Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo

economici.itil mondo
Euro crisis gennaio 19, 2017 posted by Maurizio Gustinicchi
CHARLES GAVE IN TV: “IL FRONT NATIONAL HA RAGIONE, L’EURO SCOMPARIRA’ “

Bel tweet di Marine Le Pen stamattina:



in cui si segnala l’intervista televisiva a Charles Gave:



Qui nell’immagine tratta dall’intervista:



in cui colui che ammette il massacro della nostra economia per mezzo dell’Euro:



afferma anche che ‘ha ragione il Front National, l’Euro morira’ “.

Pertanto, fate attenzione o voi servi di Bruxelles poiche’ IL TEMPO E’ COMPIUTO!

Ad maiora!
 
possibile si deve spiegare sempre tutto dalla a alla z e non ci sono mai precauzioni ? Dormireste nella stanza con una automobile accesa tutta la notte che espelle gas vicino ai vostri letti ?
i gruppi a motore vanno posizionati fuori dalle stanze chiuse e questi devono stare in posti arieggiati essendo altamente inquinanti e solo tramite i cablaggi alla batteria forniscono la necessaria corrente .. in mancanza completa causa disservizi enel - acegas ..
visto che manca la luce e non il gas , senza gruppo elettrogeno , scaldare 3 bacinelle quasi piene portando a ebollizione l'acqua , considerando 10 litri d'acqua a bacinella , poi si spostano dalla cucina alle stanze da camera , chiudendo il gas durante la notte .. i vapori caldi riscalderanno l'ambiente ..
 
religiose – by Marco Della Luna, dott. in legge e psicologia, avvocato.
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BANCAROTTIERI AL GOVERNO
Posted on 15/01/2017 by admin


BANCAROTTIERI AL GOVERNO

Il modo più rapido di guadagnare gestendo una banca? Estrarne tutti i soldi comperando cose che non valgono nulla e prestandoli ad amici che non li restituiranno, lasciando il conto da pagare ai contribuenti.

La crisi bancaria italiana in quattro parole? L‘onesta cricca politica, attraverso le fondazioni bancarie, ha messo a gestire le banche i suoi onesti amministratori, che le hanno spolpate facendo prestiti clientelari a soggetti che non li avrebbero rimborsati. La medesima cricca politica, adesso, spende i soldi dei contribuenti per colmare i buchi così creati, per evitare i fallimenti delle banche che essa ha saccheggiato.

Attenzione: la cricca immette in esse i soldi pubblici senza prima chiudere le falle, in modo di poter continuare a estrarre soldi.

Al contempo, cerca di impedire l’uso del contante in modo che la gente sia costretta a tenere tutti i soldi in banca, cosicché altri onesti amministratori, che essa nominerà, potranno prendersi anche quelli.

Le autorità di controllo non hanno impedito queste pratiche. Anzi, la banca centrale era intervenuta con una diffida per bloccare l’operazione che poi portò alla rovina di MPS, cioè l’acquisto di Antonveneta per 9 miliardi in più di quanto valeva; ma il suo allora governatore, Mario Draghi, male informato, intervenne per sbloccare la ferale acquisizione.

Ora, per effetto di tutto ciò, la situazione dell’Italia è drammatica e pericolosissima, anche se non viene resa nota all’opinione pubblica.

Nella graduatoria di solidità delle banche europee, quelle italiane, anche le più grosse, stanno verso il fondo. MPS è l’ultima.

Il decreto salva-MPS è a rischio di bocciatura perché, secondo le regole “europee”, lo Stato può intervenire con soldi pubblici a salvare un’impresa privata solo se non si prevede che questa avrà ulteriori perdite. E MPS ha altre perdite sui crediti in emersione.

Due giorni fa l’ultima agenzia di rating che manteneva una A al debito pubblico italiano gliela ha tolta, e ciò probabilmente renderà più costoso finanziarsi per il settore pubblico e quello privato, banche comprese.

Il debito pubblico, intanto, continua a salire.

Se salta MPS, salta tutto il sistema bancario, dati i rapporti tra le banche – e allora…

Meglio uscire prima dall’Euro.

