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L'OSTERIA DEL PENSIERO UNICO. TRUMP "DEBOLE"? LA GERMANIA NON HA ALLEATI (vuole solo servi) [/paste:font]
(tradotto in sintesi: la debolezza delle economie mediterranee all'interno della moneta unica mantiene il cambio dell'euro a un livello più basso di quello che avrebbe un marco come valuta autonoma...
Trump promette di usare il Dipartimento del tesoro USA come strumento per neutralizzare ogni Stato che manipoli la sua valuta, anche imponendo dazi difensivi e compensativi al fine di far cessare tale manipolazione...)
ANTEFATTO.
Supponiamo che nell'unica (particolare importante) osteria della città, i clienti, dopo avere più o meno abbondantemente bevuto, se ne escano invariabilmente con un forte mal di testa e vomitino lungo il cammino verso casa.
In un caso del genere (di monopolio che, sul piano politico, è l'egemonia di un pensiero unico ISTITUZIONALIZZATO), chiedere all'oste se il vino è buono, può risultare molto utile.
Infatti, conoscendo gli effetti reali (i dati) delle bevute nella "osteria del pensiero unico", si può agevolmente assumere che il vino NON è buono, (qualunque sia la sua risposta: anche se, essendo in monopolio, l'oste pensi di non rischiare nulla ad affermare, in ogni caso, che il vino sia buono).
Si tratta, in particolare, di un (ulteriore) corollario del test di Orwell (in cui domina la capacità decodificatrice, del senso effettivo di ogni proposizione, del simbolo di "negazione logica" identificato nel "not").
1- CONSEGUENZE COGNITIVE
Per fare immediata applicazione della metafora e del "metodo" interpretativo sopra ipotizzati, passiamo dunque ad analizzare le risposte date da un soggetto che, senza dubbio, può essere considerato un esponente molto rappresentativo dell'oste tedesco. Egli, infatti, interrogato, risponde che il vino tedesco (non quello italiano, ovviamente) è buono: si tratta di "Roland Berger, consigliere della cancelliera Angela Merkel", intervistato da Fubini.
Ci atteniamo a due regole interpretative:
- l'utilizzo del segno "not" nella decodificazione di senso delle proposizioni principali (sul piano fenomenologico);
- l'individuazione di tali proposizioni all'interno della melassa di "amore per l'Italia", nonché di simulata attenzione e di consueta condiscendenza verso il nostro Paese, con cui Berger infarscisce il suo discorso (avendo di fronte un intervistatore ben disposto sulla concettuologia europeista-global-liberoscambista, ovverosia il "pensiero unico").
1.1. Passiamo dunque, dando per letta l'intervista linkata, all'elenco fenomenologico delle sue reali risposte (cioè partendo dall'appurata affidabilità del suo dire, in svariate forme e versioni, che il "vino tedesco è buono"):
a) l'euro, per l'oste tedesco, è stato un successo: proprio perché si pensava (o s'è pianificato) che non si sarebbe potuta fare una politica economica e di bilancio dell'area monetaria che avrebbe condotto a risultati coordinati;
b) il bilancio attuale non è affatto negativo per la Germania, proprio perché è negativo per i paesi mediterranei, che vengono costretti, ora, a fare le stesse politiche tedesche degli "anni 2003-2004". Queste non erano legate agli oneri della riunificazione ma alla necessità di finanziare, con l'indebitamento pubblico (sforando il patto di stabilità allora vigente), politiche di aggressivo mercantilismo anticooperativo (v. punto a): ma naturalmente, è tutto legittimo secondo lui);
c) la Germania, intesa come apparato industrial-finanziario, non vuole uscire dall'euro e certamente sa che non le converrebbe, sotto il piano valutario, ma teme gli effetti di eccessivo accumulo dei suoi crediti target-2 legati al sistema monetario (per le più varie ragioni non tutte commerciali, dato l'afflusso di capitali dovuto al timore di eurobreak).
Perciò pensa che una possibile soluzione per preservarne il valore, almeno quanto ai crediti commerciali a breve, non convertibili in moneta diversa da quella usata dal "venditore" tedesco, sia uscire dall'eurozona sperando al contempo di avere così debitori più solvibili, grazie all'alleggerimento del livello di cambio di cui potrebbe fruire la "residua" eurozona, (di cui infatti, auspica il mantenimento anche senza la Germania, ma con dentro la Francia).
