Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

Ed ora veniamo ad EUROCLEAR:


Assemblea Nazionale (Francia), undicesima legislatura, Documento n. 2311

Missione d'informazione comune sugli ostacoli al controllo ed alla repressione della delinquenza finanziaria ed al riciclaggio dei capitali in Europa


Presidente: Vincent PEILLON

Relatore: Arnaud MONTEBOURG


Audizione di Pierre FRANCOTTE, Direttore generale di Euroclear Bank (estratto del verbale della seduta del 24 aprile 2001)


(....)

Pierre FRANCOTTE: (...) Nel gruppo Euroclear - Parigi e Bruxelles - trasferiamo valori attivi per 82.000 miliardi di euro all'anno. Presso Clearstream, si tratta di circa 30.000 euro all'anno, ossia relativamente meno. Due centrali di compensazione, in Inghilterra ed in Svizzera, si sono consociate in un accordo che rappresenta 63mila miliardi di euro. Un certo numero di altre istituzioni rappresentano cifre dello stesso ordine di grandezza. E' importante sottolineare che queste cifre impallidiscono di fronte ai trasferimenti quotidiani sul mercato Forex, per esempio, che è dieci volte più imponente. Si tratta più o meno dello stesso ordine di grandezza, ma un po' inferiore, forse del 20%, rispetto ai movimenti su TARGET che è il sistema di connessione tra le banche centrali europee che permette i movimenti di pagamento puro, senza contropartita in titoli, tra le banche centrali, sia a livello nazionale che transfrontaliero.

(...)

Che cosa è accaduto presso Euroclear? Poco a poco il principio di una lista di conti pubblicati si è sviluppato poiché i nostri clienti trovavano utile che le loro controparti abituali potessero rapidamente controllare o identificare, in un libro aggiornato regolarmente, i conti verso i quali essi potevano effettuare dei trasferimenti. Si tratta di una agevolazione operativa che si è realizzata con la pubblicazione di questa lista. In seguito, sono apparsi dei conti non pubblicati su richiesta scritta dei clienti. Senza tale richiesta, la regola prevede solo dei conti pubblicati. Abbiamo interrogato un certo numero di clienti e sono emerse due motivazioni principali. La prima, riguarda un certo numero d'istituzioni che amano conservare una confidenzialità sul fatto che esse intervengono, in particolare le banche centrali. Occorre sapere che Euroclear è probabilmente la centrale di compensazione privilegiata dalle banche centrali. Più di trenta banche centrali mondiali ci utilizzano per le loro attività, principalmente per l'investimento del loro portafoglio di riserve. Piuttosto che conservarle nella cassaforte, esse lo investono normalmente in titoli di stato di altri paesi. Ma è necessario che esse si rivolgano ad un intermediario e, spesso, si rivolgono a noi. Come regola generale, le banche centrali sono molto preoccupate di non dire presso chi lavorano poiché subirebbero una pressione politica per aprire dei conti presso tutti quanti. Io non posso affermare che tutte le banche centrali sarebbero a loro agio all'idea di aprire dei conti in tutte le società di compensazione esistenti. La seconda ragione attiene al fatto che le banche centrali utilizzano spesso questi conti per realizzare delle operazioni relative alla loro politica monetaria. Esse possono allora adottare delle precauzioni per evitare che le loro controparti possano capire la loro posizione di banche centrali in termine di banche di riserva per sostenere la moneta locale o, al contrario, acquistare delle riserve per il caso inverso. Esse si preoccupano di evitare che chicchessia, sapendo che si tratta di banche centrali, possa tentare di fare delle analisi potendo osservare le tendenze su varie settimane o vari mesi. Le banche centrali e anche un certo numero di altre istituzioni molto attive nel trading - alcune banche d'investimento molto guardinghe sulle loro tendenze in materia - preferiscono certamente evitare che le loro controparti possano indovinare quello che esse fanno.

(....)

Il Presidente: Quanti conti avete, pubblicati e non?


Pierre FRANCOTTE: Abbiamo in tutto 1.864 clienti ed un totale di 6.880 conti di cui 4.376 sono non pubblicati, ossia i due terzi, e 2.504 sono pubblicati.


Il Presidente: Questo vuol dire che tutti i conti non pubblicati sono legati ad un conto pubblicato e che si tratta di sottoconti?