15.01.17 Marco Della Luna
 
Processo concluso lo scorso novembre: il pm sostenne la corruzione per l'ampliamento della struttura oggi colpita dalla slavina. Per i giudici di primo grado il fatto non sussiste, ora i reati sono prescritti
di Antonella Loi


Il sospetto di un abuso edilizio e un processo per corruzione conclusosi con l'assoluzione di tutti gli imputati perché "il fatto non sussiste": è questo il prequel della tragedia che si è verificata alle pendici del Gran Sasso, a causa di una slavina – si sospettano morti tra gli ospiti e il personale – abbattutasi sull'hotel Rigopiano, nel comune di Farindola. La vicenda ha inizio nel 2008, quando il pm della procura di Pescara, Gennaro Varone, sulla base di indagini e intercettazioni telefoniche nell'ambito di un'inchiesta denominata Vestina, ipotizzava un passaggio di denaro e posti di lavoro in cambio di un voto favorevole per sanare l'occupazione abusiva del suolo pubblico.






La presunta corruzione e l'assoluzione dell'ex sindaco
Il presunto abuso riguardava proprio l'ampliamento della struttura, che in origine era un casolare, per la realizzazione dell'attuale hotel a quattro stelle, gestito dalla società Del Rosso e in seguito ceduto alla Gran Sasso Resort. A processo, nel 2013, finirono sette persone tra cui l'ex sindaco del paesino in provincia di Pescara, Massimiliano Giancaterino, il suo successore alla guida del comune Antonello De Vico e all'epoca consigliere comunale. Inoltre rimasero coinvolti i due ex assessori Ezio Marzola e Walter Colangeli, l'ex consigliere Andrea Fusaro e gli imprenditori Paolo Marco e Roberto Del Rosso.

Il fatto oggetto del processo risale al 2008. Secondo l'accusa, l'allora sindaco, assessori e consiglieri avevano votato a favore della delibera del 30 settembre di quell'anno finalizzata a "sanare l'occupazione abusiva di suolo pubblico da parte della società Del Rosso", è scritto in un articolo del Centro di pescara dell'epoca, in 'area fino ad allora adibita a pascolo del bestiame e compresa in un'area naturalistica protetta. Scrive Lacerba (giornale locale di Penne), citando la procura, che "l'autorizzazione a sanatoria si basava sul presupposto che detta occupazione non costituisse abuso edilizio per mancata, definitiva trasformazione del suolo". Secondo quanto sosteneva il pm, Giancaterino e De Vico in cambio della delibera avrebbero incassato la "promessa di un versamento di denaro destinato al finanziamento del partito" di appartenenza (il Pd) e, in particolare, il secondo avrebbe ottenuto "il pagamento di 26.250 euro" che, dice ancora l'accusa, andava ad "adempimento parziale di un debito pregresso ma inquadrabile nel rapporto corruttivo".

"Soldi per il partito e assunzioni nel resort"
Il pm sostenne inoltre che come merce di scambio per quella delibera favorevole, i consiglieri e gli assessori del tempo avessero ottenuto dai titolare della società Del Rosso anche "assunzioni preferenziali per i propri protetti". L'ex sindaco di Farindola nel corso del processo aveva sempre respinto l'accusa di corruzione, ottenendo ragione dal giudice che lo scorso novembre ha emesso la sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste". Il reato era comunque prescritto già nell'aprile del 2016, ragion per cui questa sentenza non potrà essere appellata. Le motivazioni della sentenza non sono state ancora depositate.

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Russia: “Disposti ad inviare soccorritori in Italia”
Anche se Roma manderà i suoi soldati in Lettonia, il ministro delle Situazioni di Emergenza Vladimir Puchkov si è detto comunque disposto "ad inviare soccorritori e specialisti" in Centro Italia

Elena Barlozzari - Gio, 19/01/2017 - 18:07





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Mentre l’Italia arranca per disseppellire da neve e macerie persone, animali ed intere frazioni, la Russia non resta a guardare.

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Così il Cremilino si dimentica dei 140 soldati che Roma manderà in Lettonia a primavera e si dice disposto "ad inviare soccorritori e specialisti" in Centro Italia.

Il ministro delle Situazioni di Emergenza Vladimir Puchkov, come rende noto l’agenzia russa Tass, ha annunciato: "Abbiamo comunicato la nostra proposta ai colleghi italiani. Stanno portando avanti un’operazione di salvataggio di alto livello e, nel caso lo richiedano, siamo disposti a inviare soccorritori e specialisti".