Si rende conto, Berger, che la Germania è divenuta un "elemento di disturbo": ma non perché ha un eccesso di surplus con l'estero (cosa che dimostra di apprezzare, in sé, e voler mantenere, stando alla risposta immediatamente successiva, in cui elogia la dipendenza dell'economia tedesca, al 50%, dalla domanda estera enfatizzando, dunque, la prosecuzione ad ogni costo della "competitività"), quanto perché sarebbe ormai difficile mantenere questa supremazia, senza eccessivi costi commerciali, nelle relazioni internazionali e politici, interni;
d) infatti, l'euro debole non è uno svantaggio per la Germania, perché gli consente di aumentare questo surplus (anche) a spese delle aree extra-eurozona; tuttavia, spiega poi molto bene, ciò scoraggia gli investimenti (interni) e l'aumento della produttività e della competitività di lungo periodo (non esclusivamente di "prezzo", cioè quella incentrata sulla qualità del prodotto).
Cioè, in pratica, la situazione di prolungato super-attivo commerciale, non consente (impunemente, sul fronte sociale interno) di proseguire, e/o di rendere sufficientemente convenienti (dato il rallentamento degli investimenti), rigide politiche deflattivo-salariali, che mantengano il vantaggio competitivo sui partners dell'eurozona.
Ciò in quanto tale prosecuzione:
- non sarebbe politicamente praticabile in una situazione di pieno impiego "tendenziale";
- non è possibile sfruttare efficacemente ancora il sistema di sotto-lavoro delle Hartz, anche a causa delle tensioni inflazionistiche (e finanziarie) che derivano dalla svalutazione dell'euro, unite al predetto pieno impiego (e alla crisi demografica che provocano sempre le politiche deflazioniste prolungate);
- infine, le politiche (deflattivo-salariali) di sostituzione etnica della forza lavoro perseguite dalla Merkel con l'apertura delle frontiere all'immigrazione, poi ritrattata senza alcuno scrupolo (v.p.2), si sono rivelate un costo politico-sociale troppo alto.
E comunque, com'è noto, basare la competitività solo sulla deflazione salariale, e quindi sul "prezzo", spiazza gli investimenti dal capitale produttivo, e dalla sua continua innovazione, alla mera intensificazione di manodopera a basso costo, innescando un ciclo auto-impoverente della competitività intrinseca del prodotto.
Dunque, non si ha una scelta migliore di quella di rivalutare il (recuperato) marco, per poter tornare a imporre (ai lavoratori tedeschi) politiche deflattive "necessitate", che consentano di mantenere e incrementare la produttività, opportunamente giustificabili col mantenimento del livello dell'occupazione in una fase di ripresa degli investimenti interni.
e) Quanto all'Italia, Berger ci dice che:
e1) il settore delle imprese private non è più ormai forte e vitale, - dato che si è asservito, principalmente come "contoterzista", alle filiere dominate dai tedeschi in posizione di price-makers. Ma il vero pericolo concorrenziale, per i tedeschi, è (tutt'ora) costituito dall'industria a partecipazione pubblica che non è altrettanto controllabile e malleabile (salvo privatizzazioni pro-investitori esteri: ma di questo non parla, a onor del vero);
e2) il problema italiano non sono la "infrastruttura burocratica" e "la giustizia che funziona male", visto che questi problemi non sono una conseguenza di una scelta politica autonoma italiana (cioè non sono dovuti a una...cattiva classe politica, dato che questa è quanto di più docile ai diktat fiscali e al perseguimento dei saldi primari - deindustrializzanti- imposti dalla Germania...pardon dall'UEM).
Questi problemi, infatti, sono esattamente la conseguenza delle politiche fiscali dettate da Maastricht in poi, acuite per mantenere in vita l'adesione alla moneta unica in favore della Germania e, quindi, non sarebbero affatto irrisolvibili con politiche fiscali conformi alla nostra Costituzione e quindi, sul presupposto della riacquistata sovranità monetaria.
Per converso, efficaci "riforme" al riguardo non sarebbero attuabili all'interno delle politiche di bilancio imposte dalla moneta unica.