Pierre FRANCOTTE: Abbiamo circa 140 conti per dei clienti che non hanno nessun conto pubblicato. In gran parte si tratta di banche centrali. E' perché queste preferiscono che non si sappia assolutamente che esse utilizzano quei conti.


Il Presidente: Ci sono dunque dei conti che non appaiono da nessuna parte. Sarebbero quei 140 conti che, secondo voi, appartengono alle banche centrali.


Pierre FRANCOTTE: E' così! Non ci sono solo delle banche centrali, ma si tratta soprattutto di banche centrali, come anche di altri clienti che non vogliono risultare come utilizzatori del sistema Euroclear. Questo significa che generalmente la controparte non li vedrà nella sua lista. Ma questo non vuol dire che essi siano segreti per altre necessità.

(...)

Il Relatore: Avete parlato di una reazione delle vostre autorità di controllo in Belgio. Avete conoscenza di reazioni simili da parte dell'autorità di controllo lussemburghese verso Clearstream?


Pierre FRANCOTTE: Non conosco se non quello che ho letto sui giornali e quindi non ho informazioni supplementari. Ho letto che il Ministro delle Finanze e la Banca Centrale del Lussemburgo avevano organizzato una riunione ad altissimo livello, nei giorni seguenti. C'era la notizia che la Banca Centrale del Lussemburgo vi avrebbe dato seguito. Non ne so niente di più
 
associazione di idee
Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
Scritto il 06/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.
Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.
Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».
Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.
La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».
Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».
Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».
Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.
Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.
Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.

Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.

Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.
 
Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».

Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.

La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».

Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».

Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».

Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.

Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.

Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.

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10 gen 18:31
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società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.






























domenica 8 gennaio 2017
CHI PUO' PERMETTERSI DI DIRE LA V€RITA' "ALLA CITTADINANZA" (MAI AL "POPOLO")? [/paste:font]


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1. Non siamo noi che battiamo il ferro finché è caldo: è la tumultuosa (e per ESSI "sorprendente") realtà che lo surriscalda, e porta un intero sistema a smartellare (in preda alla confusione se non al panico).
Un sistema il cui vertice (cultural-mediatico, naturalmente pop), già da un pezzo si interroga sui populismi e, in effetti, non sa come rispondersi, perché...non lo può semplicemente fare, a pena di avviare un processo di autoimputazione.
Facciamo un esempio che, in termini di establishment cultural-mediatico italiano è piuttosto rilevante: Mucchetti, un autorevole commentatore e esponente politico, che abbiamo già incontrato su questo blog, riflette sull'agonia dell'idea portante, di fusione di partiti a vocazione maggioritaria, che ha animato la fondazione del partito democratico.
Interessante il rilievo critico di premessa:
"Il Pd non ha aperto ancora alcuna discussione né sulla sconfitta al referendum del 4 dicembre né sulle precedenti, fallimentari elezioni amministrative".
Quindi ripercorre un po' di storia delle alleanze a sinistra e dei meriti di un passato prodiano:
"il primo governo Prodi avviò le privatizzazioni e le liberalizzazioni, varò le Autorità indipendenti, tagliò il debito pubblico certo grazie ai tassi calanti (come adesso, del resto) ma anche grazie alla riduzione del costo del lavoro delle pubbliche amministrazioni pari a due punti di Pil, introdusse criteri di gestione meritocratici (poi svaniti nella successiva execution), congelò la dinamica del costo del lavoro nel settore privato attraverso la concertazione e portò l'Italia nell'Euro contro tutte le previsioni".

2. Da ciò emerge, inequivocabilmente, che il metro di ricognizione dei "meriti" stessi sia, tutt'ora, ancorato ad una scala di valori che definisce un paradigma al cui vertice c'è "l'entrata nell'euro".
E con ciò, si rende assiologico tutto lo strumentario funzionale a tale valor€ supr€mo che, a sua volta, implica la "virtù" della società "riformata", al passo con la sfida della globalizzazione e l'inevitabile e indiscutibile esigenza di de-sovranizzare uno Stato il quale, in sè, non può che essere un "peso", un elemento retrivo e negativo.
Infatti, il debito va tagliato; la spesa pubblica, meglio ancora se nelle voci riguardanti il costo del lavoro delle pubbliche amministrazioni, altrettanto; il costo del lavoro? Ma va congelato! Altrimenti quale mai altra può essere la chiave verso l'aumento della produttività e della sua compagna, immancabilmente "pacifista", la "competitività"?
La realtà storica dei dati e indicatori macroeconomici italiani, stressati (almeno dai gloriosi t€mpi di Prodi) da questo paradigma valorial€, non conferma l'ipotesi "m€ritocratica": anzi la smentisce in modo drammatico, ma non importa.