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Puchkov ha quindi ricordato che, durante il terremoto dello 24 agosto scorso, Mosca aveva già inviato i propri uomini nelle zone colpite dalla catastrofe, collaborando alla ricerca di soluzioni per la ricostruzione delle scuole e di altri edifici pubblici, tra cui un ponte "che era stato costruito oltre 500 anni fa".
In quell’occasione la Federazione Russa aveva messo in campo gli uomini dell’unità "Tsentrospas" e quattro complessi diagnostici mobili "Struna" (impiegati per la prima volta in territorio italiano nell’ormai lontano 2009, in seguito al devastante terremoto de L’Aquila). La task-force di professionisti russi, grazie all’aiuto di questi complessi sensibilissimi, ha potuto stimare l’entità dei danni riportati da edifici ed infrastrutture, la loro stabilità ed il loro potenziale per un ulteriore sfruttamento.

Non va dimenticato che anche dopo i violenti terremoti che lo scorso ottobre hanno interessato il confine tra Umbria e Marche, già duramente colpito dall’evento sismico di agosto 2016, il "nemico" Vladimir Putin si era detto disponibile ad estendere anche alle aree colpite dalle nuove scosse l’assistenza che la Russia aveva già offerto alle zone di Amatrice, Arquata ed Accumuli.

Quella che ai più appare come un’insolita dinamica solidaristica è in realtà una tradizione destinata a non stupire chi conosce a fondo la storia del secolo scorso. Nel 1906, anno in cui un terremoto violentissimo distrusse (in 37 secondi) Reggio e Messina uccidendo metà della popolazione della città siciliana ed un terzo di quella reggina, furono proprio i marinai della flotta imperiale russa – ormeggiati nel porto di Augusta e coordinati dall’ammiraglio Ponomarëv – a prestare i primi soccorsi.
 
società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.






























sabato 21 gennaio 2017
CARE ELITES GLOBALISTE,TRUMP E' UN ACCETTABILE COMPROMESSO. NON VI DATE LA ZAPPA SUI PIEDI [/paste:font]


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ANTEFATTO- (ANSA) - "Ricostruiremo il Paese con mani americane e posti di lavoro americani": lo ha detto Donald Trump...
Il sito della casa Bianca passa all'amministrazione Trump. E subito si hanno le indicazioni di quelle che potrebbero essere le prime mosse del 45mo presidente americano. "La nostra strategia parte con il ritiro dalla Trans-Pacific Partnership e dall'accertarci che gli accordi commerciali siano nell'interesse degli americani". Il presidente Trump è impegnato a rinegoziare il Nafta", l'accordo di libero scambio con Canada e Messico, e se i partner rifiutano di rinegoziare il presidente insisterà sulla "sua intenzione di lasciare l'accordo di libero scambio del Nafta".
Hanno fatto il deserto e lo chiamano pace; hanno distrutto la democrazia, rendendola un triste rito idraulico, e lo chiamano politically correct; hanno calpestato e umiliato miliardi di esseri umani e lo chiamano "futuro".

1. La vulgata tristemente trasmessa dalla solita grancassa, in affrettata frenesia para-espertologica, spinna disperatamente i termini di "protezionismo" e di "turbonazionalismo".
Dunque, viene chiamato protezionismo qualsiasi freno al globalismo liberoscambista che si continua a contrabbandare come promotore di crescita e di benessere diffusi, contro ogni evidenza (pp.4-6) dei dati economici mondiali degli ultimi decenni, che indicano la flessione della crescita e il dilagare della concentrazione di ricchezza, nonché di disoccupazione e, soprattutto, sotto-occupazione, come frutto di tale paradigma.
Un paradigma che, per essere precisi, è la conseguenza non di irresistibili fenomeni naturalistici, ma essenzialmente di imposizioni derivanti da risoluzioni di organismi economici sovranazionali, che hanno alterato radicalmente (v. p.9) il mandato, cooperativo e riequilibratore, originariamente previsto dai trattati che li hanno istituiti, ovvero di imposizioni poste da nuovi trattati che hanno dato luogo al fenomeno del "diritto internazionale privatizzato": privatizzato sugli interessi della ristretta elite che ne impone il contenuto attraverso la sistematica capture dei delegati statali che vanno a negoziare (come ci attesta la lettura di "The Bad Samaritans").