Insomma, - all'insaputa di Fubini, intepretando adeguatamente le sue risposte ed usando in modo logico il test di Orwell ed il suffisso "not"-, il buon Roland ci dice in pratica che, appunto, il vino (tedesco) non è buono per l'Italia e ci indica con (indiretta ma eloquente) chiarezza quello che dovremmo fare per uscire dalla crisi.
2- COMPRENSIONE OPERATIVA DI SCENARIO
Naturalmente non possiamo pretendere che un sistema ermeneutico così...sofisticato come il test di Orwell, possa risultare, oggi, di uso comune per il sistema mediatico, e di controllo dell'opinione pubblica, dominante in Italia, che appare totalmente incapace di uscire dall'osteria del pensiero unico (ordoliberista).
Perciò non è pensabile che le indicazioni di Berger siano decodificabili e utilizzabili ex parte italiana.
Tuttavia, è possibile che qualcuna, buona parte, di queste rivelazioni indirette divengano praticamente operative in conseguenza del potenziale scenario internazionale derivante dalla linea presidenziale di Trump.
Vi sottopongo, in sintesi e in immagini, una serie di news e dichiarazioni dello stesso Trump maturate solo nelle ultime 48 ore e direttamente influenti sulle problematiche così "abilmente" trattate da Berger; nonché rivelatrici di quella che può divenire, obtorto collo, la real-politik futura della crante Ccermania.
2.1. Comincerei dalla "terrificante" (per i media mainstream) prospettiva della fine della sponsorizzazione, fondativa e propulsiva, degli Stati Uniti, per la pace e la concordia tra le nazioni europee, realizzata tramite il federalismo liberoscambista e de-sovranizzante (principalmente i parlamenti democratici nazionali):
2.2. Proseguirei con la "alta" considerazione, della neo-presidenza, per le politiche tedesche nel campo dell'immigrazione (comunque, abbiamo visto, già oggetto di u-turn con sospensione di Schengen):
2.3. Non trascurerei la questione NATO (p.5-6), (strettamente correlata storica con la storica promozione USA del federalismo europeo) e la sua "rivoluzionaria" prospettiva "finale" (peraltro niente affatto imprevedibile una volta finita la strumentale e iperaggressiva crociata contro Putin):
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(tradotto in sintesi: la debolezza delle economie mediterranee all'interno della moneta unica mantiene il cambio dell'euro a un livello più basso di quello che avrebbe un marco come valuta autonoma...
Trump promette di usare il Dipartimento del tesoro USA come strumento per neutralizzare ogni Stato che manipoli la sua valuta, anche imponendo dazi difensivi e compensativi al fine di far cessare tale manipolazione...)
ANTEFATTO.
Supponiamo che nell'unica (particolare importante) osteria della città, i clienti, dopo avere più o meno abbondantemente bevuto, se ne escano invariabilmente con un forte mal di testa e vomitino lungo il cammino verso casa.
In un caso del genere (di monopolio che, sul piano politico, è l'egemonia di un pensiero unico ISTITUZIONALIZZATO), chiedere all'oste se il vino è buono, può risultare molto utile.
Infatti, conoscendo gli effetti reali (i dati) delle bevute nella "osteria del pensiero unico", si può agevolmente assumere che il vino NON è buono, (qualunque sia la sua risposta: anche se, essendo in monopolio, l'oste pensi di non rischiare nulla ad affermare, in ogni caso, che il vino sia buono).
Si tratta, in particolare, di un (ulteriore) corollario del test di Orwell (in cui domina la capacità decodificatrice, del senso effettivo di ogni proposizione, del simbolo di "negazione logica" identificato nel "not").
1- CONSEGUENZE COGNITIVE
Per fare immediata applicazione della metafora e del "metodo" interpretativo sopra ipotizzati, passiamo dunque ad analizzare le risposte date da un soggetto che, senza dubbio, può essere considerato un esponente molto rappresentativo dell'oste tedesco. Egli, infatti, interrogato, risponde che il vino tedesco (non quello italiano, ovviamente) è buono: si tratta di "Roland Berger, consigliere della cancelliera Angela Merkel", intervistato da Fubini.