3. Poi, però, diviene praticamente impossibile capire le cause profonde della crisi politica, (non solo italiana), prescindendo dalla struttura economico-sociale che si è voluta ri-plasmare in un modo in cui si continua incrollabilmente a credere.
E infatti Mucchetti, per spiegare "meglio" la crisi politica, cioè un effetto sovrastrutturale (per definizione) ricorre a un elenco non di cause, bensì di effetti, confermando che l'inversione del meccanismo causa/effetto (qui p.8) è il carattere essenziale dell'eurostrabismo a vocazione (sovra)internazionalistica.
Il brano che stiamo per citare non esaurisce tutto il complesso ragionamento svolto da Mucchetti, ma rimane fortemente indicativo della "inversione" che caratterizza la (pur intelligente, all'interno di questa paralogica inesorabile) critica costruttiva di Mucchetti:
"...Salvati non nasconde la nostalgia per la riforma costituzionale bocciata dagli italiani, che l'aspettavano, così diceva l'ex premier, da 70 anni. Nostalgia per il rafforzamento della governabilità che ne sarebbe derivato.
Mi chiedo se la governabilità, bandiera in verità non nuova essendo stata sventolata da Bettino Craxi almeno trent'anni fa, vada perseguita a qualunque costo. Se constatiamo come i populismi avanzino anche in Paesi con sistemi istituzionali più solidi ed efficienti del nostro proprio sul piano della governabilità, allora non possiamo non riconoscere come la crisi delle democrazie occidentali dipenda da altre ragioni, diverse dalla presunta insufficienza dei poteri del governo entro i confini dello Stato. Come dipenda da ragioni più profonde e più contemporanee: per esempio, dall'atomizzazione degli individui e dalla ricostruzione di nuove tribù d'opinione favorite dalle tecnologie internettiane. Come dipenda dalla globalizzazione finanziaria che depotenzia la politica nazionale e ha ormai provocato il divorzio del risparmio dagli investimenti nei luoghi dove la gente genera - meglio, ha generato - il risparmio; dalla globalizzazione del diritto che, lo spiegò perfettamente Sabino Cassese, ha disintermediato i parlamenti e perfino i governi a favore di burocrazie senza patria; dal declino delle ideologie laiche e delle religioni cristiane; dall'andamento delle disuguaglianze di reddito e di speranza e, soprattutto, della loro percezione all'interno delle diverse comunità
".

4. Notevole come il vero senso del mito della governabilità, e la sua radicale estraneità alla democrazia sostanziale, cioè alla struttura dei rapporti di forza riequilibrata verso il lavoro; il "facciamocome" imitativo delle "altre democrazie"; l'individualismo metodologico; il liberoscambismo globale; la de-sovranizzazione statuale e la prevalenza del diritto internazionale privatizzato, siano visti come fenomeni quasi indipendenti tra loro, vicende evolutive che "capitano", e non come le tappe e i vari epifenomeni realizzativi di un unico grande disegno: la Grande Società dell'ordine sovranazionale dei mercati, volta alla restaurazione del paradigma liberista (neo o "ordo"), che vede, nel generare la montante marea dei "perdenti" un risultato naturale, e nel marginalismo marshalliano l'unica possibile condizione di equilibrio, in cui le oligarchie riversano, sulla "perfetta" flessibilità del prezzo(costo) del lavoro, la loro ossessione patologica per l'efficiente allocazione delle risorse: "paretiana". Senza crescita (ché, ormai, la "ripresa" viene identificata con l'assenza di recessione!), ma giusta e naturale: et pereat mundus.

5. Da qui tutto un inseguire, come fa in fondo il Wolf linkato all'inizio, la definizione del nuovo "male", visto come causa, improvvisa, di impedimento ad un progresso altrimenti inarrestabile; anche se, magari, un po' "disintermediante", non tanto dei parlamenti e dei governi, quanto delle istituzioni democratiche rappresentative degli interessi pluriclasse del popolo italiano, cioè della democrazia pluriclasse (e non formale, idraulico-elettorale, cioè liberal-oligarchica): quella della eguaglianza sostanziale della nostra (la nostra!) Costituzione.
Il nuovo male, naturalmente, sono i POPULISMI. Ismi, ismi...

