mercoledì 18 gennaio 2017
IL TRAMONTO DELL'EURO: IL PERCORSO ACCIDENTATO ITALIANO TRA TRUMP E GLI SNODI INELUDIBILI [/paste:font]
1. Nel tentare di sviluppare il
tema del post precedente (v. p.2 e ss.), - in particolare
se e come "l'avvento" di Trump potrà influire sul recupero della sovranità costituzionale italiana, e quindi della sua democrazia sostanziale- la risposta non può essere univoca.
Da un lato, infatti, è molto incerta la stessa possibilità di Trump di consolidare, prima di tutto
il suo effettivo ed autonomo potere decisionale, dall'altro,
neppure è univoca la direzione in cui Trump potrà coerentemente agire, pur preannunziando, come abbiamo visto, una profonda revisione della NATO e dell'UE; entrambe, FINORA, promosse per specifici interessi degli Stati Uniti, che paiono essere finalmente mutati rispetto agli anni 40-50.
2. Sotto quest'ultimo aspetto del problema, cenniamo a quanto risposto, in sede di commenti, a
Paolo Corrado, che aveva sollevato
il problema delle palese orchestrazione di una vasta opposizione "di piazza" a Trump, che ricorda molto da vicino il "metodo"
ukraino, cioè quello seguito, dall'establishment finanziario e globalista, nelle pseudo-rivoluzioni arancioni:
"...alla fine è un fatto di pazienza (e di coerenza) dispiegate da entrambi i fronti che si contrappongono.
Cioè,
l'esito di questo "sconvolgimento" conflittuale negli Stati Uniti, dipende da quanti soldi (ESSI) sono disposti a spendere per retribuire ogni singolo manifestante (e opinion-maker mediatico) e quanto a lungo questo costo complessivo può risultare vantaggioso in un calcolo costi/benefici, mentre, per contro, il potere di Trump, con tutto l'apparato dello US Government, si consolida.
Certo, Trump può sbagliare scelte ed essere poco coerente rispetto al paradigma che è COSTRETTO, ormai, a perseguire: almeno, se vuole sopravvivere, coi risultati, a questa enorme pressione.
Può darsi, infatti, che non si renda conto fino in fondo dell'esigenza di questa coerenza, e - come già si intravede- arrivi a un grado di compromesso con l'establishment che tenga conto dei rapporti di forza che si riflettono all'interno dello stesso US Gov., inteso come enorme "apparato" di potere "policentrico", che dobbiamo supporre largamente
captured dal
complesso industrial-militare, come ci disse Roosevelt, e da quello finanziario, che ne è la proiezione più evoluta, specialmente dopo
l'abolizione, da parte di Clinton, del Glass-Steagall.
Di certo, pochi presidenti sono stati in una posizione così poco invidiabile (
almeno dai tempi di Lincoln e della Hazard Circular, v.qui, p.5,...)".
3. Come dire: siamo nelle mani della...Provvidenza (in quanto italiani).
E lo siamo perché,
in Italia, l'effetto Trump, - considerato nella sua essenza di ritorno alla tutela dell'interesse nazionale, e quindi all'unica dimensione in cui la democrazia, inclusiva e distributiva, ha un senso effettivo (in mancanza di qualunque riscontro in termini di organizzazioni sovranazionali)-,
rischia di essere attutito dallo stesso difetto di "risorse culturali" che abbiamo più volte evidenziato.
Indubbiamente, cioè, il frutto di 39 anni (almeno) di vincolo esterno istituzionalizzato, e limitatore della sovranità democratica, è stato ingurgitato a livello di massa e di opinione pubblica, e
si stenta a ritrovare, nel proprio passato, qualcosa che non sia la visione di Carli (o di Einaudi: grosso modo, in continuità, v.p.6) quando si passa a considerare la funzione intrinsecamente solidaristica dell'interesse nazionale,
in un ordinamento, come quello costituzionale italiano, fondato sulla sovranità popolare.