2. Quindi, limitare tale gigantesca concentrazione di potere politico, prima ancora che economico, che vanifica ogni traccia di democrazia dei popoli sovrani (che formalmente dovrebbero decidere se aderire a questi trattati secondo il criterio della democratica decisione fondata sull'interesse nazionale), sarebbe protezionismo; o addirittuta "turbonazionalismo".
C'è un'inesorabile illogicità in tutto questo, una strumentalità manipolatrice che stride con il fatto che gli stessi sostenitori del globalismo liberoscambista si scagliano contro le fake-news, quando il loro gigantesco, e praticamente monopolistico (in senso mondiale), sistema mediatico e di condizionamento culturale, si fonda sulla sistematica diffusione, ultradecennale, di slogan offerti come "fatti" e mirati a nascondere la realtà e gli effetti della globalizzazione istituzionalizzata per via di trattato.

3. Dunque, in questo processo di alterazione sistematica dell'opinione di massa, non c'è mediazione: o il liberoscambismo distruttore della dignità mondiale del lavoro e disarticolatore esplicito di ogni forma di welfare, o la feroce condanna di ogni istinto di sopravvivenza di comunità sociali e di interi popoli, con la demonizzazione di qualunque cosa che assomigli ad un recupero della dimensione solidaristica dell'interesse nazionale: l'individualismo metodologico hayekiano, malthusianamente sterminatore dei deboli e dei "perdenti" della globalizzazione, vuole Elysium e lo vuole senza tollerare obiezioni.

Trump riscopre l'interesse del popolo che lo ha eletto, e di cui si afferma essere parte, e condanna un establishment che si è contraddistinto per uno spietato egoismo, a malapena mascherato dai diritti cosmetici del politically correct, che serve a generare i conflitti sezionali (p.4) su cui prospera il potere sempre più ristretto dei sempre più privilegiati?
Ovviamente, essendo uno di questi privilegiati, è un traditore.

4. Ma non possono dirlo così, sic et simpliciter: parte piuttosto l'accusa di populismo, il debunking un tanto al chilo, finanziato da non si bene chi, e alimentato da strani fuoriusciti dai "servizi" occidentali, l'anatema di nazionalista-e-quindi-guerrafondaio, dimenticando, con una faccia tosta che solo la dittatura mediatica prezzolata può consentire, che mai tanti conflitti, in tutto il mondo, sono stati alimentati, sovvenzionati e tenuti in vita a oltranza, come da quando vige il Washington Consensus e l'€uropa della pace e della cooperazione.

Il fatto è che "protezionismo" è un concetto "relazionale": come dice Bazaar, si definisce in funzione dell'oggetto, cioè di ciò che si vuole veramente proteggere.
In tal senso, la globalizzazione istituzionalizzata attuale è la più grande e violenta forma di protezione degli interessi di un'elite sempre più arroccata che si sia mai vista nella Storia.

5. Lo stesso liberoscambismo è, da sempre nella Storia, il protezionismo di coloro che, raggiunta la posizione dominante nei commerci e nei vantaggi comparati della propria produzione industriale, toglie la scala agli altri, in basso, e gli impone, irridendoli moralisticamente (!), di sforzarsi di salire.
Con la gigantesca truffa delle riforme strutturali imposte a suon di condizionalità a Stati esautorati di ogni democrazia, in forza del debito verso il sistema privato bancario mondiale, che si assicura previamente di disarticolare la sovranità monetaria e la praticabilità di uno sviluppo socialmente sostenibile nei singoli paesi del mondo.

Persino il paese leader di questo movimento, cioè gli USA, coi suoi neo-cons, coi suoi ignorantissimi "intellettuali" teorici della "fine della Storia", (già: basta cancellarne i fatti e alterarla a proprio piacimento e finanziare i politici locali affinchè tengano il gioco, contro i popoli che li eleggono!), non ne può più.
Trump, potrà piacere o non piacere ai gusti estetici e etici dell'opinione pubblica occidentale e, in particolare, €uropea.
Ma si rassegnino, i cultori ben pasciuti di questa estetica moraleggiante che finisce sempre per sostenere, da sinistra specialmente, le stesse visioni delle elites, e del FMI, di World Bank, di Goldman & Sachs, di JP. Morgan, dell'OCSE, della Commissione UE e della BCE, - insomma del capitalismo iperfinanziarizzato che prospera sul debito e fa pagare le insolvenze che provoca ai cittadini, contribuenti e/o risparmiatori.
Trump è solo il primo vagito di una reazione della comunità vera dei popoli oppressi.