Ma lo smantellamento del welfare a piccole dosi (prodianamente parlando), il perseguimento dell'alta disoccupazione strutturale per "concedere", come fosse un beneficio graziosamente elargito da volenterosi "amici del popolo" (ma detto sottovoce, "popolo", per non confondersi con i populisti...), il precariato e la deflazione salariale dai mille volti (dai contratti di solidarietà, ai voucher, alle riassunzioni dei licenziati ultracinquantenni, in nuovo regime "jobs act"), possono davvero essere "curati" e con esso il "populismo", muovendo dei rimproveri a...Renzi?


6. In particolare si avanza il rimprovero di "non dire la verità alla cittadinanza".
Non sia mai che la si possa dire al "popolo sovrano", come invece scolpisce chiaramente l'articolo 1 della Costituzione, visto che, insomma, "popolo" è la radice di populismo; mentre la "sovranità", beh, è il "nemico della pace" (rimuovendo Rosa Luxemburg...e Lenin, pp.6-7; il che "a sinistra" non mi pare il massimo...) e, dunque, non è più "etico" parlarne, (specie dopo la Brexit!). Ma "rimosso" il primo e demonizzata la seconda, c'è qualcuno che può permettersi di dirla, 'sta verità, ove avesse già a lungo governato (in nome dell'euro e della sfida della globalizzazione)?

6.1. Ora, tra le soluzioni, Mucchetti indica il sistema proporzionale con adeguato sbarramento per evitare la frammentazione, "perché in Germania funziona". Ma il tutto è volto allo scopo di favorire le grandi coalizioni, "con il centro e il centrodestra costituzionali": come, come, come?
E da quando ci sarebbero anche un centro e un centro-destra "incostituzionali" e quale sarebbe il carattere discretivo? E poi: siamo sicuri che il sistema proporzionale (con sbarramento e magari un "piccolo" premio di maggioranza), contro il populismo che arriva misterioso e flambant neuf (ma davvero?), in Germania, realmente "funzioni" e possa continuare a farlo?
Non so perché, ma appare una posizione un po', come dire, wishful thinking, un espediente di auto-mantenimento al potere ad ogni costo; di certo una soluzione né stabile, nè tantomeno strutturale.

7. Su questo piano, Mucchetti fa qualche pallida concessione alla realtà (in rapido, quanto inarrestabile, deterioramento: e chissà perché):
"Le misure contro la povertà assoluta, appena annunciate dal ministro dell'Agricoltura (sarebbe toccato a Poletti parlarne, ma la concorrenza interna al partito...), non fanno mai male, e tuttavia risultano un palliativo rispetto al progetto per il Sostegno all'inclusione attiva elaborato da Enrico Giovannini e da Maria Cecilia Guerra; le prime costano un miliardo e sono coperte da una legge di bilancio che spezzetta tutto in mini provvedimenti (le "misure di sollievo" di cui sopra), l'altro e' un progetto universale, impegna e sfida le pubbliche amministrazioni nell'esecuzione e ne costa sette, di miliardi, e dunque richiede scelte di finanza pubblica coraggiose e potrebbe non pagare subito in termini elettorali, perché i destinatari spesso non votano".

