativo campo di applicazione, sarà possibile collocare in mobilità i lavoratori sia dopo un periodo di Cigs (articolo 4, legge 223/91), sia a seguito di licenziamento collettivo (articolo 24, legge 223/91); le aziende che attiveranno assunzioni di questi lavoratori entro la fine del 2016 potranno contare, nel rispetto dei principi generali, sugli incentivi di legge.
Occorre, tuttavia, ricordare che, mentre le assunzioni a tempo indeterminato effettuate entro il 31 dicembre 2016 potranno beneficiare dell’intero periodo di durata dell’agevolazione (18 mesi) (cioè di decontribuzione delle assunzioni dei lavoratori in mobilità), quelle "a termine" che sconfineranno nel 2017 non potranno essere né prorogate (con i benefici decontributivi), né trasformate a tempo indeterminato fruendo degli incentivi previsti dall’articolo 8 della legge 223/91 in quanto la norma, come già anticipato, sarà abrogata dal 1°gennaio 17.
In ultima analisi: dal 31 dicembre 2016 i lavoratori non potranno più essere collocati in mobilità, in quanto l’iscrizione nelle liste decorrerebbe dal 1° gennaio 2017, giorno successivo alla data di licenziamento; dal 1° gennaio 2017 non potranno essere premiate le assunzioni effettuate con riferimento a soggetti iscritti entro il 31 dicembre 2016, in conseguenza del venir meno delle relative norme incentivanti.

11. L’impossibilità di accedere alle misure agevolate si rifletterà anche sui contratti di apprendistato professionalizzati instaurati con lavoratori che fruiscono della mobilità. Dalla medesima data, con questa tipologia contrattuale, sarà possibile assumere solamente lavoratori beneficiari di un trattamento di disoccupazione; per costoro - tra l’altro - da un anno e mezzo l’Inps dovrebbe dare specifiche istruzioni.
Inoltre i lavoratori, iscritti nelle liste fino al 31 dicembre 2016, continueranno a fruire della prestazione per il periodo di tempo spettante come rimodulato (in peius) dall’articolo 2, comma 46 della legge 92/12; al sopraggiungere di un’assunzione a tempo indeterminato che comporterà la perdita dell’indennità di mobilità, il datore di lavoro – artefice del nuovo rapporto - dal 2017 non potrà fruire degli incentivi previsti dalla legge 223/91.
Insomma, siamo di fronte all’ennesima cronaca degli effetti prodotti da politiche combinate di tagli alla spesa pubblica con effetti generalizzati sui redditi, sia del settore pubblico che privato, con conseguente restrizione della domanda interna, deflazione salariale e liberalizzazione del lavoro, smantellamento/svuotamento di ogni forma di welfare, in perfetta rispondenza ai diktat europei per la neutralizzazione della nostra carta Costituzionale.
E la povertà, o anche solo il (molto concreto) "rischio" di finirci dentro, non potranno che aumentare.
 

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