6. Non sarà certo eliminando lui, con le trappole e i pozzi avvelenati disseminati dentro l'apparato dell'US Government, dagli interessi oligarchici che esprimono, a titolo privatizzato, gli interessi dell'oligarchia globalista, che si fermerà la marea ormai montante della insofferenza di schiaccianti maggioranze popolari contro questo paradigma antiumanitario.

Abbiamo già detto, più volte, che lo stesso termine protezionismo designa realtà storiche che, nella stessa letteratura economica, sono diverse se non opposte. Lo ripetiamo perché non fa male:
a) Il protezionismo adottato da Potenze imperialiste è l'altra faccia del liberoscambismo, perché ne costituisce l'evoluzione, conservativa delle posizioni dominanti raggiunte e, al tempo stesso, anche l'utile strumento oppositivo alla contenibilità di tali posizioni da parte di altri competitor statuali.

Questa evoluzione (connaturale agli interessi consolidati delle oligarchie che hanno promosso l'imperialismo liberocambista nella fase di conquista) può logicamente preludere al vero e proprio conflitto armato tra potenze imperialiste: ciascuna supportata dalle rispettive nazioni satellite, colonizzate politicamente o economicamente.


b) Il protezionimsmo adottato da ordinamenti nazionali in via di sviluppo, e non dominanti sui mercati internazionalizzati, è invece un ragionevole strumento di crescita del c.d."infant capitalism", come spiegato da Chang ne "I Bad Samaritans" con riguardo a casi non certamente guerrafondai quali la Corea o, oggi, in UE, la "fascista" Ungheria.

6.1. Quando, dunque, non si tratti di Stati che, dal loro passato imperialista e colonialista, risultino ossessionati dalla egemonia sugli altri, il "protezionismo" nelle sue varie e modulabili forme, si rivela in definitiva uno strumento di avvio della democrazia economica e socialmente inclusiva; al contempo, se lealmente riconosciuto in funzione delle diverse esigenze di sviluppo della varie società statali, è uno stabilizzatore degli interessi dell'intera comunità internazionale a una convivenza pacifica".


7. Ma il fenomeno (apparentemente) nuovo, in cui si inscrive l'affacciarsi sulla scena di Trump, - e che una volta compreso fa capire perché persino fermare un presidente eletto della più potente nazione del mondo si rivelerà inutile-, è un altro.
Infatti, il paradigma della illimitata libertà di circolazione dei capitali, delle banche centrali indipendenti che generano l'idea cialtronica che gli Stati siano debitori di diritto comune, e della conseguente "lotta all'inflazione", contrabbandata come la "più iniqua delle imposte" (v. addendum) - alimenta la terroristica confusione tra l'inflazione galoppante-brutta (che si instaura proprio laddove inizia a imporsi il liberoscambismo, o la c.d. "apertura delle economie", ai paesi economicamente più deboli, al fine di creare lo stato di necessità strumentale ad asfaltare ogni vagito democratico), con la presunta virtù della deflazione strisciante e permanente.
Ma tutto questo genera la deindustrializzazione nelle democrazie (ex) avanzate, e la più devastante disoccupazione strutturale (come indica Rodrik, già citato), e pone anche i paesi un tempo prosperi, come gli USA, nella condizione disastrosa di continui stati di eccezione finanziari e di vulnerabilità dei conti con l'estero, che, nel lungo periodo, ormai trascorso, genera il legittimo "rigetto" del potere istituzionale da parte del corpo sociale.

8. Quindi, non siate così tracotanti (segno della paura che vi inizia ad assalire), membri dell'elites e manutengoli mediatici che vi identificate in loro: se eliminate Trump, il problema rimarrà e, anzi, avrete ulteriori e più pesanti dosi della stessa reazione. Magari veramente incontrollabili e non mediabili.
Quindi un beffardo contrappasso, proprio per voi: voi che, per risolvere la crisi che avete deliberatamente creato, sperando di farla franca per i secoli a venire, avete sempre propugnato, appunto, che occorressero "ulteriori dosi dello stesso veleno" (per usare l'espressione, per una volta felice, di Roubini), cioè incessanti "riforme strutturali".