8. Ma davvero inseguire il reddito di cittadinanza o il reddito di inclusione, e fare le solite scelte "coraggiose" (= tagli alla spesa pubblica) - cioè altrimenti detto, dolorose, che comprimono all'infinito il livello decrescente dei diritti..."incomprimibili"-, per costruire dei palliativi che, come ormai dovrebbe essere del tutto evidente, accelerano il problema della deflazione salariale e amplificano la diffusione della povertà, per fasce di età e classi sociali, anzicché risolverlo-, sarebbe una soluzione strutturale?
O non piuttosto una "resa" definitiva alla globalizzazione, e allo smantellamento della Costituzione, appena respinto da un pesante voto contrario del popolo ("popolo", anche se fa brutto menzionarlo)?
Non è un po' paradossale tentare di neutralizzare il dissenso che si è espresso con la difesa popolare della Costituzione (non populista, visto che s'è espresso il corpo elettorale...e non è un intruso della democrazia), attraverso la diretta e ulteriore distruzione del welfare tutelato dalla Costituzione (art.32 e 38 in relazione agli artt.1 e 4), e l'introduzione di un sedativo, che cristallizza la povertà, escogitato da von Hayek e Milton Friedman (v. qui, "Introduzione")?
"Sarebbe" sì paradossale, ma l'idea è che la Costituzione debba essere cambiata (c'è da supporre, sempre "per adeguarsi alla governance europea": what else?). E infatti: "Terza lezione: correggere la Costituzione solo laddove si registri la maggioranza dei due terzi in Parlamento così da rendere impossibile il referendum. Perché no?, mi dico facendo il cinicone".
Ma l'idea di una revisione della Costituzione che possa non essere il portato della deriva t€cnocratica della governabilità e che risulti rafforzativa della garanzia dei diritti già esistenti e che, dunque, possa reggere il vaglio di una consultatione popolare, proprio no?
No: sarebbe populismo. Il corpo elettorale, per definizione, non può capire cosa veramente gli conviene...E non proporgli sacrifici e scelte dolorose sarebbe da destra xenofoba (e populista).

8.1. In tema di scelte dolorose, di inevitabili tagli alla spesa pubblica del welfare, prodianamente parlando, non basta che qualunque governo, anche muovendosi dentro le linee "coraggiose" e il "dire la verità alla cittadinanza", debba ora fronteggiare l'abrogazione della "mobilità" e la sua sostituzione con l'esile NASPI?
Un salto nel vuoto, della disperazione, per centinaia di migliaia di lavoratori che divengono, per di più, disoccupati "ufficiali", e che si aggiungeranno, a buon diritto, con tutte le loro famiglie, alla schiera della povertà assoluta, ergo bisognosa delle insufficienti "misure di sollievo", o del controproducente e hayekiano "reddito di inclusione".

8.2. Non sarà che l'unica verità da dire "alla cittadinanza" non può che coincidere con quella enunciata dai tedeschi e ben precisata, con più drastica esplicitazione di quanto detto da Prodi, da David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank ("a fondo e repentinamente")?
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Sempre raccordato con la versione, attualizzata, del neo-realismo politico indicato da Prodi (pur sempre fiero della "€ntrata"):
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Pubblicato da Quarantotto a 08:50 22 commenti: Link a
 
Euro crisis gennaio 11, 2017 posted by Maurizio Gustinicchi
BoE: UN GRANCHIO NOSTRE CATASTROFICHE PREVISIONI SU BREXIT

Parte il THE LAST WALZ, ossia il Valzer finale delle ammissioni sugli errori di valutazione degli effetti economici di rotture di trattati o uscite da unioni monetarie.

Oggi è la volta del capo economista della Banca d’Inghilterra, Andy Haldane, il quale, dalle colonne di un quotidiano francese, fa marcia indietro rispetto alle loro erronee e malauguranti previsioni:



Questo l’articolo intero:

“Il capo economista della Banca d’Inghilterra Andy Haldane, ha ammesso di essere troppo pessimista nella sua prospettiva sulle conseguenze immediate della Brexit. Il loro studio evocava una crisi più generale delle attività.

“Abbiamo previsto un rallentamento dell’economia (non accaduto) esattamente come tutti gli altri, quasi tutti, principali previsori “.

Queste le parole pronunciate da Haldane Giovedi scorso durante un incontro pubblico.

Egli ha ammesso che il buon andamento dell’economia del Regno Unito negli ultimi mesi è stata una “sorpresa“, ed ha quindi ammesso che la sua professione ha regolarmente sbagliato negli ultimi anni, soprattutto quando non ha previsto la colossale crisi finanziaria del 2008.

NON MALE COME AMMISSIONE DI COLPA DIREI….MA TANTO NON PAGHERÀ MAI!

ESSI NON PAGANO MAI!

Ad maiora.
 
posted by Maurizio Gustinicchi
PRODUTTIVITA’ PERDUTA ED ESTINZIONE (A BREVE) DELLE NOSTRE FABBRICHE SENZA CAMBI FLESSIBILI

Ottimo studio di Federmeccanica che illustra la perdita di produttivita’ in un settore strategico come il metalmeccanico.

Cosa accade in questo settore?