Ci atteniamo a due regole interpretative:
- l'utilizzo del segno "not" nella decodificazione di senso delle proposizioni principali (sul piano fenomenologico);
- l'individuazione di tali proposizioni all'interno della melassa di "amore per l'Italia", nonché di simulata attenzione e di consueta condiscendenza verso il nostro Paese, con cui Berger infarscisce il suo discorso (avendo di fronte un intervistatore ben disposto sulla concettuologia europeista-global-liberoscambista, ovverosia il "pensiero unico").
1.1. Passiamo dunque, dando per letta l'intervista linkata, all'elenco fenomenologico delle sue reali risposte (cioè partendo dall'appurata affidabilità del suo dire, in svariate forme e versioni, che il "vino tedesco è buono"):
a) l'euro, per l'oste tedesco, è stato un successo: proprio perché si pensava (o s'è pianificato) che non si sarebbe potuta fare una politica economica e di bilancio dell'area monetaria che avrebbe condotto a risultati coordinati;
b) il bilancio attuale non è affatto negativo per la Germania, proprio perché è negativo per i paesi mediterranei, che vengono costretti, ora, a fare le stesse politiche tedesche degli "anni 2003-2004". Queste non erano legate agli oneri della riunificazione ma alla necessità di finanziare, con l'indebitamento pubblico (sforando il patto di stabilità allora vigente), politiche di aggressivo mercantilismo anticooperativo (v. punto a): ma naturalmente, è tutto legittimo secondo lui);
c) la Germania, intesa come apparato industrial-finanziario, non vuole uscire dall'euro e certamente sa che non le converrebbe, sotto il piano valutario, ma teme gli effetti di eccessivo accumulo dei suoi crediti target-2 legati al sistema monetario (per le più varie ragioni non tutte commerciali, dato l'afflusso di capitali dovuto al timore di eurobreak).
Perciò pensa che una possibile soluzione per preservarne il valore, almeno quanto ai crediti commerciali a breve, non convertibili in moneta diversa da quella usata dal "venditore" tedesco, sia uscire dall'eurozona sperando al contempo di avere così debitori più solvibili, grazie all'alleggerimento del livello di cambio di cui potrebbe fruire la "residua" eurozona, (di cui infatti, auspica il mantenimento anche senza la Germania, ma con dentro la Francia).
Si rende conto, Berger, che la Germania è divenuta un "elemento di disturbo": ma non perché ha un eccesso di surplus con l'estero (cosa che dimostra di apprezzare, in sé, e voler mantenere, stando alla risposta immediatamente successiva, in cui elogia la dipendenza dell'economia tedesca, al 50%, dalla domanda estera enfatizzando, dunque, la prosecuzione ad ogni costo della "competitività"), quanto perché sarebbe ormai difficile mantenere questa supremazia, senza eccessivi costi commerciali, nelle relazioni internazionali e politici, interni;
d) infatti, l'euro debole non è uno svantaggio per la Germania, perché gli consente di aumentare questo surplus (anche) a spese delle aree extra-eurozona; tuttavia, spiega poi molto bene, ciò scoraggia gli investimenti (interni) e l'aumento della produttività e della competitività di lungo periodo (non esclusivamente di "prezzo", cioè quella incentrata sulla qualità del prodotto).
Cioè, in pratica, la situazione di prolungato super-attivo commerciale, non consente (impunemente, sul fronte sociale interno) di proseguire, e/o di rendere sufficientemente convenienti (dato il rallentamento degli investimenti), rigide politiche deflattivo-salariali, che mantengano il vantaggio competitivo sui partners dell'eurozona.
Ciò in quanto tale prosecuzione:
- non sarebbe politicamente praticabile in una situazione di pieno impiego "tendenziale";
- non è possibile sfruttare efficacemente ancora il sistema di sotto-lavoro delle Hartz, anche a causa delle tensioni inflazionistiche (e finanziarie) che derivano dalla svalutazione dell'euro, unite al predetto pieno impiego (e alla crisi demografica che provocano sempre le politiche deflazioniste prolungate);
- infine, le politiche (deflattivo-salariali) di sostituzione etnica della forza lavoro perseguite dalla Merkel con l'apertura delle frontiere all'immigrazione, poi ritrattata senza alcuno scrupolo (v.p.2), si sono rivelate un costo politico-sociale troppo alto.