Trump, infatti, dalle nomine di staff, alla coerenza complessiva di ciò che potrà portare a compimento, è pur sempre, in sé, un accettabile compromesso.
Membri dell'elite e del suo establishment mediatico-espertologico-orwelliano, sappiate che è nel vostro interesse che almeno corregga, e pure rapidamente, gli orrori più eclatanti del globalismo istituzionalizzato e antidemocratico: non vi conviene, se foste mai stati capaci di comprensione e non in preda al delirante moralismo neo-liberista, che Trump fallisca.


9. Vi conviene, piuttosto, prendervi una bella pausa e augurarvi che Trump, coscientemente o meno (nessuno può scommettere sulla sua consistenza "culturale"), attui esattamente ciò che, negli anni '40 - quando per voi i "mulini" non erano più così bianchi e covavate la rivincita nel risentimento, senza aver evidentemente appreso la grande lezione della crisi del 1929-, indicava Kalecky (v. p.5):
...In un’economia nella quale l’attrezzatura produttiva è scarsa è quindi necessario un periodo di industrializzazione o ricostruzione […]. In tale periodo può essere necessario impiegare controlli non dissimili da quelli impiegati in tempo di guerra.» (10). Un’affermazione come questa basta da sola a mostrare tutta l’inconsistenza e la superficialità dell’identificazione, che tanto spesso si è voluta fare, fra keynesismo e politiche keynesiane, basate esclusivamente sul sostegno della domanda aggregata".

Se, anziché con la politica dell’offerta, il miglioramento dei conti con l’estero viene perseguito per mezzo della deflazione, il freno che ne deriva alla formazione di capacità produttiva tenderà ad aggravare ulteriormente la situazione. «E’ un affare molto serio - ha scritto un altro keynesiano della prima generazione, Richard Kahn - se l’attività produttiva deve essere ridotta perché la produzione a pieno regime comporta un livello di importazioni che il paese non può permettersi. Ed è un affare particolarmente serio se la riduzione in esame prende largamente la forma di una riduzione degli investimenti, inclusi gli investimenti volti alla formazione della capacità produttiva capace di farci esportare più beni a prezzi più concorrenziali e di diminuire la nostra dipendenza dalle importazioni.» (11).
Se proprio occorre ridurre gli investimenti, afferma ancora Kahn, tale riduzione deve essere «altamente discriminatoria»: bisogna, cioè, tentare di «stimolare gli investimenti nelle industrie esportatrici e in quelle capaci di sostituire le importazioni, particolarmente nei settori in cui è l’attrezzatura produttiva a rappresentare la strozzatura, e di scoraggiarli in tutti gli altri settori. Le restrizioni monetarie possono, tuttavia, essere caricate di un contenuto discriminatorio solo con difficoltà ed entro limiti piuttosto ristretti. Vi sono qui, per eccellenza, forti ragioni per ricorrere a metodi alternativi di scoraggiare gli investimenti, e particolarmente a quei metodi che operano attraverso controlli diretti» (12).
Dal fatto che la sostituzione delle importazioni e il potenziamento della capacità di esportazione sono obiettivi di medio o lungo termine, mentre la deflazione va evitata fin dall’inizio (anche per non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi suddetti), può discendere la necessità di imporre controlli amministrativi sulle importazioni di particolari merci, e dunque sulla loro distribuzione all’interno del paese".
10. Ma i tedeschi, no, non capiranno mai che tutto questo devono augurarselo (finché sono in tempo...e non sono mai in tempo, come insegna la Storia): basta guardare in TV un intervento qualsiasi di Piller-Gumpel (mi rifiuto di distinguere tra l'uno e l'altro, anche perché, in genere, la mia mano, al comparire di un qualsiasi esponente della premiata ditta, corre alla fondina...del telecomando).