Che dal 2007 al 2015 le retribuzioni dei lavoratori sono cresciute notevolmente (e molto piu’ dell’inflazione):



Questo, sia chiaro, a mio avviso e’ estremamente positivo, poiche’ significa che le retribuzioni reali sono cresciute tanto e che chi lavora nel settore dovrebbe aver migliorato la propria posizione economica del 13%.

Nello stesso periodo, pero’, le aziende, dove queste persone lavorano, ossia le fonti di produzione di tale salario, hanno avuto un notevole calo del valore aggiunto:



nella misura del 15,4%!

Ovviamente il calo non e’ imputabile al cattivo lavoro dell’operaio o dell’impiegato ma alle peggiori condizioni della competizione internazionale.

Cosa significa questo?

Che un simile trend, alla lunga, pur determinando un miglioramento microeconomico di breve per il salariato metalmeccanico, determina un peggioramento dei conti economici dell’azienda da cui questi (il lavoratore) percepisce i suoi compensi. Tale peggioramento, ricavi in calo per maggior competizione nazionale ed internazionale e costi del lavoro in aumento, originano il calo della produttivita’:



Una produttivita’ inferiore all’aumento del costo del lavoro comporta il peggioramento del principale driver di competizione internazionale: IL CLUP (costo del lavoro per unita’ di bene prodotta)

Il CLUP e’ peggiorato di ben il 19%!

E sapete perche’ di fronte ad un aumento dei salari si ha la perdita di produttivita’? Perche’ si peggiora il CLUP, perdendo competitivita’ internazionale, che non posso recuperare senza svalutazione della moneta (senza cioe’ cambi flessibili).

Non possiamo compensare i maggiori costi del personale con un incremento dei prezzi internazionali se siamo in un cambio fisso.

Il problema e’ che non possiamo neanche alzare i prezzi in Euro, altrimenti saremmo a posto. E come mai non possiamo alzare i prezzi in Euro sui mercati attuali?

Perche’ eliminando il mercato interno in un intero continente, tutte le aziende di quest’area economica possono contare su un mercato che si e’ ristretto ed e’ in deflazione (EZ) e che spinge tutti i produttori europei ad orientarsi sull’export verso gli altri continenti!

TUTTI INSIEME……E IN FEROCE COMPETIZIONE TRA LORO!

Capite l’assurdita’?

Forse non e’ chiaro, se non torniamo alla lira, ossia ai cambi flessibili, entro massimo 5 anni possiamo pure dire addio alle aziende, a tutte le aziende di tutti i settori!



Ad maiora.
 
30, 2016 posted by Maurizio Gustinicchi
MEF: SIAMO I PIU’ BRAVI ORDOLIBERISTI DEL CONTINENTE

Grazie all’amico Del Prete, il quale ha gentilmente selezionato le slide, oggi vi propongo la misura dell’ORDOLIBERISMO del MEF.

Le slide sono originali e da loro pubblicate.

Cominciamo con il Deficit:



Siamo nella media UE!



Ma è nell’erogazione dei servizi pubblici che siamo i migliori in assoluto.

Con la scusa delle rubberie e della corruzione siamo arrivati quasi ad un incremento zero!



e siccome da circa 20 anni le tasse sono a livello di soffocamento, ne esce fuori un AVANZO PRIMARIO CHE LETTERALMENTE SURCLASSA GLI AVVERSARI!

Grazie alla truffa del debito pubblico, i nostri uomini Del MEF possono gloriosamente definirsi campioni del risparmio!

Poco importa se i cittadini poi si suicidano e poco importa se si calpestano articolo 1 e 3 della costituzione. Tanto è solo un foglio!

Ad maiora.

Vedere quello che hai davanti al naso richiede una lotta costante”. (George Orwell;)
__________________
 

http://vocidallestero.it/2017/01/11/un-caso-di-scuola-nella-creazione-di-notizie-false/
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Rododak 14 ore fa Nessun commento
Un caso di scuola nella creazione di notizie false
Paul Craig Roberts ricostruisce sul suo blog Institute for Political Economy l’azione di supporto alla propaganda della CIA svolta dai media negli Usa, concentrandosi sul recente caso delle accuse alla Russia di avere interferito nelle elezioni americane attraverso azioni di hacking. Nella totale mancanza di prove, diventa essenziale il sostegno dei media, che diffondono e rendono credibili le notizie false lanciate dalle agenzie di intelligence: come gli esempi concreti portati dall’autore dimostrano con evidenza in questo caso.