4. E, a tal punto, questa difficoltà emerge dallo scenario italiano che
persino Bloomberg considera appena "medio" il "rischio elettorale" italiano (cioè la
curiosa idea che le elezioni, in tempi di crisi economica irreversibile del modello neo-ordo-liberista €uropeo, siano una minaccia all'ordine costituito sovranazionale dei mercati, in quanto ad esito non idraulicamente controllabile dalle oligarchie):
Consideriamo, infatti, che
l'Italia, non solo, - ad eccezione della Grecia che è un caso del tutto "a parte"-,
è di gran lunga il paese più danneggiato dall'adesione alla moneta unica (lo stesso Trump ne dà atto...),
ma che, a differenza della Francia, ad esempio, è quello che più di ogni altro ha costituzionalizzato esplicitamente il modello di equilibrio keynesiano e di democrazia "sociale" che esso implica.
Dai migranti al terrorismo, Trump cerca un alleato in Italia per rilanciare l’alleanza con gli Usa
5. La perfetta sintesi di questo
ossimoro italiano - cioè il Paese che avrebbe le difese costituzionali più elevate contro il vincolo esterno, è al tempo stesso quello che ha più difficoltà a riappropriarsene e a riattivarle- ce la dà questo intervento di
Stefano Fassina, certamente da elogiare sul piano della consapevolezza di questo aspetto decisivo:
6. E quindi?
Quindi,
qualsiasi soddisfacente soluzione al problema democratico, e come conseguenza economico (perché sovranità costituzionale e realizzabilità del modello keynesiano di crescita sono inscindibili),
che l'Italia si trova a fronteggiare, dovrà realmente passare per un lungo e tortuoso cammino che, certamente, sarà tanto più accelerato quanto più troverà la sua sponda in una coerente e rafforzata visione della cooperazione democratica tra Stati sovrani che gli USA sapranno affermare nei prossimi mesi.
Non di meno, vorrei rammentare almeno alcuni "
snodi fondamentali"
che questo cammino, verso la democrazia e il benessere (ritrovati),
non potrà eludere.
7. Il primo ce lo ha segnalato Arturo, di recente, nei
commenti alla decisione della Cassazione sul "licenziamento per profitto" e sulla lettura post-costituzionale dell'art.41 Cost.; riguarda il problema di
come e chi possa far valere i "controlimiti", cioè la teoria, più o meno coerentemente enunciata (e mai applicata) dalla Corte costituzionale, per cui esistono delle norme fondamentali e intangibili della Costituzione che nessun trattato internazionale può derogare o, peggio, abrogare.
Arturo ci riporta la sintesi saliente, in argomento, tratta dal pensiero del più importante costituzionalista italiano attuale,
Massimo Luciani, di
quanto selezionato da Arturo, (sia pure con accenti critici, che condividiamo, sulla piena comprensione del profilo economico della "questione" da parte dell'illustre costituzionalista, i cui rilievi sono sotto riportati in corsivo).
Preavverto che il passaggio più importante, in quanto si raccorda alla novità costituita dalle parole di Fassina (per quanto, purtroppo, possano contare), oltre a enfatizzarlo in neretto l'ho pure sottolineato (togliendo le parentesi alla importante precisazione finale):
"[Nell'analisi di Luciani...] mi pare significativo, oltre al saggio che hai poi linkato tu,
questo sui controlimiti. E' piuttosto evidente che da un lato
ritiene che i controlimiti siano stati superati, o comunque siamo ormai fuori dalla copertura dell'art. 11, dall'altra non intende dichiararlo "globalmente" (l'occasione del saggio è infatti una questione in materia penale):
"
Solo il più inguaribile degli euro-ottimisti potrebbe non avvedersi che siamo di fronte a una costruzione sbilenca. Nessuno ha ancora risposto all’interrogativo su come possa reggere un sistema con moneta unica e debiti plurimi.