Pubblicato da Quarantotto a 13:45
 
salute a te moto , non ho idea delle vicende inerenti l'albergo .. piuttosto , guardati questo : " h!!ps://www.youtube.com/watch?v=GUO-06-Z8ic " .. ighina , questo nonnino , anche se non c'è più , è un grande .. so che irrorando le nubi con polvere d'argento si gonfiano le nubi e si fanno acquazzoni strepitosi ed abbondanti , però richiamare oppure allontanare le nubi con la ventolona e semplice polvere di alluminio condensando l'umidità oppure viceversa , dipende se rotazione in senso orario od antiorario , è cosa notevole .. tecnicamente le previsioni del tempo con questo metodo non hanno più senso ...
 
L’Italia nell’Ue finirà all’inferno: così parlò Craxi, 20 anni fa
Scritto il 22/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Unione Europea uguale: declino, per l’Italia, la prima vittima dell’euro, grazie a un certo Romano Prodi. E il contesto è chiaro: si scrive globalizzazione, ma si legge impoverimento della società e perdita di sovranità e indipendenza. Sono alcune delle “perle profetiche” di quello che Vincenzo Bellisario definisce «l’ultimo statista italiano», ovvero il vutuperato Bettino Craxi, spentosi 17 anni fa nel suo esilio di Hammamet. Un uomo che «bisognava eliminare a tutti i costi», scrive Bellisario, sul blog del “Movimento Roosevelt”, ricordando alcuni punti-chiave del vero lascito politico del leader socialista, eliminato da Mani Pulite alla vigilia dell’ingresso italiano nella sciagurata “camicia di forza” di Bruxelles, i cui esiti si possono misurare ogni giorno: disoccupazione dilagante e crollo delle aziende, con il governo costretto a elemosinare deroghe di spesa per poter far fronte a emergenze catastrofiche come il terremoto. «C’è da chiedersi perché si continua a magnificare l’entrata in Europa come una sorta di miraggio, dietro il quale si delineano le delizie del paradiso terrestre», scriveva Craxi oltre vent’anni fa. Con questi vincoli Ue, «l’Italia nella migliore delle ipotesi finirà in un limbo, ma nella peggiore andrà all’inferno».
«Ciò che si profila, ormai – profetizzava Craxi – è un’Europa in preda alla disoccupazione e alla conflittualità sociale, mentre le riserve, le preoccupazioni, le prese d’atto realistiche, si stanno levando in diversi paesi che si apprestano a prendere le distanze da un progetto congeniato in modo non corrispondente alla concreta realtà delle economie e agli equilibri sociali che non possono essere facilmente calpestati». Il governo italiano, visto l’andazzo, «avrebbe dovuto, per primo, essendo l’Italia, tra i maggiori paesi, la più interessata, porre con forza nel concerto europeo il problema della rinegoziazione di un Trattato che nei suoi termini è divenuto obsoleto e financo pericoloso». Rinegoziare Maastricht? Nemmeno per idea: «Non lo ha fatto il governo italiano. Non lo fa l’opposizione, che rotola anch’essa nella demagogia europeistica. Lo faranno altri, e lo determineranno soprattutto gli scontri sociali che si annunciano e che saranno duri come le pietre». A tener banco, ancora, saranno «i declamatori retorici dell’Europa», ovvero «il delirio europeistico che non tiene conto della realtà». Sbatteremo contro «la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione», un disastro che – secondo il “profeta” Craxi – è stato quindi accuratamente programmato.
L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Già, il mondo globalizzato: «La globalizzazione non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subita in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza». Questo mortificante mutamento, aggiunge Craxi, si colloca «in un quadro internazionale, europeo, mediterraneo, mondiale, che ha visto l’Italia perdere, una dopo l’altra, note altamente significative che erano espressione di prestigio, di autorevolezza, di forza politica e morale». Non è certo amica della pace questa «spericolata globalizzazione forzata», in cui ogni nazione perde la sua identità, la consapevolezza della sua storia, il proprio ruolo geopolitico.
«Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione, aggiunge Craxi, si avverte «il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare», opportunamente “accolti” da politici perfettamente adatti a questo nuovo ruolo di maggiordomi. Un nome? Romano Prodi. «Nel vecchio sistema – scrive Craxi – il signor Prodi era il classico sughero che galleggiava tra i gruppi pubblici e i gruppi privati con una certa preferenza per quest’ultimi ed una annoiata ma non disinteressata partecipazione ai palazzi dei primi». Come presidente dell’Iri non era nient’altro che «una costola staccata dal sistema correntizio democristiano» e, lungo il cammino, si era dimostrato «poco più di un fiumiciattolo che rispondeva sempre, sulle cose essenziali, alla sua sorgente originaria». Il “signor Prodi”, come leader politico? «Nient’altro che il classico bidone». Infatti se ne sono accorti tutti. Vent’anni dopo.
Unione Europea uguale: declino, per l’Italia, la prima vittima dell’euro, grazie a un certo Romano Prodi. E il contesto è chiaro: si scrive globalizzazione, ma si legge impoverimento della società e perdita di sovranità e indipendenza. Sono alcune delle “perle profetiche” di quello che Vincenzo Bellisario definisce «l’ultimo statista italiano», ovvero il vutuperato Bettino Craxi, spentosi 17 anni fa nel suo esilio di Hammamet. Un uomo che «bisognava eliminare a tutti i costi», scrive Bellisario, sul blog del “Movimento Roosevelt”, ricordando alcuni punti-chiave del vero lascito politico del leader socialista, eliminato da Mani Pulite alla vigilia dell’ingresso italiano nella sciagurata “camicia di forza” di Bruxelles, i cui esiti si possono misurare ogni giorno: disoccupazione dilagante e crollo delle aziende, con il governo costretto a elemosinare deroghe di spesa per poter far fronte a emergenze catastrofiche come il terremoto. «C’è da chiedersi perché si continua a magnificare l’entrata in Europa come una sorta di miraggio, dietro il quale si delineano le delizie del paradiso terrestre», scriveva Craxi oltre vent’anni fa. Con questi vincoli Ue, «l’Italia nella migliore delle ipotesi finirà in un limbo, ma nella peggiore andrà all’inferno».