di Paul Craig Roberts, 6 gennaio 2017

Per molte settimane abbiamo assistito allo straordinario attacco contro l’elezione di Donald Trump da parte della CIA e di chi la supporta al Congresso e nei media. In uno sforzo senza precedenti volto a delegittimare l’elezione di Trump come prodotto di un’interferenza russa nelle elezioni americane, la CIA, i media, nonché deputati e senatori hanno tutti all’unisono lanciato accuse spericolate, senza mai portare prove. Il messaggio della CIA a Trump è chiaro: stai in linea con il nostro programma, o ti mettiamo nei guai.

È chiaro che la CIA è in guerra contro Trump. Ma chi sostiene la CIA nei media ha rivoltato la frittata e accusa Trump di avere una visione negativa della CIA.

Prendiamo in considerazione l’articolo di Damian Paletta e Julian E. Barnes sul Wall Street Journal del 4 gennaio, che inizia così: “Il presidente eletto Donald Trump, critico severo delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti. . . ” I due “presstitutes” impostano la loro notizia falsa capovolgendo la situazione. Sarebbe Trump a essere il severo critico, e non la vittima, delle violente accuse della CIA. Una volta impostata in questo modo, la storia continua:

I funzionari della Casa Bianca sono sempre più frustrati dagli scontri di Trump con i funzionari dell’intelligence. ‘È spaventoso’, ha detto un funzionario. ‘Nessun presidente ha mai attaccato la CIA venendone fuori bene.’

Ora che la storia è che Trump sta sfidando la CIA e non che la CIA sta sfidando Trump, si può costruire l’accusa contro Trump.

Gli analisti, abituati alla maggiore coesione con la Casa Bianca, sono “scossi” dallo scetticismo di Trump sulla valutazione della CIA secondo la quale la sua elezione è dovuta a Putin. Secondo loro Trump dovrebbe rispondere alle accuse dicendo: ok, non sono legittimato. Ecco qui, restituisco la presidenza.

Assange di WikiLeaks ha dichiarato in modo inequivocabile che non c’è stato nessun hacking. L’informazione è arrivata a WikiLeaks grazie a una fuga di notizie, il che suggerisce che provenisse dall’interno del Comitato Nazionale Democratico. La posizione di Trump, secondo un funzionario non identificato, va vista così: “Per me è piuttosto orribile che lui si schieri dalla parte di Assange contro le agenzie di intelligence.” Chiaro: secondo lui Trump dovrebbe schierarsi con la CIA, che sta cercando di distruggerlo.

Ma la CIA, non si è data la zappa sui piedi? Come può l’agenzia controllare la politica manipolando le informazioni che fornisce al presidente, se il presidente non si fida più dell’agenzia?

Beh, ci sono i media, che possono essere utilizzati per controllare il racconto dei fatti e mettere alle strette il Presidente. Nel suo libro appena pubblicato, The CIA As Organized Crime (La CIA come criminalità organizzata, ndt), Douglas Valentine riferisce che dai primi anni ’50 il successo dell’operazione Mockingbird della CIA le ha direttamente consegnato nelle mani molti rispettati dipendenti del New York Times, di Newsweek, della CBS e di altre agenzie di comunicazione, oltre a molti collaboratori freelance, per un totale tra quattrocento e seicento risorse umane nei media. Ma non solo.

La CIA ha istituito una rete di intelligence strategica fatta di giornali e case editrici, così come di organizzazioni studentesche e culturali, e li ha usati come organizzazioni di copertura per le operazioni segrete, incluse operazioni di guerra politica e psicologica contro cittadini americani. In altre nazioni, il programma puntava a quella che Cord Meyer ha chiamato la “sinistra compatibile”, che in America si traduce in progressisti e persone in cerca di uno status pseudo-intellettuale, che sono facilmente influenzabili.

“Tutto questo continua, benché sia stato portato alla luce sin dalla fine degli anni ’60. Il progresso tecnologico, tra cui Internet, ha diffuso la rete in tutto il mondo, e molte persone non si rendono nemmeno conto che ne fanno parte, e che stanno supportando la linea della CIA. Dicono ‘Assad è un macellaio‘, o ‘Putin uccide i giornalisti‘ o ‘La Cina è repressiva‘. Non hanno idea di quello di cui stanno parlando, ma vomitano tutta la propaganda”.