Nessuno ha mai spiegato come possa darsi uno spazio senza frontiere quando la sicurezza nazionale è riservata agli Stati (art. 4.2 TUE) e ci sono forze armate e sistemi di intelligence separati (la recente catastrofe della sicurezza pubblica belga, se qualcuno si fosse distratto, sta lì a ricordarcelo). Nessuno ha ben compreso quanto sia inaccettabile il prezzo che in termini di certezza del diritto si paga alla continua in-decisione sulle fonti di tutela dei diritti.
Personalmente, penso che da questo ginepraio si possa venir fuori meglio in avanti (con una forte iniziativa politica che ridia sangue all’idea di Europa) che all’indietro (con una progressiva chiusura degli Stati membri), ma è ben ora di uscire dall’equivoco di una situazione in cui gli interessi egoistici degli Stati (di quelli più forti, ovviamente) sono spacciati per interesse generale." (pag. 6).
Se è ben difficile sostenere che un quadro del genere sia compatibile con l'art. 11, è ovvio che non si tratta di esprimere augurii su più o meno realistiche soluzioni politiche, ma una valutazione "giuridica" sull'"attuale" compatibilità del quadro dei Trattati con la Costituzione. Luciani lascia cadere
en passant:
"Si sa che l’attenzione della dottrina è costantemente rivolta alla garanzia giurisdizionale del rispetto dei controlimiti.
È evidente, invece, che l’opposizione dei controlimiti può spettare (sempre secondo le regole costituzionali di ciascun ordinamento, ribadisco) anche a organi diversi: in primis al capo dello Stato, ma anche al Parlamento e allo stesso Governo."
8. Una volta chiarita
la dimensione essenzialmente politica di ogni soluzione che possa risolvere il disastro, ormai evidente, determinato dal "vincolo €uropeo", ne discende, con altrettanta chiarezza, che, ancor più a monte,
il problema è, guarda caso,
sia di comprensione dell'attuale modello costituzionale (l'atto politico supremo di una comunità sociale),
sia di "risorse culturali": cioè di ideologia e "filosofia" sul modello di società, e di rapporti di forza al suo interno, che si intende perseguire.
Ai più attenti lettori, a questo proposito, forniamo dunque uno schema interpretativo generale e un glossario, plasticamente scolpiti da Bazaar, che ci paiono particolarmente appropriati per comprendere la visione diffusa che denota il difetto di "risorse culturali" in Italia.
Ecco lo
schema generale, tratto dal
post sulla "democrazia diretta":
"...la particolarità di una democrazia moderna, che, per essere tale "nella sostanza" - come faceva notare Mortati -
necessitava un ordinamento lavoristico con una forte Stato sociale. Ovvero, si fondava l'intero ordinamento, con convergenza di tutte le forze politiche, sulla Sinistra economica (in senso contenutistico e non partitico, ndr.): sinistra economica che propugna la necessità della giustizia sociale affinché la democrazia possa essere chiamata tale.
I liberali - ovvero
la destra economica - oltre alla
"giustizia commutativa" storicamente non chiedono altro: anzi.
Quindi, la domanda che sorge spontanea consiste in: « ma
se tutti convergono sui caposaldi storici "socialisti", che legittimità e che spazio hanno nel panorama costituzionale le "istanze liberali"» (in democrazia "compiuta", beninteso, ndr.)?
Risposta:
tendenzialmente nessuna.
I liberali alla Einaudi avrebbero potuto difendere gli interessi di classe in una dialettica che avrebbe dovuto escludere la radicalità sostanziale della ideologia storica del liberismo, risultata definitivamente screditata dalla crisi del '29 e dalla seconda guerra mondiale:
avrebbero dato un eventuale contributo nel "come" raggiungere gli obiettivi.
Non più "quali" obiettivi.