«Ciò che si profila, ormai – profetizzava Craxi – è un’Europa in preda alla disoccupazione e alla conflittualità sociale, mentre le riserve, le preoccupazioni, le prese d’atto realistiche, si stanno levando in diversi paesi che si apprestano a prendere le distanze da un progetto congeniato in modo non corrispondente alla concreta realtà delle economie e agli equilibri sociali che non possono essere facilmente calpestati». Il governo italiano, visto l’andazzo, «avrebbe dovuto, per primo, essendo l’Italia, tra i maggiori paesi, la più interessata, porre con forza nel concerto europeo il problema della rinegoziazione di un Trattato che nei suoi termini è divenuto obsoleto e financo pericoloso». Rinegoziare Maastricht? Nemmeno per idea: «Non lo ha fatto il governo italiano. Non lo fa l’opposizione, che rotola anch’essa nella demagogia europeistica. Lo faranno altri, e lo determineranno soprattutto gli scontri sociali che si annunciano e che saranno duri come le pietre». A tener banco, ancora, saranno «i declamatori retorici dell’Europa», ovvero «il delirio europeistico che non tiene conto della realtà». Sbatteremo contro «la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione», un disastro che – secondo il “profeta” Craxi – è stato quindi accuratamente programmato.

L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Già, il mondo globalizzato: «La globalizzazione non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subita in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza». Questo mortificante mutamento, aggiunge Craxi, si colloca «in un quadro internazionale, europeo, mediterraneo, mondiale, che ha visto l’Italia perdere, una dopo l’altra, note altamente significative che erano espressione di prestigio, di autorevolezza, di forza politica e morale». Non è certo amica della pace questa «spericolata globalizzazione forzata», in cui ogni nazione perde la sua identità, la consapevolezza della sua storia, il proprio ruolo geopolitico.

«Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione, aggiunge Craxi, si avverte «il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare», opportunamente “accolti” da politici perfettamente adatti a questo nuovo ruolo di maggiordomi. Un nome? Romano Prodi. «Nel vecchio sistema – scrive Craxi – il signor Prodi era il classico sughero che galleggiava tra i gruppi pubblici e i gruppi privati con una certa preferenza per quest’ultimi ed una annoiata ma non disinteressata partecipazione ai palazzi dei primi». Come presidente dell’Iri non era nient’altro che «una costola staccata dal sistema correntizio democristiano» e, lungo il cammino, si era dimostrato «poco più di un fiumiciattolo che rispondeva sempre, sulle cose essenziali, alla sua sorgente originaria». Il “signor Prodi”, come leader politico? «Nient’altro che il classico bidone». Infatti se ne sono accorti tutti. Vent’anni dopo.

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