E c’è Udo Ulfkotte, che attingendo alla sua esperienza come redattore della Frankfurter Allgemeine Zeitung ha scritto un libro in cui si riferisce che la CIA ha le mani addosso a ogni giornalista di rilievo in Europa.

Alcuni di quelli che difendono la verità sperano che il ridursi dell’influenza della stampa e della televisione controllate dalla CIA indebolisca la capacità dello “Stato profondo” di controllare la narrazione. Tuttavia, la CIA, il Dipartimento di Stato, e a quanto pare anche il Pentagono, già operano nei social media, e usano troll nelle sezioni dei commenti per screditare chi dice la verità.

I giornalisti del New York Times si sono rivelati uno strumento completamente in mano alla CIA, avallando ogni assurda accusa sull’hacking da parte dei russi nonostante la totale assenza di qualsiasi prova e addirittura di qualsiasi prova di hacking, e accusando Trump perché non credeva alle accuse infondate delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti. Di fronte agli sforzi di John Brennan e James Clapper per delegittimare la presidenza di Donald Trump, il NYTimes chiede: “Che ragione plausibile potrebbe avere Donald Trump per cercare con tanta tenacia di screditare le agenzie di intelligence americane e la loro scoperta che la Russia ha interferito nelle elezioni presidenziali?

Questa domanda produce un’altra domanda del suo stesso genere: “Che motivo plausibile potrebbe avere il NYTimes per cercare con tanta tenacia di screditare la presidenza di Donald Trump, sulla base di infondate accuse in libertà?

La notizia falsa sta proliferando. Oggi (6 gennaio) la Reuters riferisce: “La CIA ha individuato alcuni funzionari russi che fornivano a WikiLeaks materiale hackerato dal Comitato Nazionale Democratico e da leader del partito sotto la direzione del presidente russo Vladimir Putin attraverso terzi, secondo un nuovo rapporto del servizio di intelligence degli Stati Uniti, ha dichiarato giovedì un alto funzionario (senza nome) degli Stati Uniti.

Forse ciò che la Reuters intendeva dire, ma non ha detto, è questo: “I funzionari che hanno parlato a condizione di restare anonimi hanno affermato che la CIA ha individuato i funzionari russi che hanno passato le email hackerate a WikiLeaks, ma il funzionario non ha detto a Reuters quali siano questi funzionari russi né in che modo li hanno identificati “.

In altre parole, la notizia di Reuters è solo un’altra storia inventata dalla CIA – un favore fatto da uno dei supporti della CIA nei media. Come Udo Ulfkotte ci ha spiegato, è così che funziona.

Successivamente Reuters ci informa che la relazione è Top Secret, il che, naturalmente, significa che non vedremo mai alcuna prova a supporto delle accuse della CIA. L’idea è che dobbiamo avere fiducia nel fatto che la CIA è sì in possesso di queste informazioni, ma non può darcele. La Reuters lo riporta senza vederci nulla di strano. Un altro favore da un supporto nei media.

Secondo il servizievole resoconto di Reuters, il materiale hackerato era arrivato a WikiLeaks dai servizi segreti militari russi, attraverso “un percorso tortuoso”, in modo che Assange non conoscesse l’origine del materiale e quindi potesse dire che non gli era stato dato da una agenzia di stato.

Che cosa potrebbe esserci in ballo? Vengono in mente diverse cose. Forse c’è un tentativo di costringere Assange a rivelare la sua fonte (che potrebbe essere quel membro dello staff del Comitato Nazionale Democratico che è stato misteriosamente ucciso per strada), il che sarebbe un modo sicuro per mettere fuori gioco WikiLeaks. WikiLeaks non ha mai rivelato una fonte. Una volta che lo facesse, nessuna fuga di notizie raggiungerebbe più WikiLeaks.

Un’altra possibilità è che insistendo nel lanciare accuse in libertà e senza prove sul fatto che Trump è stato eletto da Putin, la CIA stia chiarendo a Trump che stanno facendo sul serio. Trump è un uomo forte, ma non stupitevi se esce da un colloquio con la CIA accettando la loro storia, visto che potrebbe essere stato condotto a capire che l’alternativa ad arrendersi alla CIA potrebbe essere la morte.

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