E comunque, com'è noto, basare la competitività solo sulla deflazione salariale, e quindi sul "prezzo", spiazza gli investimenti dal capitale produttivo, e dalla sua continua innovazione, alla mera intensificazione di manodopera a basso costo, innescando un ciclo auto-impoverente della competitività intrinseca del prodotto.
Dunque, non si ha una scelta migliore di quella di rivalutare il (recuperato) marco, per poter tornare a imporre (ai lavoratori tedeschi) politiche deflattive "necessitate", che consentano di mantenere e incrementare la produttività, opportunamente giustificabili col mantenimento del livello dell'occupazione in una fase di ripresa degli investimenti interni.
e) Quanto all'Italia, Berger ci dice che:
e1) il settore delle imprese private non è più ormai forte e vitale, - dato che si è asservito, principalmente come "contoterzista", alle filiere dominate dai tedeschi in posizione di price-makers. Ma il vero pericolo concorrenziale, per i tedeschi, è (tutt'ora) costituito dall'industria a partecipazione pubblica che non è altrettanto controllabile e malleabile (salvo privatizzazioni pro-investitori esteri: ma di questo non parla, a onor del vero);
e2) il problema italiano non sono la "infrastruttura burocratica" e "la giustizia che funziona male", visto che questi problemi non sono una conseguenza di una scelta politica autonoma italiana (cioè non sono dovuti a una...cattiva classe politica, dato che questa è quanto di più docile ai diktat fiscali e al perseguimento dei saldi primari - deindustrializzanti- imposti dalla Germania...pardon dall'UEM).
Questi problemi, infatti, sono esattamente la conseguenza delle politiche fiscali dettate da Maastricht in poi, acuite per mantenere in vita l'adesione alla moneta unica in favore della Germania e, quindi, non sarebbero affatto irrisolvibili con politiche fiscali conformi alla nostra Costituzione e quindi, sul presupposto della riacquistata sovranità monetaria.
Per converso, efficaci "riforme" al riguardo non sarebbero attuabili all'interno delle politiche di bilancio imposte dalla moneta unica.
Insomma, - all'insaputa di Fubini, intepretando adeguatamente le sue risposte ed usando in modo logico il test di Orwell ed il suffisso "not"-, il buon Roland ci dice in pratica che, appunto, il vino (tedesco) non è buono per l'Italia e ci indica con (indiretta ma eloquente) chiarezza quello che dovremmo fare per uscire dalla crisi.
2- COMPRENSIONE OPERATIVA DI SCENARIO
Naturalmente non possiamo pretendere che un sistema ermeneutico così...sofisticato come il test di Orwell, possa risultare, oggi, di uso comune per il sistema mediatico, e di controllo dell'opinione pubblica, dominante in Italia, che appare totalmente incapace di uscire dall'osteria del pensiero unico (ordoliberista).
Perciò non è pensabile che le indicazioni di Berger siano decodificabili e utilizzabili ex parte italiana.
Tuttavia, è possibile che qualcuna, buona parte, di queste rivelazioni indirette divengano praticamente operative in conseguenza del potenziale scenario internazionale derivante dalla linea presidenziale di Trump.
Vi sottopongo, in sintesi e in immagini, una serie di news e dichiarazioni dello stesso Trump maturate solo nelle ultime 48 ore e direttamente influenti sulle problematiche così "abilmente" trattate da Berger; nonché rivelatrici di quella che può divenire, obtorto collo, la real-politik futura della crante Ccermania.
2.1. Comincerei dalla "terrificante" (per i media mainstream) prospettiva della fine della sponsorizzazione, fondativa e propulsiva, degli Stati Uniti, per la pace e la concordia tra le nazioni europee, realizzata tramite il federalismo liberoscambista e de-sovranizzante (principalmente i parlamenti democratici nazionali):
2.2. Proseguirei con la "alta" considerazione, della neo-presidenza, per le politiche tedesche nel campo dell'immigrazione (comunque, abbiamo visto, già oggetto di u-turn con sospensione di Schengen):
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2.3. Non trascurerei la questione NATO (p.5-6), (strettamente correlata storica con la storica promozione USA del federalismo europeo) e la sua "rivoluzionaria" prospettiva "finale" (peraltro niente affatto imprevedibile una volta finita la strumentale e iperaggressiva crociata contro Putin):