Infatti, a differenza degli stati liberali "classici" come
USA e UK, che avevano
adottato le politiche keynesiane nel trentennio d'oro senza "obblighi costituzionali", arrivando poi a smantellare tutto lo stato sociale in breve tempo e senza troppi problemi (Reagan e Thatcher), per l'Europa il vecchio ordine (a vertice USA) ha tenuto "un piede nella porta" con la Germania ordoliberista: tramite i trattati di libero scambio dipinti di rosso da Spinelli, Rossi e utili geni del caso, tramite il "vincolo esterno", ovvero il "balance of payment constraint", ovvero tramite SME ed euro, la classe dominante internazionale, con il capitale nazionale "vassallo" e per definizione collaborazionista, si sono avviati a "ricordarci la durezza del vivere". Perché la democrazia è tale se, e solo se, esiste lo Stato sociale con le sue protezioni (v. Mortati).
Il fatto che, nonostante la scelta unanime verso il keynesismo, Einaudi potesse godere di tali "riconoscimenti", potrebbe essere proprio considerata come
il segnale della scelta extra-istituzionale, di un determinato gruppo sociale, di influenzare la politica nazionale al di fuori della legalità costituzionale. Obiettivo poi efficacemente perseguito a livello "tecnico" a fine anni '70." Postilla: sulla
giustizia "commutativa", rammentatemi semmai di tornare, perché, in essenza, è quella idea che, trasposta sul piano ordinamentale-normativo (se non elaborata da...Rawls, ma sarebbe un discorso lungo), implica che
le "tasse" pagate debbano esattamente corrispondere alla quantità/valore di utilità e servizi pubblici che si ricevono,
e che porta dritti al "pareggio di bilancio", al rigetto della solidarietà tra classi sociali e comunità viventi su territori diversi, e, dunque, all'assetto allocativo ottimo-paretiano delle risorse "scarse & date". In una parola: la neo-liberismo.
8.1. Ed ecco, nella sua (lucida) vis ironica,
il "glossario" di Bazaar:
1 -
modernismo reazionario: il progressista vede la macchina a servizio dell'uomo (lavorare di meno e guadagnare di più...), il modernista vede la macchina come
inevitabile strumento di sfruttamento dell'uomo sull'uomo (aumentare i profitti ed asservire i lavoratori tramite masse di disoccupati e sottoproletari che si scannano...).
(Per quelli che non si scannano tra loro e vanno a rompere le uova nelle ville degli sciur, Milton Friedman e von Hayek proponevano... un "reddito di cittadinanza"... solo se c'era spazio nel bilancio... altrimenti più Malthus per tutti)
Un keynesiano sa che nonostante il progresso tecnologico sia un fattore aggravante del fattore occupazionale e delle crisi da domanda, queste rimangono crisi di
domanda, quindi attribuibili al conflitto distributivo, quindi attribuibili ad una scelta politica.
La globalizzazione è una scelta politica: il non comprenderlo è parte degli effetti della propaganda "futuristica" e reazionaria di Casaleggio.
2 -
neoliberismo: il confondere la crisi di domanda con una crisi dal lato dell'offerta in riferimento dell'aumento di produttività (tramite il progresso tecnologico), è teoria neoclassica.
Un keynesiano -
ovvero un democratico conforme a Costituzione - è consapevole che i salari reali devono crescere marginalmente con la produttività. (Ovvero la quota riservata ai salari nominali deve crescere insieme al PIL).
3 -
livore - propensione livorosa verso una
generica borghesia o un generico "padronato" che, in realtà, si trova nella medesima condizione del proletariato.
Funzionale al divide et impera.
Il livore è strettamente connesso all'ignoranza dei presupposti minimi delle dinamiche economiche e politiche subite: ti hanno mentito e la rabbia non ti permette di approfondire ciò che da carne da macello ti trasformerebbe in un civile e consapevole "uomo politico". (Non un "cittadino con il secchio in testa" usato come "elmetto", che non vede nulla, sbraita, e nessuno lo sente).
Pubblicato da
Quarantotto a
17:40 30 commenti: Link a questo post
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